LA PRIMA GUERRA MONDIALE
DAI BOLLETTINI UFFICIALI

1917

PROPOSTA DI WILSON (USA) - RISPOSTE DEGLI ALLEATI: "NO"
L'ALLOCUZIONE DEL PAPA
ANCORA PROPOSTE DI WILSON - GLI AUSTRO-TEDESCHI DICONO "NI"
WILSON PARLA AL SENATO AMERICANO
IL SINGOLARE INTERVENTO DEI SOCIALISTI

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LA NOTA DEGLI STATI UNITI

Nelle ultime discussioni alle Camere, alla fine di dicembre, dal governo in carica, non erano state prese in seria considerazioni le proproste di trattative di pace avanzate all'Intesa dai governi tedesco, austroungarico, bulgaro e turco. Era quindi stata votata la fiducia al governo BOSELLI, intenzionato a proseguire la guerra anche a costo di enormi sacrifici.
Poi senatori e deputati, il 22 dicembre, chiusero i lavori per prendersi le vacanze fino a febbraio.
Ma la politica internazionale - con una guerra che stava diventando ormai mondiale- non riposava.

Datata 18 dicembre 1916, firmata dal segretario di Stato, LANSING, il 22 dicembre, fu dall'ambasciatore americano a Roma comunicata al Governo italiano la nota seguente del Presidente degli Stati Uniti, WILSON:

"Il Presidente degli Stati Uniti mi ha dato istruzioni di suggerire al Governo Reale italiano un piano di azione riguardante la presente guerra che, egli spera, il Governo Reale italiano prenderà in considerazione come suggerito da spirito amichevole, come derivante, non solamente da un amico, ma anche dal rappresentante di una Nazione neutrale i cui interessi sono stati molto seriamente colpiti dalla guerra e la cui sollecitudine per la rapida fine di questa sorge dalla manifesta necessità di determinare come tutelare ben meglio questi interessi se la guerra deve continuare.

"Il Presidente aveva da lungo tempo in animo di dare il suggerimento che io ho l'istruzione di presentare. Egli è alquanto imbarazzato nel darlo in questo particolare momento, perché può ora sembrare che esso sia stato affrettato dalle recenti aperture delle potenze Centrali. Ma in realtà esso è in alcun modo connesso a quelle nella sua origine e il Presidente ne avrebbe ritardata l'offerta finché queste aperture avessero avuto risposta, se non fosse per il fatto che esso riguarda anche la questione della pace e può essere meglio preso in considerazione in connessione con le proposte che hanno in vista lo stesso fine.

"Il Presidente non può che chiedere che il suo suggerimento sia considerato interamente nel suo proprio merito e come se fosse stato fatto in altre circostanze. Il Presidente si prende la libertà di richiamare l'attenzione sul fatto che gli oggetti che gli uomini di Stato dei belligeranti di ambedue le parti hanno in animo in questa guerra, sono virtualmente gli stessi, e furono dichiarati in termini generali ai loro stessi popoli ed al mondo. Ciascuna parte desidera di rendere i diritti ed i privilegi dei popoli deboli e dei piccoli Stati, sicuri contro aggressioni o soprusi nell'avvenire come i diritti ed i privilegi degli Stati grandi e potenti attualmente in guerra.

"Ciascuno desidera rimanere sicuro in futuro, di fronte a tutte le altre Nazioni e popoli, contro il ripetersi di guerre come questa e contro aggressioni ed egoistici interventi di ogni specie. Ciascuno diffiderebbe della formazione di qualsiasi ulteriore alleanza rivale, per preservare un incerto equilibrio di potere tra molteplici sospetti, ma ciascuno è pronto a prendere in considerazione la formazione di una lega di Nazioni per assicurare la pace e la giustizia attraverso il mondo.
Ma prima di fare un passo definitivo, ciascheduno ritiene essere necessario stabilire i fini della presente guerra su basi che certamente tutelino l'indipendenza, la integrità territoriale e la libertà politica e commerciale delle Nazioni implicate. Il Presidente suggerisce che si ricerchi una prossima occasione per domandare a tutte le Nazioni attualmente in guerra una pubblica dichiarazione circa le loro rispettive vedute in quanto alle condizioni in base alle quali la guerra potrebbe essere chiusa, e agli accomodamenti che potrebbero essere ritenuti soddisfacenti come una garanzia contro il rinnovarsi di essa e lo scatenarsi di qualsiasi simile conflitto in avvenire, affinché si rendesse possibile di paragonarli francamente fra loro.

"Egli è indifferente circa i mezzi da impiegare per ottenere tutto questo. Il Presidente sarebbe lieto di cooperarvi egli stesso o anche di prendere l'iniziativa del suo compimento in ogni modo che potesse apparire accettabile; ma egli non ha nessun desiderio di determinare il metodo o i mezzi. Una via o l'altra sarebbe per lui accettabile purché soltanto il grande scopo cui egli mira sia ottenuto. Nelle misure da prendersi per assicurare la futura pace del mondo, il popolo ed il Governo degli Stati Uniti sono interessati così vitalmente e così direttamente come il Governo attualmente in guerra. Inoltre il loro interesse circa i mezzi da adottarsi per liberare i popoli più piccoli e più deboli del mondo dal pericolo dell'ingiustizia e della violenza è altrettanto forte quanto quello d'ogni altro popolo e Governo.

"Essi sono pronti anzi ansiosi di cooperare al compimento di questi scopi, quando la guerra sarà terminata, con tutta l'influenza e le risorse di cui dispongono. Ma la guerra deve essere prima terminata. Quanto alle condizioni come essa deve essere chiusa, non è in loro potere di suggerirle, ma il Presidente sente che è suo diritto e suo dovere di far rilevare il loro profondo interesse alla sua fine per il timore che non sia poi troppo tardi, per il timore che la situazione delle Nazioni neutrali, oggi estremamente aspra a sopportare, non sia resa completamente intollerabile, e per il timore soprattutto che non sia fatto alla civiltà stessa un torto che non possa mai essere espiato o riparato.

"Per tutti questi motivi e timori, il Presidente si ritiene autorizzato a suggerire un'immediata opportunità per un confronto tra le vedute circa le condizioni che debbono precedere questi ultimi accordi della pace del mondo che tutti desiderano e nella quale le Nazioni neutrali al pari di quelle in guerra, sono pronte ad assumere pienamente la loro parte di responsabilità.
Se il conflitto deve continuare e proseguire verso fini indeterminati con una lunga agonia, o finché l'uno o l'altro gruppo dei belligeranti sia esaurito; se milioni su milioni di vite umane debbono continuare ad essere sacrificate finché da una parte o da un'altra non ve ne siano più da sacrificare; se sono accesi risentimenti che non possono mai raffreddarsi e se perdura una disperazione da cui non si può mai guarire, le speranze di una pace o del volontario concerto di popoli liberi saranno rese vane ed oziose.

"La vita dell'intero mondo è stata profondamente turbata. Ogni parte della grande famiglia dell'umanità ha sentito il peso ed il terrore di questo conflitto d'armi senza precedenti. Nessuna Nazione del mondo civile può dirsi in verità che sia fuori della sua influenza o ne sia preservata dai suoi effetti perturbatori.

"E fino ad ora non sono stati ancora esposti precisamente gli obbiettivi concreti per i quali esso è impegnato. I capi dei vari belligeranti, come è stato detto, hanno esposto questi obbiettivi nei loro termini generali, ma esposti in termini generali sembra che siano gli stessi dalle due parti. Mai fino ad ora i portavoce autorizzati di nessuna delle due parti hanno dichiarato gli obiettivi precisi, raggiunti i quali, essi ed i loro popoli sarebbero soddisfatti che la guerra giungesse a termine.
Il mondo è stato lasciato a congetturare quali risultati definitivi, quale attuale scambio di garanzie, quali cambiamenti od accomodamenti politici e territoriali ed anche quale grado di successo militare condurrebbero la guerra alla fine.

"Può essere che la pace sia vicina e noi non lo sappiamo; e che le condizioni sopra le quali i belligeranti da una parte e dall'altra riterrebbero necessario di insistere non siano così inconciliabili come alcuni hanno temuto; che forse uno scambio di vedute aprirebbe la via ad una Conferenza e farebbe della concordia permanente delle Nazioni una speranza di immediato avvenire, ed immediatamente attuabile un concerto delle Nazioni.

"Il Presidente non propone la pace e non offre nemmeno la mediazione. Egli propone solamente che si facciano assaggi affinché si possa apprendere, Nazioni neutre e belligeranti, quando prossimo sia il porto della pace verso il quale tutta l'umanità tende con intensa e presente aspirazione.
Il Presidente crede che lo spirito con il quale egli parla e l'obbiettivo a cui egli mira saranno compresi da tutti gli interessati e spera fiduciosamente in. una risposta che porterà una nuova luce negli affari del mondo".

Lo stesso giorno 22 dicembre il Consiglio Federale Svizzero inviava ai Governi delle Potenze belligeranti la seguente nota:

"Il presidente degli Stati Uniti d'America, ha diretto ai Governi dell'Intesa e delle Potenze Centrali una nota a favore della pace. Egli ha voluto comunicarla al Consiglio Federale Svizzero, il quale, mosso dall'ardente desiderio di veder presto cessare le ostilità, si era messo in rapporto con lui cinque settimane or sono. In questa nota il Presidente WILSON ricorda quanto sia desiderabile giungere a concludere accordi internazionali tali da evitare una sicura catastrofe come quella per la quale i popoli devono oggi soffrire. Il Presidente Wilson insiste anzitutto sulla necessità di porre fine alla guerra attuale.
"Egli non formula proposte di pace e non offre neppure la sua mediazione, ma si limita a rivolgersi ai belligeranti per sapere se l'umanità può oggi sperare di essersi avvicinata ad una pace benefica. La generosa iniziativa personale del Presidente Wilson non mancherà di destare in Svizzera un'eco profonda. Fedele ai doveri che le sono imposti dall'osservanza della più stretta neutralità, legata dalla stessa amicizia con i due gruppi di potenze attualmente in guerra, isolata nel centro dallo spaventoso conflitto di popoli, gravemente minacciata e colpita nei suoi interessi spirituali e materiali, la nostra Patria aspira alla pace. La Svizzera è pronta ad aiutare con le sue deboli forze a porre un termine alle sofferenze della guerra che essa vede passare tutti i giorni con gli internati, i feriti gravi e i profughi. Essa è pure disposta a gettare le basi di una feconda collaborazione fra i popoli.
Perciò il Consiglio Federale Svizzero coglie con gioia l'occasione di appoggiare gli sforzi del Presidente degli Stati Uniti d'America. Esso si riterrebbe felice di poter, anche nella più modesta misura, lavorare al riavvicinamento delle Nazioni in guerra e alla instaurazione di una pace durevole".

 

L'ALLOCUZIONE DEL PAPA

 

Anche il Pontefice lanciava la sua parola di pace nella terribile bufera della guerra.
Il 24 dicembre, ricevendo gli auguri di Natale, rivolgeva al Sacro Collegio dei Cardinali questa allocuzione:

"Ancora una volta, è già purtroppo la terza nel travagliato avanzare del nostro supremo Ministero, il dolce rito della solennità natalizia ci offre di poter constatare quanto rettamente il Sacro Collegio sia unito alla nostra persona. Ravvisiamo una prova di vera unione nel confortante compiacimento che i cardinali di questa Romana Chiesa, sempre Madre dei derelitti e sempre soccorritrice dei miseri, hanno voluto esprimere per l'umile opera nostra, intesa a lenire, finché non sia restituita la pace, i mali della guerra.
"Ne sia lode al Signor Nostro Gesù Cristo che, coprendo della sua persona le membra dei sofferenti, aspira, cerca di avvalorare ogni opera della carità. Argomento anche più chiaro di siffatta adesione ci viene dall'identità di pensiero e di aspirazione che il Sacro Collegio per bocca del venerando decano, alle cui parole conferiscono speciale valore la larga esperienza ed il vigile senno, ha dichiarato di avere comune col Capo della Chiesa. Eco armoniosa dell'unanime coro degli angeli, le cui limpide note non cessano di risuonare possenti e pure nel fragore delle armi e nelle esplosioni di odio, la voce di lei, signor Cardinale, ha ripetuto l'augurio proprio di Gesù e della festività del Natale, augurio della pacificazione degli uomini. E non ha dimenticato quasi a chiarimento della fin qui inesaudita preghiera, di far caldi voti affinché la ricerca della pace, costante nostro respiro non manchi, per parte di alcuno, a quella condizione che all'annuncio di essa fu compagna anche nella grotta di Betlemme: "pace agli uomini di buona volontà".

"Quindi ci giunge accetto questo voto e, come ci sembra opportuno il monito che lo accompagna, noi non ci stancheremo di ripeterlo. La necessaria condizione del buon volere menzionammo. Noi in più documenti del nostro Pontificato ed in ricordo di essa, nella stesso modo del nostro primo predecessore, riputiamo nostro dovere di rispecchiare mediante i nostri moniti indirizzati a tutti indistintamente i figli nostri "iustum arbitror suscitare vos in commonitione".
E come, infatti, potrebbero i figli nostri aspirare con noi alla pace, a quella pace giusta e durevole che deve mettere fine agli orrori della presente guerra, se nessun bene condizionato poté mai conseguirsi senza l'osservanza della condizione? E il "pax hominibus bonae voluntatis" suona oggi promessa condizionata, né più né meno che quando echeggiò la prima volta dal nato Redentore. Più e più volte, nel tremendo corso della terribile bufera che avvolge si gran parte del mondo, leggendo le suppliche delle madri, delle spose, dei padri e dei figliuoli, misurando con lo sguardo e con il cuore le rovine sociali e le devastazioni dell'immenso cataclisma ricordammo le lacrime versate da Gesù al cospetto di Gerusalemme peccatrice, incredula, proterva. Ma, più che le lacrime, di per sé tanto eloquenti, ci intenerirono le meste parole del Redentore: "Quia si cognovisses et tu quae ad pacem tibi nunc autem abscondita sunt oculis tuis .... eo quod non cognoveris tempus visitationis tuae". Oh ! Conosca ora tra gli angelici concenti ed il soave atteggiamento del pacifico Bambino, conosca ora la Terra "quae ad pacem tibi": secondino i potenti per arrestare il corso alla distruzione dei popoli, la voce di questo eccelso Senato; riflettano le Nazioni che la Chiesa - al lume della fede e mercé l'assistenza di Colui che è via, verità e vita - vede, anzi intuisce più lontano che non le pupille dell'umana fralezza: cedano alfine i contendenti alle replicate ammonizioni e alle preci del Padre della cristiana famiglia e preparino, per le vie della giustizia, l'avvento e l'abbraccio della pace affinché nuova spiegazione possa avere ai dì nostri la parola dell'antico salmista: "iustitia et pax osculatae sunt. A sperare non più lontano l'appagamento di questo nostro voto ci confortino le espiatrici sofferenze dei buoni e le sante invocazioni dei nostri diletti figli, primi fra tutti i membri del Sacro Collegio. E noi, sicuri della sorte della Chiesa, alla quale tra le aspre e liete vicende non sarà mai per mancare l'onnipotente mano di Dio, guardiamo con fiducia anche all'avvenire degli Stati che, nella Sua misericordia, il Signore non fece insanabili. Guardiamo fiduciosi anche a voi, signori cardinali, e a quanti ci fanno degna corona partecipi tutti in varia misura dell'esercizio di quella carità, che è stata sempre il fortunato retaggio, che, ora, specialmente, è il più nobile compito della Chiesa di Roma. Se a voi, nel vostro affetto di figli, piacque di confortarci con la preghiera della Chiesa: "Dominus conservet cum, vivificet eum", piace a noi, a nostra volta, pregare il Padre Celeste perché: "Quos dedit mihi non perdat ex eis quemquam"; piace altresì scongiurando, perchè attinta alla culla di Gesù: "Pax Dei, quae exuperat omnem sensum custodiat corda vestra ed intelligentiat vestras"; piace infine confortarvi con quel pegno di paterno amore che noi vi porgiamo, impartendovi con l'effusione dell'animo l'apostolica benedizione".

Il 26 dicembre, il Governo austriaco consegnava all'ambasciatore americano a Vienna il seguente pro memoria in risposta alla nota del presidente Wilson:

"Il Governo austroungarico tiene anzitutto a rilevare che si è lasciato anch'esso dirigere, nel giudicare la nobile iniziativa del Presidente Wilson, dal medesimo spirito di amicizia e di condiscendenza che esso esprime. Il Presidente mira allo scopo di creare basi per istituire una pace duratura, ma desidera pure non pregiudicare la scelta dei modi e dei mezzi. Il Governo austro-ungarico ritiene atto a questo scopo un diretto scambio di idee fra i belligeranti. Riferendosi alla dichiarazione del 12 dicembre, con la quale si diceva pronto ad entrare in negoziati di pace, si onora pertanto di proporre un sollecito convegno dei rappresentanti delle Potenze belligeranti in località estera neutrale. Il Governo austroungarico aderisce pure al criterio del Presidente che solo dopo finita la guerra odierna sarà possibile procedere alla grande desiderabile opera per impedire guerre future. Al momento opportuno il Governo sarà pronto a prestare la sua cooperazione con il Governo degli Stati Uniti per attuare questo insigne compito".

Il 27 dicembre, una nota simile veniva a Vienna consegnata all'ambasciatore svizzero e quello stesso giorno così la Germania rispondeva alla nota del Wilson:

"La generosa proposta fatta dal Presidente degli Stati Uniti d'America allo scopo di creare una base per il ristabilimento di una durevole pace, è ricevuta e considerata dal Governo imperiale con l'amichevole spirito che aveva trovato un'espressione nella comunicazione del Presidente.
Il Presidente sottolinea ciò che gli sta a cuore lasciando libera la scelta dei mezzi. Uno scambio immediato di vedute sembra al Governo Imperiale essere il mezzo adatto per raggiungere il risultato desiderato. Esso offre dunque ai sensi della dichiarazione fatta il 12 corrente, la quale tendeva la mano per negoziati di pace, di proporre una riunione immediata dei delegati degli Stati belligeranti in una località neutrale. Il Governo Imperiale è pure dell'avviso che la grande opera d'impedire guerre future può soltanto essere intrapresa dopo la fine della presente guerra delle Nazioni, e sarà pronto, quando sarà venuto il momento, a collaborare con piacere e senza riserva con gli Stati Uniti a questo nobile compito".

Contemporaneamente veniva consegnata al ministro svizzero a Berlino la risposta del Governo Germanico alla nota svizzera, simile a quella diretta al Presidente degli Stati Uniti. Due giorni dopo la Svezia e la Danimarca con una nota verbale all'Austria richiamandosi alla nota di Wilson, esprimevano la loro simpatia per tutti gli sforzi tendenti a porre termine alla guerra, e il 30 dicembre i ministri di Svezia e Norvegia e l'incaricato d'affari di Danimarca a Roma rimettevano separatamente al ministro SONNINO la nota seguente:

"È col più vivo interesse che il Governo ha appreso le proposte che il Presidente degli Stati Uniti ha fatto in vista di facilitare delle misure tendenti a ristabilire una pace durevole. Pur restando desiderosi di evitare ogni inframmettenza che possa urtare sentimenti legittimi, il Governo reale pensa che mancherebbe ai suoi doveri verso il proprio popolo e verso l'umanità intera se non esprimesse la sua più profonda simpatia per tutti i tentativi che potessero contribuire a mettere un termine al progressivo aumento delle sofferenze e delle perdite morali e materiali. Il Governo reale nutre fiducia che l'iniziativa del Presidente Wilson riuscirà ad un risultato degno dello spirito a cui egli si è ispirato".

 

LA RISPOSTA DEGLI ALLEATI

La nota degli Stati Uniti fu discussa a Roma in una conferenza interalleata (5-7 gennaio 1917) alla quale intervennero, oltre i ministri italiani e il CADORNA, il presidente dei ministri francesi BRIAND coi generali LYAUTEY e THOMAS, il primo ministro inglese lord GEORGE con lord MILNER e il generale ROBERTSON, il generale russo GALITZIN e gli ambasciatori in Roma e delle potenze alleate. Le deliberazioni non furono rese pubbliche, ma il 7 gennaio fu emanato un comunicato che escludeva ogni eventualità di trattative per la pace dicendosi in esso che gli Alleati avevano costatato una volta di più il loro accordo sulle diverse questioni all'ordine del giorno ed avevano preso la risoluzione di effettuare sempre maggiormente la coordinazione dei loro sforzi.

Il 10 gennaio, BRIAND, a nome degli alleati, consegnò a Parigi all'ambasciatore nordamericano SHARP la nota in risposta a quella del Presidente degli Stati Uniti. Essa era così concepita:

"I Governi alleati hanno ricevuto la nota che è stata rimessa in nome del Governo degli Stati Uniti. Essi l'hanno esaminata con la cura che loro imponevano ad un tempo e l'esatta nozione che essi hanno della gravità dell'ora e la sincera amicizia che li unisce al popolo americano. In principio essi tengono a dichiarare che rendono omaggio agli elevati sentimenti ai quali si ispira la nota americana e che si associano con tutti i loro voti al progetto di una creazione di una lega delle Nazioni per assicurare la pace e la giustizia nel mondo. Essi riconoscono tutti i vantaggi che per la causa dell'umanità e della civiltà presenterà il fissare dei regolamenti internazionali destinati ad evitare conflitti violenti fra le Nazioni, regolamenti che dovrebbero comportare le sanzioni necessarie per assicurarne l'esecuzione e per evitare in tal modo che una sicurezza apparente serva soltanto a facilitare delle nuove aggressioni.

"Ma una discussione sulle future disposizioni destinate ad assicurare una pace durevole suppone dapprima un regolamento soddisfacente dell'attuale conflitto. Gli Alleati hanno, non meno del Governo degli Stati Uniti, un profondo desiderio di veder terminare il più presto possibile la guerra, di cui gli Imperi centrali sono i responsabili e che infligge all'umanità tante crudeli sofferenze. Ma essi stimano che è impossibile di realizzare fin da ora una pace che assicuri loro le riparazioni, le restituzioni e le garanzie alle quali dà loro diritto l'aggressione la cui responsabilità ricade sulle Potenze centrali e di cui il principio stesso tendeva a distruggere la sicurezza dell'Europa, una pace che permetterà inoltre di stabilire su basi solide l'avvenire delle Nazioni europee.

"Le Nazioni alleate hanno la coscienza di non combattere per degli interessi egoistici, ma sopra tutto per la salvaguardia dell'indipendenza dei popoli, del diritto e dell'umanità. Gli Alleati si rendono pienamente conto delle perdite e delle sofferenze che la guerra fa sopportare così ai neutri come ai belligeranti, e le deplorano, ma non se ne considerano responsabili non avendo essi in alcun modo né voluto né provocato questa guerra e si sforzano di ridurre questi danni nella misura compatibile con le esigenze inesorabili della loro difesa contro le violenze e le insidie del nemico. Fin da ora gli Alleati prendono atto con soddisfazione della dichiarazione fatta che la comunicazione americana non è in alcun modo connessa nella sua origine con quella delle Potenze centrali trasmessa il 18 dicembre per il tramite del Governo dell'Unione. Essi non dubitavano per altro della risoluzione di quel Governo di evitare perfino l'apparenza di un appoggio morale agli autori responsabili della guerra.

"I Governi alleati credono dover protestare nella maniera la più amichevole, ma altrettanto decisa, contro l'assimilazione stabilita nella nota americana tra i due gruppi di belligeranti. Questa assimilazione, basata su pubbliche dichiarazioni delle Potenze centrali, sta in contrasto diretto con l'evidenza tanto per ciò che riguarda le responsabilità del passato quanto per ciò che riguarda le garanzie dell'avvenire. Il Presidente Wilson, menzionandola, non ha inteso di certo di associarsi.
Se vi è nell'ora attuale un fatto storico sicuro, di certo è la volontà di aggressione della Germania e dell'Austria per assicurarsi l'egemonia in Europa e il dominio economico del mondo. La Germania con la dichiarazione di guerra, con la violazione immediata del Belgio e del Lussemburgo e con la sua condotta di guerra ha dato prova del suo sistematico disprezzo di ogni principio umanitario e di ogni rispetto dei piccoli Stati. Via via che il conflitto si è sviluppato, l'attitudine delle Potenze centrali e dei loro alleati è stata una continua sfida all'umanità e alla civiltà.

"Occorre forse ricordare gli orrori che hanno accompagnato l'invasione del Belgio e della Serbia? il regime atroce imposto ai paesi invasi? il massacro di centinaia di migliaia di armeni inoffensivi? le barbarie commesse contro le popolazioni della Siria? le incursioni di Zeppelin su città aperte? la distruzione, per mezzo di sottomarini, di piroscafi e navi mercantili pur battenti bandiera neutrale? il crudele trattamento inflitto ai prigionieri di guerra? gli assassini giuridici di Miss Cavell e del capitano Fryatt? la deportazione e la schiavitù imposta a popolazioni civili? ecc. ecc.
L'esecuzione di una tale serie di delitti, perpetrati senza preoccupazione della riprovazione universale, spiega ampiamente al presidente Wilson la protesta degli Alleati. Essi stimano che la nota da loro rimessa agli Stati Uniti in risposta alla nota tedesca risponda anche alla domanda fatta dal Governo americano e costituisca, secondo le precise espressioni di quest'ultimo, una dichiarazione pubblica sulle condizioni alle quali si potrebbe porre fine alla guerra.

"II Presidente Wilson chiede di più. Egli desidera che le Potenze belligeranti affermino chiaramente gli scopi che esse si propongono continuando la guerra. Gli Alleati non hanno difficoltà alcuna a rispondere a questa domanda. I loro scopi di guerra sono ben noti; essi sono stati formulati a più riprese dai capi dei loro Governi. Questi scopi di guerra saranno esposti nei loro particolari, con tutti i compensi e le giuste indennità per i danni subiti, soltanto all'ora dei negoziati.
Ma il mondo civile sa che essi implicano necessariamente e in primo luogo la restaurazione del Belgio, della Serbia e del Montenegro e i risarcimenti loro dovuti; l'evacuazione dei territori invasi in Francia, in Russia, in Romania con giuste riparazioni; la riorganizzazione dell'Europa garantita da un regime equo e fondata nel contempo sul rispetto delle nazionalità e sul diritto alla piena sicurezza e alla libertà dello sviluppo economico che tutti i popoli, grandi e piccoli, possiedono, nonché su convenzioni territoriali e regolamenti internazionali atti a garantire le frontiere terrestri e marittime contro attacchi ingiustificati; la liberazione degli Italiani, degli Slavi, dei Romeni e dei Ceco-slovacchi dalla dominazione straniera; la liberazione delle popolazioni sottomesse alla sanguinosa tirannia dei turchi: il ricacciare fuori d'Europa l'Impero Ottomano, decisamente straniero alla civiltà occidentale.

"Le intenzioni di S. M. l'Imperatore di Russia riguardo la Polonia sono state chiaramente indicate nel proclama che egli ha in questi giorni indirizzato ai suoi eserciti. E' certo che se gli Alleati vogliono sottrarre l'Europa alle brutali cupidigie del militarismo prussiano, essi non si sono mai proposti, come si è preteso, lo sterminio dei popoli tedeschi e il loro annientamento politico. Quello che essi vogliono sopratutto è di assicurare la pace sui principi di libertà e di giustizia, sulla fedeltà inviolabile alle obbligazioni internazionali alle quali si è sempre ispirato il Governo americano.
Uniti nel perseguimento di questo scopo supremo, gli Alleati sono determinati, ciascuno e solidariamente, ad agire con tutte le loro forze e a sopportare tutti i sacrifici per condurre ad una vittoriosa fine un conflitto dal quale, essi sono convinti, dipenderà non solo la propria esistenza e prosperità, ma anche l'avvenire della civiltà stessa".

La nota, alla quale più su si è fatto cenno, in risposta agli Imperi Centrali era stata, il 28 dicembre, a Parigi, consegnata da BRIAND all'ambasciatore degli Stati Uniti e affermava:

"I Governi alleati della Francia, della Gran Bretagna, dell'Italia, del Giappone, del Montenegro, del Portogallo, della Russia e della Serbia, uniti per la difesa della libertà dei popoli e fedeli all'impegno preso di non deporre isolatamente le armi, hanno deciso di rispondere collettivamente alle pretese proposte di pace che sono state loro dirette da parte dei Governi nemici, per il tramite degli Stati Uniti, della Svizzera e dei Paesi Bassi. Prima di qualsiasi risposta, le Potenze alleate tengono a protestare contro le due asserzioni essenziali della nota delle Potenze nemiche che pretende rigettare sugli Alleati la responsabilità della guerra e che proclama la vittoria delle Potenze centrali.
Gli Alleati non possono ammettere un'affermazione doppiamente inesatta e che basta a colpire di sterilità ogni tentativo di negoziato. Le Nazioni alleate subiscono da trenta mesi una guerra che hanno fatto di tutto per evitare. E hanno dimostrato con atti il loro attaccamento alla pace.

"Tale attaccamento è altrettanto fermo oggi quanto nel 1914. Dopo la violazione dei suoi impegni, non è sulla parola della Germania che la pace, fatto a pezzi da essa, può esser fondata. Un suggerimento senza condizioni per l'apertura di negoziati non è un'offerta di pace. La pretesa proposta, priva di sostanza e di precisione, messa in circolazione dal Governo Imperiale, appare meno come un'offerta di pace che come una manovra di guerra. Essa è basata sul disconoscimento sistematico del carattere della lotta nel passato, nel presente e nell'avvenire. Per il passato la nota tedesca ignora i fatti, le date, le cifre, che stabiliscono che la guerra è stata voluta, provocata e dichiarata dalla Germania e dall'Austria-Ungheria.

" All'Aja è stato il delegato tedesco che rifiutò ogni proposta di disarmo e nel luglio 1914 fu l'Austria-Ungheria che, dopo aver diretto alla Serbia un ultimatum senza precedenti, le dichiarò la guerra malgrado le soddisfazioni immediate ottenute. Gli Imperi del centro respinsero allora tutti i tentativi fatti dall'Intesa per assicurare ad un conflitto locale una soluzione pacifica. L'offerta di una Conferenza dell'Inghilterra; la proposta di una Commissione internazionale; la domanda di un arbitrato dell'Imperatore di Russia all'Imperatore di Germania; l'accordo fra, la Russia e l'Austria-Ungheria alla vigilia del conflitto; tutti questi sforzi sono stati lasciati dalla Germania senza risposta e senza un seguito.

" Il Belgio è stato invaso da un Impero che aveva garantito la sua neutralità e che non ha temuto di proclamare esso stesso che i trattati erano pezzi di carta e che necessità non ha legge. Per il presente, le pretese offerte della Germania si basano su una "carta della guerra" unicamente europea che non esprime che l'apparenza esteriore e passeggera della situazione, non la forza reale degli avversari.
Una pace conclusa partendo da questi dati sarebbe in vantaggio esclusivo degli aggressori che, avendo creduto di raggiungere il loro scopo in due mesi, si accorgono, dopo due anni, che non lo raggiungeranno mai. Per l'avvenire le rovine cagionate dalla dichiarazione di guerra tedesca, gli innumerevoli attentati commessi dalla Germania e dai suoi alleati contro i belligeranti e contro i neutrali, esigono sanzioni, riparazioni e garanzie.

"La Germania elude le uno e le altre. In realtà l'apertura fatta dalle Potenze centrali non è che un tentativo calcolato allo scopo di agire sull'evoluzione della guerra e di imporre finalmente una pace tedesca. Essa ha per oggetto di turbare l'opinione pubblica nei Paesi alleati. Questa opinione, malgrado tutti i sacrifici consentiti, ha già risposto con una fermezza ammirabile ed ha denunciato il vuoto della dichiarazione nemica.
"Essa vuole rafforzare l'opinione pubblica della Germania e dei suoi alleati già gravemente provati per le loro perdite, logorati dall'accerchiamento economico e schiacciati dallo sforzo supremo che si esige dai loro popoli. Essa cerca d'ingannare l'opinione pubblica dei Paesi neutrali convinta da lungo tempo circa le responsabilità iniziali, illuminata sulle responsabilità presenti e troppo chiaroveggente per favorire i disegni della Germania, abbandonando la difesa delle libertà umane. Essa tende infine a giustificare anticipatamente agli occhi del mondo nuovi delitti: guerra sottomarina, deportazioni, lavori e arruolamenti forzati di nazionali contro il loro proprio Paese, violazioni della neutralità.

" È con piena coscienza della gravità, ma anche della necessità dell'ora presente che i Governi Alleati, strettamente uniti fra loro ed in perfetta comunione con i loro popoli, si rifiutano di prendere atto di una proposta senza sincerità e senza portata. Essi affermano ancora una volta, che non vi è pace possibile finché non saranno assicurate le riparazioni dei diritti e delle libertà violate; il riconoscimento del principio delle nazionalità e della libera esistenza dei piccoli Stati; finché non sia certa una sistemazione di natura tale da sopprimere definitivamente le cause che da tanto tempo hanno minacciato le Nazioni e da dare le sole garanzie efficaci per la sicurezza del mondo. Le potenze alleate tengono, terminando ad esporre le seguenti considerazioni le quali mettono in rilievo la situazione particolare in cui si trova il Belgio dopo due anni e mezzo di guerra, in virtù dei trattati internazionali firmati da cinque grandi Potenze d'Europa, tra le quali figurava la Germania.

Il Belgio godeva prima della guerra di uno statuto speciale che rendeva il suo territorio inviolabile e metteva il Belgio stesso, sotto la garanzia delle Potenze, al sicuro dei conflitti europei. Il Belgio ha tuttavia, nel disprezzo di questi trattati, subito per primo l'aggressione della Germania. È perciò che il Governo belga stima necessario di precisare lo scopo che il Belgio non ha mai cessato di perseguire combattendo, a fianco delle Potenze dell'Intesa, per la causa del diritto e della giustizia. Il Belgio ha sempre osservato scrupolosamente i doveri che gli imponeva la sua neutralità. Il Paese ha preso le armi per difendere la sua indipendenza e la sua neutralità violate dalla Germania e per restare fedele ai suoi obblighi internazionali.

" Il 4 agosto, al Reichstag il Cancelliere ha riconosciuto che quest'aggressione costituiva un ingiustizia contraria al diritto delle genti e si è impegnato in nome della Germania a ripararla. Da due anni e mezzo quest'ingiustizia è stata crudelmente aggravata dalle pratiche di guerra e d'occupazione che hanno esaurito le risorse del Paese, rovinato le sue industrie, devastato le sue città ed i suoi villaggi, moltiplicato i massacri, le esecuzioni e gli imprigionamenti. E, nel momento in cui la Germania parla al mondo di pace e d'umanità, essa deporta e riduce in servitù cittadini belgi a migliaia. Il Belgio, prima della guerra, non aspirava che a vivere in buon accordo con tutti i suoi vicini. Il suo re ed il suo Governo non hanno che uno scopo: il ristabilimento della pace e del diritto. Ma vogliono una pace che assicuri al loro Paese riparazioni legittime, garanzie e sicurezza per l'avvenire".

Mentre al presidente Wilson giungeva la risposta degli Alleati, la Germania e l'Austria-Ungheria indirizzavano separatamente una nota ai Governi delle Potenze neutrali; poi rispondeva a Wilson.
E Wilson inizia ad esporre il suo punto di vista al Congresso Americano.

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PROPOSTE DI WILSON - GLI AUSTRO-TEDESCHI DICONO "NI"

LA NOTA TEDESCA - NOTE AI PAESI NEUTRALI - NOTA DEL GIAPPONE A FAVORE USA
SINGOLARE INTERVENTO DEI SOCIALISTI ALLA NOTA DI WILSON
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Mentre alla nota (vista sopra) del Presidente degli Stati Uniti WILSON, giungeva la risposta degli Alleati, la Germania e l'Austria-Ungheria indirizzavano separatamente una nota ai Governi delle Potenze neutrali.
Quella tedesca era concepita nei seguenti termini:


"Il Governo imperiale ha ricevuto per mezzo del Governo degli Stati Uniti, della Spagna e della Svizzera la risposta dei suoi avversari alla nota del 12 dicembre in cui la Germania, d'accordo con i suoi Alleati, proponeva d'entrare in trattative di pace.
Gli avversari respingono la proposta con la motivazione che essa è priva di sincerità e di serietà. La forma di cui rivestono le loro comunicazioni esclude che si risponda loro. Ma il Governo Imperiale ci tiene ad esporre ai Governi delle Potenze neutrali i suoi criteri sulla situazione di fatto. Le potenze Centrali non hanno alcun motivo alla discussione sulle origini della guerra. La storia giudicherà a chi ne spetti l'enorme colpa; il suo verdetto non potrà non tener conto della politica di accerchiamento dell'Inghilterra, della politica di rivincita della Francia, delle mire russe su Costantinopoli, delle agitazioni della Serbia, dell'assassinio di Serajevo, della mobilitazione generale russa che significava la guerra con la Germania.
La Germania e i suoi Alleati, che dovettero prendere le armi per la difesa della libertà e dell'esistenza, considerano raggiunto questo loro scopo. Per contro le Potenze nemiche si sono allontanate sempre più dalla realizzazione dei loro piani, che secondo le dichiarazioni dei loro uomini di Stato responsabili, mirano tra l'altro alla conquista dell'Alsazia-Lorena e di parecchie province prussiane, all'umiliazione e alla diminuzione della Monarchia austro-ungarica, alla spartizione della Turchia, alla mutilazione della Bulgaria.

"In vista di tali scopi di guerra, produce un'impressione sorprendente la domanda di espiazioni, restituzioni e garanzie in bocca al nemico. Gli avversari chiamano manovra di guerra la proposta di pace delle quattro Potenze alleate. La Germania e i suoi Alleati devono protestare con tutta l'energia contro il fatto che i loro motivi apertamente esposti sono falsati in tal modo. La loro convinzione era che una pace giusta e accettabile da tutti i belligeranti sia possibile e che possa essere raggiunta con uno scambio diretto di vedute e che perciò non si dovesse assumere la responsabilità di un ulteriore spargimento di sangue. Essersi dichiarati pronti senza riserve a comunicare le loro proposte di pace al momento di entrare nelle trattative, contraddice ad ogni dubbio sulla loro sincerità.

" Gli avversari, nelle cui mani stava l'esaminare il contenuto della profferta, non tentarono tale esame né fecero controproposte; invece dichiararono impossibile la pace fino a che non sia garantita la riparazione dei diritti e delle libertà offese, il riconoscimento del principio delle nazionalità e della libera esistenza dei piccoli Stati. Quella sincerità che gli avversari negano alla proposta delle quattro Potenze non potrà essere ammessa dal mondo per queste domande, se si pensa al destino del popolo irlandese, alla distruzione della libertà e dell'indipendenza della repubblica boera, all'assoggettamento dell'Africa settentrionale da parte dell'Inghilterra, della Francia e dell'Italia, all'oppressione dei popoli stranieri da parte della Russia e infine alle violenze sulla Grecia che è senza esempio nella storia.

" E anche il muovere lagnanze sulle supposte violazioni di diritto da parte delle quattro Potenze alleate non spetta a quelle Potenze che dal principio della guerra calpestano il diritto ed hanno stracciato i trattati. L'Inghilterra, fin dalle prime settimane di guerra, si sciolse dalla dichiarazione di Londra, il cui contenuto era stato riconosciuto dai suoi delegati come valido, e violò poi gravemente anche le dichiarazioni di Parigi cosicché a causa delle sue misure arbitrarie subentrò per la guerra di mare una condizione di assenza di ogni diritto. La guerra per mettere alla fame la Germania e la pressione esercitata sui neutrali nell'interesse dell'Inghilterra stanno in stridente contrasto con le norme di diritto e con i dettami dell'umanità.
Egualmente contrario al diritto delle genti e ai principi di civiltà è l'impiego di truppe di colore in Europa, e aver portata la guerra in Africa violando i trattati esistenti e distruggendo il prestigio della razza bianca in quel continente. L'inumano trattamento dei prigionieri specialmente in Africa e in Russia, la deportazione delle popolazioni civili dall'Alsazia-Lorena, dalla Galizia, dalla Bucovina, dalla Prussia orientale sono nuove prove del come l'avversario rispetti i diritti della civiltà.

" Alla fine della loro nota del 30 dicembre, gli avversari ricordano la speciale situazione del Belgio. II Governo Imperiale non può riconoscere che il Governo Belga abbia sempre osservato i doveri impostigli dalla neutralità. Già prima della guerra, il Belgio, sotto l'influenza dell'Inghilterra, si era assoggettato militarmente all'Inghilterra e alla Francia e con ciò aveva agito contrariamente allo spirito di quei trattati che dovevano assicurargli l'indipendenza e la neutralità. Due volte il Governo Imperiale dichiarò al Governo belga che esso non entrava nel Belgio da nemico e pensava di risparmiargli gli orrori della guerra. Gli offerse, per questo caso, di garantire pienamente lo stato di possesso e l'indipendenza del regno e di riparare a tutti i danni cagionati dal passaggio delle truppe tedesche.
È noto che il Regio Governo Britannico nel 1887 era deciso a non opporsi all'acquisto del diritto di passaggio attraverso il Belgio sotto quelle condizioni: Il Governo belga respinse le ripetute offerte del Governo Imperiale. Su di esso e su quelle Potenze che lo indussero a tale contegno ricade là responsabilità del destino che ha colpito il Belgio. Le accuse sulla condotta della guerra in Belgio e sulle misure colà prese nell'interesse della sicurezza militare furono ripetutamente respinte come false dal Governo Imperiale; ed esso protesta nuovamente ed energicamente contro queste calunnie.

" La Germania e i suoi Alleati hanno fatto l'onesto tentativo di porre fine alla guerra e avviare un accordo tra i belligeranti. Il Governo Imperiale costata che dipendeva soltanto dalla decisione dei suoi avversari se la via della pace dovesse essere presa o no. I Governi nemici hanno rifiutato di prenderla. Ricade su di essi l'intera responsabilità del proseguimento dello spargimento di sangue. Le quattro Potenze alleate proseguono la lotta con tranquilla sicurezza fidando nel loro buon diritto finché sia raggiunta una vittoria che garantisca ai loro popoli l'onore, l'esistenza, la possibilità di sviluppo, e doni a tutti gli Stati d'Europa il beneficio di lavorare in comune alla soluzione del grande problema di civiltà con rispetto reciproco e con eguaglianza di diritto".

 

Dopo queste note non si poteva più parlar di pace, finiva il periodo dei tentativi, più o meno sinceri, di intavolar trattative e se ne iniziava un altro di polemiche.

Mentre GUGLIELMO II, sdegnato, rivolgeva al suo popolo un vibrante proclama in cui assicurava che Dio avrebbe dato alle quattro Potenze alleate "la piena vittoria, sulla nemica avidità di potenza e rabbia di distruzione" e il Re LUIGI di BAVIERA plaudiva all'imperatore e dichiarava di voler proseguire la lotta, imposta agli Imperi Centrali, per forzare i nemici a quella pace che essi negavano, il ministro tedesco degli esteri ZIMMERMANN accordava al corrispondente dell'"Associated Presse" un'intervista, in cui diceva di considerare la risposta degli Alleati al Presidente Wilson come la chiusura della porta della pace; l'Agenzia "Reuter" commentava con una nota ufficiosa le note degli Imperi Centrali ai Paesi neutrali; il ministro degli esteri britannico BALFOUR inviava al Governo degli Stati Uniti, per mezzo dell'Ambasciatore a Washington, alcune osservazioni esplicative intorno alla nota degli Alleati; BRIAND faceva alla Camera francese recise dichiarazioni circa la risposta al Wilson e lo ZAR indirizzava al nuovo presidente dei ministri, principe di GALITZIN, un rescritto in cui fra, l'altro diceva:
"In completa solidarietà con i nostri fedeli Alleati, non ammettendo il pensiero della conclusione della pace prima della vittoria definitiva, credo fermamente che il popolo russo, sopportando con abnegazione il peso della guerra, compirà il suo dovere fino alla fine senza arrestarsi dinnanzi ad alcun sacrificio".

La risposta dei due gruppi belligeranti alla sua nota, se al presidente WILSON dispiacque non lo dissuase dall'intromettersi, sebbene non richiesto, fra i contendenti.


WILSON PARLA AL SENATO AMERICANO


Il 22 gennaio lesse al Senato degli Stati Uniti un "messaggio", in cui, accennando alla sua nota del 18 dicembre e delle risposte ricevute, cosi continuava:

"E' inconcepibile che il popolo degli Stati Uniti non debba esplicare un'azione in questo grande avvenimento. La partecipazione ad un tale servigio sarà l'occasione che cerca esso stesso in virtù degli stessi principi e degli scopi della sua costituzione e della politica del suo Governo, che il Paese ha sempre approvato. Spetta al popolo americano ed alle altre Nazioni del mondo di esporre le condizioni alle quali vuol sentirsi libero di render il servigio stesso. E questo è nientemeno che il seguente: aggiungere la sua autorità e il suo potere alla autorità e alla forza delle altre Nazioni per garantire la pace e la giustizia del mondo.
"Una tale soluzione non potrebbe ora essere lungamente differita. E' giusto che, prima di agire, il Governo formuli francamente le condizioni alle quali si sentirebbe di far approvare al nostro popolo la sua formale e solenne adesione alla lega per la pace. Sono qui per cercare di esporre tali condizioni. Anzitutto occorre metter fine alla guerra attuale. Ma dobbiamo dire per riguardo all'umanità e per quanto si riferisce alla nostra partecipazione alle garanzie della pace futura, che ci sono grandi divergenze circa il modo con cui la guerra deve finire e circa le condizioni alle quali la pace deve essere conclusa. I trattati e gli accordi che debbono condurre alla pace devono comprendere condizioni le quali creano una pace che sarà approvata dall'umanità, e non soltanto una pace che serva agli interessi generali ed agli scopi immediati degli Stati impegnati.

"Noi non avremo voce per determinare quali saranno tali condizioni, ma avremo, se sono certo, una voce per determinare se saranno durevoli o no. In virtù delle garanzie di una convenzione universale ...., la convenzione per una pace operativa, che non comprenda il popolo del nuovo mondo, non può essere sufficiente ad assicurare l'avvenire contro la guerra, e non di meno non vi è che una specie di pace che i popoli dell'America potrebbero garantire. Gli elementi della pace debbono essere elementi che assicurino la fiducia, che soddisfacciano ai principi dei Governi americani, elementi compatibili con la fede e con le convenzioni politiche che i popoli dell'America adottarono una volta per sempre ed intrapresero a difendere.
"Non voglio dire con ciò che un Governo americano metterebbe ostacoli alle condizioni di pace se i Governi attualmente in guerra le accettassero, né che cercherebbe di sconvolgerle quando fossero stabilite in una maniera qualsiasi. Io non ammetto che una cosa, ed è che le sole condizioni di pace non soddisferanno neppure gli stessi belligeranti. I soli accordi non possono assicurare la pace: sarà assolutamente necessario che sia creata una forza che garantisca la permanenza dell'accordo, una forza talmente superiore a quella di qualsiasi alleanza finora formata o progettata, che non uno Stato, ma neanche una combinazione probabile di Stati possa affrontarla o resisterle.

"Perché la pace futura sia duratura occorre che sia assicurata da una forza superiore, organizzata dall'umanità. La questione da cui dipendono la pace e la politica futura del mondo è questa: la guerra attuale è una lotta per una pace giusta e assicurata o soltanto per un nuovo equilibrio fra gli Stati? Se non fosse che una lotta per un nuovo equilibrio fra gli Stati, chi garantirà, chi può garantire 1a stabilità del nuovo accordo? Soltanto una "Europa tranquilla" può essere una "Europa stabile".
Deve esserci non un equilibrio di Stati, ma una comunità di Stati; non debbono esservi rivalità organizzate, ma una pace comune organizzata. Fortunatamente abbiamo ricevute assicurazioni molto esplicite su questo punto .... Ma riteniamo che tali assicurazioni non possono essere egualmente chiare per tutti e non possono essere le stesse dalle due sponde.

"Penso che sarebbe utile che io tentassi di esporvi come noi comprendiamo che debbano essere:
importano anzitutto che vi dovrebbe essere una pace senza vittoria .... Una vittoria significherebbe una pace imposta a colui che perde e le condizioni del vincitore imposte al vinto. Essa sarebbe accettata con umiliazione a prezzo di insopportabili sacrifici e lascerebbe un rancore ed un amaro ricordo sui quali riposerebbero le condizioni della pace.... La sola pace che può durare è quella fra eguali, la sola pace i cui principi sono l'eguaglianza e la partecipazione comune al beneficio comune. Un giusto stato di spirito e un giusto sentimento tra le Nazioni sono altrettanto necessari per una pace duratura quanto la giusta soluzione di vessate questioni territoriali o di razza o di nazionalità.

"L'uguaglianza degli Stati sulla quale la pace deve essere fondata perché sia duratura deve poggiare sull'eguaglianza di diritto. Le garanzie scambievoli non debbono né riconoscere né implicare una differenza fra grandi e piccoli Stati, fra quelli che sono potenti e quelli che sono deboli. Occorre che il diritto sia basato sulla forza comune e non sulla forza individuale degli Stati dalla cui unione la pace dipenderà. Non potrebbe naturalmente esservi eguaglianza di territori e di risorse di alcun altro genere. L'eguaglianza non potrebbe essere nemmeno ottenuta nello sviluppo ordinario, pacifico, legittimo degli stessi popoli. Ma nessuno chiede né attende qualche cosa di più dell'eguaglianza dei diritti. Vi è però qualche cosa di più grave ancora che la stessa eguaglianza, dei diritti fra le Nazioni organizzate. Nessuna pace può durare che non riconosca e non accetti il principio che i Governi traggono il loro potere dal consenso di coloro che sono governati e che non esiste il minimo diritto di far passare di mano in mano, da potentato a potentato, i piccoli, come se essi costituissero un patrimonio .... Ogni pace che non riconosca e non accetti questo principio sarà inevitabilmente distrutta. Essa non riposerà sulle inclinazioni e sulle convinzioni dell'umanità, e gli spiriti agitati delle popolazioni lotteranno sottilmente e costantemente contro di essa con l'approvazione di tutto il mondo. II mondo vivere in pace solo se la sua vita è stabile, e non vi può essere stabilità dove vi è desiderio di ribellione, ma dove vi è tranquillità di spirito e sentimento di giustizia, di libertà, di diritto.

"D'altra parte, per quanto è possibile, a ciascuno dei grandi popoli, che lottano attualmente per il pieno sviluppo delle loro risorse e della loro potenza, dovrebbe essere assicurato uno sbocco verso le grandi vie del mare. Là dove questo risultato non può essere ottenuto con la cessione di territorio, non vi è dubbio che debba essere raggiunto con la neutralizzazione e con diritti di passaggio sotto le garanzie generali che assicureranno la pace stessa. Con un giusto Comitato di controllo, nessuna Nazione deve essere privata del libero accesso alle vie aperte del commercio mondiale e le strade del mare debbono essere libere in diritto e in fatto al tempo stesso.
La libertà dei mari è una condizione sine qua non di pace, di eguaglianza e di cooperazione. Non vi è dubbio che una nuova revisione un po' più radicale di molte regole della pratica internazionale sinora stabilita, sia necessaria
per rendere i mari realmente d'uso del genere umano, ma il motivo del cambiamento deve convincere e obbligare; altrimenti non vi può essere fiducia e sicurezza nelle relazioni fra i popoli, mezzo essenziale per il progresso, per la pace e per il loro sviluppo. Deve essere difficile definire ed assicurare la libertà dei mari se i Governi del mondo deliberano di arrivare ad un accordo a tale proposito? È questo un problema il quale si ricollega da vicino alle limitazione degli armamenti navali e alla cooperazione delle marine del mondo per mantenere la libertà e la sicurezza dei mari.

"La questione della limitazione degli armamenti navali apre la questione, più complessa e forse più difficile, della limitazione degli eserciti e di tutti i preparativi militari. Considerate le difficoltà e la delicatezza di tali questioni, è opportuno affrontarle con la maggiore benevolenza e risolverle con uno spirito di reale conciliazione, se la pace deve essere conclusa. Non si potrebbe pervenire alla pace se non si facessero concessioni né sacrifici; non potrebbe esistere un sentimento di sicurezza e di eguaglianza fra le nazioni se i grandi armamenti coi quali si cerca sempre una superiorità, dovessero ormai sussistere.
Gli uomini di Stato nel mondo devono elaborare piani per la pace e le Nazioni devono regolare la politica in conformità di questi piani, come alcuni progettarono la guerra e si prepararono a rivalità e a lotte spietate. La questione degli armamenti, sia per terra sia per mare, è una questione pratica, la quale si ricollega strettamente ed immediatamente con i destini delle Nazioni e dell'umanità.

"Ho parlato senza riserbo di importanti argomenti e nel modo più esplicito, perché mi è parso necessario, se vi è in qualche parte del mondo un ardente desiderio di pace, di levare una voce ed un'opinione libera. Forse sono la sola persona di alta autorità fra tutti i popoli che abbia la libertà di parlare senza alcun riserbo. Io parlo a titolo personale e nondimeno parlo anche, naturalmente, come capo responsabile di un Grande Governo e sono certo di avere detto ciò che il popolo degli Stati Uniti desidera di dire.
Posso aggiungere che spero e credo di parlare in realtà per i liberali e per gli amici dell'umanità di tutte le Nazioni. Amo credere di parlare per la massa silenziosa dell'umanità, per coloro che ebbero occasione di esprimere i loro lamenti circa la morte e la rovina che videro abbattersi sulle persone e sui focolari che avevano più cari. Ed esprimendo la speranza che il popolo ed il Governo degli Stati Uniti metteranno d'accordo le altre Nazioni civili del mondo per garantire la stabilità della pace sulle basi che ho esposte, parlo con maggiore audacia e fiducia, perché è chiaro, per ogni uomo che pensa, che non vi è in questa premessa alcuna violazione delle nostre tradizioni e della nostra politica nazionale, ma vi è piuttosto la realizzazione di tutte le nostre idee, di tutti i nostri sforzi.

" Propongo, dunque, che le Nazioni con un solo accordo adottino come dottrina mondiale la dottrina di Monroe, cioè che nessuna nazione debba cercare di estendere la sua politica su qualsiasi altra Nazione o su qualsiasi altro popolo, ma che si debba lasciare a ciascun popolo la libertà di determinare la sua propria politica, la sua propria maniera di svilupparsi senza che sia impedito, senza che sia minacciato dai piccoli come dai grandi e potenti popoli. Propongo che tutti gli Stati evitino ormai di stabilire reti di alleanze che li metterebbero in una competizione di potenza, li prenderebbero in un nodo di intrighi e di rivalità egoistiche e turberebbero i loro affari con influenze provenienti dall'estero.
Non vi deve essere il groviglio delle alleanze nel concerto delle forze. Quando tutto il mondo si unisce per agire nello stesso senso e allo stesso scopo, tutto il mondo agisce nell'interesse comune, ed è libero di vivere la sua vita sotto la protezione comune. Propongo il Governo per consenso dei Governati; quella libertà dei mari che, in successive conferenze internazionali, i rappresentanti degli Stati Uniti hanno sostenuto con l'eloquenza di coloro che sono i convinti discepoli della libertà; e quella moderazione degli armamenti che fa degli eserciti o delle flotte una forza semplicemente per il mantenimento dell'ordine e non uno strumento d'aggressione o di violenza egoistica.

" Sono questi i principi americani, è questa la politica americana e non possiamo non seguirli. Essi sono anche i principi di una politica di genti previdenti di ogni parte del mondo, di tutte le Nazioni moderne, di tutte le comunità illuminate.
Sono i principi dell'umanità, e questi debbono prevalere".

La disputa diplomatica sulle profferte di pace ebbe un'eco nel Landtag prussiano dove il 17 gennaio, inaugurando la seduta d'apertura, il presidente pronunciò violente parole nei riguardi dell'Intesa e riscosse le approvazioni dell'assemblea quando disse:
"Bisogna combattere finché gli altri preghino per ottenere la pace".
Il ministro delle finanze, LENTZE, presentando il bilancio affermò che la Germania avrebbe tenuto duro fino alla vittoria:

"La nostra sicurezza e la nostra fiducia rimangono salde come rocce. Dal primo all'ultimo siamo penetrati da questa convinzione: non saremo vinti e ci rimarrà la vittoria".


Il 25 gennaio, alla Camera Ungherese, rispondendo ad un'interrogazione, il presidente del Consiglio, TISZA, detto che il governo austro-ungarico salutava con simpatia ogni tentativo di ricondurre la pace, affermato che lo scopo dell'Intesa era quello della spartizione della Monarchia asburgica e dell'Impero ottomano, sostenuto che tutta l'opinione pubblica ungherese teneva in onore il principio di nazionalità e che in territorio dove razze e nazionalità, vivono mescolate, è impossibile che ogni razza formi uno Stato nazionale, terminò dichiarando:
"Noi, fedeli alla nostra tradizionale politica estera ed all'atteggiamento assunto nella nostra azione per la pace, siamo pronti, insieme all'Impero Centrale a fare quanto possibile per assicurare ai popoli europei una pace durevole".
Anche nel Parlamento giapponese le questioni della guerra e della pace diedero occasione a dichiarazioni del Governo. Il ministro degli Esteri disse che il Giappone faceva tutti gli sforzi per collaborare alla finale vittoria degli Alleati, che aveva aderito alle deliberazioni della Conferenza economica di Parigi, che la guerra aveva dimostrato l'incrollabile saldezza e gli indiscutibili benefici dell'alleanza con l'Inghilterra e degli accordi con la Russia, e dichiarò infine che le relazioni del Giappone con le potenze neutrali, compresi gli Stati Uniti, erano cordialissime.

 

IL SINGOLARE INTERVENTO DEI SOCIALISTI


In Italia il messaggio di WILSON al Senato americano, provocava la seguente mozione del Partito Socialista Ufficiale, presentata sul finire del gennaio dagli onorevoli MAZZONI, MERLONI, MODIGLIANI, MUSATTI, PRAMPOLINI, TREVES e TURATI:


"La Camera, constatato che il Messaggio del Presidente Wilson al Senato degli Stati Uniti, in esplicazione della precedente sua Nota - con la quale esortava gli Stati belligeranti, chiariti i fini essenziali da essi rispettivamente propostisi, a discutere preliminari di una pace ragionevole e vantaggiosa per tutti - precisa in modo definitivo i principi fondamentali, in base ai quali le trattative dovrebbero essere condotte, affermando nettamente come debbano essere posti fuori discussione l'eguale diritto di tutti i popoli, piccoli e grandi, a disporre liberamente di se stessi, l'indipendenza di tutte le Nazioni nella spontanea, e più vasta cooperazione ai fini della civiltà, la comune libertà dei mari, la neutralizzazione degli accessi e dei punti di convergenza delle stirpi, e proponendo, come garanzie contro future aggressioni, la riduzione degli armamenti alle semplici necessità della polizia interna ed internazionale, l'organizzazione di una forza superiore che risolva con equità i conflitti internazionali e una Lega degli Stati, che ne faccia rispettare i verdetti;
-- ritenuto che tali principii non potrebbero essere disconosciuti da nessuno Stato costituito sui fondamenti di una sana e moderna democrazia, e che la loro attuazione segnera, con la cessazione della guerra presente, l'allontanamento delle cagioni più imminenti di altre guerre nell'avvenire, il ristabilito impero dell'umanità e della ragione nei rapporti internazionali, l'assicurata prosperità di tutte le Nazioni e la salvezza dell'Europa; considerando che la forte e nobile iniziativa del rappresentante la grande Repubblica americana, mentre riflette realisticamente gl'interessi e il pensiero propri di una borghesia che ha raggiunto il fastigio della propria evoluzione di classe, di fronte alle anacronistiche velleità delle sopravvenienze feudali e militaresrhe che intorbidano tuttora la vita degli antichi regimi, e in opposizione al brigantaggio sopraffatto o che si cela nei vari e contrastanti imperialismi, risponde al tempo stesso agli imperiosi ammonimenti che scaturiscono dalla impotenza, ogni giorno più evidente, della violenza armata, a comunque risolvere le contese che determinarono la guerra;
-- che, di conseguenza, tale iniziativa trasporta i principii così eloquentemente proclamati, dalle sfere dell'idealismo filosofico ed umanitario sul terreno saldo di una realtà storica, cui sarebbe vano e stolto tentare di contendere a lungo l'immancabile trionfo; - fiduciosa, infine, che nessuno degli Stati alleati dell'Intesa vorrà assumere su di sè la tremenda responsabilità di ostacolare il successo della proposta americana, salutata dalle concordi speranze e dai voti dei popoli, che il prolungarsi delle guerra condurrebbe al rinnegamento e alla distruzione della propria civiltà o del proprio benessere;
-- riconosce nell'intervento del Presidente degli Stati Uniti un atto di sapiente interpretazione delle supreme leggi del determinisrno storico, in rapporto alle esigenze impellenti dell'ora che volge, non meno che alle condizioni necessarie di un civile svolgimento della convivenza sociale nella presente fase dell'economia e della storia del inondo;
-- e invita il Governo nazionale ad accogliere per conto proprio le proposte, e ad agire risolutamente sui governi alleati affinché, per quanto da essi dipende, le proposte stesse possano tradursi in breve termine nel dominio della realtà irrevocabile".

Ma, mentre i socialisti ufficiali italiani presentavano la loro mozione per la pace, l'inasprimento della guerra si decideva in Germania, dove il Governo e le autorità supreme dell'Esercito e della Marina furono concordi nello stabilire che si togliesse ogni limitazione all'uso e all'azione dei sommergibili.
Di questa decisione fu fatto consapevole il Governo degli Stati Uniti il 31 gennaio del 1917 con una nota in cui, fra l'altro, era detto:

"Il tentativo di pace dei quattro Alleati, è naufragato di fronte alla brama di conquista degli avversari che vogliono dettare la pace. Sotto l'insegna del principio di nazionalità essi hanno rivelato lo scopo della guerra: di smembrare e di disonorare la Germania, l'Austria-Ungheria, la Turchia e la Bulgaria.
Al desiderio di conciliazione contrappongono la volontà d'annientamento; vogliono la lotta all'estremo. Sorge così una nuova situazione che costringe la Germania a nuove decisioni. Da due anni e mezzo l'Inghilterra abusa della sua potenza navale nel criminoso tentativo di costringere la Germania ad arrendersi per fame. Con dispregio brutale del diritto internazionale, il gruppo di Potenze guidato dall'Inghilterra non soltanto impedisce il legittimo commercio dei suoi avversari, ma, con una pressione senza riguardi, costringe anche gli Stati neutrali a rinunciare a qualsiasi traffico onorevole ad essa non gradito od a limitare il commercio secondo le sue arbitrarie prescrizioni.

"Il popolo americano conosce gli sforzi fatti per indurre l'Inghilterra e i suoi Alleati a ritornare al diritto internazionale e al rispetto della libertà dei mari. Il Governo inglese persiste nella guerra di affamare la Germania, e ciò non colpisce la forza militare del nemico, ma impone alle donne, ai bambini, ai malati e ai vecchi di sopportare, per amor patrio, privazioni pericolose per l'energia del popolo. Così la cupidigia di dominio inglese accumula, a cuore freddo, i dolori del mondo, incurante d'ogni legge d'umanità, incurante delle proteste dei neutrali gravemente danneggiati, incurante persino del muto anelito alla pace dei popoli dei suoi Alleati. Ogni giorno di continuazione della terribile lotta reca nuove devastazioni, nuove miserie e nuove morti. Ma se n'abbreviamo la fine conserverà la vita di migliaia di valorosi combattenti delle due parti e sarà un beneficio per l'umanità tormentata. Il Governo Imperiale non potrebbe assumere la responsabilità dinnanzi al popolo tedesco e dinnanzi alla storia di lasciare intentato qualsiasi mezzo per affrettare la fine della guerra.

"Con il signor Presidente degli Stati Uniti, la Germania aveva sperato di raggiungere questo scopo mediante negoziati. Poiché gli avversari hanno risposto al tentativo d'accordo con un'intimazione di lotta più aspra, il Governo Imperiale, se vuol servire nel vero senso l'umanità, e non commettere una colpa contro il suo popolo, deve ormai continuare la lotta nuovamente impostagli per l'esistenza con il pieno impiego delle sue armi. Esso deve pertanto, lasciar cadere anche la limitazione impostasi sinora nell'impiego dei suoi mezzi di una lotta sul mare. Confidando che il popolo americano e il suo Governo si renderanno conto dei motivi di questa decisione e della sua necessità, il Governo Imperiale spera che gli Stati Uniti giudicheranno la nuova situazione dall'alta torre dell'imparzialità e coopereranno anche da parte loro ad impedire altre miserie ed evitabili sacrifici di vite umane".

Unito alla Nota vi era un "memorandum", il quale diceva che, dal l° febbraio, nelle zone sbarrate intorno alla Gran Bretagna, alla Francia, all'Italia, e nel Mediterraneo orientale ogni traffico marittimo sarebbe stato combattuto con tutte le armi. Delimitate le zone sbarrate, il memoriale ricordava che i piroscafi delle Potenze neutrali entrandovi lo farebbero a loro rischio.
Quei vapori che si trovavano in viaggio per i porti sbarrati dovevano essere avvertiti subito; quelli che si trovavano nella zona sbarrata dovevano uscirne prima del 5 febbraio.
Il traffico dei piroscafi americani regolari con passeggeri poteva continuare purché avesse Falmouth come punto di destinazione e nell'andare e venire toccassero Scilly e un punto a 50 gradi di latitudine nord e 20 di longitudine ovest dove non si porranno mine. I piroscafi dovevano essere dipinti a strisce e battere la loro bandiera. Ogni settimana un naviglio potrebbe recarsi a Falmouth e uno partirne. Il Governo americano doveva garantire che i navigli non avrebbero operato nel contrabbando. Note conformi furono trasmesse contemporaneamente agli altri Governi neutrali.

La decisione tedesca d'intensificare la guerra con i sommergibili non poteva lasciare indifferenti gli Stati Uniti. Il 3 febbraio, in un messaggio al Congresso, il presidente WILSON annunciò che aveva rotto le relazioni diplomatiche con la Germania, richiamato l'ambasciatore americano da Berlino e licenziato quello tedesco a Washington.
Wilson aggiungeva che
"…se navi e vite americane dovessero subire offesa dai sottomarini tedeschi, in contravvenzione sconsiderata degli accordi giusti e ragionevoli del diritto delle genti e degli evidenti comandamenti dell'umanità", lui sarebbe tornato dinnanzi al Congresso per chiedere che gli fosse data l'autorità per impiegare tutti i mezzi necessari a proteggere i marinai e i cittadini americani "durante i loro viaggi legittimi e pacifici in alto mare".

Inoltre il presidente dava per certo che i Governi neutrali avrebbero seguito l'esempio degli Stati Uniti; ma su questo s'ingannò. Salvo alcune repubbliche americane, gli altri neutrali si limitarono a protestare. Protestò la Spagna; protestò l'Olanda pur "rimanendo assolutamente fedele alla politica della stretta imparzialità" e non desistendo dalla decisione di "fare, resistenza armata chiunque violasse il suo territorio e la sua sovranità"; la Svizzera, data la sua particolare situazione geografica, non poté che protestare soltanto; protestarono la Norvegia, la Danimarca e la Svezia, formulando "tutte le riserve per le perdite di vite umane e i danni che potrebbero subire";
infine la Grecia formulò di fronte alla Germania riserve per i pericoli che potevano correre la bandiera propria in seguito alla minaccia dei sottomarini, ma date le condizioni particolari in cui, nonostante la sua neutralità, si trovava, non fu in grado di inserirsi e di agire con maggiore energia.

Il 26 febbraio il presidente Wilson, presentandosi al Congresso, chiese, dopo di avere esposta la situazione formatasi in seguito all'inasprimento della guerra dei sottomarini, i mezzi per attuare la "neutralità ma armata":
"Se noi vogliamo - egli disse - difendere i nostri diritti fondamentali come Nazione neutrale di fatto, e non soltanto a parole, sarebbe estremamente imprudente non essere pronti .... Noi dobbiamo difendere il nostro commercio e l'esistenza dei nostri cittadini nelle difficili circostanze attuali con discrezione, ma con decisione ferma e chiara .... Io non vi propongo la guerra e non ho in vista neppure alcuna misura che possa condurvi. Vi domando soltanto che mi accordate col vostro voto i mezzi e l'autorità necessari per tutelare i diritti del grande popolo che usufruisce della pace e desidera di conservare la pace e il pacifico esercizio dei diritti riconosciuti da tempi immemorabili da tutte le Nazioni civili".

Il 21 marzo, il presidente WILSON notificò ufficialmente a tutte le ambasciate e legazioni a Washington che le navi mercantili americane, per misura di sicurezza, sarebbero uscite armate e con scorta d'equipaggi da guerra. Il 2 aprile, dinnanzi al 65° Congresso convocato in seduta straordinaria, in uno storico messaggio Wilson disse, fra l'altro:
"Obbedendo senza esitazione a ciò che considero come mio dovere costituzionale, consiglio il Congresso a dichiarare che la recente azione del Governo Imperiale tedesco implica lo stato di guerra con il popolo degli Stati Uniti, ad accettare formalmente la condizione di belligerante che ci è imposta e a prendere misure immediate non soltanto per porre il Paese in stato di difesa completo, ma anche per impiegare le sue risorse così da costringere la Germania ad accettare le nostre condizioni per porre fine alla guerra. Lo stato di guerra implicherebbe una stretta collaborazione con gli altri Governi in guerra contro la Germania fornendo loro liberamente crediti finanziari, come pure la mobilitazione di tutte le risorse materiali del Paese per fornire materiale da guerra e servire gli altri bisogni delle Nazioni nel modo più abbondante, ma più economico ed efficace possibile. Implicherebbe pure l'equipaggiamento immediato completo della marina, specialmente con mezzi atti a combattere i sottomarini nemici, ed altresì l'aggiunta immediata alle forze dell'esercito di almeno 500.000 uomini che dovrebbero essere scelti, a mio avviso, sulla base del servizio militare universale, con l'autorizzazione dell'aumento di una forza eguale, se occorresse".

Il Senato americano il 4 aprile e la Camera dei rappresentanti il 5 votarono a grande maggioranza la mozione dichiarante l'esistenza dello stato di guerra tra gli Stati Uniti e la Germania. Il 6 aprile l'Austria-Ungheria ordinò al proprio ambasciatore a Washington di chiedere i passaporti; il 7 il presidente Wilson emanò il proclama con cui dichiarava l'esistenza dello stato di guerra.

Quel giorno stesso l'Italia contava un alleato di più, i cui soldati gli dovevano più tardi, essere accanto nella lotta contro il suo nemico secolare.

Ma negli stessi giorni che l'Italia e l'Intesa guadagnavano un alleato, ne perdevano un altro.


L' Intesa perde l'alleato Russia. E' in atto la Rivoluzione...

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