LA PRIMA GUERRA MONDIALE
DAI BOLLETTINI UFFICIALI

1917

L'INTESA GUADAGNA L'ALLEATO USA, MA PERDE L'ALLEATO RUSSIA
LA RIVOLUZIONE RUSSA - LE OFFERTE DI PACE SEPARATA DELL'AUSTRIA
IL CONVEGNO DI SAN GIOVANNI DI MORIANA - INCONTRI SENZA L'ITALIA
DECISO RIFIUTO DELL'ITALIA

CADORNA FA I PREPARATIVI PER LA NUOVA OFFENSIVA SULL'ISONZO
( la 10ma )
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LA RIVOLUZIONE RUSSA
Dopo gli interventi di WILSON al Congresso americano e la sua decisione di entrare in guerra contro la Germania, l'Intesa nel conflitto guadagnava con l'intervento degli Stati Uniti in Europa un alleato, ma negli stessi giorni ne perdeva un altro: la Russia.

La Russia quasi sull'orlo della disfatta, era stanca del conflitto, era da qualche tempo matura per la rivoluzione sociale, e fu, alla prima scintilla, il primo dei regimi dell'Europa centrale e orientale a crollare sotto il peso e le tensioni della guerra.
L'esplosione era attesa, sebbene nessuno potesse prevedere il tempo e l'occasione della detonazione. Nemmeno Lenin ci sperava. Poche settimane prima dell'8 marzo 1917, nel suo esilio in Svizzera si era ancora chiesto se sarebbe mai vissuto abbastanza per vedere scoppiare la rivoluzione.
L '8-12 marzo invece (il 23-27 febbraio secondo il calendario russo) improvvisamente accadde di tutto, nel modo e con delle circostanze del tutto impreviste e in una forma quasi spontanea.
L'8 marzo a Pietrogrado (Pietroburgo fino al 1914) era il giorno della tradizionale ricorrenza nella quale il movimento socialista celebrava la Festa della Donna, e appunto questa giornata iniziò il mattino con una dimostrazione di donne operaie che reclamavano condizioni più umane nel lavoro e soprattutto chiedevano pane. La dimostrazione di quel giorno, coincise con un periodo di serrata attuata dalle fabbriche metallurgiche Putilov, per contrastare quella forza militante socialista che da qualche tempo organizzava scioperi, anche questi, per le insopportabili condizioni di vita nelle fabbriche, per i bassi salari, per i massacranti orari di lavoro.

Il fiume era ancora ghiacciato, e proprio attraverso questo passaggio, ci fu una marea di manifestanti che dai sobborghi industriali, iniziò a riversarsi in città e a convergere al centro della capitale. Dalla dimostrazione sempre più numerosa e minacciosa, si passò al saccheggio dei forni del pane e alle prime colluttazioni con la polizia; in poche ore lo sciopero si mutava in vera e propria insurrezione, resa -e questa fu una vera sorpresa- più grave dalla partecipazione di parte delle guarnigioni della capitale. Tutta la fragilità del regime venne alla luce quando alcuni reparti dello zar, compresi i fedelissimi cosacchi, agli ordini perentori dei loro superiori di condurre la repressione, prima esitarono, poi si rifiutarono di sparare sulla folla, ed infine iniziarono a fraternizzare con i dimostranti.

Il giorno dopo, il 9 marzo, anche la Duma (assemblea rappresentativa, creata dopo la rivoluzione del 1905 - questa era composta da 525 membri di varie classi) si schierava con gli insorti; il 10 il resto della guarnigione zarista si univa ai ribelli; l'11 lo Zar sospendeva la Duma, ma questa aveva già costituito un Governo provvisorio liberale (Comitato esecutivo) presieduto da RODZIANKO, che eleggeva il 12 marzo un ministero con a capo il principe LVOV.

Furono 4 giorni di rivolta spontanea, senza una guida politica, che posero fine a un impero!

Dalla capitale ben presto la rivoluzione si estese alle province cominciando dai grandi centri di Mosca e di Karkof. Il 15 marzo aderì alla rivoluzione il granduca MICHELE, comandante nel Caucaso, e lo Zar NICOLA II, che si trovava a Pekoff, messo alle strette, abdicò per sé e per il figlio in favore del granduca suo fratello, il quale però, il 16, annunziò che, prima di accettar la corona, avrebbe aspettato che si pronunziasse la Costituente.
Ma la rivoluzione (con molti militari che si erano alleati con i lavoratori in rivolta) aveva preso il suo caotico corso, anarchico senza esserlo perchè era inizialmente una "rivoluzione borghese"; distrutto la potenza militare russa, la cui dissoluzione si effettuava con la stessa rapidità con la quale progrediva la rivoluzione; la quale rimosse dagli uffici i granduchi, internò a Zarskojé-Selo, lo Zar, la Zarina e i figli e lasciò che l'autorità militare fosse trasferita al "soviet di Pietrogrado".
Ma il nuovo governo che non era già più del partito del liberalismo borghese (avevano meno del 2,5 % dei deputati nell'Assemblea) si trovò subito in conflitto con il "Soviet" degli operai e soldati, costituitosi il lo stesso giorno del 12 marzo per iniziativa dei partiti socialisti, che per prima cosa reclamavano l'immediata conclusione di una pace "senza indennità né annessioni" e promuovevano la costituzione di organi di democrazia diretta in tutti i reparti dell'esercito e nei luoghi di lavoro.
Il 21 marzo, il governo provvisorio, riconosceva l'indipendenza della Finlandia, pur nell'ambito di una progettata federazione russa; il 12 aprile, la concedeva all'Estonia.
Il nuovo Governo, fu presentato ai popoli dell'Intesa come un Governo nazionalista (governo liberal-democratico) fautore della guerra ad oltranza, e fu subito riconosciuto dall'Italia, dalla Francia e dall'Inghilterra, le quali accettarono le dichiarazioni (1° maggio) del ministro degli Esteri PAVEL NICOLAEVIC MILIUKOFF; s'impegnò, affermando che "...la Russia avrebbe continuato energicamente la guerra a fianco degli Alleati dell'Intesa".
MILIUKOFF parlava in nome della Russia, ma tutta la Russia non era quella da lui rappresentata. Di "soviet" (consigli) ne erano nati ovunque, spesso composti da gente comune, senza esperienza politica, figuriamoci poi se in grado di prendere il potere e capace poi di gestirlo; la Russia non era mica un Comune, era il più grande Paese del mondo; occorrevano menti capaci.
Ma anche quelli che l'avevano questa esperienza (partiti o organizzazioni rivoluzionarie - bolscevichi, mensevichi socialdemocratici, socialisti rivoluzionari, ecc.) usciti dalla clandestinità, ognuno cercò di o di insediarsi nelle assemblee per coordinarle e convertirle al proprio indirizzo, oppure di spazzarle via e istituirne delle proprie.

Il 16 aprile era tornato dall'esilio
LENIN ed altri dirigenti. Il partito bolscevico varò un suo programma che prevedeva: l'assunzione di tutti i poteri da parte dei consigli degli operai e soldati (Soviet); l'immediata cessazione della guerra; la distribuzione delle terre ai contadini; il controllo operaio sull'industria.
Questa potenziale pretesa egemonia dei bolscevichi sul Soviet (meglio dire councils) di Pietrogrado fu però contesa da quelle forze (mensceviche socialdemocratiche) favorevoli ad un compromesso con il governo provvisorio. Insomma, una sinistra in lotta al proprio interno che aveva due orientamenti.

Il 16 maggio il governo provvisorio vacillante nel caos anarchico che si è ormai creato, subisce un rimpasto, ed il socialrivoluzionario KERENKSIJ, nominato ministro della guerra, tenta di riorganizzare l'esercito. Già in giugno quest'esercito tenta di lanciare una nuova offensiva, ma è battuto; sferrato un attacco nella Galizia orientale, gli Austro-Tedeschi costringeranno ad evacuare la regione; in seguito conquisteranno poi Riga, la Lettonia e le isole del mar Baltico.
A questo punto fra le truppe si diffondono l'organizzazione e la propaganda dei bolscevichi; slogan come "Pane, pace e libertà" fanno crescere in pochi mesi il consenso.
Dal 16 al 18 luglio, si susseguono a Pietrogrado dimostrazioni di sfiducia verso il governo provvisorio; masse di operai e soldati manifestano chiedendo il trasferimento del potere al Soviet bolscevico. Il 20 dello stesso mese, LVOV si dimette e KERENSKIJ è nominato capo del governo; si scatena una campagna repressiva contro i bolscevichi; LENIN è costretto a fuggire in Finlandia; mentre il reazionario, generale KORNILOV, si mette al comando di un improvvisato esercito.

Questo generale rivolge (9 settembre) un ultimatum al governo provvisorio russo (che ha un'autorità ristretta alla sola Russia europea) accusato di scarsa energia e chiede di assumere lui direttamente i pieni poteri. KERENSKIJ reagisce facendo appello alla mobilitazione popolare; l'audace impresa di KORNILOV fallisce per la defezione di gran parte delle sue improvvisate truppe; però così agendo il governo provvisorio si è screditato permettendo un massiccio ritorno dei bolscevichi che estendono la loro influenza fra le masse conquistando così un consenso di maggioranza. Poi i bolscevichi passano all'azione: sono costituiti reparti della Guardia Rossa; dopo brevi combattimenti occupano i principali edifici pubblici di Pietrogrado e pongono in fuga il governo provvisorio; l'8 novembre viene sancito la costituzione di un "Consiglio dei Commissari del Popolo" (primo governo rivoluzionario) che aprirà negoziati con la Germania, adottando il principio della pace senza annessioni né indennità. Ratificata poi il 9 dicembre 1917, passerà alla storia come la "Pace di Brest-Litovsk".

L'OFFERTA DI PACE SEPARATA DELL'AUSTRIA
Sopra abbiamo anticipato gli eventi russi, brevemente fino alla sua conclusione, ma noi dobbiamo ritornare all'inizio di questi eventi; cioè nello stesso marzo e aprile, quando questo era il tempo in cui le Potenze dell'Intesa (Russia compresa, con Miljukov già al governo provvisorio) proclamavano di essere "strettamente unite" e di voler continuare la guerra fino alla completa vittoria delle loro armi.

"Strettamente unite?". No, in ognuna di loro, forze nascoste nell'ombra lavoravano per la conclusione di pace separate.
Chi (a parte la caotica Russia vista sopra) cercava di giungere presto alla pace, era l'Imperatore d'Austria CARLO I, il quale agiva in Francia per mezzo di suo cognato SISTO di Borbone. Questi, ai primi del marzo 1917, consegnò al presidente POINCARÉ una nota del conte CZERNIN, ministro degli Esteri Austro-ungarici, la quale proponeva un accordo sulle basi seguenti: pacificazione dell'Austria con la Francia e l'Inghilterra separandosi dalla Germania e aiutando diplomaticamente la restituzione dell'Alsazia-Lorena e la reintegrazione del Belgio; pacificazione con la Serbia costituendo un grande regno jugoslavo sotto l'alta sovranità imperiale; pacificazione con la "nuova" Russia disinteressandosi della questione di Costantinopoli.
Il POINCARÉ obbiettò che Francia e Inghilterra non avrebbero mai permesso di sacrificare la dinastia serba; infine si meravigliò che nella nota non si facesse parola delle rivendicazioni italiane. Tuttavia i francesi si mostreranno interessati alla proposta austriaca, sebbene tale profferta era in contrasto con gli impegni presi dalla Francia verso l'Italia con il famoso patto di Londra del 1915. I Francesi si limiteranno ad informare gli alleati inglesi; e come avevano fatto gli austriaci, entrambe le due potenze non dissero nulla all'alleata Italia.

La notte dal 23 al 24 marzo il principe SISTO ebbe un segreto colloquio con l'imperatore, e l'imperatore lo ebbe a Laxemburg. CARLO I assicurò che, accordatosi completamente con la Francia, con l'Inghilterra e con la Russia, chiederebbe alla Germania di stipulare una pace conveniente. Ove la Germania si rifiutasse, egli si riterrebbe sciolto dall'alleanza e libero di trattare per proprio conto.
Sulle questioni polacca, turca, belga, balcanica, italiana, l'imperatore mostrò spirito conciliante: promise amicizia alla Serbia e uno sbocco sull'Adriatico purché sopprimesse le società rivoluzionarie segrete; stimò giusto mantenere belga il Congo; riconobbe giuste le rivendicazioni francesi sull'Alsazia-Lorena; si disse propenso a far cessioni territoriali all'Italia, ma dichiarò "che non avrebbe trattato direttamente con questa potenza" ma che avrebbe incaricato la Francia, l'Inghilterra o la Russia di risolvere la questione. Tutto quello che fu discusso nel colloquio fu consacrato in una lettera autografa dell'imperatore, che il 31 marzo il principe Sisto consegnò a Poincaré.

Subito dopo il colloquio di Laxemburg, il cancelliere tedesco e il conte CZERNIN a Vienna convennero che nelle eventuali trattative di pace agirebbero di comune accordo. Il 3 aprile gli Imperiali austriaci con Czernin e il generale VON ARZ, capo dello Stato Maggiore austro-Ungarico in luogo di CONRAD, si recarono ad Homburg, dove trovarono gli Imperiali germanici con BETHMAN-HOLWEG, HINDENBURG e LUDENDORFF.
Ad Homburg il conte Czernin consigliò ai tedeschi la restituzione dell'Alsazia-Lorena offrendo di abbandonare alla Germania la Polonia, ingrandita della Galizia austriaca. Furono inoltre accennate a trattative di pace separate con la Russia.
L'abboccamento di Vienna e il convegno di Homburg turbarono POINCARÉ e, non meno di lui, RIBOT, nuovo presidente del Consiglio francese ministro degli Esteri, il quale era d'avviso che delle offerte austriache di pace bisognava parlarne prima a LOYD GEORGE ancora ignaro di questi incontri segreti e profferte.

Ma l'inglese non era il solo. Dei maneggi del principe Sisto di Borbone (ripetiamo cognato dell'imperatore d'Austria) non sapeva nulla l'Italia, né i politici, né Cadorna, che proprio negli stessi giorni, per le allarmanti notizie giunte fin da febbraio, temeva un'imminente offensiva austro-tedesca in grande stile, e pur preparandosi, il Quartier Generale italiano all'inizio della primavera, stava vivendo giornate di grande ansia.

La Francia, desiderosa che quest'offensiva non avvenisse - la quale avrebbe potuto mandare a monte le pratiche iniziate per mezzo di SISTO di Borbone -, pregò segretamente CARLO I di concludere in fretta un armistizio con l'Italia ed esortò questa (ignara di ogni cosa) a chiederlo. L'esortazione francese, ingenuamente dall'Italia fu raccolta, ma si volle prima esser sicuri che l'armistizio avrebbe dato luogo a buone trattative di pace. A questo scopo, con grande segretezza fu mandato da Roma a Berna il colonnello MONTECCHIO-PARENZO, addetto alla Legazione italiana in Svizzera.

Questi il 12 aprile si recò alla Legazione tedesca, quindi insieme col ministro germanico, alla Legazione austriaca. Il colonnello espose ad emtrambe che anche il Re d'Italia, desideroso che la guerra avesse termine, proponeva di riprendere al punto in cui erano state rotte le trattative del maggio 1915 (Inizio della guerra dell'Italia). Se la proposta fosse stata accolta si sarebbe stipulato un armistizio. II ministro d'Austria rispose che ne avrebbe riferito al proprio Governo. La cosa poi non ebbe più seguito. Non sappiamo perché, ma probabilmente qualcuno in anticipo scoprì le ambiguità e i doppi giochi di alcuni personaggi.

IL CONVEGNO DI SAN GIOVANNI DI MORIANA
Il giorno 11 aprile, prima che il colonnello Montecchio-Parenzo giungesse a Berna, RIBOT, incontratosi a Folkestone con LLOYD GEORGE lo informò delle offerte dell'imperatore austriaco; stabilì con lui di continuare i negoziati, ma di parlarne prima al ministro Sonnino. Saputo ciò, il principe SISTO supplicò che non si rivelasse la cosa al ministro italiano. Allora si stabilì che Ribot e Lloyd George avrebbero incontrato Sonnino a San Giovanni di Floriana e che al collega italiano la proposta di Carlo I la si sarebbe presentata come proveniente dal conte MENSDORFF.
Il convegno avvenne il 18-19 aprile. RIBOT informò gli onorevoli BOSELLI e SONNINO di avere ricevuto dal conte di MENSDORF, insieme a LOYD GEORGE, assicurazioni che l'Austria avrebbe volentieri fatto una pace separata, e chiese loro se e a quali condizioni l'Italia avrebbe partecipato alle trattative. Il Sonnino rispose che per l'Italia le eventuali trattative avrebbero avuto come base il patto di Londra dell'aprile 1915 che poteva essere in parte anche modificato solo se le offerte austriache erano serie e non davano luogo a lunghi negoziati.

Nel convegno di Moriana si discusse anche della divisione fra Italia, Inghilterra e Francia delle zone d'influenza sul territorio turco. Ma questo era stato argomento di un accordo segreto già stipulato nel maggio 1916 tra l'Inghilterra e la Francia, suscitando malumori in Italia quando li apprese questi "patti segreti" e "divisioni", solo nell'ottobre del 1916.

Tuttavia a S. Giovanni di Moriana i due alleati dissiparono tanti malumori e l'Italia conobbe nei particolari quell'accordo e vi aderì. All'Italia gli si concedeva la zona di Adalia e la città di Smirne.
Anche della questione greca si occupò il convegno: RIBOT propose una repubblica ellenica con VENIZELOS presidente; e LOYD GEORGE la destituzione del re Costantino manifestamente filogermanico; si stabilì così di dare l'ostracismo al re e di dare alla Grecia un altro sovrano, della medesima casa, il quale però avrebbe chiamato al governo VENIZELOS, schierato per l'intesa. Il 12 giugno con un nuovo "ultimatum" gli alleati costringeranno re COSTANTINO ad abdicare; gli succederà -come re fantoccio- il figlio ALESSANDRO, con (era scontato) Venizelos primo ministro di un governo che il 27 dello stesso mese dichiarò guerra agli imperi Centrali. In Grecia, negli ultimi mesi della guerra saranno poi concentrati circa 500.000 soldati dell'Intesa più quelli Usa, che erano pronti a risalire i Balcani, in caso della fallita offensiva sul Piave dell'ottobre-novembre 1918.

Appena l'Imperatore CARLO e il conte CZERNIN seppero che BOSELLI e SONNINO, a San Giovanni di Moriana, avevano chiesto l'applicazione del patto di Londra nelle trattative, informarono il Governo francese che il Re d'Italia si era profferto di far pace con l'Austria accontentandosi del Tirolo italiano, di Aquileia e di alcune isole adriatiche. L'Austria avrebbe accettato queste condizioni, ma avrebbe ceduto i suddetti territori dietro compenso, costituito dalla cessione da parte dell'Italia della Somalia o dell'Eritrea. Il Governo francese chiese chiarimenti a Roma. Non ottenendo nessun riscontro, non insistette sulla continuazione delle trattative (anche se ci furono altri due incontri a Luglio a Parigi e a fine agosto a Londra dove Sonnino confermerà un atteggiamento di fermezza sul rispetto del patto di Londra 1915). Così sfumò la possibilità della conclusione di una pace separata e fu intensificata l'azione della Germania e dell'Austria diretta (in quel preciso momento) a sfruttare la rivoluzione russa per alleggerire il fronte a est.

Infatti, mentre - quasi negli stessi giorni - si svolgevano queste trattative, lo scenario della guerra a est stava profondamente cambiando; i nuovi governi russi intenzionati a fare una pace con l'impero centrale, se raggiungevano il loro scopo, avrebbero disimpegnato sul fronte gli austro-ungarici, e questi che già avevano previsto una grande offensiva sul fronte italiano in primavera, avrebbero aggiunto e riversato sull'Italia le loro armate.

Fin da febbraio, allarmato da vari segnali, prevedendo quest'offensiva, il Comandante Supremo CADORNA aveva iniziato preparativi e vi si era impegnato contando sulle assicurazioni fatte dall'Intesa (conferenza militare interalleata) a novembre 1916 a Chantilly; cioè di un intervento massiccio dell'Intesa sull'Isonzo per fronteggiare non solo l'eventuale offensiva, ma anche per fare preparativi di carattere offensivo.

L'offensiva dell'Intesa fu sferrata il 16 aprile 1917, sul fronte occidentale (conclusasi poi male a Ypres e Verdun) ma non in Italia. Mentre in Italia Cadorna sferrò il 12-28 maggio, l'ennesima offensiva sull'Isonzo, la 10ma - e come le precedenti con risultati molto modesti.
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L'OFFENSIVA IT. DELLA PRIMAVERA - ISONZO 10a BATTAGLIA
I PREPARATIVI ITALIANI SUL FRONTE GIULIA - L' INIZIO DELL'OFFENSIVA - ALLA TESTA DI PONTE DI BODREZ - LA CONQUISTA DEL MONTE KUK E DEL VODICE - L'AZIONE DIVERSIVA DEL NEMICO SUL TRENTINO - GLI ATTACCHI AUSTRIACI AL PASUBIO E AL COLBRICON - L'AZIONE OFFENSIVA DELLA III ARMATA SUL CARSO: LA CONQUISTA DI BOSCOMALO; LO SFONDAMENTO DELLA LINEA DI FLONDAR; CONTRATTACCHI E DIVERSIONI DEL NEMICO

Il micidiale altipiano della Bainsizza
Le macchie nere sul crinale sono le caverne degli Austriaci (e sono tutte bocche di fuoco!!)
I PREPARATIVI ITALIANI - L'INIZIO DELL'OFFENSIVA
Fin dal principio dell'inverno, in previsione di una grande offensiva austriaca sul fronte, il Comando Supremo italiano aveva iniziato preparativi, che man mano si erano venuti intensificando, per fronteggiare il temuto attacco avversario.
Una nuova V Armata si andava costituendo intorno a Varese sotto il comando del Generale MONTUORI, e una VI Armata, con il generale MAMBRETTI, era allestita intorno a Bassano.
Nel febbraio furono avvicinati alla fronte Giulia i due nuclei di artiglieria di riserva della I e della VI Armata; il 4 marzo fu costituito il Comando della zona Goriziana affidato al generale CAPELLO che ebbe sotto di sé il VI il XXVI e l'VIII Corpo d'Armata; il Gruppo Carnico, silurato il generale LEQUIO accusato di avere sgombrato troppo frettolosamente gli Altipiani, da corpo autonomo passò alle dipendenze della II Armata, dal cui comando era stato tolto FRUGONI; quest'armata però più tardi perdette il II Corpo, passato alla zona di Gorizia, e rimase soltanto con il IV e con il XII Corpo.

Sul fronte Giulia fu stabilito che la linea di resistenza ad oltranza dovesse essere quella costituita dal Sabotino, dalla piazza di Gorizia, dalla testa di ponte di Lucinico, dal successivo corso dell'Isonzo, dalla testa di ponte di Savogna e dalla linea del Vallone integrata dalla linea "ippodecarsica" e dai capisaldi del Nad Logem, della quota 208 e della quota 144.
Il 5 aprile il Comando Supremo si costituì una riserva generale di 10 divisioni (XIV, XXIV e XXVI Corpo d'Armata, 12°, 54a, 57°, 60a divisione) oltre ai due nuclei di artiglieria di riserva della I e della VI Armata. Altre misure difensive prese il generale CADORNA per il fronte tridentino.

Mentre il Comando Supremo badava a fronteggiare un'eventuale offensiva, non trascurava di fare tutti quei preparativi di carattere offensivo richiesti dalle deliberazioni prese a Chantilly, nel novembre del 1916, di una generale offensiva degli eserciti dell'Intesa. Questa da parte degli Alleati fu sferrata il 16 aprile del 1917, da parte italiana il 12 maggio.
L'azione offensiva sul fronte Giulia fu preceduta da un'intensa preparazione di artiglieria e di bombarde.
Queste le azioni che riportava il comunicato dell'Agenzia Stefani del 15 maggio:
"Il fuoco fu aperto la mattina del 12 dalla zona di Plava al Frigido; la foschia mattutina ostacolava l'osservazione e la cadenza del tiro fu piuttosto lenta nelle primissime ore; s'accelerò poi con il migliorare delle condizioni di visibilità, mentre il bombardamento si propagava sul Carso, estendendosi successivamente al settore di Tolmino. A mezzogiorno, su tutta la linea da Tolmino al mare, centinaia e centinaia di batterie di ogni calibro tuonavano insieme. Tre compiti essenziali si proponeva questa preparazione: distruggere i reticolati e le altre difese accessorie del nemico e sconvolgere le trincee; paralizzare il funzionamento dei comandi e dei servizi e ogni movimento di truppe nelle linee nemiche mediante tiri d'interdizione sugli osservatori, sui centri di vita, sulle retrovie; ridurre al silenzio le artiglierie nemiche con tiri di smonto e di controbatteria.
Alla sera del 12, i risultati ottenuti potevano già dirsi nel complesso soddisfacenti; numerosi varchi erano stati aperti nei reticolati nemici e numerosi tratti di trincee erano sconvolti e in parte completamente distrutti. Incendi ed esplosioni erano stati segnalati nei depositi di munizioni e nei centri delle retrovie come a Bate, sull'altipiano di Bainsizza, sul rovescio di Santa Caterina a nord-est di Gorizia, in vari punti del Carso e sul rovescio dell'Hermada. Durante la notte, fu mantenuto un fuoco d'interdizione sulle località e le posizioni già battute contro le quali con maggiore intensità fu ripresa e continuata l'azione di artiglieria nella giornata del 13.
La reazione del nemico era stata assai fiacca nella prima fase del bombardamento: pareva che ne fosse rimasto sorpreso o sopraffatto. Assai più energica fu nella giornata del 13, quando le batterie austriache iniziarono intensi concentramenti di fuoco sulle linee e sulle retrovie italiane sopratutto nei momenti quando l'allungamento improvviso del tiro faceva temere al nemico che il nostro esercito avrebbe lanciato all'assalto la fanteria.
La notte sul 14 il tiro d'interdizione fu rinnovato contro le trincee e i centri di vita del nemico. La mattina del 14 l'azione dell'artiglieria assunse carattere di grande violenza. Il ritmo dei colpi si accelerò in un tambureggiamento terribile che fece sparire dietro una cortina di vampe e di fumo le linee austriache. Evidentemente il nemico si preoccupava di un attacco generale concentrando tutte le sue forze d'artiglieria in un grande fuoco di sbarramento che rovesciò migliaia di proiettili sulle nostre trincee e sui nostri camminamenti, e si allungò a colpire le nostre strade tentando di arrestarvi ogni movimento di uomini, ogni afflusso di materiale. Grosse granate a gas asfissianti scoppiarono a Gorizia. Nonostante tale tempesta di fuoco, nei tratti designati, le nostre fanterie a mezzogiorno del 14 balzarono fuori dalle trincee puntando risolutamente con l'assalto sugli obiettivi loro assegnati".
I primi risultati ottenuti da questo assalto furono notevoli.
Riferiamo i "bollettini del Comando Supremo del 16 e del 17 maggio", che costituiscono due interessanti documenti dell'offensiva scatenata a maggio.
Quello del 16 riportava:
"Sul fronte Giulia la vigorosa azione offensiva iniziata dalle nostre truppe nella giornata del 14 proseguì ieri con risolutezza. Grazie a sforzi incessanti le nostre fanterie, con il continuo valido appoggio delle artiglierie, riuscirono ad affermarsi sulla linea delle aspre e boscose alture che si ergono lungo la sponda orientale dell'Isonzo, a monte di Gorizia, trasformata dal nemico in un munitissimo bastione difensivo. All'ala sinistra una nostra colonna, forzato il passaggio del fiume tra Loga e Bodrez, s'impadroniva di quest'ultimo villaggio e vi si fortificava. Al centro fu conquistata l'altura di quota 383, a nord-est di Plava, mentre le fanterie delle brigate "Firenze" (127° e 128° reggimento) ed "Avellino" (122° e 232° reggimento), espugnati i villaggi di Zagora e Zagomila, nido di mitragliatrici, raggiungevano di slancio la cresta di monte Cucco (quota 611) e del Vodice (quota 524). All'ala destra altre nostre colonne compivano sensibili progressi sulle ripide pendici di Monte Santo. Violenti contrattacchi nemici, preparati e sostenuti da bombardamenti di eccezionale intensità, s'infransero tutti contro la salda resistenza delle nostre truppe. Nella zona ad oriente, la brigata "Messina" (93° e 94° reggimento) conquistava l'altura di quota 174 a nord di Tivoli, poderosamente rafforzata ed accanitamente difesa dal nemico, ributtandone poi gli insistenti contrattacchi. La città di Gorizia fu ieri sera soggetta ad intenso bombardamento che produsse gravi danni agli edifici. Sul rimanente fronte fino al mare azioni vivaci delle artiglierie. Le retrovie nemiche furono anche ieri fatte segno di incursioni di nostre squadriglie di velivoli e, nella notte, di una nostra aeronave. Nonostante gli attacchi di numerosi aerei e il fuoco delle artiglierie avversarie, non avemmo alcun danno. Abbiamo finora accertato 3375 prigionieri, dei quali 98 ufficiali, e prese al nemico una batteria di cannoni da montagna, una trentina di mitragliatrici e ricco bottino di armi e munizioni e materiali da guerra".
Il bollettino del 17 riportava:
"Sul fronte Giulia l'attesa reazione nemica ai felici successi delle nostre armi si manifestò ieri violenta, ma fallì per la tenace resistenza delle nostre truppe. Nelle vicinanze di Bodrez e sull'altura di Plava (quota 383) piccoli attacchi nemici furono facilmente respinti. Aspra e lunga fu la lotta nella zona fra monte Cucco e Vodice, dove forti forze nemiche, sostenute dal fuoco di numerose batterie, si lanciarono più volte contro le nostre nuove posizioni. Furono costantemente ributtate. L'intero baluardo roccioso di Monte Cucco, fra quota 611 e quota 534, rimase in nostro saldo possesso. Compimmo inoltre sensibili progressi verso l'importante e munita altura di quota 652 del Vodice. Nella zona ad est di Gorizia, contrattacchi nemici, specialmente insistenti sull'altura di quota 174 e ad oriente del torrente Vertoibizza, s'infransero tutti sotto il nostro fuoco. Indi le nostre fanterie passarono alla controffensiva e dopo mischia accanita si impadronirono di una forte altura a sud di Grazigna. Sul Carso l'avversario, nell'evidente scopo di alleggerire la nostra pressione nella zona di Gorizia tentò un poderoso sforzo contro le nostre posizioni di Monte Vucognacco e di Monte Faiti nel settore settentrionale dell'altopiano. Le successive ondate delle sue fanterie, falciate dai nostri tiri precisi, ripiegarono in disordine, dopo aver subito gravissime perdite. Lungo tutto il fronte da Tolmino al mare incessanti azioni d'artiglierie di ogni calibro. Quella nemica persegue con accanimento alla devastazione di Gorizia. Alcune granate colpirono un nostro ospedaletto a Cervignano facendo 6 vittime fra i ricoverati. Il numero dei prigionieri presi al nemico nelle giornate dal 14 al 16 è stato finora accertato in 4021, dei quali 124 ufficiali. Ci impadronimmo di altri 5 cannoni di piccolo calibro. Nella passata notte un nostro dirigibile ha compiuto un'incursione nella Valle del Frigido. Col favore delle nuvole gli arditi aeronauti discesero a bassa quota bombardando e mitragliando accampamenti nemici. Ritornarono alla base incolumi".
Poco mancò che nelle due prime giornate di battaglia gli italiani si impadronissero del Monte Santo. Anzi un battaglione del 230° Fanteria raggiunse con un incauto balzo la cima del monte catturando gran parte del presidio nemico; ma attardatisi e distratto dalle rovine del convento, furono circondati, contrattaccati, e fatti prigionieri. Gli altri battaglioni di rincalzo, procedendo lentamente lungo le pendici del monte, non giunsero a tempo per sostenere il primo battaglione, né poi per liberarlo.

Nella giornata del 17
"...le nostre truppe attesero a rinforzare le importanti posizioni conquistate ad oriente dell'Isonzo e a mettere in sesto le comunicazioni. L'alacre opera fu disturbata da nuove e violente reazioni dell'avversario, fallite tutte contro l'incrollabile resistenza dell'armata di Gorizia. Già nella notte sul 17, col favore delle tenebre, il nemico aveva vanamente tentato attacchi di sorpresa contro le nostre posizioni della testa di ponte di Bodrez, del Vodice (quota 652) e di Grazigna. Nella mattinata successiva, portate in linea forti riserve, l'avversario ovunque ripeteva gli sforzi, che assumevano carattere di particolare violenza nella zona del Vodice e a sud di Grazigna. Fulminate dai tiri precisi delle nostre artiglierie, le masse nemiche furono contrattaccate e disperse dalle nostre fanterie, che circondavano in più punti gli assalitori, costringendoli alla resa".
Il numero complessivo dei prigionieri fatti dal 14 al 17 ascendeva a 6432.
"Sul fronte Giulia, respinti durante la notte tentativi di sorpresa contro le nostre posizioni sull'altura di quota 592 (Vodice), nel mattino del 18 le nostre truppe iniziarono un vigoroso attacco per la conquista dell'importante altura di quota 652 (Vodice), caposaldo della difesa nemica a nord di Monte Santo. Aspra e lunga fu l'azione per la tenace resistenza dell'avversario, appoggiato da numerose artiglierie d'ogni calibro, appostate in posizioni retrostanti. Avanzando di roccia in roccia, snidando i reparti nemici da trincee e caverne, distruggendo le mitragliatrici, le fanterie riuscirono a sera a raggiungere la linea di cresta della contesa altura, resistendovi poi agli intensi concentramenti di fuoco delle batterie avversarie. Presero 379 prigionieri dei quali 16 ufficiali. Con la conquista del massiccio tra monte Kuk e Vodice essendo cessato il compito diversivo affidato alle truppe fra Bodrez e Loga, queste ripassarono sulla destra dell'Isonzo senza essere disturbate dal nemico. Nella zona ad oriente di Gorizia mantenemmo tutte le nostre posizioni contro insistenti attacchi nemici, di particolare violenza a sud di Grazigna e sull'altura di quota 174 a nord di Tivoli. Sul rimanente fronte fino al mare duelli incessanti delle artiglierie".
Il merito della conquista della cima del Vodice e della successiva tenace resistenza su quella posizione spetta alle truppe della 53a divisione, ma - come scrisse poi il generale CAPELLO - "…risale anche in gran parta al Gen. GONZAGA, Comandante della Divisione. Egli, portatosi e stabilitosi in prima linea, in mezzo ai soldati, seppe con una serena calma infondere ai suoi coraggio e tenacia. E' noto come egli portasse sul Vodice la musica divisionale, la quale, nei momenti più difficili, fra il tremendo scrosciare degli scoppi, faceva sentire le note animatrici dei canti patriottici e delle canzoni popolari. Di sua iniziativa quel valoroso si era spinto in avanti! E ben a ragione gli fu conferita la medaglia d'oro al valore".
"Nell'azione offensiva accennata sopra, si segnalarono in modo particolare la brigata "Udine", che in un solo sbalzo conquistò la quota 383 ad est di Plava, detta.. "Poggio Montanari" dal nome del generale caduto gloriosamente su quell'altura; la brigata "Firenze", che, sfidando con grande valore un terribile fuoco d'interdizione, raggiunse lo sperone di quota 535 del Monte Kuk; la brigata "Avellino", comandata dal prode generale CASCINO, la quale superato con impeto irresistibile lo sbarramento di Zagora, occupò in parte i fortini di Zagomila; e il battaglione del 230° fanteria che s'impadronì del Monte Santo; tutte truppe, queste, appartenenti al II Corpo d'Armata comandato dal Generale BADOGLIO. Si distinse inoltre la brigata "Messina" appartenente al VI Corpo d'Armata, che conquistò la fortissima altura di quota 174 a nord di Tivoli. Infine ammirevole fu il contegno della 48a divisione, che operò con slancio e tenacia davanti il San Marco. In quei giorni caddero nelle nostre mani 7113 prigionieri, dei quali 163 ufficiali, 18 cannoni, numerosissime mitragliatrici e lanciabombe, e grandissima quantità di materiale da guerra".
L'AZIONE DIVERSIVA DEL NEMICO NEL TRENTINO
GLI ATTACCHI AUSTRIACI AL PASUBIO E AL COLBRICON
Appena si delineò l'offensiva italiana sul fronte Giulia, il nemico tentò un'azione diversiva sul fronte trentino. Già il 19 maggio (6 giorni dopo l'inizio dell'offensiva italiana) ci furono concentramenti di fuoco da parte degli Austriaci in vari settori, specialmente contro le posizioni italiane di Zugna, di Val Posina, dell'altopiano d'Asiago e della Valsugana. A questa intensa preparazione d'artiglieria fecero seguito irruzioni di reparti d'assalto, che furono quasi tutte respinti con gravi perdite.
L'azione dell'artiglieria sulla fronte tridentina si estese e intensificò il giorno 20 maggio e raggiunse grande violenza fra la Val d'Adige e la Val Terragnolo.
"Già nella notte del 19 - riportava il bollettino del 21 maggio - avevamo respinti piccoli attacchi nelle valli di Coneci (Valle di Ledro) e del Rio Freddo (Astico). Nella giornata di ieri nuovi tentativi di diversione nemica nella zona di Campo (Valle di Daone), a sud-ovest del lago di Loppio (Rio Cameras-Adige) e sulla, linea del torrente Maso (Valsugana) erano dai nostri subito respinti. A tarda sera forti masse nemiche furono lanciate all'assalto delle nostre posizioni sul Pasubio, ad ovest del Dente. Dopo alterna vicenda di mischia accanita l'avversario andò incontro ad un sanguinoso insuccesso e fu completamente e nettamente respinto su tutto il fronte d'attacco".
Lo scacco subito non fece desistere dagli attacchi diversivi.
"Nella notte del 21 - diceva il bollettino del 22 maggio - violente irruzioni tentate di sorpresa contro le nostre linee avanzate sul passo di Cavento (Adamello), al Ponte di Plabega (Chiese) e in Valle Giumella (Rio Ponale) furono respinte con un intenso fuoco. Fra Garda e Adige, dopo intensa e prolungata azione di artiglierie di ogni calibro, il nemico attaccò le posizioni del Dosso Alto (a sud-ovest del lago di Loppio) e della Zugna. Gli assalitori furono respinti con gravi perdite. Altri piccoli attacchi tentati nella giornata del 21 in Valle Posina, sull'altopiano di Asiago ed in Carnia (contro le nostre linee del Pal Piccolo) fallirono tutti".
Poi a distanza di poche ore da quest'ultimo bollettino rassicurante, il nemico sferrò nel Trentino il più forte degli attacchi mai tentati in quei giorni.
Così riferiva il Bollettino del Comando Supremo del 23 maggio:
"Un combattimento di eccezionale importanza fu ingaggiato nella notte del 22 in Valle Travignolo. Dopo intenso bombardamento che sconvolse le nostre posizioni sul massiccio del Piccolo Colbricon (2512), ingenti forze nemiche mossero all'attacco, riuscendo a penetrare in alcuni tratti delle nostre linee, nonostante la tenace resistenza dei difensori. Accorsi i rincalzi, dopo una mischia accanita, prolungatasi fino nel pomeriggio, rioccupammo interamente le nostre posizioni. Centinaia di cadaveri abbandonati sul terreno dell'azione, 60 prigionieri fra i quali un ufficiale, 3 mitragliatrici e abbondante materiale da guerra, da noi presi al nemico attestano lo scacco sanguinoso subito dagli austriaci".
L'AZIONE OFFENSIVA DELLA III ARMATA SUL CARSO
LA CONQUISTA DI BOSOOMALO
LO SFONDAMENTO DELLA LINEA DI FLONDAR
L'azione diversiva nemica sul fronte Tridentino non influì molto sull'offensiva italiana scatenata sul fronte Giulia; anzi il 19 maggio questa ampliò l'occupazione dell'altura di quota 652 (Vodice).
"Dense masse nemiche, precedute da intense raffiche di fuochi di sbarramento, tentarono con ostinati contrattacchi di arrestare i nostri progressi, ma furono ogni volta respinte con gravissime perdite. A sera, ritirate le proprie fanterie, l'avversario concentrò sulle posizioni che aveva perdute il fuoco di numerose batterie, ma il terreno conquistato fu dai nostri saldamente tenuto. Ci impadronimmo di 2 cannoni da 105, 2 mortai da 149, lanciabombe, mitragliatrici e di gran numero di armi e munizioni. Nella zona ad oriente di Gorizia, ardite irruzioni di nostri reparti nelle linee nemiche riportarono prigionieri".
"Nella notte sul 20 furono respinti attacchi nemici sulle pendici settentrionali di San Marco, fra Monte Vucognacco e il Faiti e nei pressi di quota 208 sud. Nella giornata del 20 conquistammo l'altura di quota 363 fra Palievo e Britovo, ed est di Plava, e ampliammo ancora l'occupazione sul Vodice. Il giorno seguente consolidammo l'occupazione della quota 363 e respingemmo un attacco nemico che tendeva a sloggiarci dalla quota 126, a sud di Grazigna.
Il 23 maggio ebbe inizio la seconda fase della nostra offensiva, che dalla zona di Gorizia passava alla fronte della III Armata. Questa che era costituita da tre Corpi d'Armata, fu rinforzata con altri tre Corpi e raggiunse la forza di 16 divisioni. I sei Corpi erano: l'XI (21a- divisione, brigate "Regina" e "Pisa", gen. SERRA; 22a div., brigata "Brescia" e "Ferrara", gen. PACINI; 4a div., brig. "Barletta" e "Bisogno", gen. PAOLINI); il XXV (58° div. brig. "Pallanza" e "Massa Carrara"; gen. PONZIO; 63a div., brig. "Rovigo" e "Lecco", gen. ROCCA); il XIII (31a div., brig. "Bologna" e "Lombardia", gen. GASTALDELLO; 34- div. brig. "Salerno" e "Catanzaro", gen. PORTA; 35a div., brig. "Mantova" e "Padova", gen. GRAZIANI); il XXVII (14a div., brig. "Pinerolo" e "Acqui", gen. VENTURI; 54a div., brig. "Granatieri" e "Siena", gen. PETILLI; 61a div., brig. "Lazio" e "Cosenza", gen. MARCHETTI); il VII (16° div., brigate "Bergamo" e 2a bersaglieri, gen. SANNA; 45a div., brig. "Toscana" e "Arezzo", gen. GAGLIANI; 62a div. brig. "Murge" e "Gaeta", gen. FIORONE) e il XIV (28a div., brig.
"Bari" e "Trapani", gen. De BERNARDIS; e 2a div., brig. "Parma" e "Tevere").
"Dalle 6 alle 16 del 23 maggio tutte le artiglierie della III Armata bombardarono violentissimamente le posizioni nemiche, già sconvolte dai precedenti bombardamenti, quindi le fanterie uscirono all'attacco. All'ala sinistra (XI Corpo) l'azione, sebbene dimostrativa, fu condotta con energia, impegnando il nemico ad est del Monte Vucognacco e intorno a Castagnevizza. Al centro e alla destra, l'attacco fu condotto a fondo, con estremo vigore. Le fanterie del XIII e del VII Corpo superati risolutamente gli antistanti trinceramenti nemici, occupavano un tratto della zona a sud della strada tra Castagnevizza e Boscomalo, oltrepassavano Boscomalo e Lucati, si impadronivano di Iamiano e delle importanti e munitissime alture di quota 92 (un chilometro ad est di Pietra Rossa), quote 77, 58, Bagni e quota 21. L'avversario, sorpreso e sgominato dall'improvviso impetuoso attacco, rispondeva verso sera con una violenta reazione e insistenti contrassalti, sostenuti da bombardamenti di eccezionale intensità; fu però respinto con gravi perdite. Nel corso della giornata, prendemmo al nemico oltre 9000 prigionieri, dei quali più di 300 ufficiali.
"Poderose nostre squadriglie aeree - 140 velivoli, fra i quali un gruppo di idrovolanti della R. Marina- parteciparono alla battaglia, rovesciando sulle linee del nemico 10 tonnellate di bombe, e mitragliandone le fanterie ammassate. I nostri aviatori ritornarono tutti ai propri campi. Alla potente preparazione delle artiglierie contribuirono con efficacia dieci batterie inglesi del più recente modello, giunte al nostro fronte a confermare la cooperazione dell'esercito alleato. Validissimo fu anche il concorso prestato dalle batterie della nostra valorosa marina. Nella zona di Gorizia, respinti forti attacchi nemici, le nostre truppe presero d'assalto e conquistarono un fortino sulle pendici nord-ovest di San Marco e, dopo accaniti combattimenti, ottennero altri sensibili progressi nella zona di Monte Santo e del Vodice".
Quel giorno -era il 24 maggio- si chiudeva con una bella vittoria il secondo anno di guerra e il giorno dopo, iniziando il terzo, il Sovrano dirigeva il seguente proclama ai Soldati di terra e di mare:
"Si compiono oggi due anni dall'inizio della guerra, alla quale prendete parte con entusiasmo e con tenacia. Il vostro coraggio sereno, la vostra abnegazione, il vostro spirito di sacrificio seppero felicemente superare ardue prove nel combattere il nemico che vi sta di fronte, nel lottare con le avversità di un lungo, rigidissimo inverno. Il terzo anno di guerra comincia fra il tuonar del cannone. Da alcuni giorni una fiera battaglia è impegnata contro un avversario numeroso, fortemente trincerato, e copiosamente fornito di artiglierie, che vi contende a palmo a palmo l'impervio terreno. Già brillanti successi coronarono i vostri mirabili sforzi e la vittoria dovrà arridere all'indomito valore, alla virile costanza vostra. Soldati di terra e di mare ! pari alla fama che sapeste in passato acquistarvi, terrete, ne sono certo, sempre alto il nome dell'Italia nostra che, con incrollabile fede, vi segue nel cammino della gloria".
Intanto la battaglia continuava accanita e con esito sempre all'Italia favorevole come riportavano i bollettini del Comando Supremo. Proprio il bollettino del 25, si riferiva alle azioni del 24 maggio, e diceva:
"Superando gli ardui ostacoli dell'insidioso terreno, espugnando a palmo a palmo gli estesi grovigli delle fortificazioni nemiche, contesi da un avversario numeroso ed agguerrito, le nostre infaticabili truppe ottennero ieri nuovi brillanti successi. Il complesso dei prigionieri accertati nelle giornate del 23 e del 24 ascende a 10.245, di cui 316 ufficiali. Il bottino di guerra è anch'esso considerevole. Nel tratto compreso fra il mare e la strada Iamiano-Brestovizza le ardite brigate "Toscana" (77° e 78° reggimenti), "Arezzo" (225° e 226° reggimenti) e la 2a bersaglieri (7° ed 11° reggimenti), sostenute da talune batterie da campagna che si spinsero fra, le fanterie, ricacciarono il nemico fino sulla linea Foce Timavo-Flondar quota 31, a sud-est di Iamiano. A nord di Iamiano, dopo tenaci attacchi, nei quali si distinse la brigata "Mantova" (113° e 114° reggimenti), furono conquistate le munite alture di quota 235 e 247 ed estesa la nostra occupazione fino alle prime case di Versic. Dal Castagnevizza al Frigido violenti contrattacchi nemici tentarono di alleggerire la nostra pressione nel settore meridionale del Carso; fallirono tutti per la salda resistenza delle nostre truppe e specialmente delle fanterie della brigata Barletta (137° e 138° reggimenti). Ad oriente di Gorizia, respinte nella notte insistenti irruzioni del nemico sulla quota 174, a nord di Tivoli e contro Grazigna, espugnammo nuove posizioni sulle pendici settentrionali del San Marco. Nella zona di Monte Kuk e Vodice l'avversario moltiplicò vanamente gli sforzi contro le posizioni da noi conquistate.
Su tutto il fronte del valoroso II Corpo d'Armata e specialmente della 53a divisione si sono costatate le rilevanti perdite sofferte in questi giorni dal nemico. Anche ieri forti nuclei tentarono un'azione di sorpresa contro le nostre linee ad oriente dell'altura di quota 652 (Vodice). Furono contrattaccati e sbaragliati. I nostri li inseguirono fino nelle posizioni di partenza, che presero d'assalto, catturando numerosi prigionieri. Ad est di Plava ampliammo l'occupazione dell'altura di quota 53".
Il bollettino del 26 maggio si riferiva alle azioni del 25, e riportava:
"Perdura violenta la lotta sul Carso dove le nostre valorose truppe sfondarono ieri una nuova poderosa linea di difese nemiche, prendendo circa 3500 prigionieri e molto materiale da guerra. Dopo intensa preparazione delle artiglierie, prolungatasi fino alle ore 16, le fanterie del VII Corpo d'Armata, con travolgente avanzata, superarono la fitta rete di trinceramenti nemici che si estendono dalla foce del Timavo fino all'est di Iamiano, e si impadronirono delle alture fra Flondar e Medeazza. Più a nord, dopo alterna vicenda di mischia accanita furono spazzate le ultime resistenze nemiche dell'intricato groviglio ad oriente di Boscomalo, conquistata l'altura di quota 220, a sud-est del paese, ed espugnati i trinceramenti intorno a Castagnevizza.
"Nel settore settentrionale del Carso e nella zona ad oriente di Gorizia, azioni prevalenti delle artiglierie. Allargammo la nostra occupazione sulla altura di quota 174 a nord di Tivoli. Aspra a sanguinosa fu la lotta nella zona del Vodice, ove l'avversario si accanisce con ogni sforzo per riprenderci l'importante altura di quota 652, sempre in nostro saldo possesso. Anche ieri, dopo violenta preparazione di fuoco, dense masse nemiche attaccarono più volte e con ostinazione le nostre linee. Per la ferrea volontà dei valorosi difensori la posizione fu integralmente mantenuta e il nemico, ributtato ogni volta con perdite ingenti, lasciò nelle nostre mani oltre 300 prigionieri.
"Nella zona di Plava abbiamo compiuto nuovi progressi sulle pendici dell'altura di quota 363, verso la valletta di Rogat (Rohot). Il complesso dei prigionieri da noi preso al nemico sul fronte Giulia dal giorno 14 a ieri è stato fino ad ora accertato in 22.419, dei quali 487 ufficiali".
Altri progressi fatti dagli italiani il giorno 26 li troviamo nel bollettino del 27 maggio:

"Nella quarta giornata della battaglia sul Carso le nostre truppe, con nuovi tenaci sforzi, ampliarono il possesso delle posizioni occupate nel tratto più meridionale dell'altopiano e mantennero nei rimanenti settori le conquiste fatte nei giorni precedenti. Dall'alba a sera durò intenso il duello delle artiglierie su tutto il fronte di attacco. Nel pomeriggio, tra il mare e Iamiano, le nostre fanterie, con successivi impetuosi sbalzi, si spinsero oltre la ferrovia da Monfalcone a Duino, nel tratto a nord-est di San Giovanni, e conquistarono la munitissima altura di quota 145, a sud-ovest di Medeazza, stabilendosi saldamente a qualche centinaio di metri dal paese.
"Nel corso dell'azione alcuni reparti con risolute puntate giunsero sui pezzi nemici e si impadronirono una batteria da campagna con sei cannoni con abbondante munizionamento. Catturarono 812 prigionieri, dei quali 34 ufficiali. A nord di Iamiano attacchi e contrattacchi si succedettero violenti per tutta la giornata, sostenuti dal fuoco delle artiglierie; rinsaldammo l'occupazione sulle alture ad oriente di Boscomalo. Anche l'abitato di Castegnevizza fu raggiunto e sorpassato; ma incessanti concentrici fuochi di numerose batterie nemiche ci indussero poi a sgombrare il villaggio, tenendone il margine occidentale.
Nella zona ad est e a nord di Gorizia intense azioni delle artiglierie: la nostra bombardò le conche di Gargaro e di Britovo, già centri di rifornimenti per l'avversario. Nel settore di Plava le fanterie della brigata Udine (95° e 96° reggimenti) conquistarono di slancio le alture alla testata del vallone di Palliova, collegando le nostre linee di Monte Kuk a quelle sulla quota 363. Presero 438 prigionieri, dei quali i10 ufficiali, un cannone, 2 lanciabombe e 7 mitragliatrici".
Il 27 maggio l'attività delle truppe italiane che stavano conducendo molto bene l'offensiva, se pure ostacolata da forti temporali, fu dedicata ad ampliare e a consolidare le nuove conquiste e sul Carso:
"…dopo un'efficace preparazione delle artiglierie, alcuni reparti strapparono al nemico altri forti trinceramenti ad est e a sud-est di Iamiano: passato il Timavo, occuparono l'abitato di San Giovanni a nord-est di Duino. S'impadronirono di 9 mortai da 149 di modello recentissimo ed in ottimo stato di servizio. Nella zona di Gorizia, già nella notte del 27 erano stati respinti due successivi violenti attacchi nemici contro le nostre posizioni nel settore del Vodice e sulle alture ad est della città.
Nella precedente notte l'avversario bombardò con grande violenza le posizioni di quota 126, a sud di Grazigna. Indi lanciò all'attacco forti nuclei di fanteria, che riuscirono ad irrompere in parte nella nostra linea. Un immediato contrattacco li sloggiò nettamente, prendendo 156 prigionieri dei quali 3 ufficiali".
Così il bollettino del 29 maggio:
"Il 28 maggio, sul Carso, il nemico spiegò grande attività di artiglierie e di bombarde per disturbare l'alacre lavoro di rafforzamento delle nostre linee. Un suo attacco tentato contro le nostre posizioni lungo la ferrovia ad oriente di San Giovanni di Duino fu respinto col fuoco. Ad est di Gorizia, nella notte del 27-28 e per tutta la giornata di ieri (28), il nemico rinnovò con le sue artiglierie di ogni calibro intensi concentramenti di fuoco contro l'altura di quota 126, a sud di Grazigna. Il tempestivo intervento delle nostre batterie disperse più volte i suoi reparti d'assalto che si stavano radunando nelle trincee avanzate. Non meno violenta fu l'azione delle artiglierie nella zona del Vodice contro le nostre posizioni di quota 652. Un attacco in forze, sferrato il mattino da forti reparti nemici contro la sommità dell'altura, s'infranse sotto la pronta reazione delle nostre truppe. Per contro vincendo la tenace resistenza del nemico, appostato in caverne, le nostre fanterie portarono a termine importanti progressi nel versante sud-est dell'altura stessa, affermandosi saldamente. Nel settore di Plava ricacciammo l'avversario verso il fondo del Vallone ad oriente di Globna, catturando un centinaio di prigionieri.
Il numero totale dei prigionieri presi sul fronte Giulia dal giorno 14 è stato accertato in 23.681, dei quali 504 ufficiali. Si sta procedendo all'accertamento dell'abbondantissimo bottino fatto nel corso della battaglia; abbiamo già contato 36 cannoni, dei quali 13 di medio calibro, 148 mitragliatrici, e 27 bombarde, oltre a rilevante quantità di fucili e di materiale da guerra di ogni genere".
"Lo stesso giorno 28, truppe della 45a divisione furono lanciate verso Duino. Il 77° reggimento fanteria della brigata "Toscana" stava quasi per raggiungere la mèta quando ricevette ordine di ritirarsi. Il maggiore GIOVANNI RANDACCIO, GABRIELE D'ANNUNZIO e un manipolo di altri audaci si erano spinti innanzi tra la violenta tempesta di proiettili, recando un bandierone di dodici metri che volevano piantare sulla sommità del castello di Duino per segnalarne ai Triestini la conquista. Nella ritirata, Randaccio e d'Annunzio, rimasti ultimi, stavano attraversando su una passerella volante il Timavo quando il primo, colpito a morte, cadde. Aveva 34 anni. Nell'offensiva, del novembre del 1916 sul Carso, da capitano, alla testa di un battaglione si era slanciato all'assalto del Veliki Kribak e del Faiti, che aveva poi conquistato, e issata la bandiera tricolore portata da d'Annunzio sulla linea del fuoco.
In seguito a quell'azione era stato promosso maggiore per merito di guerra.
Al cimitero di Aquileia, dove nel giugno l'eroe fu sepolto, il poeta narrò con commosse parole l'eroica morte dell'amico e ne coprì la salma con la bandiera del Timavo. Al Randaccio, più tardi, fu conferita la medaglia d'oro al valor militare con la seguente motivazione: "Manteneva sempre vivo nel suo battaglione quello spirito aggressivo col quale lo aveva guidato alla conquista d'importanti posizioni nemiche. Attaccava quota 28, a sud del Timavo, con impareggiabile energia, e, nonostante le gravi difficoltà, l'occupava. Subito dopo, colpito a morte da una raffica di mitraglia, non emise un solo gemito, serbando il viso sereno e l'occhio asciutto; portato alla Sezione di Sanità vi soccombette mantenendo anche di fronte alla morte quell'eroico contegno che tanto ascendente gli dava sulle dipendenti truppe quando le guidava all'assalto".
Il 29 maggio, l'attività delle artiglierie austriache fu assai viva sul fronte Giulia e assunse carattere di particolare violenza nel settore dal Kuk al Vodice e ad oriente di Gorizia. Il nemico ripeté i suoi ostinati tentativi d'irruzione contro i nuovi trinceramenti italiani della quota 652 del Vodice: tre successivi attacchi, preparati da intenso fuoco di artiglieria, fallirono completamente. Fra Iamiano e il mare, con parziali azioni offensive, fu lievemente ampliate le occupazioni italiana ad ovest di Medeazza, ma non ancora saldamente sistemate a difesa.

Negli ultimi due giorni di maggio finiva l'azione offensiva della III Armata del Carso ma quelli ottenuti erano risultati molto modesti rispetto alle aspettative del generale LUIGI CADORNA.
Furono così da lui emanati ordini per l'assetto delle forze sul fronte Giulia.
Il fronte della III Armata fu affidato all'XI, al XXV, al XVIII e al XIII Corpo d'Armata; altri quattro Corpi d'Armata, comprendenti 9 divisioni, furono dati alla "Zona di Gorizia". Ma questa, già il 1° giugno, fu soppressa e fu ricostituita, sotto il comando del generale CAPELLO, con la II Armata, che si estendeva dalla Conca di Plezzo al Vippacco.
Il Gruppo Carnico, comandato dal gen. TASSONI, ritornò autonomo.
Erano appena stati fatti questi cambiamenti, quando proprio nei primi giorni dello stesso mese ci furono le prime avvisaglie di una controffensiva austriaca.
Era giugno, e sul fronte russo, il debole governo del socialrivoluzionario KERENKSIJ, nominato ministro della guerra, perdeva la Galizia che veniva occupata, e alcuni reparti austro-tedeschi, che vi erano fino allora impegnati furono fatti convergere al confine dell'Isonzo per tentare la controffensiva.

... la controffensiva austriaca.
La relazione del Comando It. a fine campagna

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