LA PRIMA GUERRA MONDIALE
DAI BOLLETTINI UFFICIALI

1918

LA SPAVALDA OFFENSIVA E L' UMILIANTE 15 GIUGNO
IL PIAVE

LA PREPARAZIONE DEL NEMICO ALL'OFFENSIVA DI GIUGNO - GLI SPAVALDI PROCLAMI AUSTRIACI - LE FORZE ITALIANE ED AUSTRIACHE - L'AZIONE DIMOSTRATIVA SUL TONALE - LA GRANDE BATTAGLIA DALL'ASTICO AL MARE - LE VICENDE DELLA LOTTA NELLA GIORNATA DEL 15 GIUGNO - ALLA CAMERA: I DISCORSI DEGLI ONOREVOLI TURATI ED ORLANDO - I DISCORSI DI DIAZ E DEL RE

cartina gigante con tutte le zone operative e lo schieramento degli eserciti > > > >


LA PREPARAZIONE DEL NEMICO ALL'OFFENSIVA
LE FORZE ITALIANE E AUSTRIACHE

In queste pagine, inizialmente in alcune parti, a scopo riassuntivo, riportiamo ciò che abbiamo già letto nei dettagli nelle due precedenti puntate "l'offensiva austriaca e i fatali errori".

Nella seconda metà di febbraio, a Bolzano, presente LUDENDORFF, fu discusso il piano di una grande offensiva austriaca contro l'Italia, proposto da ARTURO VON ARZ, BOROEVIC VON BOJNA, i generali più noti alle folle tedesche, austriache ed ungheresi, e da CONRAD VON HÓTZENDORF. Era quest'ultimo che aveva studiato da lunghi anni il modo d'invadere l'Italia marciando attraverso gli Altopiani; era lui che nella primavera del 1916 aveva concepito la "spedizione punitiva" (Strafexpedition) contro l'odiata Italia; e allora non ne aveva accettato il fallimento.

Questa volta, dopo la disfatta di pochi mesi prima dell'esercito italiano a Caporetto, Conrad e gli oligarchi dei massimi Imperi d'Europa si riunivano per sentenziare la morte dell'Italia traditrice, tutti intenzionati di ripetere i fasti del 1849.
Quest'offensiva doveva necessariamente ottenere risultati definitivi. E li avrebbe avuti se il nemico avesse impiegato un numero maggiore di truppe e d'artiglierie, se l'antagonismo tra Conrad e Boroevic non avessero reso impossibile l'attuazione del piano originario, se non si fossero combattute, invece di una sola, due battaglie, una sul fronte montano, l'altra sul Piave, e principalmente se gli Austriaci non avrebbero avuto di fronte un esercito dotato di un morale elevatissimo, di un valore a tutta prova, animato dal fermo proposito di non cedere e dall'intenso desiderio di vendicare Caporetto. E se vogliamo essere meno retorici, la lotta "patriottica" era ormai una lotta per la "sopravvivenza". Questo ormai lo avevano capito tutti, dal modesto alpino italiano che si trovava sulle nevi dello Stelvio a difendere il baluardo della Lombardia e quindi Milano dove voleva entrare trionfalmente von Arz e Conrad, fino al decorato grande ammiraglio che sorvegliava le acque del Paive e della laguna, dove già gli austriaci pregustavano la trionfale entrata a Piazza San Marco a Venezia.

Secondo le deliberazioni di Bolzano, l'offensiva doveva esser preceduta da forti azioni dimostrative al Passo del Tonale e nelle Giudicarie (per scendere su Brescia) e in Val Lagarina (per scendere su Verona) ma anche per richiamare verso quella parte l'attenzione; mentre l'attacco principale doveva essere sferrato a cavallo del Brenta da Val Canaglia al Monte Pertica e doveva raggiungere nella prima giornata l'orlo dell'altopiano (per poi scendere sul Vicentino); altri attacchi dovevano effettuarsi, uno in direzione del Montello con obiettivo la ferrovia Montebelluna-Treviso da raggiungere fin dal primo giorno; l'altro obiettivo nel basso Piave in direzione della linea Treviso-Mestre; infine il tratto Monte Pertico-Montello doveva cadere da solo, per effetto dell'intera manovra.

L'offensiva austriaca fu oggetto di una lunga, minuta e scrupolosa preparazione organica, tecnica e morale. Particolarmente accurata fu la preparazione morale, persuadendo le truppe, che la responsabilità della guerra era tutta dell'Intesa, fomentando l'odio contro l'Italia "traditrice", lusingando i soldati con il miraggio della pace e del bottino, predicando la superioritá delle armi e del valore dell'esercito austro-ungarico, spargendo maligne e false informazioni sul "bestiale" trattamento fatto dall'Italia ai prigionieri austriaci, questo per impedire che i propri soldati si arrendessero.
Di questa preparazione morale fanno fede molti documenti sequestrati allo stesso nemico.

diceva in un suo proclama il maresciallo SORELIC alla 42a divisione

"Difensori della patria ! Dal mare Adriatico alle Alpi svizzere il nostro Sovrano attacca con tutte le nostre forze armate il nemico, che invano tenta con tutte le sue astuzie di prolungare la guerra. Là, di fronte a voi, sui baluardi nemici, sul ciglio dei boschi che voi scorgete, vi attende la gloria e l'onore; vi attendono un ottimo vitto, un magnifico bottino ed oltre a ciò anche la pace. Difensori della patria ! Fate tutti il vostro dovere, non risparmiate il nemico maledetto e con l'aiuto di Dio sopportate quest'ultimo sacrificio per il Sovrano e per la libertà della nostra bella patria !"

In un pro memoria emanato dal Comando della 14a divisione di fanteria e che doveva servire all'istruzione delle truppe, era detto:
"La lunga durata della guerra deriva dalla brama dei nostri nemici di rubarci e distruggerci non solo il territorio, ma la libertà, la prosperità, le nostre buone istituzioni, la nostra felicità familiare La nostra situazione militare è splendida, e i nostri fedeli alleati, specie la Germania, marciano di vittoria in vittoria; quindi la durata della guerra è limitata e non dipende che dall'ulteriore nostra tenace resistenza e dalla salda compattezza .... La nostra offensiva contribuirà efficacemente a far finire la guerra se ricacceremo nuovamente il nostro nemico ereditario, il fedifrago italiano, e se penetreremo profondamente nel suo territorio. Siamo però senza l'aiuto dei nostri fratelli tedeschi, dobbiamo contare solo sulla nostra forza, ma noi riusciremo egualmente a vincere, proprio come i Tedeschi, perché siamo valorosi e resistenti come loro. I Tedeschi seguiranno con interesse le nostre battaglie e si tratta perciò di dimostrare loro quanto possiamo fare e quanta forza è ancora in noi .... Non darsi prigionieri. Gli Italiani trattano malissimo i prigionieri specialmente i tedeschi e gli ungheresi. Feriti gravissimi furono operati in condizione di piena coscienza, senza anestetici. È un fatto accertato da invalidi restituiti. I prigionieri debbono lavorare duramente. I tedeschi e gli ungheresi sono inviati di preferenza nelle miniere di zolfo in Sicilia (a 40 gradi di calore) .... Ogni uomo sappia bene che l'attuale nostra offensiva è il colpo più violento, forse il decisivo e ultimo contro gli Italiani. Se noi tutti ci renderemo conto che dobbiamo con la forza ad ogni costo strappare l'iniziativa al nemico che ci fronteggia, si avrà la pace, e il contegno delle nostre armate da 46 mesi sempre gloriose, e i molti sacrifici fatti non saranno stati vani".

Ma specialmente sul ricco bottino insistevano i comandanti dei reparti parlando ai soldati. Il colonnello MITTEREGER in un "ordine riservato" diretto al 3° reggimento fanteria spiegava:
"Si tratta di travolgere al più presto la zona di combattimento munita dal nemico per passare dai disagi dell'interminabile guerra di posizione ad una libera guerra di movimento che ci porterà in un paese ricco ed in mezzo a grosse quantità di rifornimenti dell'esercito nemico"
.

Ed erano pure dati (convinti di averci già messo su le mani) ammonimenti che il ricco bottino non sarebbe stato sperperato. Lo stesso colonnello MITTEREGER, in un ordine agli "ufficiali del servizio di requisizione" (lo avevano creato appositamente!), ammoniva:
"Si osservi il principio che la truppa mangi e beva abbondantemente, ma non devasti. Ricordiamo gli spettacoli ripugnanti dell'offensiva d'autunno botti sfondate nelle cantine allagate, buoi e maiali sgozzati dei quali soltanto qualche parte furono utilizzate, depositi e botteghe svaligiate; pensiamo anche alle nostre famiglie nel paese. Non si devastino le fabbriche e gl'impianti. Non si calpestino a bella posta i campi e non si falcino per fare giacigli". Le stesse cose diceva il pro-memoria sopraccitato: "Provviste di viveri, vino ecc., che si rinvenissero nell'ulteriore corso dell'avanzata, non siano distrutte senza scopo; rimpinzarsi sì, ma non sciupare, non ubriacarsi. Spiegare il ripugnante contegno tenuto durante l'avanzata dell'autunno 1917 e come, in conseguenza di esso, per molto tempo, invece di mangiare bene ed abbondantemente, dovemmo accontentarci di vivere con poco. L'interno ha penuria di vettovaglie. Dobbiamo quindi assolutamente, finché possibile, contare sul paese occupato per non dover ricorrere alla madre patria. Nutrire i cavalli con il disponibile, ma non lasciarli, come nell'autunno del 1917, in libertà nel fieno e nella paglia. Foraggiare con granaglie è vietato, perché a partire dal mese di luglio non vi sarà più rifornimento alle spalle di farine per il pane".

Odio, burbanza, altezzosa sicurezza di vincere, speranza di pace, visione di ricco bottino, ricordo del valore e dei fasti del passato (dalla Restaurazione in poi), sprezzo del nemico, furono gli argomenti di cui, a coronamento della preparazione morale, si servirono CONRAD e il BOROEVIC per i proclami che alla vigilia della battaglia lanciarono alle proprie truppe.
Quello di CONRAD era così concepito:

"Soldati! Per mesi e mesi, resistendo virilmente tra i ghiacci e le nevi, compiendo fedelmente tutti il vostro dovere in mezzo alle tempeste dell'inverno, voi guardavate alla pianura soleggiante d'Italia. È venuto ora il momento per scendervi! Il vostro valore, provato da tutti i campi di battaglia, non conoscerà ostacoli. Come terribile uragano voi spezzerete il falso e spergiuro alleato di una volta, insieme agli amici che egli ha chiamato in aiuto. Voi mostrerete al mondo che nessuno può resistere al vostro eroismo. I vostri padri, i vostri nonni, i vostri avi, con questo spirito hanno combattuto e vinto lo stesso nemico. Io sono certo che voi non sarete da meno. Anzi li supererete. Mai più l'Italia deve poter stendere l'avida sua mano verso le nostre magnifiche Alpi e verso le nostre coste e i nostri porti ai quali sono legate da un eguale amore e da eguali interessi tutte le nostre nazionalità. La prosperità in avvenire, l'onore della vecchia, grande cara e comune patria è nelle vostre mani. La sua gloria sarà la vostra. Insieme con voi, con tutto il cuore, seguirò le vostre gesta e sarà un'irresistibile corsa alla vittoria. Confidando fermamente in voi, io vi lancio il grido: Spazzate tutto davanti a voi !".

Il proclama di BOROEVIC era il seguente:
"Il nostro Re attacca oggi dall'Adriatico fino alle Alpi svizzere con tutte le sue forze il nemico che, per il suo tradimento, prolunga la guerra. Davanti a voi sono le posizioni nemiche; è là che vi attendono la gloria, l'onore, buoni viveri, un abbondante bottino di guerra, e soprattutto la pace finale ! Soldati! Fate il vostro dovere come avete sempre fatto; non risparmiate il vostro nemico e consentite, con l'aiuto di Dio, all'ultimo sacrificio per il vostro re e la libertà della vostra bella patria".

Alla vigilia dell'offensiva nemica, lo schieramento e le forze dell'esercito austroungarico erano i seguenti: dallo Stelvio al Fener stavano le 37 divisioni del gruppo del maresciallo CONRAD, dal Fener al mare le 23 divisioni del Maresciallo BOROEVIC.

CONRAD aveva dallo Stelvio all'Astico la X Armata del generale Krobatin, la quale aveva 8 divisioni in linea e 2 in riserva d'armata; e dall'Astico a Fener l'XI del generale Schescheusteul con 15 divisioni in linea e 8 in riserva d'armata; aveva inoltre 4 divisioni in riserva di gruppo.
BOROEVIC aveva la VI Armata dell'Arciduca Giuseppe da Fener ai ponti della Priula con 4 divisioni in linea e 4 in riserva d'armata; e la V del generale Wurm dalla Primula al mare con 11 divisioni in linea e 4 in riserva d'armata; 1 divisione formava riserva di gruppo. Sulle retrovie nemiche si trovavano inoltre altre 13 divisioni. Potente era l'artiglieria di cui l'avversario disponeva: 1900 bocche da fuoco campali sull'Altopiano, 950 nel settore del Grappa, 575 nel settore del Montello, 1580 sul basso Piave; in complesso dall'Astico al mare circa 5000 pezzi campali e di medio calibro, oltre le artiglierie di grosso calibro (fra cui i pezzi da 420) e quelle da trincea.

Di contro alle truppe nemiche stavano 50 divisioni italiane, 3 britanniche, 2 francesi ed 1 cecoslovacca. Dallo Stelvio al Garda c'era l'Armata delle Giudicarie (VII) del generale TASSONI, composta di 7 divisioni; nel settore Garda-Sculazzon l'Armata degli Altipiani (VI), comandata dal generale MONTUORI e la componevano 9 divisioni, fra le quali erano le 5 franco-inglesi; dal Brenta a Pederobba, l'Armata del Grappa (IV), di 7 divisioni, comandata dal generale GIARDINO, che era stato sostituito dal Di ROBILANT a Consiglio Superiore di Guerra; da Pederobba a Palazzon, l'Armata del Montello (VIII) di 4 divisioni, comandata prima dal generale PENNELLA e dopo il 20 giugno dal generale CAVIGLIA; e da Palazzon al mare l'Armata del Piave (III) del DUCA D'AOSTA, di 6 divisioni. Le altre 19 divisioni costituivano la riserva generale: 10 di esse formavano la IX Armata al comando del generale MORRONE ed erano alle dirette dipendenze del Comando Supremo; 9 erano presso le armate, ma pur sempre a disposizione del Comando Supremo; quest'ultime erano la 1a e 2a Divisione d'Assalto e le divisioni di fanteria 21a, 22a, 54a, 52a, 24a, 48a e 53a. Tre divisioni di cavalleria (2a, 3a, e 4a, erano tenute presso la zona d'operazione. Alle 2850 bocche da fuoco campali del nemico (escluse le artiglierie di medio e grosso calibro) schierate nel settore montano, i Grigioverdi contrapponevano, 1292 pezzi campali e 984 pesanti; alle 2155 avversarie del basso Piave erano di fronte 1035 bocche da fuoco campali e 826 pesanti.


L'AZIONE DIMOSTRATIVA SUL TONALE
LA GRANDE BATTAGLIA DALL'ASTICO AL MARE
LA LOTTA NELLA GIORNATA DEL 15 GIUGNO (l'attacco)

Secondo il piano dell'offensiva, le operazioni principali, fissate per il 15 giugno, dovevano esser precedute da azioni dimostrative ad ovest dell'Astico. Queste erano state affidate alla X Armata di Krobatin e fra gli scopi avevano quelli di conquistare il saliente delle testata della Valtellina, raccorciare il fronte, richiamare da quella parte reparti italiani e assicurare il possesso di ottime basi per le operazioni offensive successive contro la Lombardia.

All'alba del 12 giugno il nemico iniziò un violentissimo fuoco d'artiglieria sul fronte dallo Stelvio all'Adamello; più intenso fra la punta di Ercavallo e la rotabile del Tonale. La reazione italiana fu immediata: le batterie aprirono un fuoco altrettanto violento contro le batterie avversarie, che, dopo alcune ore, tornarono in silenzio.
Ma nelle prime ore del giorno dopo il bombardamento nemico ricominciò e, circa tre ore dopo, le fanterie austriache della 1a divisione, ripartite in numerose colonne, snodate alla loro volta in nuclei secondo la nuova tattica germanica, si lanciarono all'attacco sulle pendici di Cima Cady, tenute da una catena di piccole postazioni italiane e sulla dorsale di Monticello.

come riportava il comunicato ufficioso:

"La formazione rada non protesse gli assalitori degli effetti del fuoco di sbarramento italiano. Sulle pendici di Cima Cadv, l'impeto dei nuclei avversari d'assalto si ruppe quasi dovunque sotto la tempesta degli shrapnels. Solo in tre piccoli posti, i più avanzati ed isolati, elementi nemici riuscirono a mettere piede. Tutte le altre colonne avversarie furono messe in fuga con delle fortissime perdite, mentre perdite non meno gravi subirono per effetto del fuoco di interdizione, i rincalzi ammassati alle falde della Punta d'Albiolo. Pronti contrattacchi ricacciavano il nemico dai tre posti occupati e prendevano anche 103 prigionieri e diverse mitragliatrici. Sulla destra di Monticello, il primo attacco alla posizione avanzata di quota 2545 era ributtato col fuoco, ma successivamente, minacciato da vicino da un nuovo e più violento attacco, condotto con forze superiori, il piccolo presidio italiano, avendo avuto distrutte le sue mitragliatrici dal tiro avversario, ripiegava ordinatamente, ma su un posto dominante, arretrato di 200 metri, dinanzi al quale il nemico fu poi costretto ad arrestarsi. La sera, con forze numerose, il nemico rinnovò l'attacco contro il fronte Cima Cady-Monte Tonale, ma le colonne d'assalto non riuscirono a progredire: prese sotto il fuoco di sbarramento dei grigioverdi, furono prima arrestate poi costrette a ripiegare sulle loro linee di partenza".

Alle ore 3, prima dell'alba del giorno 15 giugno, il nemico iniziava contemporaneamente con violenza inaudita il bombardamento dell'intero fronte italiano dall'Astico al mare. Durò quattro ore, ma fu prevenuto da un formidabile fuoco di contropreparazione italiano (vedi più avanti, come), che distrusse le sue linee ed i suoi ricoveri, martellò i suoi ammassamenti di truppe, avvelenò le sue artiglierie con lo stesso gas delle loro granate esplose nelle proprie postazioni, sorprese e sconcertò il nemico, abbassandone il morale e facendogli credere che il fuoco italiano era la preparazione di una poderosa -sconosciuta- offensiva.
L'attacco vero e proprio delle fanterie austriache (come prescriveva il noto "manuale") avvenne tra le 7 e le 8 del mattino, ma l'impeto delle masse lanciate all'assalto delle postazioni italiane non fu per nulla travolgente come avrebbe dovuto essere. Le truppe che dovevano "Spazzare tutto davanti a loro", dopo quattro ore dall'inizio della più grande battaglia imperiale, erano già in crisi di sfiducia prima ancora di iniziare.

 

Ma cos'era accaduto?
Che i soldati italiani questa volta erano più che pronti a riceverli. ARMANDO DIAZ - a parte la diversa concezione di comando rispetto a Cadorna- aveva fatto tesoro dell'esperienza di Caporetto. Non concentrò in un solo settore. Schierò 26 divisioni in prima linea a contenere l'iniziale urto con il nemico; ne dislocò 4 in riserve settoriali, e ne tenne ben 13 in riserva centrale. Un parco di 6000 autocarri era tenuto pronto in un paesino del Veneto per assicurare il rapido trasporto nei settori più minacciati, dove più che le ipotesi, solo la vera e propria battaglia avrebbe rivelato le vere intenzioni del nemico.
Ma la strategia veramente vincente fu quella di abolire le trincee continue e i fanti furono addestrati a difendersi elasticamente su una profonda fascia di terreno, in capisaldi tra loro distanziati, ognuno dei quali - nel momento ritenuto utile al proprio assalto - poteva chiedere direttamente a suo favore l'intervento dell'artiglieria. Così ogni più piccolo reparto, esaltato nella sua individualità tattica, poteva assumere nel corso della battaglia le più tempestive e positive iniziative, evitando i macelli - come quelli di Cadorna- in attacchi che già in partenza si rivelavano suicidi e purtroppo inutili. Ora sotto Armando Diaz, erano loro (comandanti di plotoni, di squadre o di drappelli) a valutare la forza del nemico, e se era il caso (comportandosi da veri e propri comandanti) di muoversi, di unirsi ad altri capisaldi, oppure arretrare per riorganizzarsi.
Lasciare morti sul terreno poteva essere eroico, ma indeboliva materialmente sempre di più l'esercito italiano e moralmente quelli ancora a disposizione destinati ad un altro macello.

I servizi informativi degli ultimi giorni avevano già tempestivamente rivelato le intenzioni del nemico, non si sapeva esattamente il giorno e l'ora esatta. Ma ci si mise la fortuna, il giorno prima fu catturato un ufficiale, e da lui si seppe l'ora esatta in cui sarebbero iniziati i tiri di preparazione per l'attacco: le ore 3 del mattino del 15 giugno.
Avendo perfetti collegamenti con tutte le artiglierie già predisposte e con una grandissima quantità di munizioni (90.000 pezzi per ogni giorno), fu ordinato a tutti i settori di scatenare con mezz'ora di anticipo -cioè alle 2,30 - la contropreparazione. Fare una "sorpresa" della loro "sorpresa".
Fu la grande giornata dell'Artiglieria. Non per nulla la loro festa si celebra proprio il 15 giugno.

Furono così investiti improvvisamente comandi, osservatori, schieramento d'artiglieria, nodi di comunicazione, i rincalzi, e le masse di fanteria pronte all'invasione.
Gli austriaci scompaginati prima ancora di fare l'attacco (con uno schieramento tutto offensivo) ebbero la sensazione che l'Italia stava sferrando una imprevista offensiva e cercarono subito di limitare questa per mettersi - pur nel caos- immediatamente in parte sulla difensiva.
Non era proprio un'offensiva quella italiana, ma la sua fanteria ebbe la certezza che la propria artiglieria da sola aveva mandato all'aria il tanto ottimistico piano austriaco, e che il nemico non era nemmeno partito, o se si era mosso lo stava facendo con alcune difficoltà; e in queste condizioni non avrebbe certamente impedito alla fanteria italiana di resistere per un paio di giorni, fino all'arrivo delle Divisioni di riserva che così individuando i territori attaccati più strategici, in due-tre giorni capovolsero l'esito della battaglia. I 6000 camion fecero il loro dovere e la rivalità di Conrad e Boroevic fece il resto.

Con maggior violenza fu invece l'attacco austriaco fra l'Astico e il Brenta, dove operavano le truppe dell'XI Armata Austriaca (di Conrad), fronteggiate dalla VI Armata Italiana, schierate con il corpo d'armata britannico a sinistra (2 divisioni in linea e una in riserva a Coltrano), con il corpo d'Armata francese al centro (una divisione in linea ed una in riserva a Breganze) e con il XIII corpo italiano alla destra. Nel tratto del fronte tenuto dagli Inglesi, attaccato con molta violenza, il nemico riuscì ad aprirsi il varco in alcuni punti: ma, il tempestivo ed efficace intervento dell'artiglieria del X corpo e di reparti della brigata "Casale", che formava l'estrema destra della I Armata, e poi un vigoroso contrattacco delle truppe britanniche, arrestarono prima i progressi del nemico poi lo ricacciarono sulle linee di partenza, catturandogli un migliaio di prigionieri e 7 cannoni.
Nel settore tenuto dai Francesi, gli Austriaci riuscirono ad avanzare oltre il saliente di Pennar, ma, furono qui trattenuti da un poderoso concentramento di fuoco e nel pomeriggio ricacciati da un contrattacco del 78° fanteria; un attacco, sferrato verso sera, s' infranse, contro la resistenza francese.
Nel settore del XIII corpo italiano dove violentissimo era stato il bombardamento, che aveva distrutto le difese italiane avanzate, il nemico, favorito dalla nebbia e dai gas fumogeni, riuscì a fare notevoli progressi, giungendo a Cima Echar e a Buso del Termine; ma qui dovette fermarsi per la fiera, resistenza italiana, che durante tutto il giorno e fino a sera inoltrata respinsero in furibonde mischie i ripetuti assalti degli avversari.

Anche nella zona di Col del Rosso, e Col d'Echele gli Austro-ungarici all'inizio progredirono, ma, non riuscirono, nonostante i loro sforzi, a impadronirsi di Pizzo Razea e negli altri punti furono contenuti. Contenuti allo stesso modo o respinti furono gli Austriaci che attaccavano le difese avanzate di Val Frenzela e di Val Brenta presidiate dalle truppe del XX Corpo d'Armata.
Infiniti furono gli episodi d'eroismo cui diede occasione questo primo giorno dell'offensiva austriaca sul fronte tra l'Astico e il Brenta. Degna di speciale menzione l'opera del capitano BRUNO GEMELLI del 13° Fanteria nella difesa della ridotta di Cima Echar, nella riconquista di Costalunga e nell'epica lotta da lui e da cinquanta soldati, sostenuta e vinta, contro un battaglione di arditi ungheresi, azione che all'eroico combattente, colpito alla fine della giornata da una granata nemica, valse la medaglia d'oro al valor militare.

Non meno violento che sul fronte tra l'Astico e il Brenta fu l'attacco austriaco nella regione del Grappa, presidiata a sinistra dal IX Corpo d'Armata, al centro del VI e a destra del I. Favoriti sempre dalla nebbia, gli Austriaci, nonostante l'accanita resistenza sulla sinistra del settore italiano, riuscirono ad impadronirsi di Col del Miglio, del Col Fagheron, del Col Fenilon e del Col Moschin e fecero qualche progresso sull'Asolone. Ma alla fine della giornata partì alla riscossa l'eroico IX Reparto d'Assalto per contrattaccare il nemico, il quale, spezzata la linea marginale e marciando contro Col Raniero, minacciava di avvolgere tutto il IX Corpo d'Armata. L'azione del IX Reparto, comandato dal maggiore GIOVANNI MESSE, fu fulminea: la 1a compagnia, al comando del prode capitano UMBERTO PINCA, che vi perdette la vita, attaccando con impeto straordinario, in pochissimo tempo snidò il nemico dal Palazzo Negri e dalle Case del Pastore e del Brigante e liberò dall'accerchiamento la quota 1318, dove alcuni uomini del Genio con piccoli reparti della brigata "Abruzzi" resistevano ancora; la 2° compagnia, attaccando con lo stesso impeto, riconquistò il Fagheron e dopo un violento corpo a corpo ricacciò gli avversari dall'osservatorio di San Giovanni. Il IX Reparto d'Assalto non si concesse che poche ore di riposo: alle 9 della sera uscì dalle riconquistate trincee del Fagheron per rioccupare il Col Fenilon, animato da una ferrea volontà di riuscire ad ogni costo, qualche ora dopo il maggiore Messe poteva scrivere al Comando della Brigata Basilicata:

"Il Fenilon è preso. Lotta breve, ma aspra e violenta. Il nemico è annientato. Sono stati catturati 100 prigionieri, fra cui 7 ufficiali, e diverse mitragliatrici. Il reparto rimane a presidiare la posizione fino al giungere del battaglione Meoni del quale è necessario affrettare l'arrivo perché il Reparto d'Assalto possa riordinarsi, prendere un po' di fiato per poi muovere all'attacco di Col Moschin".

Al centro della fronte del Grappa il nemico sferrò tre poderosi attacchi sul tratto Monte Coston-Monte Grappa, che gli diedero il possesso del Monte Pertica e della quota 1503 del Monte Coston; riuscì inoltre a rompere la prima linea del Monte Solarolo e a progredire fra questo monte e Monte Medata. Questi scarsi successi gli costarono però gravissime perdite perché i Grigioverdi gli contesero palmo a palmo il terreno, il quale, del resto, non rimase tutto in potere degli Austriaci, cui la sera stessa del 15 furono riprese la quota 1503 del Monte Coston e la quota 1581 fra Monte Grappa e Monte Pertica. Alla destra la violenza del fuoco italiano di contropreparazione impedì al nemico di sviluppare la propria azione.

Poderoso fu l'attacco della VI Armata austriaca nella zona del Montello, difesa dalla 58a divisione, contro questa si rovesciò l'urto di tre divisioni nemiche. Favorito dalla nebbia, dai gas lacrimogeni e fumogeni e dal fumo dei proiettili comuni, il nemico traghettò le prime truppe sulla fronte da Campagnola di Sopra a Castelviero e alle 4 pomeridiane aveva sulla riva destra 27 battaglioni di cui tre d'assalto. Disponendo di una forte superiorità numerica, dopo una sanguinosa lotta gli Austriaci si impadronivano di tutto il saliente del Montello da Casa Serena, per il Col Marseille e Bavaria, fino a Nervesa; ma non riuscirono a fare alcun progresso da Nervesa in direzione dei ponti della Priula lungo la riva destra.

Il contrattacco delle truppe italiane non si fece attendere molto. L'VIII Corpo d'Armata fu rinforzato col 12° bersaglieri, con la 6a squadriglia di autoblindate, con il reggimento lancieri "Firenze" e col XXVII Reparto d'Assalto, ceduto dal XXVII Corpo, che ricevette la brigata "Udine" della 50° divisione, e alle 15.30, appoggiati dalle artiglierie e dagli aerei, attaccarono con impeto i due lati del saliente con lo scopo di strozzarlo alla base e tagliare al nemico le comunicazioni con i passaggi sul fiume. I contrattacchi italiani si scontrarono con gli attacchi furiosi del nemico, il quale tentava di allargare l'occupazione, e se, dopo mischie terribili, non riuscirono a conseguire l'intento, ebbero però il risultato di smorzare la violenza del nemico, che riusciva ad occupare soltanto Giavera.
Nel settore del basso Piave, dopo un furioso bombardamento, colonne nemiche irruppero fra Salettuol e Candelù, ma le truppe della 31a divisione contrattaccarono prontamente e catturarono quasi interamente i nemici passati sulla riva destra ricacciando i superstiti nel fiume.
Successo non migliore ottennero le truppe nemiche che avevano potuto passare il Piave fra Zenson e Noventa. Mentre riuscì a costituire due teste di ponte sulla destra del fiume, una, a Fagarè in corrispondenza della strada Ponte di Piave-Treviso e l'altra a Masile in corrispondenza della ferrovia San Donà-Mestre; ma non riuscì ad estendere, nonostante i suoi vigorosi sforzi, l'occupazione e collegare le due teste di ponte.


ALLA CAMERA: I DISCORSI DI TURATI E ORLANDO


Le prime notizie della grande battaglia si sparsero in Italia con il bollettino del 16 giugno (erano passate solo 24 ore dall'attacco della temuta "grande offensiva"). Nella seduta pomeridiana, di quello stesso giorno alla Camera, fra gli applausi generali dell'assemblea, il ministro della guerra, generale ZUPELLI, disse:
"La battaglia, che ha una vastità senza pari perché iniziata dall'Astico e va fino al mare, procede con piena nostra soddisfazione. Il nemico che ha ovunque. attaccato con forze preponderanti è stato respinto sulla massima parte dei punti. Dove ha potuto conquistare qualche linea secondaria ed avanzata l'ha tenuta per poco tempo; un valido contrattacco lo ha respinto e noi siamo ritornati alle nostre linee. Il morale delle truppe è elevatissimo: questa è la concorde dichiarazione dei comandanti di tutti i settori. Il nemico, nonostante sia l'attaccante, ha lasciato nelle nostre mani circa 3000 prigionieri. Il valore di questa cifra è enorme, perché nella difensiva è ben difficile fare grandi quantità di prigionieri. Questo vuol dire che la reazione da parte nostra è stata veramente eroica".

Presa la parola l'on. SIPARI, disse che anche nel cielo il tricolore sventolava trionfante e, a confermare le sue parole, l'on. CHIESA lesse un dispaccio del comandante generale dell'aviazione al fronte:
"Nella prima giornata di lotta - diceva il dispaccio - la nostra aviazione, nonostante condizioni atmosferiche sfavorevoli, cooperò validissimamente e con vera abnegazione del personale navigante all'azione comune. Gli apparecchi abbattuti sono oltre trenta. Sono stati eseguiti cinque bombardamenti con Caproni e con gli Sva. I collegamenti durante l'azione, le crociere e i mitragliamenti a bassissima quota attestano la nostra indiscutibile superiorità aerea. Anche i dirigibili, nonostante le condizioni atmosferiche, eseguirono bombardamenti sui posti di concentramento".

Approvato l'esercizio provvisorio e decisa la sospensione della Camera fino a settembre, prese a parlare l'on. TURATI, che con un breve discorso ispirato all'amor patrio, alla resistenza e alla concordia, suscitò vivo entusiasmo in tutta l'assemblea:
"Non è questa - disse - l'ora delle polemiche, non è l'ora delle parole. Mentre lassù si combatte, si soffre e si muore, le nostre anime di socialisti battono all'unisono con quelle degli uomini di altri partiti, di tutti i partiti, tutte protese nella trepidazione, nella speranza e nell'augurio. Quando i fatti parlano, quando il sangue cola a fiotti, quando le responsabilità si addensano formidabili su uomini e sistemi, quando sui popoli un nuovo giudizio di Dio s'istaura, signori del Fascio, signori dell'Unione, deputati dei gruppi e dei gruppetti, ritiratavi. Grondante di sangue e di lagrime, onusta di fato, si affaccia e passa la Storia! Allorché la morte batte alla porta, varca la soglia, penetra nella casa o si asside al desco, allora gli affetti risorgono, le ire si smorzano, le pene e i dolori intimi si congiungono; tutti l'abbiamo sperimentato. Improvvise rivelazioni appaiono, affetti sopiti si ridestano, ire si smorzano, il sorriso e ghigno amaro, sotto il quale credemmo di spegnere i pudori o le pene interne, tutto ciò che è convenzionale, che è maschera, che è difesa, tutto finisce, tutto se ne va, tutto cade.

" Noi ci separeremo stasera, tra breve. Ciascuno intenda la propria coscienza. Altre volte ci separammo, ben sapendo ciascuno di noi quale strada si sarebbe battuta da ciascuno; oggi non é più così, oggi che ci attende l'ignoto, noi dobbiamo essere con lo spirito là dove sono coloro che combattono. La nostra città, il nostro paese, il nostro collegio, saranno la nostra trincea dalla quale nessun nemico, né esterno né interno, riuscirà a cacciarci con nessun gas asfissiante o bruciante, con nessun fuoco incrociato. Io voglio fare al Governo, un'esortazione che implica un augurio: Il Governo, appena può, riconvochi la Camera. Non vi chiediamo una data fissa. Non sia una convocazione abituale o rituale, ma una convocazione per dirci la verità, e tutta la verità. Il Governo abbia fede nella Camera, mantenga i contatti con essa. Poiché questa Camera, con tutte le sue umane deficienze, è pur ancora la legittima espressione, la più sincera, la sola oggi possibile del Paese, e del popolo. E questo viene ad affermarvi uno la cui parola non può essere sospetta in quanto appartiene ad un'esigua minoranza.
Se in questo momento ancora può esservi un cosiddetto nemico interno, tale sarebbe chiunque tentasse, con un nuovo e larvato demagogismo, di sostituire a questa espressione legittima del Paese qualsiasi altra forza o, formazione artificiale che, in nome di un nuovo diritto divino, avesse la potestà di imporsi e sovrapporsi ad essa. Il Governo, libero da ogni servitù, dimostri con i fatti di sentire tutto ciò. Noi ci lasciamo, ed io vi dico: arrivederci! Ma nel mio saluto, nel vostro saluto non vi è la più piccola parte di un cerimoniale di galateo. L'arrivederci che oggi vi danno i socialisti-italiani è un saluto augurale all'Italia".

Il successo del discorso dell'on. Turati fu enorme: applausi dai banchi, applausi dalle tribune; anche i ministri applaudirono a lungo. L'on. MODIGLIANI strinse ripetutamente la mano all'oratore che fu abbracciato e baciato dagli onorevoli DE FELICE, MARCHESINO, PIROLINI ed altri, e poi dai ministri BISSOLATI e BERENINI. Poi andarono a stringere la mano all'on. Turati i ministri VILLA, SACCHI e COLOSINO e un centinaio di deputati di tutti i gruppi.
Dopo che l'on. GIRARDINI ebbe svolto un suo ordine del giorno, si alzò a parlare l'on. ORLANDO, il quale date brevi risposte ai deputati che avevano parlato nelle precedenti discussioni continuò:

"Onorevoli signori, è la storia che passa! Lo storico dovrà domani. dire se questi tremendi avvenimenti si sono abbattuti sull'umanità, come l'Apocalisse dice del giudizio universale. Nessuno, signori, può stabilire gli errori e le colpe dei Governi e degli individui. Rimane il fatto che, ora si combatte per salvare la Patria, e con essa l'umanità. La situazione è gravissima: non lo dissimuliamo, dato che il nemico cercherà con tutti i mezzi di vincere la partita. In questa lotta gigantesca in cui è in giuoco l'esistenza della Patria non vi è che un solo partito da prendere, una sola risoluzione da adottare: fronteggiare il nemico con tutte le forze, con tutte le nostre anime, come lo fronteggiano con animo intrepido i nostri soldati. È la Patria che si difende: non è retorica la vibrazione di questo sentimento. Vi è un nesso profondo tra la volontà e l'idea. La Patria noi la sentiamo in noi come intima essenza dell'anima nostra. Si può professare qualunque fede, si può militare in qualunque partito: quando si tocca la Patria si tocca l'essenza dell'anima nostra.

"Pensate se il partito politico -o l'idea religiosa dovesse guidare gli atti dei nostri soldati ! Sotto il fuoco del nemico il portaferiti che era un chierico, che trascina una barella con un repubblicano o un ateo, domanda forse ad esso a quale religione o a qual partito appartenga? Il contadino che copre con il suo corpo l'ufficiale, il borghese o l'ufficiale che si sacrifica per il primo a saltar fuori di trincea, perché con l'esempio e con la morte sa di rincuorar il proprio soldato, fanno forse questione di classe sociale? Così andiamo forse a cercare il partito politico o la classe sociale quando la sventura colpisce inesorabilmente una madre, se essa è una povera donna o una grande dama?...

" Onorevoli colleghi, occorre un atto di fede. Ho il diritto di farlo. Ricordiamo quell'abisso in cui, nel novembre 1917, è caduto il popolo nostro; confrontiamolo con questa meravigliosa reazione di tutte le nostre energie, e ricaviamone il più sicuro auspicio per la nostra vittoria .... I nostri soldati una prima volta hanno resistito sul Piave in condizioni difficilissime, che aveva dell'incredibile; oggi i nostri soldati resistono meravigliosamente contro un nemico formidabile, agguerrito, e nelle prime 24 ore abbiamo potuto costatare quale resistenza abbiano saputo opporre all'impeto del nemico. Ebbene, non lo vorrei dire, non lo voglio dire ancora, ma dall'animo mio sale con impeto la parola che è insieme fede, speranza e gioia; ancora qualche giorno e noi avremo vendicato Caporetto".

Grandi applausi accolsero la fine del discorso del presidente del Consiglio quindi si votò per appello nominale l'ordine del giorno dell'on. Aguglia che approvava le dichiarazioni del Governo. La votazione ebbe il risultato seguente: votanti 316, maggioranza 159, favorevoli 282, contrari 34.

Nel frattempo, sul fronte la battaglia riprendeva accanita...


... lo svolgimento della battaglia (dal 16 al 18) dal Montello al Piave

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