LA PRIMA GUERRA MONDIALE
DAI BOLLETTINI UFFICIALI

1918

L'OPERA DELL'AVIAZIONE E DELLA MARINA
NEI PRIMI 6 MESI 1918

L'OPERA DELL'AVIAZIONE ITALIANA NEL PRIMO SEMESTRE DEL 1918 - BOMBARDAMENTI DI CITTÀ ITALIANE INDIFESE - LA MARINA ITALIANA NEI PRIMI SEI MESI DEL 1918 - ATTIVITÀ DEGLI IDROVOLANTI - LA BEFFA DI BUCCARI, IL TENTATO FORZAMENTO DEL PORTO DI POLA; L'AZIONE DI PREMUDA; LO SBARCO AUSTRIACO PRESSO ANCONA - L'ATTIVITÀ AEREA NELLA GRANDE OFFENSIVA - UN EROE DI 23 ANNI - LA MORTE DI FRANCESCO BARACCA


l'Asso degli Assi: Francesco Baracca in azione

l'Asso e il suo "Cavallino rampante" sulla carlinga


23 anni -l'Asso degli osservatori: Antonio Locatelli

Fin dal primo giorno dell'anno 1918, quando i manipoli di fanti già da cinquanta giorni erano -meravigliando il mondo- a difendere le precarie posizioni dopo la disfatta di Caporetto, l'Aviazione e la Marina per tutto il primo semestre del 1918 furono entrambe molto attive, nonostante la prima avesse subito la perdita di 140 velivoli nella maledetta ritirata, oltre i campi d'aviazione in Friuli.
Tuttavia nel mese di gennaio in cui si ebbero soltanto 15 giorni favorevoli al volo, i piloti italiani abbatterono 34 aeroplani nemici mentre ne persero solo 3; furono eseguiti 9 bombardamenti con la partecipazione di 41 apparecchi, e furono lanciati sugli obiettivi nemici 9030 chilogrammi di bombe.
Nel mese di febbraio furono 33 i velivoli avversari abbattuti, nel mese di marzo 51, in aprile 50, in maggio 107 e... nella prima decade di giugno, prima che iniziasse la "grande offensiva" su tutto il fronte dallo Stelvio al mare, gli aerei abbattuti furono 35.

Numerosi inoltre furono i bombardamenti eseguiti da alcuni apparecchi isolati o da piccole squadriglie.
In gennaio, il 4, furono sganciati 1200 chilogrammi di bombe sulla stazione di Levico, il 12, 1600 chilogrammi di esplosivo su magazzini e accampamenti a Primolano, il 24 baraccamenti e impianti ferroviari a Cismon e ancora Primolano, il 30 accampamenti nella Valle di Campomulo, in Valle dei Ronchi e la cascina Tanfer.

In febbraio: il l° i centri di raccolta e i nodi stradali nelle retrovie avversarie dell'altopiano di Asiago e gl'impianti della teleferica austriaca Caldonazzo-Monte Rovere; il 4, alcune aeronavi bombardarono convogli militari sulla ferrovia Conegliano-Casarsa; il 5 truppe nemiche presso Primolano e bombe sul campo di aviazione di S. Giacomo di Veglia, che fu di nuovo bombardato da un'altra aeronave il 6; il 7 furono lanciate una tonnellata di bombe sul campo d'aviazione di Motta di Livenza; il 19 una squadriglia gettò due tonnellate di esplosivo sul campo di La Comina, che fu di nuovo bombardato il 20 con i campi di Aviano, Visnadello e Motta.
In marzo: il 5, il campo di Motta e una colonna in marcia presso Oderzo; l'8 un parco-camion di rifornimenti a nord-est di Oderzo; il 10 lanciate 8 tonnellate di bombe su vari campi di aviazione nemici; il 15 con aeronavi ancora il campo di Motta di Livenza, che fu ancora colpito il 16; il 18 un'altra aeronave colpì impianti ferroviari in Val Lagarina, che furono di nuovo colpiti da squadriglie di aeroplani il 22 e il 24; il 28 nostre squadriglie lanciarono 6.500 chilogrammi di bombe sugli impianti ferroviari di Mattarello e di Primolano.

In aprile: il 24 fu attaccata la base navale di Durazzo lanciando con buon risultato numerose bombe su piroscafi e galleggianti ancorati nella rada e su opere militari.
In maggio, il 3, un dirigibile bombardò il campo d'aviazione di Campo Maggiore; il 4 squadriglie di Caproni lanciarono 9 tonnellate di bombe sugli impianti idroelettrici di Cavedine e rinnovarono il bombardamento di Campo Maggiore, mentre dirigibili colpivano le stazioni di Primolano e Bolzano; il 10, un dirigibile bombardò la stazione di Mattarello; il 14 alcuni aeroplani lanciarono 4 tonnellate di bombe sui campi d'aviazione nemici di Val di Piave; il 20, obiettivi militari in Valsugana furono colpiti con 8 tonnellate di bombe; il 22 bombardati il campo di Motta e truppe e carreggi in marcia sull'Altopiano d'Asiago; il 23 ancora il campo di Motta e quello di Feltre; il 24 truppe, batterie e accantonamenti avversari nella conca d'Asiago e lungo il Piave; il 30, trincee, depositi e baraccamenti sugli altipiani di Asiago e di Lavarone e truppe e carreggi sulle strade di accesso a Gallio.

In complesso aeroplani e dirigibili italiani lanciarono nel mese di maggio circa 27 tonnellate di bombe. Nella prima decade di giugno, il 1° furono gettate cinque tonnellate di bombe su vari campi di aviazione, il 6 con altrettante tonnellate furono colpiti i campi aviatori nemici della pianura veneta, la stazione ferroviaria di Mezzocorona e colonne in marcia sulla strada Quero-Feltre; il 9 rovesciate quattro tonnellate di bombe su depositi e nodi di comunicazione.

Fra i piloti di caccia italiani si distinse il maggiore FRANCESCO BARACCA che ottenne a maggio la sua 32a vittoria. Purtroppo però ci fu la perdita di valorosissimi aviatori, periti in incidenti aerei o in combattimento; citiamo i più noti: i tenenti SILVESTRO COSTANZI, poeta, CARLO DELLA ROCCA, SILVESTRO MARTINELLI, EMILIO PENSUTI, il sergente NICELLI e il maggiore ORESTE SALOMONE.
Furono decorati di medaglia d'oro il maggiore FRANCESCO BARACCA, "...primo pilota da caccia in Italia, campione indiscusso d'abilità e di coraggio, sublime affermazione delle virtù italiane di slancio e audacia" (e che purtroppo scomparve in giugno - vedi più avanti), il tenente colonnello PIER RUGGIERC PICCIO, "...ardito pilota da caccia, sempre pronto ad ogni audacia, personificazione mirabile delle più elette qualità del pilota italiano, condottiero ideale dei cacciatori del cielo, cuore ardente di entusiasmo, soldato provato alle più dure vicende dell'aria, da additarsi come esempio a tutti gli aviatori e come vanto del nostro esercito", il capitano FOLCO RUFFO di Calabria, "...dotato di elette virtù militari, pilota da caccia di insuperabile ardire" che "provato in ben 53 scontri aerei, con spirito di sacrificio pari al suo valore, continuò a cercare la vittoria ovunque la poteva trovare; mirabile esempio ai valorosi".

Altro asso del cielo il bresciano SILVIO SCARONI, dopo la 30° vittoria, colpito gravemente riuscì tuttavia a rientrare e a fare l'atterraggio. Aveva partecipato a 43 combattimenti, 127 inseguimenti, 78 crociere, oltre 400 ore di volo; come dire 17 giorni interi passati in volo.

Alle azioni gloriose degli italiani il nemico, nella guerra aerea, tornò a contrapporre le incursioni su nostre città indifese non esitando a far vittime fra le pacifiche popolazioni e a mandare in rovina le opere d'arte. Il 4 gennaio bombardò Mestre, Bassano e Castelfranco, il 26 Mestre e Treviso, il 30 Bassano, il 31 Treviso, il 3 febbraio Venezia, Padova, Treviso e Mestre, il 4 ancora Padova, il 5 Venezia, Mestre e Treviso, il 6 Calvisano, Bassano, Treviso e Mestre, il 18 Vicenza e i paesi vicini, il 20 Mestre, Padova, Vicenza, Venezia e Tre Baseleghe. La notte dell'11 marzo un dirigibile austriaco bombardò Napoli uccidendo 16 persone e ferendone 40; tentò il 14 di rinnovare l'incursione, ma, giunto nel cielo partenopeo, fu messo in fuga da un nutrito fuoco delle batterie contraeree.

Di atti barbarici nemici non si rese colpevole l'Aviazione soltanto, ma anche la Marina nemica, che nel primo semestre del 1918 affondò una ventina di piroscafi e una trentina di velieri. Nella caccia ai navigli mercantili brillano di luce alcuni episodi eroici: quello del "Prometeo" che, assalito il 18 marzo da un sommergibile; si difese accanitamente per oltre un'ora a cannonate, finché, ridotto un informe rottame, s'inabissò; quello del piroscafo "Avaia", che assalito nell'Atlantico il 24 marzo da un altro sommergibile, resistette finché gli fu possibile e colò a picco con il capitano MAGGIOLO, il quale, sebbene ferito, aveva voluto che si salvassero i suoi marinai, seguendo la sorte della sua nave; quello della "Sterpe" che per tre ore resistette al nemico ed ebbe uccisi, nell'impari lotta, tutti gli ufficiali, eccetto il tenente di vascello PALMIGIANO, il quale, raccolto ferito dagli avversari, non accettò la loro ospitalità e volle affrontare su una scialuppa i pericoli della fame e della sete sull'immensità dell'Oceano; quello infine del "Maroncelli", che, silurato dal nemico, andò in fondo al mare trascinando con sé l'ammiraglio in servizio ausiliario VIGLIONE che non aveva voluto lasciare il piroscafo ma diresse fino all'ultimo il salvataggio dei suoi marinai.

Non meno attiva dell'Aviazione fu la l'aviazione della Marina. Il 24 gennaio, suoi idrovolanti colpirono con efficacia obiettivi militari fra il Sile e il Piave; sue aeronavi, la notte del 4 febbraio, colpirono l'intenso traffico nemico sulla linea ferroviaria ad est del Piave; una squadriglia d'idrovolanti bombardò, il 9 febbraio, trincee e baraccamenti nemici a Radevoli (foce del Piave); altri idrovolanti, l'11 febbraio, bombardarono le opere militari dell'isola di Curzola; e la notte successiva una squadriglia d'idrovolanti rovesciò due tonnellate di bombe su accampamenti e baraccamenti nemici a valle Grisolara; la notte del 2 febbraio alcuni idrovolanti, inseguendo una squadriglia di cacciatorpediniere, austriaci che rimorchiavano verso Parenzo un idrovolante caduto in mare; affondarono a colpi di bombe l'apparecchio e colpirono pure un caccia; due notti dopo, quindici altri apparecchi, comandati dai tenenti di vascello CERTOSI e MAGOLDI, volarono su Pola e ne bombardarono le opere militari.
Il 22 aprile una squadriglia italiana da bombardamento della Regia Marina attaccò una flottiglia di siluranti nemiche, riuscendo a colpire con due bombe una torpediniera. Lo stesso giorno, nel canale di Fasana, fu sorpresa una nave da guerra protetta da siluranti e idrovolanti: uno di questi fu abbattuto, la nave da guerra e le siluranti furono fatte segno ad un nutrito lancio di bombe.
La notte del 5 maggio un dirigibile della Marina bombardò colonne nemiche in marcia oltre il Tagliamento; il 10 maggio, nel golfo di Trieste il tenente di vascello ORAZIO PIEROZZI abbatté un Ago, e altri tre ne abbatté nello stesso golfo, il giorno 4, il pilota GARINO.

Il 13 maggio, una squadriglia mista d'idrovolanti e d'aeroplani bombardò efficacemente la stazione di sommergibili di Cattaro, e il 14 una squadriglie d'idrovolanti bombardarono le opere militari di Lissa e di Durazzo, mentre altre abbattevano tre Ago presso Pola. Il 20 maggio furono bombardate le opere militari di Durazzo e di Lagosta. Durazzo fu ancora bombardata il 17 e il 28 e Lagosta il 2 giugno.

LA BEFFA DI BUCCARI

 

Con gl'idrovolanti gareggiarono le medesime navi italiane, specie le siluranti (sommergibili, torpediniere e mas), che portarono a termine delle imprese audaci. Famosa la spedizione che rimase nella storia con il nome di "Beffa di Buccari", alla quale parteciparono LUIGI RIZZO, ARTURO E COSTANZO CIANO, DE SANCTIS e FERRARINI. La spedizione, che si prefiggeva lo scopo di silurare il naviglio nemico alla fonda nella baia di Buccari, avvenne la notte del 10 febbraio. I tre M.A.S, n. 96, 94, 95 (l'Animoso, l'Audace, e l'Abba), aiutati da torpediniere e protetti da un sommergibile, da altri caccia e da un esploratore, imboccarono, senza che la batteria di Porto Re li scorgesse, la stretta della Farasina e, a Buccari, lanciarono sei siluri contro alcune navi avversarie: ma cinque non esplosero, impigliatisi nelle reti di protezione; uno, esplodendo, diede l'allarme; però riuscirono a tornare incolumi.


Fu della partita audace (sul Mas 96, accanto a Ciano) in qualità di "marinaio volontario" il maggiore di cavalleria GABRIELE D'ANNUNZIO che poi descrisse e cantò "la beffa di Buccari" e lasciò in bottiglie chiuse sulle acque violate, scritti di sfida e di scherno così concepiti:
"In onta alla cautissima flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro i forti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d'Italia, che si ridono d'ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre ad osare l'inosabile".

"E un buon compagno, ben noto - il nemico capitale, fra tutti i nemici il nemicissimo, quello di Pola e di Cattaro - è venuto con loro a beffarsi della taglia".

L'impresa non conseguì vistosi risultati materiali, ma incalcolabili furono invece le conseguenze morali. Nessun sbarramento, naturale o artificiale poneva al riparo la K.K. Flotte. Comandanti e equipaggi ebbero un senso di sgomento e di cupa angoscia, mentre il mondo tutto, era meravigliato e ammirato di una simile audacia degli italiani, fra l'altro anche cavalleresca. Ed era il giorno dopo nelle prime pagine dei giornali di tutto il mondo.
I Comandi della K.K.Flotte credettero a macchine stranissime, ad invenzioni diaboliche di scienziati. Erano invece solo il frutto della "genialità italiana" i M.A.S. e i "barchini-saltatori", dai nomi significativi: Pulce, Cavalletta, Locusta, Grillo. Dei veri "animaletti" incubi per la marina del grande Impero.

IN SARDEGNA - Nelle prime ore del mattino del 29 aprile, protetto dalla nebbia densissima e bassa, un sommergibile nemico, affiorando leggermente, riusciva ad avvicinarsi alla costa sud occidentale della Sardegna, nelle acque di Carloforte, ove si trovavano alcuni piroscafi e velieri inglesi e Mas italiani. Essendo in buona posizione, prima silurò e poi cannoneggiò un piroscafo inglese. La stazione di vedetta non riuscì a scorgere lo scafo nemico, perché la fortissima cortina di nebbia impediva ogni avvistamento anche a brevissima distanza. Un Mas, che si trovava dietro Punta Nera, si lanciò rapidamente, nonostante la nebbia, verso il luogo da dove partivano i colpi e, misurando il tiro sul campo delle cannonate nemiche, aprì un fuoco ben diretto contro il sommergibile. Questo si allontanò inseguito dalla piccola imbarcazione, la quale continuò a sparare con il suo unico pezzo, quantunque il sommergibile avesse rivolto contro di essa i suoi cannoni da 120. Alcuni colpi diretti contro il Mas caddero invece sull'abitato ed uccisero due donne. L'impari duello si risolveva con la fuga del sommergibile, contro il quale avevano già aperto il fuoco le più vicine batterie costiere. Il pronto ed audace intervento del Mas impedì che altri piroscafi e velieri ancorati presso Carloforte rimanessero vittime dell'aggressione, favorita dalla foschia.

A DURAZZO - Nella notte sul 13 maggio, siluranti italiane attaccarono un convoglio nemico che, scortato da siluranti, si dirigeva per entrare a Durazzo. Benché scoperte dai proiettori di terra e fatte segno ad intenso fuoco, le siluranti italiane affondarono una nave trasporto e colpirono una delle unità di scorta.
A POLA - Grande rumore levò in Italia la tentata impresa di quattro audacissimi marinai il capitano di corvetta MARIO PELLEGRINI da Vignola, il secondo capo torpediniere silurista ANTONIO MILANI da Lodi, il secondo capo torpediniere silurista FRANCESCO ANGELINI da Siracusa e il marinaio scelto GIUSEPPE CORRIAS da Cagliari. Scortati e appoggiati da un convoglio, di cui faceva parte una sezione di mas comandata dal capitano di vascello COSTANZO CIANO (padre del futuro genero di Mussolini) e dal tenente di Vascello LUIGI BERARDINELLI, i quattro audaci, su un piccolissimo Mas, nelle prime ore del 14 maggio, superarono gli sbarramenti che ostruivano il porto di Pola e stavano per forzarlo quando, scoperti e non potendo sfuggire per la luce dei proiettori e il fuoco delle difese, distrussero, com'era stato stabilito, l'imbarcazione e si gettarono a nuoto. I quattro rimasero prigionieri del nemico. Segnali luminosi degli avversari, identici per uno strano caso a quelli che il Pellegrini e i suoi compagni avrebbero dovuto fare se l'operazione fosse riuscita, fecero credere al successo dell'impresa e all'affondamento di una corazzata. Poco dopo, il convoglio riprese il largo verso la sua base. La reazione del nemico si limitò a un tentativo d'attacco del convoglio stesso che fu mandato a vuoto dal tempestivo intervento di una squadriglia di idrovolanti da caccia italiana, la quale, dopo un accanito combattimento e nonostante la propria inferiorità numerica riusciva a respingere gli apparecchi avversari e ad abbatterne tre.


OPERAZIONE PREMUDA

Se l'audacia del Pellegrini e dei suoi compagni non fu coronata dal successo, esito felicissimo ebbe l'impresa che si chiamò di "Premuda" che ebbe come risultato l'affondamento della nave di linea "Szent Istvan" e il rinvio di un'azione austriaca, che poi non fu più fatta, contro lo sbarramento del canale d'Otranto e le piazze di Brindisi, Otranto e Valona.
Il piano di quest'azione, formulato dall'ammiraglio Horty era il seguente:
1) un gruppo di due esploratori e tre dei maggiori cacciatorpediniere doveva attaccare all'alba dell'11 giugno le forze mobili dello sbarramento del canale mentre un altro gruppo di due esploratori e quattro siluranti avrebbe bombardato Otranto;
2) otto sommergibili dovevano mettersi in agguato davanti a Brindisi per attaccare le navi italiane che ne uscissero e posizionare mine sulla rotta d'uscita;
3) tre sommergibili si sarebbero appostati davanti a Valona;
4) quaranta idrovolanti dovevano bombardare ad oltranza Otranto, Brindisi e Valona ed esplorare il basso Adriatico fino a Corfù; 5) Alcune navi di linea scortate da siluranti dovevano incrociare nel triangolo Cattaro-Durazzo-Brindisi per attaccare le grosse navi da guerra italiane se queste uscivano da Brindisi e da Valona.

Stabilito il piano, l'ammiraglio Horty dispose che le quattro navi di linea dislocate a Pola si trasferissero nel basso Adriatico. Due, la "Viribus Unitis" e il "Prinz Eugen", lasciarono il rifugio di Pola la sera dell'8 giugno e lungo la loro rotta non ricevettero alcuna molestia; le altre due, il "Szent Istvan" e il "Thegetoff", scortate da una diecina di siluranti, partirono tre ore dopo.
In quella stessa notte, due mas italiani, il 15 e il 21, comandati da AONZO e GORI ed entrambi sotto gli ordini di LUIGI RIZZO, appoggiati al largo da due torpediniere, dovevano perlustrare le acque tra Gruizza e Selve per accertare la presenza di mine e rimanere lì in agguato fino all'alba. Compiuta la perlustrazione, i due mas, verso le 2 del mattino, uscirono dal canale di Selve per raggiungere al largo le torpediniere, quando alla loro dritta scorsero una nuvola di fumo nerastro.
Il comandante Rizzo suppose che si trattasse di unità leggere nemiche uscite in caccia dei mas e, deciso ad attaccarle, diresse i due piccoli battelli verso il fumo. Avvicinandosi, il Rizzo costatò trattarsi di due grosse navi di linea circondate da una diecina di siluranti disposte a poche centinaia di metri dai due navigli. Con una manovra straordinariamente abile ed audace attraversò con i mas la linea di protezione delle siluranti nemiche eludendone la vigilanza e prese posizione tra queste e le corazzate. Erano le 3.30 quando furono lanciati i siluri da una distanza di circa 300 metri. Quelli lanciati dal mas 21, su cui stava Aonzo, il quale aveva preso di mira il "Thegetoff", non riuscirono a danneggiare la nave; invece i siluri del mas 15, su cui stava Rizzo, raggiunsero il"Szent Istvan", che due ore e mezza dopo colò a picco.
Una delle siluranti di scorta, la torpediniera 76, si accorse dei due battelli italiani mentre eseguivano il lancio e si diresse contro di essi, che si misero precipitosamente sulla via del ritorno. Stavano per essere raggiunti dalla torpediniera quando il mas 15, servendosi delle bombe antisommergibili, danneggiò talmente la nave austriaca inseguitrice da costringerla a desistere dalla caccia. Così le due piccole unità riuscirono a raggiungere incolumi e vittoriose la loro base di Ancona.

Il ministero austriaco della guerra accusò la perdita della corazzata con un bollettino del 13 giugno, che diceva: "La nave "Szent Istvan" è stata silurata nell'Adriatico, durante un viaggio notturno, ed è affondata. Il tenente di vascello Max von Roevid, il capo macchinista Sarnitz, il cadetto di marina Antonio Muller e circa 80 marinai dell'equipaggio sono scomparsi. L'aspirante di marina Giuseppe von Serda fu ucciso. Il resto dell'equipaggio si è salvato".

Il "Szent Istvan" era la più giovane delle quattro unità del suo tipo, essendo stata varata nel 1914; dislocava 22.000 tonnellate, era armata di 12 cannoni da 305 in quattro torri trine, di 12 da 150, di 18 da 70 e di 4 lanciasiluri; aveva una velocità oraria di 27 nodi e un equipaggio di 970 uomini.
A tutti i prodigiosi atti d'audacia dei marinai italiani il nemico non seppe opporre che l'umiliante sbarco sulla costa marchigiana di un drappello il quale, giunto il momento di mostrare il suo coraggio, si arrese.
La spedizione era stata concepita a Pola nel mese di marzo. Il nemico si proponeva di sbarcare vicino ad Ancona e tentare con la sorpresa di danneggiare il più possibile le opere militari, di impadronirsi dei mas italiani e servirsene per il ritorno, di riprendere o distruggere la torpediniera austriaca B 11 dagli italiani catturata e di far saltare i sottomarini della difesa.
Il piccolo corpo di spedizione, composto di una sessantina di marinai, partì da Pola nel pomeriggio del 4 aprile sopra una barca a motore rimorchiata dalla torpediniera 69 e scortata dal cacciatorpediniere Uscok. A 15 miglia dalla costa marchigiana, la barca proseguì sola e verso le 2.15, favoriti dalle tenebre, gli Austriaci presero terra in un punto sabbioso a 17 chilometri da Ancona.
Raggiunta la via maestra, i marinai, che erano armati di pistole e di pugnali, portavano 15 chilogrammi di dinamite e sapevano parlare l'italiano; furono scambiati dai rari passanti per marinai italiani o alleati e si diressero quasi indisturbati verso la città. Sul far dell'alba il drappello, giunto a sei chilometri da Ancona, si nascose in una casa colonica abitata da una donna con due bambini, che con le minacce fu costretta a dare ricovero ai marinai austriaci.

Questi rimasero nascosti tutto il giorno. Nel pomeriggio un cadetto, travestito con abiti di contadino, si recò in ricognizione ad Ancona e tornò dai suoi prima che fosse sera. Avvicinandosi il tempo di agire, nell'animo di questi "arditi" Austriaci cessarono tutti gli entusiasmi e i loro piani si ridussero a proporzioni modestissime: cattura dei mas e ritorno a bordo di essi.
Sotterrata la dinamite, il drappello si pose in marcia, dirigendosi verso lo zuccherificio. Durante il cammino, un marinaio che era in coda alla piccola colonna, venutogli meno il coraggio, si dileguò non visto e, incontrato un gruppo di soldati italiani si denunziò come disertore e segnalò la presenza e le intenzioni dei compagni.
Gli Austriaci, intanto, guidati da un tenente di vascello, giungevano allo stretto passaggio che conduce allo zuccherificio e alla guardia di finanza CARLO GRASSI, che montava la sentinella dicevano di lasciar loro il passo perché dovevano recarsi ai mas.
Grassi li laccò passare, ma poco dopo, insospettitosi, seguì il drappello, che, credutosi scoperto, aggredì a pugnalate la guardia di finanza, la quale però riuscì a dare l'allarme e, insieme con un'altra sentinella sopraggiunta, il finanziere GIUSEPPE MAGANUCO, tenne testa al nemico. I primi ad occorrere sul posto all'allarme furono il brigadiere GUADAGNINI e una diecina di carabinieri, i quali; presentatisi all'ingresso dello zuccherificio, intimarono ed ottennero la resa dei nemici. Questa fu la fine screditata della spedizione dei sessanta "arditi" austriaci, che un solo effetto ottenne: la collocazione in posizione ausiliaria del generale CARIGNANI, comandante del Corpo d'Armata d'Ancona.

** L'ATTIVITÀ AEREA NELLE FATIDICHE "DIECI GIORNATE"
** UN EROE BERGAMASCO DI 23 ANNI
** LA MORTE DI UN ALTRO EROE: FRANCESCO BARACCA

 

Durante la battaglia del Piave l'opera delle forze aeree fu straordinaria. Gli aviatori, durante i giorni della "grande lotta", gareggiavano con le altre armi per tenacia, abnegazione, ardimento, fede, sacrificio, montassero essi apparecchi da caccia o da ricognizione o da bombardamento, solcassero soli il cielo della battaglia o volassero a stormi seminando il panico tra le file nemiche.
Cacciatori insuperabili, instancabili, audaci, gli aviatori italiani, insieme con i compagni inglesi, fecero, fin dall'inizio della lotta, pesare duramente la loro superiorità sull'aviazione avversaria, abbattendo dal 15 al 25 giugno 107 apparecchi nemici e 7 "draken", sbarrando ininterrottamente, dall'alba al tramonto, le formazione di massa, l'estesissimo fronte della battaglia, scortando gli apparecchi da bombardamento, mitragliando a bassissima quota le truppe nemiche, affrontando aspre battaglie e conseguendo numerose vittorie.
Coraggio e tenacia non minori spiegò l'aviazione da ricognizione nel disimpegnare il servizio di osservazione per il tiro di artiglieria di collegamento con le fanterie; di ricognizione ordinaria e di propaganda.

In questo ultime azioni si distinsero; il 24 giugno, i tenenti ANTONIO LOCATELLI, GIUSEPPE SARTI e VINCENZO CONTRATTI.
SARTI e CONTRATTI volarono su Lubiana gettandovi cartellini che annunciavano la vittoria italiana del Piave; LOCATELLI si spinse su Zagabria e, scendendo a bassissima quota, lasciò cadere sulla folla attonita l'appello ai popoli oppressi e la notizia che i cecoslovacchi avevano combattuto a fianco degli Italiani; poi ritornò per Karslstadt e Fiume, compiendo in 5 ore e 50 minuti 900 chilometri di cui 800 su territorio nemico. Una bella sfida a tutte le contraeree nemiche.


UN EROE DI 23 ANNI

La notte del 15 settembre, uno stormo di velivoli da bombardamento si recava a gettare cinquecento chilogrammi d'esplosivi sui sommergibili austriaci ormeggiati a Pola. Distaccato dallo stormo, un agile apparecchio tricolore si spingeva in avanti a fare il suo lavoro di ricognizione sul cielo di Fiume.
Si librava a 1200 metri di quota. Le batterie nemiche apersero il fuoco contro l'esile bersaglio che saettava dentro delle nuvole bianche, sbucandovi ogni tanto per scendere ed aggirarsi sulla città istriana mentre valanghe di shrapnels gli scoppiettavano attorno accendendo una luminaria fantastica di bagliori incandescenti. Sfuggito fino a quel punto alla furia dei colpi, la libellula parve sul punto di volgersi verso il mare. Ma giusto in quel momento ebbe un sobbalzo brusco. Poi sbandò... Ferita? Uccisa?
Da terra migliaia di occhi fissavano quelle ali ormai tremolanti, e indovinavano la tragedia di quell'uomo lassù, dentro la sua carlinga, con mille metri di abisso davanti, a fare sforzi che tendevano a riconquistare il dominio del suo aereo. Ma lui era un asso dal cuore saldo e dai nervi d'acciao e riuscì a padroneggiare la macchina. Rimessa in equilibrio, signoreggiando riuscì a scendere quei mille metri come un alcione stanco e sembrò che cercasse un luogo dove atterrare, ma ad un certo punto virò di bordo e si diresse nel retroterra, lasciando agli austriaci la delusa soddisfazione della caduta; videro l'aereo dileguare verso Scurina e scomparire. Si precipitarono a cercarlo per catturarlo, ma prima ancora di giungere sul luogo videro una vampata, e quando vi giunsero vennero rinvenuti i resti carbonizzati dell'aereo che l'aviatore stesso aveva incendiato. Del pilota, però, nessuna traccia. Non poteva essere lontano e per qualche giorno lo cercarono fin quando lo scoprirono celato in un nascondiglio. Era ferito in un ginocchio, un piede lussato, le carni straziate da altre ferite e non potè sottarsi dalla cattura e dalla prigionia.

Quel ferito era ancora LUI !, quel giovane bergamasco di 23 anni c'hera volato su Zagabria: ANTONIO LOCATELLI, l'asso degli assi della ricognizione. L'uomo che aveva già compiuto i più lunghi voli e quelli più audaci d'avanscoperta, riportando ogni volta informazioni e fotografie preziosissime.
La cattura non pose fine alla sua temerarietà; cogliendo un attimo di sbandamento dei suoi carcerieri ormai in pieno sfacelo, ne approfittò per sfuggire in modo romanzesco, riuscendo a raggiungere le prime linee e, suo primo pensiero, fu quello di salire sulle ali di un'altra libellula per prestare l'opera sua e completare quella che era ormai una annunciata clamorosa vittoria.

LOCATELLI fu l'asso degli assi come ricognitore, e come Baracca, a bassa quota piombava anche lui come una saetta sui campi nemici in mezzo allo strepito delle mitraglie, pur di fare - con la sua arma preferita -la macchina fotografica - le sue preziosissime "sventagliate fotografiche". Fu a fine guerra decorato con medaglia d'oro. E non smentì l'ardimento pure da civile, quando portò a termine audacissime imprese alate: la trasvolata delle Ande e un drammatico balzo verso l'Artide.
Riuscì a godersi la sua Bergamo dedicandosi alla arti preferite: le lettere e il disegno.

Infaticabili furono pure i bombardieri aerei, che con i loro Caproni parteciparono alla battaglia anche nelle ore contrastate dal maltempo e, grazie all'ottimo servizio di scorta e di disciplina di volo, riuscirono a portare a termine le loro azioni di giorno con pieno successo e con perdite insignificanti, ottenendo risultati più efficaci che non nelle consuete azioni notturne, sia per la migliore individuazione della rotta e del bersaglio sia per la possibilità di eseguire meglio il puntamento.
Dal 15 al 25 giugno (i terribili 10 giorni) 205 unità presero parte alle azioni offensive e 63.053 chilogrammi di bombe furono lanciati sopra obiettivi diversi.
Per le avverse condizioni atmosferiche, furono poco impiegati i dirigibili. Attiva ed efficace fu invece l'opera dei "draken", contro i quali s'infuriò la rabbia nemica. Nel periodo della battaglia l'attività dei palloni fu la seguente: 3882 postazioni d'artiglierie rilevate, 898 tiri diretti e 477 osservazioni di carattere vario. L'azione dei "draken" fu più intensa sul fronte della III Armata, dove in due soli giorni furono diretti 210 tiri di artiglieria e nella prima giornata furono individuate 268 postazioni di pezzi austriaci.
Dolorose, se pur non molte, furono le perdite: 7 aeroplani e 3 palloni; morirono però e furono feriti piloti valorosissimi.
Morì il tenente UGO CAPITANIO, il tenente CAMILLO SOMMARIVA, il tenente GIUSEPPE TUBERTINI; morirono il capitano FRANCESCO FASSI e il sergente ANTONIO NAVA. Furono feriti il tenente FLAVIO BARACCHINI, che aveva conseguito la sua 31a vittoria; i capitani POMPEO VACCAROSSI ed ERNESTO SEGNI, il tenente BENEDETTO CLARIS APPIANI e i sergenti GIUSEPPE BIN e RACHELE MORI. Altri otto aviatori non fecero più ritorno alle linee.


LA MORTE DI BARACCA


La perdita più dolorosa fu quella del Maggiore FRANCESCO BARACCA, l'asso degli assi, che aveva raggiunto la sua 34a vittoria. Era nato a Lugo di Romagna. Tenente nei Lancieri di "Piemonte Reale" - scrisse di lui il Civinini - nel 1912 era entrato nell'aviazione, prendendo il brevetto di pilota al campo di Betheny. Entrò in squadriglia al campo di Mirafiori nel marzo 1913; passò nel dicembre 1914 al campo di Taliedo, poi a quello di Pordenone. Nel 1915 fu inviato in Francia al campo di Bourget. In agosto, con la 3a squadriglia da caccia giunse a Campoformido. Il 7 aprile 1916 abbatté il primo apparecchio austriaco nel cielo di Medeazza .... Aveva un petto radioso: sei decorazioni italiane al valore; l'ordine militare di Savoia, una medaglia d'oro, tre d'argento e una di bronzo, oltre le croci di guerra francese, serba e belga. Era bello e prestante come un'atleta; era gentile e fine come una fanciulla. Il suo nome, FRANCESCO BARACCA, lo sterminatore dell'aria, il campione invincibile della guerra aerea italiana. Invincibile era, invitto "rimase". Nessuno dei suoi avversari, che tante volte fuggirono davanti al velivolo dal "cavallino rampante" e alla sua mitragliatrice, che si chiamava "senza perdono", riuscì a vantarsi di averlo colpito.
Francesco Baracca non poteva soccombere in combattimento aereo. Aviatore e cavaliere, cadde come un fante tra i fanti, nel tumulto di una battaglia di fanteria, volando pericolosamente a raso terra per dare il suo contributo al modesto E ANONIMO fante a terra.

All'inizio della "grande offensiva" austriaca, Baracca dopo aver fatto per quattro giorni numerose apparizioni come una saetta nel basso cielo della impari battaglia del fante a terra, scomparve, e non si ebbero più notizie. Molti - per quanto sgradita- sperarono in una cattura del nemico dopo un fortunoso atterraggio.
Cadde invece con una sventagliata di mitraglia il 19 giugno tra la seconda e la terza strada del Montello, mentre, abbassatosi a meno di 150 metri, mitragliava il nemico. Rimasto incolume, accanto all'apparecchio conficcato col muso nel terreno, forse gli diede lui stesso fuoco, e forse si tirò un colpo di pistola ad una tempia per non rimanere prigioniero. Sfondato il fronte, il suo cadavere fu trovato il giorno 24, accanto all'aereo, dagli aviatori Osnaghi e Ranza; il 27 fu sepolto, e Gabriele d'Annunzio compose l'elogio con un'eroica-poetica orazione.

Dopo aver lasciato in sospeso le azioni di guerra sul Piave (che riprenderemo più avanti)
lasciamo ora le gesta dei marinai e degli aviatori...


....e riprendiamo la narrazione degli eventi fuori d'Italia;
che da alcune pagine non ne abbiamo più fatto parola;
cioè in Albania, in Macedonia, in Francia,
e perfino un contingente di truppe italiane in Manciuria-Cina.


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