LA PRIMA GUERRA MONDIALE
DAI BOLLETTINI UFFICIALI

1918

LA SITUAZIONE FUORI D' ITALIA - IL FRONTE OCCIDENTALE

LA DECISIONE DI FARE DUE OFFENSIVE SEPARATE - IL PIANO D'ATTACCO DI LUDENDORFF - I SUCCESSI DI MARZO, APRILE, MAGGIO - LA FRANCIA SI RIPRENDE CON FOCH - L'AUSTRIA FALLISCE IN ITALIA, RIPERCUSSIONI - LA GERMANIA SOLA - L'AUSTRIA DISFATTA - LA FINE DELLA QUADRUPLICE
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In Francia all'offensiva vittoriosa contro Ludendorff, c'erano anche gli Italiani !!!
Il cimitero ossario di Chemin des Dames, o quello di Arcis-sur-Aube ne è una testimonianza.

Ricapitoliamo la situazione prima di giungere al "dopo la battaglia del Piave" (Giugno), e prima della decisione dei generali e dei politici italiani, "se scatenare o no" all'Austria una grande offensiva in autunno (di questo ce ne occuperemo nella prossima puntata).

Abbiamo già visto che la Russia aveva fatto già pace separata con gli Imperi Centrali (dicembre 1917).
La Romania seguì anch'essa necessariamente la Russia, perché l'Esercito rumeno era dietro le linee russe, e firmò ugualmente una pace separata a maggio 1918).
Gli Imperi Centrali erano cosi completamente liberi all'Est (fronte russo).
Nei Balcani ed in Asia Minore gli Austro-Tedeschi consideravano la situazione priva di ogni preoccupazioni.

In tale quadro generale europeo - che dava grande superiorità di forze agli Imperi Centrali- la Germania decise di tentare un'azione risolutiva sul fronte francese. Bisognava far presto, e decidere la partita prima dell'arrivo in forze degli Americani già previsti in giugno.
(Non si sbagliava! Dal giugno iniziarono a sbarcare in Francia 250-300.000 Americani al mese. Verso la fine di ottobre, quando l'Italia si decise di sferrare l'offensiva nel suo fronte, sul suolo di Francia erano già arrivati un totale di 2.000.000 di uomini, e 500.000 in Grecia).


scriverà nelle sue "Memorie" HINDERBURG:

"Speravo che sotto la potente impressione di grandi successi tedeschi, lo spirito combattivo dell'Austria-Ungheria, tanto depresso si sarebbe ridestato".

Era l'effetto, evidentemente, della delusione che dopo Caporetto gli Austriaci si erano dovuti fermare tutto l'inverno sull'intera linea dallo Stelvio al Piave.
Come abbiamo letto nei precedenti capitoli, la grande decisione fu presa in febbraio in una riunione a Bolzano, dove LUDENDORFF diede proprio la "potente impressione" di essere invincibile e riuscì perfino a convincere gli austriaci a far da soli in primavera la "grande offensiva" in Italia. E il più che ottimistico von ARZ capo di stato maggiore austriaco, al suo collega tedesco affermò che ....

"il risultato dell'offensiva, ci dovrà portare fino all'Adige, e mi riprometto lo sfacelo militare dell'Italia".

I tedeschi non avevano una gran fiducia su questo risultato, ma era più che sufficiente per loro che gli Austriaci impegnassero gli Italiani, mentre loro avrebbero scatenato l'offensiva in Francia.
Così, dopo Bolzano, l'offensiva tedesca sul fronte occidentale, fu preparata concentrando sul fronte francese tutti i mezzi disponibili. La Germania ritirò perfino le divisioni che stavano sul fronte italiano.
L'Esercito tedesco diede il via il 21 marzo alla "impresa più grandiosa della sua storia", come l'ha chiamata LUDENDORFF.

Il piano d'attacco tedesco mirava allo sfondamento nel punto di contatto tra l'Esercito francese e quello inglese, per battere poi le due masse separatamente, gettando gli Inglesi contro le coste della Manica.
L'azione produsse realmente lo sfondamento desiderato (ad Arras). I Tedeschi avanzarono rapidamente per una cinquantina di chilometri di profondità, in direzione di Amiens, e determinarono un varco di una quindicina di chilometri tra Francesi e Inglesi.
I due eserciti alleati ebbero perciò una crisi gravissima, in quel marzo. Ma i Tedeschi non sfruttarono subito quel grande successo, e ai primi di aprile gli Alleati poterono perciò chiudere la falla.
La battaglia si accese però subito in Fiandra, e passò poi sull'Aisne, con una successione quasi ininterrotta, gigantesca, violenta.

-come disse Ludendorff alla vigilia dell'offensiva -
"Doveva essere
"una lotta potente, lunga, che, cominciata in un posto, doveva continuare in un altro, fino alla vittoria".
La battaglia infuriò, infatti, fino a giugno, e i Tedeschi fecero ottimi progressi dappertutto.
"Alla fine di giugno -
ha scritto Hindenburg - il risultato delle battaglie del 1918 sul fronte francese …lasciava nell'ombra, dal punto di vista bellico, tutto ciò che si era fatto dall'autunno 1914 in poi nei combattimenti sulla fronte occidentale. La grandezza dei risultati era chiaramente espressa dal guadagno di terreno, dal bottino raccolto, dalle perdite sanguinose dell'avversario. Avevamo scosso l'edificio della resistenza nemica fin nelle sue fondamenta".

E più esplicitamente così riassunse la situazione il generale von CRAMON, addetto tedesco presso il Comando Supremo austro-ungarico, in un suo comunicato:
"Noi abbiamo battuto gli Inglesi a San Quintino e sfondato per oltre 60 chilometri; Amiens è sotto il cannone tedesco; una sola linea ferroviaria mantiene ormai molto precariamente il collegamento tra Inglesi e Francesi. Nella regione oltre 1'Aisne, abbiamo sfondato il fronte francese con un balzo di 50 chilometri di profondità; i Tedeschi sono sulla Marna (30 maggio) e bombardano Parigi giorno e notte".

Ne parleremo in dettaglio più avanti

ITALIA -15-24 giugno 1918
Fu in questa situazione di larghe speranze, della Germania sui Franco-Inglesi, che l'Austria -la quale per effetto della pace con la Russia e la Romania aveva disponibili tutte le truppe che prima erano assorbite da quel fronte, e che era stata rinforzata inoltre da parecchie centinaia di migliaia di prigionieri restituiti dalla Russia - volle concorrere alla gran gara, alla vittoria, attaccando l'Italia sull'intera linea dallo Stelvio agli Altipiani, e dal Piave al mare.

"Il nostro dovere è di attaccare senza riguardi su tutti i teatri della guerra" telegrafò l'Imperatore GUGLIELMO all'Imperatore CARLO I, che guidava il suo esercito da un "quartiere generale" posto su un carro ferroviario dove - scriverà poi Boerevic in difficoltà sul Piave - non c'era mai, o se c'era diceva ai suoi aiutanti di dire che non c'era.

L'offensiva austriaca mirava, come quella già compiuta l'anno prima a Caporetto, all'annientamento dell'esercito italiano. Erano ormai arrivati alla conclusione che l'Italia era un esercito fatto solo di "caporettisti", e che bastava dare solo una potente spallata per andare oltre il Piave da una parte e oltre il Mincio dall'altra.
L'offensiva fu preparata perciò, come ebbe a dire più tardi il Ministro della difesa austriaca,
"con tale larghezza di mezzi, da superare, in intensità e proporzione, tutte le altre precedenti". Con una mole di accurate istruzioni impressionanti contenute nel famoso "manuale" che dell'offensiva teneva conto di due sole eventualità; al punto A) la immediata messa in rotta dell'esercito italiano; e al punto B) una debole difesa che però sarebbe subito stata liquidata nell'arco di dieci giorni.
Agli ufficiali furono distribuite le carte topografiche fino al Mincio. E se Boroevic e Conrad pregustavano già l'entrata trionfale a Venezia, Von Arz già gustava in anticipo quella a Milano.

Ma torniamo dai tedeschi. Nel maggio 1918 si ripeté nello scacchiere occidentale quello che era già avvenuto due anni prima sul fronte italo-austriaco (La famosa Strafexpedition). Come si ricorderà, in quell'anno il generale CONRAD andava allestendo l'ambitissima spedizione punitiva, proprio mentre CADORNA, anziché preoccuparsi di parare la minaccia, pensava ad una nuova offensiva da sferrare, nel solito Isonzo. Ci mancò poco che gli Austriaci non sfondassero scendendo dall'Altopiano di Asiago e dal Pasubio; erano infatti già arrivati nella piana di Arsiero. Non il grosso, ma un gruppo di eroici reparti li fermarono quasi alle porte di Vicenza.

A Parigi accadde quello che allora era accaduto in Italia. Contenuta appena l'avanzata dei Tedeschi nelle Fiandre, FOCH -deciso a risollevare lo stato d'animo dei Francesi, depresso per via delle nuove invasioni e soprattutto per il bombardamento di Parigi - aveva in mente di prendere a sua volta l'iniziativa delle operazioni. Se lo avesse fatto, molto probabilmente gli Alleati, stante la propria inferiorità numerica e la formidabile efficienza difensiva delle linee avversarie, avrebbero subito un altro scacco non meno grave nelle conseguenze morali e materiali, di quello precedente dovuto all'inettitudine di NIVELLE.

Per fortuna dell'Intesa, la Germania non era in condizioni che le consentissero di lasciare tempo all'intraprendenza dei suoi nemici. LUDENDORFF doveva necessariamente prevenire il suo antagonista, impedendogli - sia pure inconsciamente- di commettere un errore strategico non lieve.
Così, per via di un altro fra gli assurdi tanto frequenti nella realtà della guerra guerreggiata, il comandante in capo delle Armate imperiali d'occidente LUDENDORFF... andò in soccorso dell'intesista Generalissimo FOCH.

La terza offensiva tedesca nello scacchiere di ponente fu determinata dalle cause stesse che avevano provocato le altre due. Pure questa volta, in conformità dei propri concetti bellici (sempre) indiscutibili, Ludendorff non si preoccupò di tendere a questa o quella grande meta. Conoscitore imperfetto dell'animo dei soldati e dei popoli e mancandogli 1'intuito psicologico, l'alto condottiero prussiano rinunciò a galvanizzare le truppe con il miraggio di una conquista ambita e facile. Inoltre i battaglioni imperiali dovevano battersi per impadronirsi di trincee sconvolte, di strade intransitabili, di magazzini senza nulla dentro, insomma di tanti mucchi di rovine, perché non era la prima volta che si combatteva in quelle zone.

A parte questo, Ludendorff, senza aver riparato a questi errori, ne commise un altro molto più grave. Presi gli opportuni accordi, fu stabilito che nel mese di giugno la Quadruplice avrebbe compiuto il massimo sforzo possibile per giungere all'ambita vittoria. Però in pratica, i quattro consociati dell'Europa Centrale -in armi contro quasi tutto il mondo civile - erano ridotti a due. Infatti, la Turchia e la Bulgaria, giunte al limite estremo delle proprie risorse, non possedevano più alcuna capacità aggressiva. Rimanevano in campo solo la Germania e l'Austria.
Era logico, per gli Imperi Centrali, riunire le loro energie e gettarsi sopra uno stesso nemico. Questo poteva essere l'Italia o la Francia, e la vittoria sull'una o sull'altra avrebbe condotto a risultati di significato diverso, ma -qualunque criterio si fosse seguito nel dar la scelta all'avversario da abbattere- la concomitanza di questi sforzi s'imponevano nel modo più assoluto.
Invece le trattative intercorse fra LUDENDORFF e VON ARZ portarono a due offensive simultanee nel tempo, disgiunte però nello spazio. Gli Austriaci si impegnarono - come abbiamo già narrato nelle precedenti puntate- nella seconda "grande offensiva" dall'Astico all'Adriatico, nello stesso momento che i Tedeschi si gettavano per la terza volta sugli Anglo-Francesi. Questa disunione fu causa della sconfitta degli uni, della mancata o insufficiente vittoria degli altri e concorse non poco a determinare la catastrofe definitiva della Quadruplice.

Deciso ad agire senza il concorso diretto della Monarchia e senza concorrere alle operazioni degli Austro-Ungarici in Italia, LUDENDORFF si pose il solito problema: la scelta del settore da sconvolgere.
Gli Inglesi con sir DOUGLAS HAIGS si attendevano di dover fronteggiare un nuovo impeto aggressivo nelle Fiandre. Viceversa, Ludendorff scartò subito le ipotesi di altre operazioni contro l'esercito britannico per via delle ingenti forze ormai raccolte a difesa di Reims.
FOCH invece temeva una ripresa dell'offensiva prussiana fra la Scarpe e l'Oise, ma poiché gli avversari, in quel settore, stavano sul chi vive ? il Comando Supremo di Avesnes giudicò impossibile sorprenderli.

Le mazzate tremende di Ludendorff dovevano cadere improvvise. Era necessario, dunque, spostare per la terza volta la direttrice d'urto, portandola in un tratto in cui non c'erano eccezionali preparativi per la difesa ad oltranza.
Fin dalla fine d'aprile, il Comando Supremo di Avesnes aveva deciso di agire lungo il tratto di fronte tenuto dalle Armate del Kronprinz imperiale, elaborando il progetto di una offensiva da attuare fra Pinon e Reims.

Per quanto fosse desiderio di tutti agire senza alcun indugi, la terza offensiva tedesca nello scacchiere occidentale non poté seguire immediatamente la seconda. Come sappiamo, la Germania possedeva la superiorità numerica sugli avversari, ma questa preponderanza, non era poi così tanto ingente. Di conseguenza, non esistevano Divisioni fresche da scagliare all'assalto. Bisognava colmare i vuoti e concedere il necessario riposo ai battaglioni logorati in Piccardia e nelle Fiandre. Per di più le battaglie di marzo e di aprile, erano sì state vinte, ma erano costate all'esercito tedesco una vera ecatombe di ufficiali dei gradi inferiori. Al momento di scattare dalle trincee, i reparti avevano dovuto lasciare indietro qualche ufficiale per non trovarsi poi privi del tutto di un capo. Per quelli morti, nella sostituzione, prima che si ricreasse il pur minimo affiatamento con gli uomini passava del tempo prezioso.
In ogni modo, alla metà di maggio cominciavano i grandi spostamenti di truppe richiesti dalla nuova offensiva, compiuti con rapidità e senza incidenti. I lavori preparatori furono anch'essi condotti a termine in breve tempo. A predisporre l'azione delle artiglierie provvide, con la consueta solerte abilità, l'ormai famoso colonnello BRUCHMULLER.
Da vero prussiano, ERICH VON LUDENDORFF come il solito si recò parecchie volte ad ispezionare di persona il fronte anche nei punti più critici, riportando dalle sue visite sensazioni più che ottimistiche. Del resto fino allora aveva sempre vinto, i Francesi erano in grave crisi, e in fin dei conti non era poi molto lontano da Parigi.
Ed infatti all'alba del 27 maggio, per la Francia, il nuovo dramma, spaventoso incominciò con violenza terrificante.

Il piano delle operazioni tedesche concordato fra il Kronprinz imperiale ed il comandante in capo delle Armate germaniche d'occidente, prevedeva:
1) l'assalto iniziale della VII e della I Armata, comandate rispettivamente dai generali von BOEHM e FRITZ von BELOW, contro Soisson, Fismes e Reims; 2) l'estensione, in un secondo tempo, dell'assalto iniziale, tanto alla destra come alla sinistra del tratto inizialmente aggredito; 3) l'assalto della XVIII Armata, agli ordini di von HUTIER in direzione di Compiègne.

LUDENDORFF non sapeva, né si preoccupava di prevedere fin dove l'avrebbe portato la formidabile spinta impressa alle tre Unità d'urto. Egli confidava di far subire agli avversari un logorio così intenso, da costringerli a richiamare le Divisioni ammassate nelle Fiandre. Con questo, la marcia su Calais sarebbe divenuta possibile.
Anche questa volta, com'era avvenuto nelle due offensive precedenti, i Tedeschi riuscirono a nascondere tutti i loro preparativi, che furono accurati benché frettolosi. La VII e la I Armata, forti di 25 Divisioni di prima linea; altre 17 pronte ad intervenire entro tre giorni, ammassarono i propri battaglioni, sostenuti da 4 mila pezzi, senza che nulla trapelasse nelle trincee avversarie.
A dire il vero, il 26 maggio ? ventiquattrore prima dello scatenarsi dell'uragano, due prigionieri prussiani catturati dai Poilus si lasciavano andare a interessanti dichiarazioni, complete, particolareggiatissime. Però, era troppo tardi. Il generale DUCHÉNE, comandante della VI Armata repubblicana, si trovò nelle condizioni terribili dell'uomo cui viene annunciato un pericolo tremendo, forse mortale, e non può fare nulla per evitarlo. Egli disponeva soltanto di 12 Divisioni, 4 delle quali di riserva, mentre due Armate intere stavano per gettarsi su di lui!
Chissà che logoranti ore di ansia visse il condottiero francese che vedeva delinearsi davanti a sé un disastro irreparabile.

A notte fonda, alle ore 1 antimeridiane del 27 maggio, come accennato, l'uragano tedesco si scatenava sulla Francia con una furia spaventosa.
Il prologo balistico fu breve, ma gli addetti dei 4 mila pezzi, tonanti senza posa si profusero intorno ai mostri metallici dalle gole arroventate, scagliando valanghe e valanghe di bolidi esplodenti sulle linee francesi, di scarsa efficienza e quindi per se stesse poco adatte a reggere a quella grandinata apocalittica. La maggior parte delle granate tedesche erano inoltre cariche di un tossico micidiale e persistente: la famosa yprite, i cui effetti corrosivi si esercitano su quasi tutti i tessuti umani. Per qualche tempo, le trincee francesi furono invase da nubi dense di veleno impalpabile e scosse dallo scoppio di altri "marmittoni" rovinosi.
Mezz'ora dopo le 3 antimeridiane, le fanterie imperiali scattarono all'assalto travolgente. Dissanguati dal bombardamento reso più atroce e micidiale dalla diffusione dei venefici gas, i Francesi ? tanto inferiori di numero ? non potevano opporre che una resistenza insufficiente, limitata ai reparti cui rimaneva tuttavia una certa capacità combattiva. I Prussiani avanzavano a passo di carica, travolgendo facilmente i nuclei avversari che si battevano con l'energia della disperazione.

Nelle prime ore del 27 maggio, le notizie che giungevano di minuto in minuto al Comando Supremo tedesco colmavano di gioia Ludendorff e i suoi collaboratori. Esse superarono le previsioni più rosee.
A1 centro del tratto aggredito, i battaglioni prussiani, superato di un balzo solo il farinoso Chemin des Dames, avevano progredito a passo di carica verso Fismes, conquistata con relativa facilità. Meno importanti, invece, furono i vantaggi territoriali conseguiti dagli assalitori alle due ali. Però la sorte di Soissons era ormai segnata e Reims agonizzava.

I1 28 ed il 29 maggio, la battaglia iniziata dai Tedeschi con così tanta fortuna continuò cruenta, consentendo agli assalitori di accrescere i successi. Le truppe del generale DUCHÉNE si ritiravano in disordine, abbandonando prigionieri, armi, magazzini, villaggi e cittadine. La sera del 29, i Tedeschi erano giunti a Fere en Tardenois e puntavano risolutamente verso la Marna, portandovi le artiglierie. Ormai il rombo fragoroso le sentivano già a Parigi.
Ma per quanto i suoi uomini si avvicinassero a gran passi alla Ville Lumiere, Ludendorff soldato prussiano fino al midollo, la capitale francese non aveva nessun fascino particolare, per lui Parigi era una città qualunque, e quindi non aveva nessuna velleità di conquistarla; un trofeo che invece avrebbe fatto impazzire di desiderio altri condottieri.
La sera del 28 maggio, il comandante supremo delle Armate imperiali d'occidente radunava intorno a sé un vero consiglio di guerra. A questo, il Generalissimo tedesco espose con sobria chiarezza la situazione. I Francesi erano stati duramente battuti al centro, Soissons in fiamme passava ai Prussiani, però i vinti resistevano saldamente alle ali. Reims rimaneva ai Repubblicani, che si sostenevano pure all'altro lato intorno a Retz, nella foresta di Villers Cotterets.

Senza lasciarsi travolgere dall'entusiasmo generale, Ludendorff era propenso tanto a continuare la marcia verso la Marna, come a segnare il passo sulle posizioni raggiunte per rinnovare poi l'impeto furibondo nelle Fiandre, trasformando la terza offensiva in un semplice diversivo.
Il consiglio decise di persistere nelle operazioni tanto felicemente iniziate, rendendo risolutivo l'assalto in direzione di Chàteau Thierry.
In seguito a tale deliberazione, lo sforzo teutonico verso la Marna ricevette un nuovo impulso.

Il 30 maggio, le avanguardie prussiane occupavano Chàteau Thierry. A sera, i Francesi in rotta distruggevano il ponte di Jaulgonne. In quattro giorni di continue vittorie, gl'invasori avevano progredito di cinquanta chilometri!
Per tutta la Francia correva il brivido della sconfitta. Per quanto CLEMENCEAU gridasse dalla tribuna la sua volontà inflessibile di vincere, incitando autorità e cittadini a dimostrare la sua stessa forza d'animo, i parigini abbandonavano la Capitale, tornata allo squallore dei giorni angosciosi del 1914.
I Tedeschi avevano conquistato un vasto territorio a forma di triangolo, col vertice a Cháteau Thierry e la base fra Noyon e Reims. Ma sebbene folgorante il trionfo poteva apparire precario per la salda resistenza francese ai lati della breccia molto estesa. Reims a destra e Reitz alla sinistra, erano i due pilastri solidissimi sui quali si fondavano le speranze angosciose della Repubblica. Considerata l'angustia del fronte prussiano lungo la Marna, prima d'avanzare ancora verso Parigi i Tedeschi dovevano preoccuparsi, ovviamente, di debellare la resistenza dei Poilus sui loro fianchi.
Dalla parte di Reims, l'impeto prussiano avrebbe cozzato contro un terreno collinoso, di per se stesso ostile ai movimenti delle grandi masse armate. Più conveniente appariva agl'Imperiali l'assalto in direzione di Retz, che avrebbe condotto del pari -in caso di felice successo - all'ampliamento del territorio occupato dagl'invasori intorno a Chàteau Thierry.
Mentre Ludendorff si preparava ad agire sulla propria destra in modo da valorizzare la vittoria ottenuta, e da renderla il punto di partenza di una ulteriore offensiva, FOCH con abbastanza sangue freddo, correva ai ripari.

Il 27 ed il 28 maggio, il Generalissimo dell'Intesa era rimasto ad attendere, guardingo e cauto. Nulla sapeva delle intenzioni del suo avversario, quindi la sua condotta temporeggiante ci appare pienamente giustificata dal fatto che l'offensiva tedesca poteva essere una semplice finta, sferrata allo scopo di provocare lo spostamento delle forze anglo?francesi dalle Fiandre alla Marna, con il risultato di rendere possibile ai Prussiani la conquista di Calais.
Solo durante la tragica giornata del 28, la gravità dell'aggressione si rese pienamente manifesta. Lo sforzo vittorioso degl'invasori appariva tanto formidabile e tanto pericoloso, da non lasciar più tempo alle incertezze. La marea nemica dilagava per la breccia enorme, rovesciandosi verso la Marna. Bisognava tentar senza indugio di contenerla. Poiché il nuovo schieramento avversario seguiva un tracciato a saliente, secondo le buone norme dell'arte più difficile, il Generalissimo intesista si propose di trattenere il nemico rendendo più forti i due pilastri laterali, punti di partenza per l'eventuale controffensiva da condurre sull'uno e sull'altro fianco degl'invasori.

Fin dal 29 maggio, FOCH prescriveva al generale MICHELER di mettersi alla testa dei rinforzi avviati verso Reims, dove il valoroso generale GOURAUD aveva già tutto predisposto per la difesa ad oltranza. Il giorno 30 giungeva nella regione di Retz il generale MAISTRE, anch'egli nell'attesa di truppe fresche, già in viaggio per rinvigorire la bella resistenza opposta all'avanzata prussiana dall'XI Corpo, trincerato ai margini della foresta di Villers Cotterets. Infine, per fronteggiare i Tedeschi nella zona di Chàteau Thierry, il Generalissimo dispose per l'entrata in linea, di due Divisioni nordamericane, le prime che erano appena sbarcate.
A questo punto, la vittoria e la sconfitta divenivano - come, non di rado, accadeva nella guerra guerreggiata- un problema di velocità.
Gli Alleati avevano perduto, oltre al territorio e al materiale, l'intera Armata del generale DUCHÉNE, pressoché dissolta dalle tremende mazzate prussiane. Però, stante il loro compito difensivo, potevano sostenersi e vincere in condizione di assoluta inferiorità numerica. Le riserve franco-inglesi bastavano alle necessità gravissime dell'ora quanto mai tragica, ma era necessario il loro afflusso tempestivo sui luoghi della nuova battaglia.

Il fattore logistico acquistava pure questa volta un'importanza decisiva.
Si fossero trovati nelle medesime condizioni dei loro nemici, gli Anglo-Francesi, ben difficilmente avrebbero potuto giungere prima di un'altra catastrofe. Invece, gli eserciti dell'Intesa operanti nello scacchiere occidentale possedevano il vantaggio della mobilità maggiore. Questo non per effetto di un proprio dinamismo intrinseco d'eccezione, ma per via della povertà dei mezzi
di trasporto che impacciava costantemente le mosse dell'esercito prussiano. Fornite tutte le sue braccia valide alle Armate in linea, tutte le materie prime alle industrie belliche, la Germania non aveva modo di mantenere in efficienza le sue ferrovie di un tempo, il cui rendimento diveniva sempre più basso. Né gli autocarri, per difetto di carburante, né i carri, cui mancavano i quadrupedi da tiro, erano in grado di sopperire ai convogli.
Favorito della potenzialità dei propri servizi logistici, Foch precedé i nemici.

Ludendorff aveva deciso che il doppio assalto tedesco da Montdidier a Noyon e da Saissons, tendente a vistose conquiste nella zona di Villers Cotteréts, incominciasse il 7 giugno. Ai Prussiani sarebbe convenuto iniziare la nuova battaglia anche prima, invece i soliti imprevisti protrassero i preparativi fino il giorno 9. Stante la deficienza di trattrici e di cavalli, i Tedeschi incontrarono notevoli difficoltà specie per lo spostamento delle artiglierie.
Le due branche della tenaglia predisposta dal comandante in capo delle Armate d'occidente non si mossero con simultaneità. Il 9 giugno entrò in azione solo la XVIII Armata -la più forte Unità dell'Impero- che lanciò la sua destra contro Mery, la sinistra verso 1'Oise. Da Soissons, la VII Armata intervenne con qualche ritardo.
Questa volta, la sorpresa non si verificò. Foch aveva saputo apprezzare il valore dei caposaldi laterali in suo potere e, spostando convenientemente le proprie Divisioni, li aveva fatti presidiare in modo da renderli inespugnabili

Anche in questa nuova battaglia, come quasi sempre avviene, il primo impeto dei Tedeschi, pur cozzando contro posizioni solidissime bene apprestate alla difesa, conseguì nondimeno qualche risultato.
La XVIII Armata imperiale spinse infatti i suoi battaglioni fino alla Matz, occupando Roltot, Respons, Cambronne, Carlepont. Ma i Poilus ripiegavano passo passo, disputando agl'invasori ogni zolla della terra di Francia, ricomponendosi però sulle linee arretrate, e volgendo sempre la faccia al nemico. Mery alla sinistra e Traug le Val alla destra repubblicana caddero in potere di von Hutier, audace ed impetuoso, che vedeva flettersi innanzi a sé la fronte avversaria.
Però, l'avanzata lenta e faticosa dei Tedeschi non provocava fenomeni di frattura e di dissolvimento. In queste condizioni, Ludendorff avrebbe potuto raggiungere gli obiettivi lontani del nuovo sforzo titanico soltanto in caso di felice riuscita nelle operazioni aggressive fiancheggianti impegnate dalla sua VII Armata.
Per contro, gli assalti furibondi sferrati dai Tedeschi contro la destra dello schieramento francese nel settore critico, non conseguirono alcun risultato. Da questa parte, i Prussiani subirono una sconfitta senza attenuanti che doveva fatalmente ripercuotersi su tutto l'andamento della campagna germano-alleata nello scacchiere occidentale e sul corso della guerra.

Fermato lo slancio degli avversari, Foch passava alla controffensiva.
Gli Americani tentarono di procedere nella zona di Cháteau Thierry. I soldati, pieni d'ardore e di entusiasmo, anelanti di sperimentare il nuovo rischiosissimo "sport", si battevano bene. Ma la guerra moderna non poteva essere solo le gesta di un'ondata di esuberante giovinezza, accesa di passione per gli ardui cimenti. Troppo improvvisato, 1'esercito confederale mancava di coesione, di capacità all'azione collettiva, e soprattutto di capi provetti. I Tedeschi riuscirono facilmente a contenere l'irruenza dei loro nuovi avversari, però i loro battaglioni che avevano passato la Marna per tentare di stabilire una testa di ponte sull'altra riva, dovettero ripiegare.

Miglior successo conseguì la reazione francese sul fronte della XVIII Armata imperiale. Incalzate dalle ondate violentissime dei Poilus appartenenti alle quattro Divisioni lanciate da FAYOLLE alla riscossa, le truppe di von HUTIER si trovarono costrette ad abbandonare in parte il terreno conquistato qualche giorno prima. In questo tratto, la controffensiva repubblicana premeva soprattutto sulle ali del nemico. I Prussiani ripassarono 1'Aronde -l'affluente dell'Oise che si getta in quel fiume presso Compiègne - fino ad una nuova linea a mezzogiorno della Matz.
Con ciò, la terza offensiva imperiale in Francia era virtualmente finita. Al solito, i sussulti della battaglia gigantesca protrassero per qualche tempo la carneficina via via affievolendosi. Tranne i lievi ritocchi dovuti all'assestamento momentaneo degli eserciti contrapposti, il nuovo fronte rimase quello tracciato nella furia di queste lotte.

A questo punto, è naturale un esame, sia pure affrettato della situazione quale si presentava durante la breve tregua seguita alla battaglia titanica.
Abilissimo organizzatore di grandi masse armate, tattico insigne i cui principi si rivelarono -alla stregua dei fatti - indiscutibilmente geniali, nelle tre offensive sferrate in Francia nel marzo, nell'aprile e nel maggio dello stesso anno 1918, Ludendorff si rivelò un condottiero di stampo napoleonico ben degno delle conseguite vittorie.
Infliggendo perdite gravissime agli avversari, strappando loro un bottino enorme, invadendo nuovi territori ricchissimi di depositi e di magazzini, il comandante in capo delle Armate imperiali d'occidente aveva traumatizzato i nemici in modo molto rude. Tanto nelle Fiandre come sulla Marna, le posizioni raggiunte dai Tedeschi si prestavano a meraviglia per un nuovo slancio, forse risolutivo
Ma...
Si può sintetizzare l'opera di Ludendorff dicendo ch'egli giunse fin sulla soglia del tempio sacro alla vittoria, senza penetrarvi.

Infatti, il grande tattico era uno stratega mediocre ed il trionfo definitivo non si consegue senza l'esatta applicazione pratica degli alti dogmi dell'arte bellica, troppo trascurati dal capitano imperiale.
E' vero che i Prussiani bivaccavano sul Kemmel e a Chàteau Thierry. Ma erano ancora "lontani", anzi lontanissimi, sia da Calais come da Parigi. E' inutile ripetere che nella guerra di trincea, in cui un progresso di qualche centinaio di metri può costare un'ecatombe, le distanze non si misurano con gli strumenti degli agrimensori. E' quanto dire che lo sforzo imponente compiuto dall'esercito imperiale nella primavera dell'ultimo anno della guerra tremenda, nonostante i fulgidi successi tattici, non aveva condotto ad alcun risultato definitivo.
Inoltre, nel frattempo, la riserva di spinta, posseduta dai Tedeschi si era sensibilmente logorata. Ormai Ludendorff si trovava a corto di Divisioni solide ed aggressive da scagliare a nuovi travolgenti assalti; aveva truppe stanche, non regolarmente nutrite, e perfino demotivate. Non dimentichiamo che anche dentro le truppe tedesche (oltre che nei "Palazzi" a Berlino) vi erano uomini che stavano guardando alla rivoluzione sovietica in corso.

Era fatale che il comandante in capo delle Armate imperiali d'occidente dovesse scontare il suo grande errore. La battaglia della Matz -come la chiamarono i Francesi - o di Noyon, secondo la denominazione ufficiale germanica, si era appena spenta, quando gli Austriaci sferravano dall'Astico all'Adriatico la loro ultima -meticolosa, preparatissima, "da manuale", - offensiva.
Mentre Ludendorff si accingeva, alla sua quarta aggressione, gli giungeva la notizia dell'amara sconfitta subita dalla Monarchia in Italia, già il primo giorno, sugli Altipiani e lungo il Piave.
Era il principio della fine.
Solo quando Ludendorff seppe quant'era avvenuto in Italia, il Comando Supremo imperiale tentò di rimediare all'errore che era ormai manifesto nelle sue conseguenze catastrofiche. Era troppo tardi!
Anzichè il presupposto del futuro trionfo, le vittorie tattiche di Ludendorff (compresa poi quella del 15 luglio -2a battaglia della Marna) non furono che successi strategici mancati.

"A metà giugno la situazione generale militare della Quadruplice aveva subito un sensibile peggioramento: l'offensiva austro-ungarica in Italia, era fallita"…. "Il mancato successo era accompagnato da conseguenze peggiori di quelle che avrebbero potuto derivare dall'aver rinunziato a quell'attacco. La sfortuna del nostro Alleato era una disgrazia anche per noi".
(Memorie, Hinderburg)

"In giugno, gli Austriaci, menomati materialmente e moralmente, sono inchiodati alla frontiera italiana, sotto pressione, fattasi incombente, dell'Esercito italiano; la disfatta inflitta distrusse infatti nelle Potenze Centrali ogni illusione di poter -dopo aver schiacciata l'Italia- abbattere pure gli Eserciti alleati in Francia, col concorso delle forze austriache, prima del completo arrivo dei rinforzi americani." (Memorie generale Pugliese)

Il 21 luglio in Francia era già cessata definitivamente ogni pressione tedesca e gli Alleati passarono alla controffensiva.
(A ottobre 1918 erano in linea, sulla fronte francese, due milioni e mezzo di Francesi, un milione e mezzo di Inglesi, oltre un milione di Americani. C'erano poi anche i resti dell'eroico Esercito Belga, e una Divisione Italiana - La II comandata da Albricci- Che diede il suo alto contributo di sangue in terra di Francia. L'altare-ossario che sorge ancora oggi ad Arcis-su-Aube lo testimonia (foto di apertura)

La sconfitta riportata il mese prima (giugno) dagli Austro-Ungarici sul Piave ebbe la sua inevitabile ripercussione anche sul fronte francese: rincuorando gli uni, demoralizzando gli altri, mettendo fuori causa o quasi l'Austria-Ungheria, e togliendo infine alla Germania ognuna delle due eventualità; quella di portare aiuto alla sua alleata o quella di riceverne
La Germania rimasta sola, si trovò serrata da ogni parte dai Francesi, Inglesi ed Americani, che dal 18 luglio incominciarono a martellare senza tregua, ora sull'uno ora sull'altro tratto del fronte, con intrepida tenacia.
L'Austria, nello sconforto e nella sfiducia generale, incominciò a dibattersi, ormai in modo palese, nella grave crisi interna delle tendenze separatiste fra le sue nazionalità, cui aveva subito dato buona esca le sconfitte. La Bulgaria, non più sostenuta, rimasta quasi sola, il 29 settembre crollò per prima; trascinò con sé il 30 ottobre la Turchia; seguì il 4 novembre la stessa Austria, ed infine l'11 novembre la Germania completò la disfatta della Quadruplice.
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Spingendoci in avanti sulla situazione generale europea siamo arrivati alla FINE del conflitto, ma noi qui dobbiamo riprendere la situazione italiana prima ancora che accadessero tutti gli avvenimenti sopra accennati.

cioè alla vigilia della fine del conflitto, quando ci si chiedeva
Fare o non fare la "grande offensiva" ?


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