1942
LA DISFATTA IN AFRICA
L'importanza dello scenario africano.
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SI INIZIA CON
L'ATTACCO A TRIPOLI
...

(con le immagini inedite di Luigi Dionisi)

... E ROMMEL NONOSTANTE LA BRAVURA E L'AUDACIA
PERSE LA SUA BATTAGLIA GIA' SUBITO

L'anno '42 termina, mentre sulle nevi russe 235.000 italiani stanno trascinandosi nelle steppe con pochissime speranza di ritornare a casa, e contemporaneamente altri 220.000 nel deserto africano si sono già arresi, o si arrenderanno, e si stanno incolonnando per raggiungere i campi di concentramenti inglesi in Rhodesia o in sud Africa, a 9 mila chilometri dalla patria, che rivedranno alcuni solo nel settembre del 1946.
Di questa testimonianza l'autore ha quella del padre. Che per quanto dura anche questa prigionia le cose andarono un po' meglio. Talmente "meglio" che al loro rientro, negarono ai "perdenti" perfino la paga di soldato, oltre sentirsi dire dagli "imboscati" e perfino dai propri familiari "bravi! voi a fare la bella vita e noi sotto i bombardamenti, nella guerra civile, e nella miseria"
Insomma che era meglio se si fossero arresi "prima ancora di iniziare", avrebbero così accelerato la liberazione, e la guerra sarebbe finita prima. Tutti si erano dimenticati che erano stati loro a spingerli, battendo le mani o benedicendo i gagliardetti quando partivano,  disistimando quelli che invece rimanevano casa.

Dopo anni di umiliazioni sui campi di battaglia con i "carretti armati", e i "fucili Upim, reparto giocattoli", i reduci trovarono al loro ritorno  anche quest'altra umiliazione. E scoprirono pure che più nessuno era fascista; eppure le madri e i padri erano stati loro ad allevarli e a vestirli fin da bambini con le divise, erano stati loro a insegnare il "credo", e a indicare come doveva essere la loro vita futura. Che dire dei "professori", "educatori", "opinionisti"? Quelli? spariti tutti!
Che tradimento per molti giovani! Il tradimento di una intera generazione di padri; che non ebbero neppure la dignità di fare silenzio, né vollero rispettare chi voleva piangere in pace; e non solo per una guerra persa dopo tanti sacrifici, "ma per come la si aveva persa"; eppure altri "ora dicevano" quasi con orgoglio "vinta"; e che loro avevano combattuto in pianura nelle valli e in montagna. Ma prima dov'erano?

Oppure, ogni soldato che si rispetti, può forse lui decidere un bel mattino cosa fare, come farlo e con chi farlo? 
Allora si giustifica, per il passato come per il futuro la diserzione, il sabotaggio militare, il venir meno al giuramento di fedeltà, ognuno allora è giustificato se interpreta il dovere verso la patria secondo le sue opinioni o i suoi interessi personali. Allora vedremmo le idee di patria  trasformarsi in quella lavagna dove ognuno un bel mattino alzandosi può scrivere o cancellare tutto quello che vuole e quando vuole.
E dove finiscono le distinzioni morali, l'etica, il diritto, in tempo di pace come in tempo di guerra?

Che batosta! per chi aveva creduto nei padri, nei nonni, nei "maestri, e nelle favole che per anni e anni, durante tutta la loro gioventù, gli avevano raccontato.
Solo dopo parecchi anni, i poveri cristi, scopriranno alcune pagine di qualche ex ufficiale: " Allo scoppio della guerra? I più fecero come chi scrive, cioè nulla. Ci lasciammo portare dagli avvenimenti quasi dissolvendoci in essi, e senza contribuirvi nè in un senso nè nell'altro. Quelli di noi che vennero richiamati alle armi, cioè quasi tutti, non furono soldati traditori, ma nemmeno buoni soldati".
Scrisse Montanelli, su L'Italia dell'Asse, Rizzoli ed. 1981.

Bravo!!! Ma come si permette?!

Che brutta "liquidazione" per tutti coloro che invece si erano battuti come leoni da una parte e dall'altra, quelli che si immolarono a Cefalonia, quelli caduti in Russia, quelli sprofondati negli abissi marini o seppelliti nella sabbia di El Alemein; e che dire di quelli che sono tornati mutilati? Chi ha il coraggio di dirgli "noi quasi tutti non abbiamo contribuito"? oppure,  non eravate "traditori ma nemmeno buoni soldati"? oppure "i più fecero come me, cioè nulla"?  Imsomma dirgli chiaro e tondo che "il fesso era stato solo lui il combattente che aveva creduto loro".

E a quelli della "Folgore" vivi e morti cosa gli diciamo? Fessi?!

Chi scrive qui è stato dentro alla "Folgore", negli anni '50, a Viterbo. Lì, come miei istruttori, alcuni dei sopravvissuti, come il Colonnello Mautino, o il maresciallo Vanna che allora dirigevano il centro CMP, e volavamo ancora con i SM 80-82 della guerra (le famose "vacche"). Quando mi raccontavano degli amici che avevano lasciato laggiù, dimenticavano i gradi che avevano addosso e piangevano come dei bambini e non erano più capaci di andare avanti, concludevano dicendo basta, basta basta!
Alla resa (che gli inglesi non ebbero nemmeno il coraggio di chiedere, davanti a quella scena di disperata dignità militare) in quel 6 novembre 1942, quelli della Folgore, messi in riga, l'ufficiale rivolgendosi a loro e portando la mano alla fronte, lesse la forza: "Ufficiali, 32, truppa 262".
Di 5000 uomini della "Folgore" ne restavano vivi solo 294 !

E Montanelli osa dire "non furono soldati traditori, ma nemmeno buoni soldati", e aggiunge "noi quasi tutti non abbiamo contribuito".

Rommel era invece di questa opinione ""Gli italiani, qui in Africa, sono degli ottimi camerati e dei bravi e valorosi soldati. Se avessero i nostri mezzi, potrebbero gareggiare con le nostre migliori truppe. L'episodio di Giarabub  rivela le doti di coraggio degli italiani.... l'unica cosa viva qui è il valore e il coraggio dei piloti italiani; un nostro aviatore rifiuterebbe di decollare con quegli apparecchi che qui chiamano a ragione "Totebahren" "Casse da Morto". (dal Diario di Rommel - vedi)
E poi quest'altra opinione, fatta dai nemici ! : "...i resti della divisione Folgore (ad El Alemein) hanno resistito oltre ogni limite delle possibilità umane" (la citazione è della BBC inglese, dell'11 novembre a battaglia conclusa).

Alcuni anni dopo, Carrel Barret, lo storico inglese così commentò: "Considerata l'immenza disparità di forze tra le opposte armate, quel che sorprende non è il fatto che vincessimo la battaglia, ma che fossimo sul punto di perderla".

Rommel fu sbalordito dall'eroismo degli italiani "I tedeschi hanno meravigliato il mondo, ma gli italiani hanno sbalordito i tedeschi"

Il padre di chi scrive si salvò dalla cattura ad El Alemein, perchè rimase fermo tre giorni con il camion 50 chilometri prima, senza carburante, ma non riuscì a scampare -dopo la battaglia del Mareth- alla resa di Messe in Tunisia. In quanto a opinioni, le sue collimavano con quelle di Rommel, non con quelle di Montanelli (lui non c'era, i "buoni soldati" invece c'erano!). Messe aveva scritto "condividerò la sorte dei miei soldati, anche con la prigionia se necessario", ma poi lui dalla Tunisia, volò a Londra a fare i brindisi, per rientrare pochi mesi dopo a fianco del re e di Badoglio come Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate (ovviamente a far la guerra contro quelli che fino a pochi mesi prima erano i suoi alleati e i suoi soldati, guidati da lui prima in Russia, poi in Africa).

Rommel scrivendo alla moglie il 14 novembre (mancavano 8 mesi alla caduta di Mussolini) non si sbagliava. "Da Roma mi sono giunte preoccupanti notizie sulla situazione italiana. Al Comando Supremo italiano l'atmosfera è oscillante, grigia e gravida di elettricità. Le ostilità contro di noi aumentano. Si teme, negli ambiente  della Corte vi siano correnti che premono sul Re d'Italia perchè prenda in mano la situazione interna italiana e limiti l'autorità del Primo Ministro (Mussolini). Voci darebbero sicuro al nostro servizio informazioni che la Principessa ereditaria, MARIA JOSE', abbia avuto, tramite una sua amica francese, dei contatti con diplomatici americani ed inglesi in Svizzera per una pace separata. Sarebbe mostruoso!" - " Il Maresciallo Cavallero capo del Comando Supremo italiano sarebbe stato silurato per ordine del Re d'Italia"

Ancora più mostruoso è che Messe è al suo fianco, poi messo da solo a guidare gli italiani. "I non buoni soldati" che con Messe, tutto avevano capito, meno da che parte dovevano stare.
 (compreso il padre di chi qui scrive, Gonzato Giuseppe, che per "fortuna" morì nel 1958. Ha evitato di leggere che "non era un buon soldato". Partito nel 1935, tornato nel 1946! dopo essere stato sbattuto in Somalia, Eritrea, Ethiopia, Sudan, Libia, Tripolitania, Tunisia, finì poi prigioniero in Kenia, poi trasferito in Uganda, Tanzania, Rhodesia, Mozambico, infine gli ultimi due anni in Sud Africa).

Montanelli scrive quanto letto sopra, quando proprio su "Civilta Fascista" lui scriveva dall'Africa nel '36::
"Ci sono due razzismi: uno europeo - e questo lo lasciamo in monopolio ai capi biondi d'oltralpe; e uno africano - e questo è un catechismo che, se non lo sappiamo, bisogna affrettarsi a impararlo e ad adottarlo. Non si sarà mai dei dominatori, se non avremo la coscienza esatta di una nostra fatale superiorità. Coi negri non si fraternizza. Non si può. Non si deve. Almeno finchè non si sia data loro una civiltà..... non cediamo a sentimentalismi...niente indulgenze, niente amorazzi. Si pensi che qui debbon venire famiglie, famiglie e famiglie nostre. Il bianco comandi. Ogni languore che possa intiepidirci di dentro non deve trapelare al di fuori".
e poi ancora quest'altra bella perla...
Il suo "desiderio" fu accontentato ma (come scriverà poi) non "contribuì"......


:
(Indro Montanelli. dicembre 1935. Da "Civiltà fascista" N.1, gennaio 1936 - che abbiamo in originale)

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L'ATTACCO A TRIPOLI


Nell'aprile del 1941 Rommel in Africa ignorando gli ordini di aspettare fino a maggio, il 2 aprile riprese la sua avanzata con una brillante offensiva a tenaglia e con degli attacchi audaci contro gli inglesi che avevano appena poche settimane prima conquistata la Cirenaica. L'audacia premiò il maresciallo Rommel, in pochi giorni mise nel caos le forze inglesi che costretti alla disordinata e improvvisa ritirata persero quasi tutti i carri armati della loro brigata corazzata. Addirittura O'Connor e Neame inviati sul posto per riprendere in mano la critica situazione, mentre era in pieno svolgimento la battaglia, caddero prigionieri dei tedeschi.
Senza entrare nei particolari, nel farla breve, in otto giorni, l'11 aprile, gli inglesi erano stati spazzati via dalla Cirenaica e costretti a riattraversare la frontiera egiziana. Nelle alte sfere erano allibiti e molto imbarazzati. Solo poche settimane prima avevano celebrato la folgorante conquista della Cirenaica mentre ora gli inglesi se la stavano dando a gambe con un ostinato Rommel determinato a inseguirli fino ad Alessandria. (rifornimenti alle sue spalle permettendo; questo era estremamente essenziale visto che si era allontanato molto da Tripoli).


Churchill considerò la situazione "un disastro gravido di conseguenze". A costo di indebolire la posizione dell'Inghilterra si privò di molti mezzi sull'Isola, e con una lettera del 14 aprile al
comandante supremo delle forze britanniche in Medio Oriente, Wawell impartì le nuove direttive per lo scacchiere Mediterraneo:
1) Colpire con tutti i mezzi il traffico marittimo
fra l'Italia e la Libia, ne va di mezzo la reputazione della marina britannica; 2) minare, bloccare e bombardare il porto di Tripoli; 3) Difendere la base militare di Malta (considerata molto strategica); 4) compiere continue incursioni; 5) rafforzare Tobruck per impegnare il nemico in operazioni d'assedio; 6) condurre azioni di disturbo con piccole formazioni anche con scaramucce per costringere l'avversario a consumare munizioni il cui rifornimento deve essere difficile, perchè questi noi lo impediremo con attacchi aerei; 7) impegnare a fondo la RAF.

Concentrò in Egitto mezzo milione di uomini; 307 carri armati zulle navi il 6 maggio passarono lo stretto di Gibilterra, e non disturbati dai pochi caccia tedeschi, direttamente attraverso il Mediterraneo giunsero regolarmente ad Alessandria; intanto l'Ammiraglio Cunningham iniziò a bombardare le istallazioni portuali di Tripoli; e quelli della RAF s'impegnarono a fondo a bombardarle... come desiderava Churchill.

Il destino di Tripoli, della Libia e dell'intera guerra era ormai segnato fin d'ora.
Ma non per le nuove direttive o per l'abilità degli inglesi; a favorirli ci si misero i responsabili politici e le alte gerarchie delle tre Armi italiane che non inquadrarono fin dall'inizio nella giusta luce questa guerra in Africa, anzi la consideravano una palla al piede, fastidiosa rispetto a ciò che era accaduto, stava accadendo e accadrà dal 22 giugno 1941 in poi sul continente. Molti non prestavano attenzione a quello che andava dicendo Rommel, consideravano la sua guerra di terz'ordine, e
questo lo umiliava: "Momentaneamente - Rommel annota nel suo Diario - siamo i parenti poveri".

In verità un po' più lungimiranti i tedeschi lo erano stati in precedenza, ma ora, tutti dentro nei comandi tedeschi - eccitati dal "caporale", pensavano più solo alla grande Russia, gli altri fronti rimasero nell'ombra. Quelli dell'OKV ancora nel luglio 1940, avevano offerto allo Stato Maggiore italiano due divisione per partecipare alla guerra in Africa e soprattutto per "appoggiare l'attacco al canale di Suez". Ma l'offerta fu respinta dall'Italia. Le gelosie fra i due "caporali" erano una norma, e lo erano perfino dentro le stesse tre regie armi.

Più tardi, già in crisi in Grecia, quando lo furono anche in Africa, gli italiani dovettero sollecitare e accettare l'"Afrika Korps" compreso il comando delle operazioni, in mano tedesca; ma non bastarono nè gli aiuti, nè bastò il valore di Rommel, perchè era ormai troppo tardi. Inoltre cominciarono a non arrivare nemmeno i già modesti rifornimenti, puntualmente affondati prima di raggiungere la destinazione.
Amareggiato, furibondo, depresso, sentendosi già sconfitto Rommel annotava sul suo diario "siamo condannati a essere seppelliti nella sabbia; per fare arrivare 20 tonnellate di materiali consumiamo 100 tonnellate di carburante". 

Malta che dall'Africa invano Rommel sollecitava la conquista, non solo era diventata una fortezza, ma era diventata la base più strategica non solo del Mediterraneo ma una base in grado di condizionare l'intero conflitto.
Hitler (piuttosto scocciato) aveva inviato alcuni Stukas, che però non risolsero la situazione; mentre Churchill aveva deciso che i tedeschi e gli italiani (ma Mussolini era già pronto con il cavallo bianco per entrarci) non dovevano raggiungere Alessandria.

Uno Stukas, appena atterrato sulla pista "Castel Benito Mussolini"
in una sbiadita diapositiva a colori di Dionisi


Se i tedeschi e gli italiani avessero vinto il match con gli inglesi in Africa giungendo fino ad Alessandria, avrebbero poi avuto tutte le porte aperte per andare a ricongiungersi nel Caucaso con le armate tedesche- impossessandosi così da sud dei preziosi campi petroliferi rumeni e dei campi cerealicoli ucraini- quelle stesse armate che poche settimane dopo iniziarono ad essere drammaticamente impegnate (e a corto di carburante e vettovaglie) nell'invasione della Russia.

Scriverà il generale francese L.M. Chassin "...la cattiva organizzazione degli italiani consentì agli inglesi di contenere la pressione di Rommel pur subendo brucianti sconfitte fino all'arrivo dei rinforzi". Ma non si diedero sconfitti gli inglesi. Questo perchè quelli che guidavano le operazioni, continua Chassin "Avevano concezioni strategiche con visione mondiale, nel quadro della quale ogni operazione ha sempre trovato il posto che le spettava".

E questa operazione il suo posto la assunse in primo piano il 22 giugno quando a sorpresa i tedeschi iniziarono l'invasione russa; l'operazione Libia rappresentò la chiave di tutte le altre successive operazioni di guerra; sarebbero stati guai seri se le armate di HItler si congiungevano a sud ovest della Russia. E questo Churchill l'aveva capito già il 14 aprile con molto anticipo , non per nulla disse che la perdita della Cirenaica era "un disastro gravido di conseguenze"; non per nulla sguarnì la Grecia e sguarnì la sua stessa l'isola per correre in Africa.
Sorge il dubbio che il 14 aprile Churchill già sapesse che Hitler non avrebbe rivolto le sue armate verso l'Inghilterra, ma verso
Stalin. Non solo il Primo ministro tirò un sospiro di sollievo ma nemmeno gli dispiaceva che Hitler attaccasse il "diavolo" bolscevico: Ma quando - con sua grande sorpresa- dopo pochi giorni i Russi fermarono a Smolensk le panzedivision di Hitler, Churchill cambiò parere, e si alleò con il "diavolo".
Rammentiamo che annientata l'Africa, proprio dalla Libia gli Alleati poi salparono per sbarcare in Sicilia, aprendo per il Hitler un altro drammatico fronte, ma non per risalire la penisola e quindi puntare su Berlino, ma per impegnare le armate tedesche a sud, cosa che puntualmente Hitler fece togliendole dalla Russia, dove già a Kurks erano andate in crisi.

LE IMMAGINI DELL'INFERNO DI TRIPOLI
di Luigi Dionisi


LUIGI DIONISI (in Libia dal 1940 al 1943 tenente del Genio e comandante della Compagnia Fotoelettricisti P. T. di Tripoli, compagnia da lui stesso formata e organizzata alla fine del 1940 col compito contraereo-siluranti in difesa della città e del suo porto) scattò moltissime immagini dell'attacco a Tripoli; di alcune -queste che pubblichiamo inedite- gli venne la fortunata idea di inviarle a casa sua a Roma, mentre tutto il materiale prodotto e raccolto successivamente fino al 1943 andò poi perduto nella (anomala) resa di Messe in Tunisia, insieme a tutto il resto.
Gentilmente concesse a "Storiologia" da sua figlia Alberta Dionisi pubblichiamo queste sequenze drammatiche: la distruzione delle navi avvenuta nel corso delle incursione degli aerei della RAF nel porto di Tripoli.
La direttiva n. 2 di Churchill " bombardare il porto di Tripoli" era insomma iniziata.


Nei giorni precedenti il 14 aprile, così era il porto, con le navi alla fonda,
che normalmente facevano la spola con l'Italia per i rifornimenti



sembrava tutto tranquillo.....

poi, poco prima dell'alba del 3 maggio si scatenò l'inferno....


... le prime bombe, con le onde d'acqua alte cento metri


.... viene colpita la "Città di Bari"


salta in aria e si disintegra la "Birmania"


... una immagine del porto visto dalla terraferma


... i falò delle navi

quasi al centro dell'immagine, si può notare in mezzo alle due fumate delle esplosioni l'idrovolante Pace anch'esso colpito dal bombardamento, e mezzo affondato. Questo idrovolante che ammarava periodicamente all'idroscalo di Tripoli era sempre pilotato dal comandante Figini: portava la posta dall'Italia e quant'altro ai nostri soldati , ed era sempre attesissimo.

...i poveri resti di una nave in agonia, nulla da fare per il rimorchiatore



... ma anche la città di Tripoli subì danni considerevoli



poi venne...
LA DISFATTA IN AFRICA
L'importanza dello scenario africano.
Tra il 1940 e il 1942 si combatterono alcune delle battaglie più spettacolari e dure della Seconda guerra mondiale, nello scenario suggestivo e altresì letale del deserto nordafricano.
Allo scoppio del conflitto, quando l'Inghilterra resisteva, isolata dal mondo, sotto le bombe del Führer, le uniche buone notizie potevano venire dall'Africa del Nord, dove le truppe del nuovo nemico italiano certo erano più abbordabili e affrontabili rispetto a quelle tedesche. Lo scenario africano offriva anche priorità e potenziali vantaggi indubbi, e quando anche Hitler e il suo Stato Maggiore si accorsero di questa realtà, non esitarono ad inviare, accanto agli alleati italiani, un giovane, ardito, astuto generale di nome Rommel.

Già nei mesi precedenti lo scoppio della Seconda guerra mondiale gli Alleati avevano studiato come realizzare un'offensiva contro l'Italia, che controllava la colonia di Libia, stretta tra la Tunisia francese e l'Egitto britannico. Purtroppo la subitanea caduta della Francia intralciò questi piani, e le forze britanniche ben presto compresero come fosse assolutamente difficile la situazione su quel teatro. L'Egitto inglese - forte di soli sessantamila uomini agli ordini del Generale Sir Archibald Wavell - avrebbe dovuto controllare dagli attacchi italiani un'area di novemila chilometri quadrati, comprendente nove paesi dalla Turchia alla Somalia, vale a dire l'intero Medio Oriente, giù fino al Nord Africa.

L'importanza di quest'area era indiscutibile: il petrolio del Golfo Persico era il suo tesoro, il mezzo - per Londra - per non dipendere dal combustibile americano, e ciò che avrebbe risolto i problemi di manovra e avanzamento dei tedeschi e degli italiani, sempre a corto di carburante, essendo le proprie imbarcazioni quasi sempre abbattute e neutralizzate dagli Alleati nelle acque del Mediterraneo. In Libia, trecentomila soldati italiani preparavano l'assalto: l'Egitto diventava così l'ultimo baluardo per difendere il Medio Oriente. Senza dimenticare che l'Egitto offriva ottimi porti, rifornimenti d'acqua e agili arterie di comunicazione.
La campagna nordafricana consistette dunque essenzialmente in questa logorante guerra di confine, che vide continui rovesci di fronte. Il deserto divenne quindi lo scenario nel quale - in una sorta di guerra "marittima" - si affrontarono, al posto delle navi, i carri armati. Grandi spazi, il cielo come bussola, la mancanza di acqua, l'assenza di centri abitati e di ostacoli naturali.
Le prime vittorie britanniche
I primi scontri tra inglesi e italiani videro attestare, da una parte, le forze al comando del generale Rodolfo Graziani, a Sidi Barrani, in una serie di campi trincerati, e dall'altra quelle agli ordini di Wavell nella zona di Marsa Matruh. La mossa vincente di Wavell fu senza dubbio la designazione al comando delle forze del deserto occidentale di R.N. O'Connor, piccolo, sagace Maggiore Generale che, con grande intuito, riuscì a trasformare una guerra difensiva in un'offensiva. Nonostante i soldati inglesi fossero di numero nettamente inferiore, apparivano meglio equipaggiati e con un morale più alto. Con soli trentaseimila uomini organizzati in due divisioni - la 4a indiana (fanteria) e la 7a corazzata - e supportati da un'efficace artiglieria, la Western Desert Force di O'Connor, in due soli giorni di combattimento, tra il 9 e il 10 dicembre 1940, sconfissero due corpi d'armata italiani, fecero trentottomila prigionieri, neutralizzarono 73 carri armati, 37 pezzi di artiglieria. Accusando solo 624, tra caduti, feriti e dispersi! Una vittoria schiacciante.

Un solo mese dopo, il 3 gennaio 1941m O'Connor portava i suoi uomini, senza ubbidire agli ordini di mettersi sulla difensiva, alle porte di Bardia e la conquistò in un giorno: facendo altri quarantamila prigionieri, distruggendo 13 carri armati nemici, impossessandosi di 440 mitragliatrici e 706 camion. Tobruk cadde a fine gennaio, con altri venticinquemila prigionieri. Alla fine, dopo ulteriori successi nel mese di febbraio in Cirenaica, O'Connor aveva - in dieci settimane - catturato 130.000 prigionieri, 400 carri armati e 1290 cannoni.
A questo punto l'errore marchiano - che venne comunque da Londra, fu quello di ordinare fermamente a O'Connor di arrestarsi, senza puntare a Tripoli, e convogliare le forze in aiuto della Grecia, invasa dai tedeschi. La Western Desert Force, che aveva realizzato una serie impressionante di vittorie, si sciolse. Non solo: quella catena di successi sarebbe servita a far giungere sulla scena nord africana i tedeschi. Guidati da un uomo che avrebbe dato filo da torcere agli Alleati: il 12 febbraio giungeva infatti a Tripoli Erwin Rommel, ben presto nominato - per la sua astuzia e le sue capacità di movimento delle truppe - la "Volpe del Deserto".
Erwin Rommel, la leggenda di un comandante
"A tutti i comandanti e i capi di Stato maggiore dal Quartiere Generale B.T.E. e M.E.F.
Esiste realmente il pericolo che il nostro amico Rommel diventi una specie di stregone o di spauracchio per le nostre truppe, che cominciano a parlar troppo di lui. Pur essendo indubbiamente molto energico ed abile, egli non è assolutamente un superuomo. Anche se fosse un superuomo, sarebbe sempre deprecabile che i nostri uomini gli attribuissero poteri soprannaturali. Desidero che usiate tutti i mezzi possibili per dissipare l'idea che Rommel rappresenti qualcosa di più che un comune generale tedesco. L'importante è che si eviti di parlare sempre di Rommel quando intendiamo riferirci al nostro nemico in Libia. Dobbiamo dire i tedeschi o le potenze dell'Asse o il nemico e non ricadere sempre sul nome di Rommel. Vi prego di assicurarvi che quest'ordine venga posto immediatamente in atto, e di far capire a tutti i comandanti che, da un punto di vista psicologico, si tratta di una questione della più alta importanza.
Firmato: C. J. Auchinleck, Generale Comandante in capo delle forze in medio Oriente".


A questo, dopo pochi mesi dall'arrivo della "Volpe del deserto" in Africa, si sarebbe giunti: a una disposizione ufficiale, cioè, affinché gli stessi soldati alleati non fossero portati a considerare Rommel una sorta di leggenda imbattibile. E dire che le fortune del generale tedesco furono certo spettacolari, ma in un numero non superiore a quelle di altri colleghi e avversari. Senza dubbio, le circostanze, un innegabile carisma dell'uomo, contribuirono alla nascita della leggenda della "Volpe del deserto".
A tutto questo, però, va aggiunta un'abile politica di propaganda del III Reich (in questo il ministro Goebbels fu un maestro), un'astuta attenzione ai particolari "estetici" da parte del generale stesso (sempre seguito da fotografi e giornalisti, con loro sempre compiacente). Ultimo aspetto, non indifferente, il rapporto speciale che il generale seppe instaurare con i propri soldati, e il valore degli stessi, organizzati in quella che doveva essere una sperrverband - una forza di blocco - e che divenne, nelle mani di Rommel, una formidabile macchina d'attacco: l'Afrikakorps.

Come cadde la scelta, da parte di Berlino, di inviare proprio Erwin Rommel in Africa? L'ufficiale era già celebre in Germania, come eroe nella Prima guerra mondiale, e come istruttore (seppur dimostratosi poi molto poco "zelante") della Hitlerjugend, la Gioventù Hitleriana. I contrasti con la dirigenza hitleriana lo avrebbero allontanato dal ruolo, e le sorti della guerra lo avrebbero posto, nei giorni bui della sconfitta, in contrasto talmente netto con il nazismo che il generale-simbolo sarebbe divenuto un nemico da schiacciare.
In origine, il comandante prescelto per l'Africa avrebbe dovuto essere il generale Hans von Funk, un aristocratico prussiano. Eppure la spuntò il "plebeo" Rommel, che non vantava tradizioni familiari militari, ed anzi era entrato nell'esercito con l'opposizione paterna. I Rommel era una famiglia sveva, di modesta agiatezza, senza particolari conoscenze nel mondo che conta, totalmente avulsi dalla mentalità e dai privilegi della casta degli ufficiali prussiani. Eppure, furono proprio queste radici umili ad esaltare il Führer che, lui ex semplice caporale, evidentemente vi si riconosceva.

Il 19 giugno 1910, a soli diciotto anni, Erwin Rommel era entrato nell'esercito, nel 124esimo reggimento di fanteria a Weingarten, con il grado di "aspirante". Prima come soldato semplice, quindi e solo successivamente ammesso alla Kriegsschule, l'accademia militare. Durante la prima guerra mondiale, contro gli italiani, il giovane Erwin si era meritato l'onorificenza Pour le Mèrite. Fra le due guerre, l'ufficiale aveva scritto alcuni trattati sulle tattiche di fanteria. Sulle tattiche, per l'appunto: perché Rommel fu sicuramente più un eccellente tattico che un bravo stratega. La propaganda nazista esaltò successivamente Rommel quando, alla testa della velocissima "Divisione Fantasma" (250 km al giorni di marcia) entrò nel 1940 in Francia. Hitler ritenne che un comandante di quella tempra potesse muoversi con sagacia sul teatro africano. E per Rommel, afflitto dai reumatismi, il sole e il caldo africani
sembravano, opportunamente scansando i proiettili del nemico, l'habitat più salutare.

Rommel sarebbe rimasto in Africa settentrionale per poco più di due anni, durante i quali sarebbe stato protagonista di un'immediata ascesa (le prime importanti operazioni), da alcune delusioni (la mancata conquista di Tobruk il 1 maggio 1941), da eroiche resistenze agli assalti britannici nell'estate di quel primo anno africano, una bruciante ritirata fino alla Cirenaica sotto i colpi dei Generali Auchinleck e Ritchie, un'avanzata nel febbraio 1942 e poi, nel maggio di quell'anno, l'avanzata più spettacolare, quella che porterà l'Afrikakorps, in un solo mese, oltre Tobruk, oltre il confine egiziano, superando Marsa Matruh, Bagush, El Daba e arrivando alle porte di El Alamein. A questa meta fatale si fermano le illusioni della "Volpe del deserto", così come dei suoi alleati italiani. A pochi chilometri da Alessandria e dal trionfo. Dopo mesi di stallo e logoramento reciproco con il nemico, diretto dall'altrettanto mitico generale britannico Montgomery, il 12 maggio 1943 gli ultimi elementi dell'Afrikakorps si sarebbero arresi in Tunisia, mentre il loro comandante, in Germania, cercava da qualche settimana di convincere Hitler a salvare i propri uomini, abbandonati a loro stessi.
Afrikakorps: avanzata verso oriente
Non potendosi in questa sede affrontare tutti i risvolti della campagna d'Africa, basti compiere un salto indietro, per analizzare gli improvvisi successi dell'Afrikakorps. Va detto innanzitutto che una delle carte vincenti di Rommel fu senza dubbio la sua imprevedibilità: non solo per il nemico, ma per i suoi stessi superiori a Berlino. Come scrive il reduce Desmond Young in "
Rommel - La volpe del deserto", "[…] si può dire, a giustificazione del nostro servizio informativo, che Rommel prese di sorpresa gli stessi suoi superiori di Berlino. Egli iniziò l'offensiva il 31 marzo. Dieci giorni prima, il 21 marzo, il comando dell'esercito tedesco l'aveva invitato a formulare un piano per la riconquista della Cirenaica e a presentarlo non più tardi del 20 aprile. Doveva essere un piano ispirato alla massima prudenza. Trovandosi di fronte a massicce forze britanniche, Rommel non doveva portarsi oltre Agedabia finché non fosse arrivata la 15esima Panzerdivision. […] Nove giorni prima della data stabilita per l'inoltro del piano, Rommel aveva già riconquistato la Cirenaica, ad eccezione di Tobruk, e raggiunto la frontiera egiziana".

Gli inglesi cominciavano a temere l'Afrikakorps e l'urlo di battaglia dei suoi soldati, "Heia Safari!": che in lingua bantù significava "ancora avanti!". Rommel, quindi, non solo non ascoltava Berlino: non ascoltava lo stesso Führer, che il 3 aprile gli telegrafò di mostrarsi più cauto e di non dare via ad un'offensiva su larga scala. Tanto più che il generale italiano Gariboldi, formalmente suo superiore, ovviamente non gradiva né questa anarchia, né il prestigio conquistato da Rommel.
Ma Rommel era uomo incapace di stare sulla difensiva. La grande intuizione del generale fu comprendere l'importanza dell'uso del carro armato in uno scenario come quello desertico, predisposto ad agili e veloci spostamenti. Il deserto, pur con le sue insidie, non doveva né poteva costituire un ostacolo: né la sabbia, che faceva sprofondare gli autocarri fino agli assi, né il ghibli, il vento caldo e secco che scatenava tempeste di sabbia. Le file motorizzate dell'Afrikakorps dovevano proseguire, sotto (letteralmente sotto) l'occhio vigile del loro comandante: quando non marciava insieme ai suoi soldati, Rommel vi planava sopra a bordo di un aereo personale e, qualora scorgesse unità disperse, faceva scendere in picchiata il velivolo e gettava scatole con messaggi di questo tono: "Se non vi rimettete in moto immediatamente, vengo giù io. Rommel".

Il comandante stava spesso e volentieri in mezzo ai suoi soldati, mangiava insieme a loro e condivideva con loro i pericoli, entrando nelle trincee con loro. Un sottufficiale, il Maggiore von Mellenthin scrisse: "Rommel sapeva come far sentire un uomo immortale". In cambio, si creò un legame unico tra la "Volpe" e i soldati semplici: non era inconsueto che questi ultimi acquistassero nei mercati locali frutta e verdura che puntualmente inviavano al proprio comandante.
Ai primi di aprile, l'Afrikakorps era a meno di 20 chilometri dalla fortezza turca di Mechili: questa cadde sotto i colpi delle truppe tedesche, che fecero duemila prigionieri (tra cui settanta ufficiali) britannici. A Mechili Rommel requisì alcuni mezzi mobili utilissimi, tra cui il mitico "Mammut", il quartier generale mobile, trasformato in un trofeo di guerra, e dal quale il generale amava farsi fotografare con un altro trofeo indosso, i mitici occhialoni appoggiati sulla visiera del suo berretto rigido. La "Volpe del deserto" aveva bisogno anche di questo, per conquistare la fantasia della gente.
Negli stessi giorni, l'Afrikakorps aveva raggiunto Derna, aveva bloccato la fuga degli inglesi lungo la Via Balbia, aveva catturato novecento soldati nemici, fra cui quattro generali. Uno di loro era nientemeno che il Generale Richard O'Connor.

Il 10 aprile, contro il volere del proprio Stato Maggiore, aveva riconquistato due terzi di quella Cirenaica persa nel 1940. La meta era sicuramente, a questo punto, il canale di Suez, anche se prima vi era lo scoglio del porto strategico di Tobruk, a 160 km da Derna. Tobruk era la via verso l'Egitto, un porto logisticamente importantissimo. Ma Tobruk era difesa da dodicimila soldati inglesi, australiani e indiani, era una fortezza abitata da 36.000 persone, e Winston Churchill stesso non aveva mancato di ordinare ai suoi soldati di "difendere Tobruk a costo della vita, senza neppure considerare l'eventualità di ritirarsi". La fortezza rimase un sogno proibito per Rommel: il comandante se la prese con i suoi sottoposti, Streich e Olbrich, provvedendo a giubilarli. La realtà era invece una sola: Rommel aveva portato troppo avanti i suoi uomini, le provviste tardavano a raggiungerli, i difensori della fortezza erano numericamente superiori. Rommel non cedette fino al 4 maggio quando, sotto gli occhi del generale Fredrich Von Paulus, inviato da Berlino ai fini di osservazione, dovette ammettere lo scacco. L'Afrikakorps aveva perso più di milleduecento uomini. L'attacco andava fermato. E così il centro dei combattimenti si spostò ad est, sul confine egiziano.

Il 27 maggio, a soli quindici settimane dall'arrivo di Rommel in Nordafrica, l'Afrikakorps aveva proceduto verso oriente per milleseicento chilometri, aveva soccorso gli alleati italiani, e aveva conquistato il Passo di Halfaya, alle porte dell'Egitto.
Rommel andava fermato, e così gli Alleati pensarono a quella che chiamarono "Operazione Battleaxe": il generale Wavell affidò le redini dell'operazione al Generale Sir Beresford-Perise. 190 carri armati dell'VIII corpo d'armata avrebbero dovuto attaccare da tre parti le forze di Rommel tra Sollum e Halfaya. Fu in questa cornice che l'abilità di Rommel nell'impiego dei carri armati si rivelò fondamentale: i panzer tedeschi si avvalsero della collaborazione dei micidiali cannoni 88mm, trainati da semicingolati. Questi cannoni, progettati dalla Krupp, erano nati come arma contraerea. Potevano colpire un velivolo ad 8000 metri di altezza. Ebbene, Rommel li impiegò con puntatura orizzontale (!), facendoli risultare devastanti. I proiettili passavano da parte a parte i carri nemici. Fu la carta vincente: gli inglesi non riuscirono ad avanzare.

Dopo tre giorni di combattimento, l'Operazione Battleaxe era costata agli Alleati novantun carri armati, a fronte di soli venticinque persi dai tedeschi. La sconfitta in questa battaglia segnò la fine di Wavell, sostituito dal generale Claude Auchinleck, al tempo Comandante in Capo delle forze inglesi in India.
Gli Alleati tentarono di respingere i tedeschi con la successiva "Operazione Crusader", che sarebbe stata sferrata dall'VIII Armata, forte di 118.000 uomini. I combattimenti, cruenti, a Sidi Rezegh videro un'altalena di avanzamenti e indietreggiamenti da parte di entrambe le forze in campo. Tra il 18 novembre e il 1 dicembre 1941, Rommel poteva telegrafare a Hitler di aver distrutto "814 carri armati e autoblindo nemici, e abbattuti 127 aerei. Il numero dei prigionieri supera 9.000, tra cui tre generali". Un successo? Tutt'altro, perché l'Afrikakorps era sempre su posizioni difensive: aveva resistito, ma a fronte di immense perdite. Il Panzergruppe era indebolito, le truppe non rifocillate, e non restava che una ritirata dalla Cirenaica.
Ritirata dalla Cirenaica?
Tobruk stava diventando un'ossessione per Rommel: giunto alle porte dell'Egitto, ora l'Afrikakorps doveva limitarsi a mantenere posizioni di stallo? Le parole del generale Von Paulus, inviato appositamente da Berlino, erano state inequivocabili: non muoversi, fino all'arrivo di nuovi rifornimenti. L'assedio di Tobruk continuò, ma seguendo il rito delle perlustrazioni e delle scaramucce d'artiglieria. Lungo il confine egiziano, Rommel decise di erigere una serie di capisaldi,
la fortificazione principale era presso il Passo di Halfaya, sanguinosamente conquistato agli inglesi: qui i tedeschi, dominando da una parte tutta la pianura costiera e dall'altra il deserto libico potevano avvalersi di una posizione strategica cruciale.
Il comando di Halfaya venne affidato da Rommel al Capitano Bach, un energico ex pastore protestante, che era stato tra i protagonisti della conquista del passo nel maggio 1941. Il rivale, sul fronte avverso, era il Generale Wavell, pungolato dai superiori in seguito ai continui cedimenti di fronte alle truppe tedesche. Winston Churchill ordinò senza mezzi termini a Wavell di annientare le forze di Rommel: non solo una questione di principio, dal momento che vi erano motivi di importanza strategica. Londra aveva fretta: dall'inizio di giugno, i tedeschi avevano occupato Creta e, dall'isola nel cuore del Mediterraneo, potevano erigere una linea difensiva tra la Grecia e la Cirenaica. Il passo di Halfaya non avrebbe retto, e nel gennaio 1942, Erwin Rommel, dislocato in Libia, avrebbe guardato sconsolato la situazione: si era praticamente al punto di partenza. Solo nel marzo precedente l'Afrikakorps aveva iniziato, da quello stesso punto, un'avanzata memorabile.

Eppure, come scriveva ottimisticamente alla moglie "la situazione si sta evolvendo a nostro vantaggio e io ho in serbo diversi piani", di cui non oso far parola a nessuno. Mi prenderebbero per pazzo, ma non lo sono. Vedo solo un po' più in là di loro". La Volpe del deserto stava meditando una strategia su come ricacciare gli inglesi: i suoi agenti segreti intercettavano i rapporti nemici, molti dei quali lamentavano lo storno di forze preziose su un altro fronte. Il Giappone era infatti entrato in guerra il 7 dicembre 1941, con l'attacco a Pearl Harbor, e aerei, carri armati e due intere divisioni di fanteria avrebbero preso la via dell'Asia. Contemporaneamente, Berlino era sul punto di inviare rinforzi all'Afrikakorps: gli U-Boot, dagli abissi marini, controllavano il traffico del Mediterraneo, e l'aviazione tedesca si rivelava scrupolosa nella copertura dei convogli marini dell'Asse. Da Malta, gli inglesi, mordevano di meno, in definitiva.

A Tripoli, il 5 gennaio 1941 un convoglio scaricò la bellezza di 55 panzer, vero e proprio ossigeno di metallo per Rommel, che in dieci mesi di scontri aveva perso il novanta per cento dei propri carri! L'offensiva andava sferrata entro la fine del mese di gennaio: senza ubbidire a Von Paulus, senza ubbidire a Berlino. Senza ubbidire a Hitler. In segreto, Rommel organizzò un piano: avrebbe finto di ritirarsi ulteriormente verso ovest (inviò convogli di autocarri in quella direzione) e, la notte prima dell'attacco, fece incendiare vecchie costruzioni, come per dare al nemico l'impressione di una smobilitazione.
Alle 8.30 del 21 gennaio, l'Afrikakorps iniziava l'attacco: divisi in due colonne appoggiate dai micidiali aerei Stukas, i tedeschi (insieme agli italiani della divisione corazzata Ariete e della motorizzata Trieste) avanzò verso est lungo la costa, mentre l'altra colonna avanzò nel deserto. La prima colonna avrebbe cacciato in bocca alla seconda diverse unità nemiche, con un veloce accerchiamento.

Da Roma, frattanto, era piombato in Africa il Maresciallo Ugo Cavallero, determinato a fermare Rommel. Nelle mani dell'alto ufficiale italiano una direttiva di Mussolini, che intimava di arrestare l'attacco. La Volpe del deserto rispose semplicemente che ubbidiva a Hitler, e a lui soltanto. Inevitabilmente, l'Afrikakorps venne privato del supporto di due corpi d'armata italiani, un "dispetto" di Cavallero che non impensierì il generale tedesco. Il 25 gennaio i panzer tedeschi continuarono l'inseguimento degli inglesi, in ritirata a seguito di continui attacchi nel deserto. Le battaglie di questi giorni furono altamente spettacolari: i carri armati si colpivano in corsa, alla velocità di 25 chilometri orari. Solo il 25 gennaio l'Afrikakorps avrebbe distrutto 96 carri nemici, 38 cannoni e 190 autocarri.
Una formazione di aerei inglesi in missione
La prossima meta era il porto di Bengasi: con marce forzate impressionanti, sotto la pioggia battente e le tempeste di sabbia l'Afrikakorps raggiunse Regima, una fortezza turca a 25 chilometri da Bengasi. Nella città portuale rimasero così bloccati migliaia di soldati britannici che, tra le fortificazioni, avevano cercato rifugio dopo la fuga nel deserto. Lasciando - particolare non indifferente - la bellezza di milletrecento veicoli alle spalle, che i tedeschi avrebbero riadattato a proprio vantaggio.
Il 29 gennaio Rommel entrava a Bengasi: nel momento in cui il suo berretto con visiera e occhialoni da carrista entrava in città, una missiva di Mussolini lo…autorizzava a prendere Bengasi! Hitler, dal canto suo, sebbene sapesse che il generale aveva disubbidito agli ordini, non esitò a nominarlo Generale di Corpo d'Armata. Il 6 febbraio, si era ad una nuova situazione di stallo, e Rommel ne approfittò per prendersi una pausa, se così la si può definire. La Volpe del deserto abbandonava la sabbia e tornava in Germania, per importanti questioni "diplomatiche".

Rommel pressò, in quelle settimane "pacifiche", su Hitler: l'Afrikakorps necessitava di uomini e armi. Ma i venti di Russia erano ormai troppo forti, l'Operazione Barbarossa era la chimera del Führer. E così le sei divisioni motorizzate richieste dal generale non arrivarono mai in Africa. Servivano rinforzi, in ogni caso, per prendere Tobruk, la via per l'Egitto. Quando Rommel tornò nel deserto, aveva avuto la certezza che il fronte africano era ormai considerato di second'ordine rispetto a quello russo.
Per realizzare l'attacco all'Egitto ci volevano rifornimenti, per avere questi bisognava neutralizzare la base britannica di Malta, dalla quale partivano aerei in continuazione, a piegare le navi dell'Asse. L'Operazione Ercole avrebbe dovuto scatenarsi su Malta: un attacco dal cielo, orchestrato dal generale Kurt Student, lo stesso che aveva conquistato Creta. Due divisioni di paracadutisti avrebbero dovuto occupare i tre aeroporti nemici sull'isola. L'operazione sarebbe dovuta scattare nel giugno del 1942: già da aprile Malta veniva martellata dal cielo e dal mare, dalla Luftwaffe e dalla Luftflotte (7000 tonnellate di esplosivi al mese!). Malta non fu presa, ma i rifornimenti cominciarono a giungere in Nordafrica.
L'attacco a Tobruk
Poteva così cominciare l'attacco a Tobruk, dove peraltro gli inglesi erano in vantaggio numerico, sia per uomini sia per mezzi: 125.000 soldati per gli Alleati, 113.000 per Rommel, 859 carri per i primi, 560 per il generale tedesco. L'asso nella manica , nella battaglia, si sarebbero rivelati i cannoni 88 millimetri: quattro dozzine di pezzi che, concentrati in massa d'urto, avrebbero spazzato i carri nemici.
L'offensiva partì il pomeriggio del 26 maggio, sotto il nome di Operazione Venezia. Dopo un'avanzata notturna nel deserto, stremante e teoricamente impossibile, l'Afrikakorps raggiunse il nemico. Come diversi testimoni, ufficiali e soldati, avrebbero detto in seguito, la presenza di Rommel in questa operazione fu determinante. Il generale non si mosse dalla prima linea dei combattimenti, incessante nelle ispezioni e nel rimproverare e rinfrancare i soldati. Mentre i comandanti inglesi studiavano a tavolino, nelle retrovie, come e dove spostare le forze, Rommel era sul posto e… improvvisava.

L'11 giugno sarebbe scattato l'attacco definitivo a Tobruk ("Tobruk, qualunque cosa per Tobruk"): dopo due settimane di combattimento i soldati dei due fronti erano sfiancati, esausti. La battaglia decisiva si sarebbe svolta il 12 giugno, ma solo dopo l'impressionante bombardamento del 20 giugno Tobruk avrebbe cominciato a vacillare. La mattina seguente, i panzer di Rommel rombavano fra le strade della città in rovina: il Generale di Divisione H.B. Klopper, un sudafricano, accettava la resa, consegnando ai tedeschi 33.000 prigionieri. Da Berlino, Hitler assisteva esterrefatto: Rommel venne promosso Feldmaresciallo. Aveva cinquant'anni, ed era l'ufficiale più giovane a venire insignito di questo grado.
L'Egitto, El Alamein, la fine di Rommel
Rommel non si sarebbe seduto sugli allori: il 21 giugno 1942 il generale annunciò l'intenzione di puntare verso l'Egitto, finalmente. Puntare a Suez, anche contro le direttive dei superiori che - immancabilmente - consigliavano un arresto. La Luftwaffe avrebbe potuto puntare su Malta. Rommel, invece, necessitava di forze dal cielo per puntare verso il canale strategicamente fondamentale.
Fortunatamente per le sorti della guerra e per gli Alleati, una tantum Rommel l'ebbe vinta presso Hitler e non dovette…disubbidire! La sera del 23 giugno, i panzer e gli autocarri attraversavano il confine con l'Egitto. Rommel cominciava, sulle ali dell'entusiasmo, il proprio declino: incapace nella guerra di stallo, un uomo come lui poteva solo avanzare e avanzare ancora. I tedeschi si muovevano così' velocemente, da superare gli stessi rifornimenti.
Carri armati inglesi in marcia contro i tedeschi
Rapidità e velocità, solo così - anche con uomini e mezzi in meno - la Volpe del deserto sperava di cogliere di sorpresa gli inglesi. Dopo Tobruk, il 29 giugno, cadeva anche Marsa Matruh, per la seconda spettacolare vittoria nel giro di due settimane scarse. Da qui Rommel chiedeva ai propri soldati, sfiniti, di raggiungere i sobborghi di Alessandria! "Domani, quando arriverò, proseguiremo fino al Cairo per un caffè", così disse a un ufficiale suo collaboratore. La ritirata degli inglesi, comandati dal generale Auchinleck terminò a El Alamein, l'estremità settentrionale di una linea fortificata lunga sessanta chilometri, ricca di capisaldi, campi minati e fortini di cemento, oltre a trincee dove, per giorni, tedeschi, italiani da una parte e forze britanniche dall'altro, si sarebbero fronteggiate. Maestro nell'accerchiamento, Rommel si trovava di fronte a una linea che non poteva in alcun modo essere accerchiata, andando dal Mediterraneo alla Depressione di Qattara. La linea andava attraversata. Sfondata.

L'attacco ebbe inizio il 1 luglio, prima dell'alba, ma i tedeschi furono costretti a trincerarsi. Il 3 luglio era chiaro che l'aviazione britannica teneva sotto controllo tutto dal cielo. Prendere l'Egitto, appariva chiaro per la prima volta a Rommel, era un'impresa impossibile. Le forze tedesche erano esaurite, stremate all'inverosimile, trascinate dal carisma, dalla sete di gloria e dalla febbre irrazionale e, indubbiamente, eroica di un novello Icaro, pronto a spingersi oltre le proprie capacità reali. Se ai primi di luglio gli inglesi avessero contrattaccato, probabilmente avrebbero avuto la meglio. Ma non lo fecero. L'Afrikakorps poté quindi riposarsi e rifocillarsi: nacque così lo stallo.

Attacchi e contrattacchi si susseguirono fino a metà luglio, ma il contrattacco britannico decisivo sembrò svilupparsi il 21 dello stesso mese: nella notte, migliaia di soldati neozelandesi e indiani (gli australiani, invece, avevano retto con straordinario coraggio ed eroismo ne giorni precedenti, il primo impatto con l'Afrikakorps) sfondarono la linea centrale del fronte tedesco. Perdite pesanti vi furono su entrambi i fronti. Nonostante queste avvisaglie positive, da Londra Churchill impose la sostituzione di Auchinleck con un nuovo comandante di talento, il generale Sir Harold Alexander. Il comando dell'Ottava Armata, che svolgeva un ruolo chiave nelle operazioni, venne affidato ad un giovane generale quasi sconosciuto ma di belle promesse: Bernard Law Montgomery, che in quei giorni era un semplice comandante di un centro di addestramento in Inghilterra (!).

Montgomery promise: nessuna ulteriore ritirata.
E così andò. El Alamein non sarebbe caduta. Gli scontri, con alterne fortune, durarono settimane, finché il 30 agosto Rommel si decise per l'attacco decisivo. "La decisione di attaccare è la più difficile che io abbia mai preso - disse Rommel al suo medico, che lo curava in seguito a frequenti disturbi (l'Africa si faceva sentire…) - O l'armata in Russia riesce ad arrivare a Grozny e noi in Africa a raggiungere il canale di Suez, oppure sarà la disfatta".
Alle 23 del 30 agosto, le forze dell'Asse cominciarono a muoversi: ma entro il 2 settembre - sotto il fuoco dei velivoli della RAF e dell'artiglieria britannica - tutto appariva chiaro: Rommel diede l'ordine di ritirarsi, con un lento disimpegno. Il 6 settembre la Volpe del deserto, in fuga dai mastini inglesi, si leccava le ferite: tremila uomini persi in battaglia, 50 panzer distrutti, 50 cannoni perduti, 400 veicoli in mano al nemico. La difesa di Montgomery si era rivelata eccellente, anche se aveva mancato di sferrare l'ultimo decisivo contrattacco, intimorito dal prestigio di Rommel. Rommel avrebbe addotto tre motivi per la sconfitta: la forza aerea della RAF, la forza numerica del nemico e la mancanza di carburante.

A metà settembre Rommel cedette alle pressioni del proprio medico e tornò in Germania. Il 23 settembre si recò in Italia per un colloquio con Mussolini, il quale non ascoltò più di tanto il preoccupato quadro della situazione che gli dipinse lo stratega. Poi, alla corte di Hitler, nuove promesse che non sarebbero state mantenute. In assenza del loro generale, i tedeschi rimanevano in stallo, logorati dalle incursioni della RAF. Nessun rifornimento da Berlino all'Afrikakorps, e di contro, da Londra, enorme quantità di vettovaglie e armi per le forze britanniche.
La fine era vicina. A metà ottobre gli Alleati schieravano 194mila soldati contro i centomila e poco più dell'Asse, mille carri armati contro cinquecento, 908 cannoni da campagna contro 2999. Il 23 ottobre Montgomery sferrò l'attacco decisivo, in una notte di luna piena. Il 27 ottobre, Rommel, tornato sul fronte nordafricano, scriveva alla moglie: "E' chiaro che da questo momento gli inglesi ci distruggeranno a poco a poco". L'attacco frontale, imponente, denominato Operazione Supercharge, avvenne il 2 novembre, dopo un impressionante bombardamento d'artiglieria. Le unità tedesche furono decimate: i carri Sherman e Grant fecero strage di Panzer. Il 4 novembre era tutto chiaro: nonostante gli ordini insensati di Hitler ("Quanto ai tuoi soldati, non puoi offrir loro altra scelta che vincere o morire"), Rommel, su autorizzazione del superiore Kesselring, ordinò la ritirata completa.
Un carico di mezzi militari inglesi
La Volpe del deserto, con ventiduemila superstiti riprendeva la strada verso occidente, ricacciato dagli inglesi.
Il grande condottiero aveva cominciato a scendere la china della propria sorte: tutto sarebbe finito in Germania, due anni più tardi, all'interno dell'abitacolo di un'automobile, dopo che il generale era stato prelevato dalla propria casa. Dove, a mezz'ora dal commiato dall'adorata moglie, il telefono sarebbe squillato: il Feldmaresciallo Erwin Rommell aveva avuto "un'emorragia, un grave malore, mentre era in macchina".
Rommel, accusato di aver preso parte al famoso complotto contro il Führer, non aveva scampo. Difendersi in un tribunale, trascinando la propria famiglia nel fango e nel disprezzo, o accettare la fine in silenzio. Da morto, la Volpe del deserto avrebbe ricevuto tutti gli onori. La Germania che si avvicinava alla sconfitta aveva ancora bisogno di eroi da spendere.
FERRUCCIO GATTUSO
BIBLIOGRAFIA
* La guerra nel deserto, di Correlli Barnett - Collana 'Il Ventesimo Secolo', Vol. IV, pp, 533-540, Mondadori, Milano 1977
* Rommel - La Volpe del deserto, di Desmond Young - pp.296, Longanesi, Milano 1965
* Afrikakorps - Collana 'Il terzo Reich', Hobby & Work, Milano 1990-2001
* Rommel, di David Fraser - il Giornale, biblioteca storica, pp. 576, per concessione di Mondadori Editore, 1994
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