ROBERT MUSIL

IL "DISCORSO SULLA STUPIDITA"

"Viviamo in un’epoca di superlavoro e di sottocultura;
un’epoca in cui la gente è talmente laboriosa
da divenire stupida " Oscar Wilde

"La vita è troppo breve
e il tempo è troppo prezioso per sprecarlo
con persone stupide". Voltaire

"La stupidità è il motore del mondo.
I politici, gli uomini di marketing, i religiosi,
i personaggi dello spettacolo, campano tutti,
chi più chi meno, sulla stupidità umana".
(Luciano De Crescenzo)

 

Conferenza tenuta a Vienna l’11 marzo 1937.

"" Signore e signori, chi al giorno d'oggi abbia l'audacia di parlare della stupidità corre gravi rischi, la si può interpretare infatti come arroganza, o addirittura come tentativo di disturbare lo sviluppo della nostra epoca.
Quanto a me, avevo già scritto diversi anni fa: "Se la stupidità non rassomigliasse perfettamente al progresso, al talento, alla speranza, o al miglioramento, nessuno vorrebbe essere stupido".
Questo avveniva nel 1931, e nessuno oserà porre in dubbio che, anche dopo, il mondo ha visto ancora progressi e miglioramenti!
Il tal modo si rende sempre più urgente e indifferibile una risposta alla domanda:

Che cosa é realmente la stupidità?
Non vorrei neanche sottacere che nella mia qualità di poeta conosco la stupidità da molto più tempo, anzi potrei dire che ho talvolta avuto con essa rapporti di collegialità. Nelle lettere, appena un uomo apre gli occhi, si vede inoltre affrontato da una resistenza, una opposizione appena descrivibile, che sembra capace di presentarsi in qualsiasi forma: sia personale, come quella rispettabile di un professore di storia della letteratura che, abituato a mirare su distanza incontrollabili, sull'epoca contemporanea sballa disastrosamente, sia in forme generiche, onnipresenti, quali la trasformazione del giudizio critico per mezzo di quello commerciale, da quando Dio nella sua bontà per noi difficilmente comprensibile ha concesso la lingua umana anche ai creatori dei film parlati.

Ho già descritto in diverse occasioni anche altri fenomeni di questo tipo, ma non é necessario ripetermi o completare (e a quanto pare sarebbe addirittura impossibile, di fronte alla tendenza al colossale che ha ogni cosa al giorno d'oggi): basta fissare, come risultato certo, che la scarsa sensibilità artistica di un popolo non si rivela soltanto quando le cose vanno bene e in ogni sorta di modi, per cui vi é una differenza solo graduale tra divieti e oppressioni da un lato e lauree ad honorem, chiamate a sedi universitarie e distribuzioni di premi dall'altra.

Ho sempre avuto il sospetto che questa resistenza in così diverse forme, nei confronti dell'arte e dello spirito più elevato, da parte di un popolo che si vanta del suo amore per l'arte, non sia altro che stupidità, - forse una forma particolare, una speciale stupidità artistica e forse anche sentimentale? - che in ogni caso si esterna in questo senso: quello che si dice "un bello spirito" sarebbe al tempo stesso un bello stupido; e ancora oggi non vedo molti motivi per abbandonare questa mia convinzione. Naturalmente non si può far colpa alla stupidità di tutto ciò che deturpa qualcosa di così totalmente umano com'é l'arte: una parte va attribuita anche alle diverse forme della mancanza di carattere, come hanno mostrato le esperienza degli ultimi anni. Ma non si dovrebbe obiettare che il concetto della stupidità qui non c'entra per niente, perché si ricollega soltanto alla ragione e non ai sentimenti mentre l'arte dipende da questi ultimi. Sarebbe un errore.
Perfino il "godimento" estetico è "giudizio" e sentimento. E vi chiedo il permesso non soltanto di aggiungere a questa grande formula, che ho preso in prestito da Kant, la precisazione che Kant parla di una facoltà di "giudizio" estetico e di un "giudizio" di gusto, ma anche di ripetere qui di seguito le antinomie a cui ciò porta:
TESI; il giudizio di gusto non si basa su concetti, perché altrimenti si potrebbe discuterne (decidere attraverso dimostrazioni).
ANTITESI: si basa sui concetti, perché altrimenti non sarebbe possibile neanche discuterne (cercare un accordo).

E a questo punto vorrei sollevare l'interrogativo se un analogo giudizio con un'analoga antinomia non é alla base della politica e dello scompiglio della vita in genere. E non bisogna forse attendersi, là dove sono di casa il giudizio e la ragione, anche le loro sorelle e sorelline, le diverse forme della stupidità? Tanto basti per indicarne l'importanza. Erasmo da Rotterdam ha scritto nel suo delizioso e ancora oggi inconsueto "Elogio della pazzia" che senza certe stupidità l'uomo non arriverebbe neanche a nascere.

Un senso del dominio vergognoso e schiacciante che la stupidità ha su di noi viene dimostrato da molti col mostrarsi amichevolmente e "cospitoriamente" sorpresi quando apprendono che uno, nel quale avevano riposto fiducia, ha l'intenzione di evocare il nome di questo mostro. Questa esperienza non solo l'ho fatta di persona, ma ne ho anche potuto constatare ben presto che la validità storica quando nel corso della mia ricerca di predecessori nella trattazione della stupidità - ne ho scoperti incredibilmente pochi: - ma i saggi preferiscono evidentemente scrivere sulla saggezza! - ho ricevuto da un dotto amico la stampa di una conferenza tenuta nell'anno 1866 da Eduard Erdmann, discepolo di Hegel e professore all'università di Halle. Questa conferenza intitolata "Della stupidità", comincia infatti subito rivelando che il suo annuncio é stato accolto da risate: e da quanto so che questo può capitare perfino a un hegeliano, sono convinto che un tale comportamento degli uomini verso chi vuole parlare della stupidità ha una particolare motivazione e mi trovo in preda a una grande insicurezza nella convinzione di aver sfidato una forza psicologica possente e profondamente contraddittoria.

Preferisco perciò confessare subito la debolezza in cui mi trovo nei suoi confronti: non so cosa sia. Non ho scoperto nessuna teoria della stupidità col cui aiuto potrei pretendere di salvare il mondo; anzi, non ho trovato nell'ambito della riservatezza scientifica, neanche una ricerca dedicata ad essa, e neppure una concordanza di opinioni riguardo alla sua definizione che fosse risultata nel corso della trattazione di argomenti analoghi. Ciò é forse dovuto alla mia ignoranza, ma é più probabile che la domanda: che cos'é la stupidità? non corrisponde agli usi del pensiero attuale, come non vi corrispondono domande sull'essenza della bontà, bellezza o elettricità.

Ciò malgrado il desiderio di formarsi questo concetto e rispondere con la massima sobrietà possibile a un simile interrogativo preliminare di tutta la vita é assai attraente; cosicché un bel giorno caddi schiavo dell'interrogativo, che cos'é la stupidità "realmente", e non nel suo atteggiarsi agli occhi di tutti, cosa che sarebbe stata assai più consona alle mie competenza e capacità di scrittore.

E poiché non volevo cavarmela con mezzi poetici, né ero in grado di farlo in modo scientifico, ho tentato la via più semplice come viene sempre spontaneo fare in questi casi, esaminando l'uso della parola "stupido" e della sua famiglia, ricercando gli esempi più frequenti, e cercando di fondere un po' insieme quel che venivo scrivendo. Un simile procedimento purtroppo rischia di essere come una caccia alle cavolaie: si insegue , sì, per un po' ciò che si crede di stare osservando, senza perderlo di vista ma siccome da altre parti su identiche vie a zig zag si avvicinano altre quasi identiche farfalle, presto non si sa più bene se si stia ancora seguendo quella iniziale. E così pure gli esempi della famiglia della stupidità non permetteranno sempre di distinguere se tra loro esiste veramente un legame originario e se attraggono solo esteriormente e improvvisamente l'attenzione dall'uno all'altro, e non sarà del tutto facile raccoglierli tutti in un mazzo che appartenga veramente a uno stupido.

AL DUNQUE !!
In tali condizioni é quasi indifferente come si comincia; cominciamo dunque in un modo purché sia il meglio: il meglio é iniziare subito con la difficoltà iniziale consistente nel fatto che chiunque voglia parlare della stupidità o assistere con profitto a un discorso sulla stupidità deve presupporre di non essere egli stesso uno stupido; e perciò sbandiera il fatto che si considera intelligente, benché ciò sia generalmente considerato segno di stupidità! Se si approfondisce la questione, perché sia reputato da stupidi lo sbandierare il fatto di essere intelligenti, sorge immediata una risposta che sembra ricoperta di polvere dei più antichi antenati, perché sostiene che é più prudente non mostrarsi intelligenti.

E' probabile che questa prudenza profondamente pessimistica, oggi neanche più comprensibile di primo acchito, provenga ancora da condizioni in cui per il più debole era realmente, più saggio non passare per saggio: la saggezza avrebbe potuto minacciare la vita del più forte! La stupidità invece sopisce ogni sospetto: essa "disarma", come si dice ancora oggi. E tracce di questa scaltrezza, di questa stupidità furba se ne trovano infatti tuttora nei rapporti di dipendenza dove le forze sono così inegualmente distribuite che il più debole cerca il suo scampo nel fingersi più stupido di quello che é; si trovano per esempio nella proverbiale astuzia contadina, poi nei rapporti tra la servitù e i padroni dal linguaggio colto, nel rapporto del semplice soldato con il suo superiore, dello scolaro con maestro e del bambino con i genitori.

Chi è al potere é felice se i deboli (che lui considera stupidi) non possono dire la loro. Ma se qualcuno oculatamente osa, lui entra subito in uno stato di indisponente debolezza! L'"intelligenza" di chi ha osato lo fa facilmente andare "in bestia"! La stupidità la si apprezza quando si é servili ma solo fin quando é legata alla più incondizionata sottomissione. Nel momento in cui manca questo servilismo e si osa, il potente signore reagisce all'intelligenza di chi ha osato (nel modo più stupido) chiamandola impertinenza, insolenza, perfidia. E ne deriva spesso una situazione in cui sembra per lo meno intaccare l'onore e l'autorità del potente, anche se non viene minacciato realmente nella sua sicurezza, essendo lui un potente.

Anche nel campo dell'educazione un allievo dotato e ribelle viene trattato con maggior durezza rispetto a un suo compagno che è recalcitrante solo per ottusità mentale.
Nella morale ciò ha portato alla concezione che la volontà di un uomo è tanto più malvagia quanto più valida é la sua intelligenza. Perfino la Giustizia non é restata immune da questo pregiudizio personale e giudica per lo più con particolare riprovazione l'esecuzione intelligente di un crimine come "raffinata" e "priva di sensibilità". E nella politica ognuno può procurarsi gli esempi dove li trova.
Ma anche la stupidità - si potrà obiettare - può essere irritante e non é affatto vero che calmi gli animi in ogni caso. Se in certi casi provoca impazienza, in altri casi provoca crudeltà, una morbosa crudeltà che comunemente si suol chiamare sadismo, dove lo stupido è vittima solo per mancanza di resistenza.

La trattazione di questo problema sarebbe abbastanza importante in una umanità, come la nostra, così tormentata dalla sua "vile crudeltà verso i più deboli"; ma considerando il nesso seguito nella sua linea essenziale e dopo una rapida raccolta dei primi esempi, anche quel che si é detto deve contare come divagazione, e nel complesso se ne potrà ricavare di più di questo: che può essere stupido vantare la propria intelligenza, ma che non sempre è intelligente far sorgere una reputazione di stupidi.

Qui è impossibile generalizzare; o altrimenti l'unica generalizzazione che sarebbe ammissibile già a questo punto, dovrebbe essere quella che la cosa più saggia a questo mondo é farsi notare il meno possibile! E infatti questa linea conclusiva di fondo a ogni saggezza è già stata tracciata parecchie volte, Più spesso, però, si fa un uso solo parziale o simbolico e rappresentativo di questa conclusione misantropica, e allora ci porta a contemplare l'ambito dei comandamenti di modestia e di comandamenti ancora più vasti, senza che si debba abbandonare del tutto il capo della saggezza e della stupidità.
Sia per paura di apparire stupidi, che per paura di offendere le buone usanze, molti uomini si considerano, sì, intelligenti, ma non lo dicono. E quando poi si sentono costretti a parlarne, lo circoscrivano con una perifrase e dicono per esempio: "Non sono più stupido degli altri". Ancora più in voga é introdurre nel discorso con tono più distaccato e sobrio possibile, la considerazione: "Posso ben dire di possedere una intelligenza normale". E talvolta la convinzione della propria intelligenza fa la sua comparsa di straforo, come nella forma colloquiale: "Non mi faccio passare per stupido!".

Tanto più degno di nota é il fatto che non solo il singolo nei suoi pensieri si considera segretamente come particolarmente intelligente e dotato, ma anche l'uomo che agisce nella storia e far dire di sè, appena ne ha il potere, di essere oltre ogni misura saggio, illuminato, nobile, eminente, generoso, eletto da Dio e predestinato alla Storia. Anzi, egli lo dice volentieri anche di un altro qualora si senta illuminato dal riflesso di costui. Nei titoli come Maestà, Eminenza, Eccellenza, Magnificenza, Signoria, tutto ciò si é conservato in uno stato di fossilizzazione, e non é praticamente più ravvivato da una coscienza precisa ma si rivela di nuovo e immediatamente in tutta la sua vitalità quando l'uomo d'oggi parla come massa. In particolare modo esiste una condizione media dello spirito e dell'anima che é completamente priva di pudore nella sua presunzione, appena si presenta sotto la protezione di un partito dove invece di "IO", può dire "NOI".

Con una riserva perfettamente comprensibile e trascurabile, questa presunzione si può anche chiamare vanità, e veramente l'anima di molti popoli e Stati viene attualmente dominata da sentimenti tra cui la vanità occupa innegabilmente un posto preminente: e d'altra parte tra la vanità e la stupidità c'é sempre stato un intimo legame, che forse potrà fornirci una utile indicazione.
Un uomo stupido appare di solito vanitoso già per il fatto che gli manca l'intelligenza di nasconderlo; ma in realtà non c'é neanche bisogno, perché una parentela tra stupidità e vanità é diretta. Un uomo vanitoso crea l'impressione di fare meno di quel che sarebbe capace di fare: é come una macchina che perde vapore. Il vecchio detto "Stupidità e orgoglio crescono sullo stesso albero" significa proprio questo, come pure la esp0ressione che la vanità "acceca".

Ciò che noi colleghiamo con il concetto di vanità é proprio l'attenderci una prestazione insufficiente, poiché la parola "vano" vuol dire nel suo significato principale quasi lo stesso che "inutile". E tale riduzione della prestazione la si attende anche là dove in realtà la prestazione c'é: la vanità e il talento sono infatti non di rado collegati tra loro, ma allora riceviamo l'impressione che si sarebbe potuto fare ancora di più, se il vanitoso non ostacolasse la propria attività. Questa tenace idea di una prestazione ridotta risulterà in seguito essere anche l'idea più generale che abbiamo della stupidità.

Il comportamento vanitoso viene però evitato, come é noto, non perché può essere stupido, ma essenzialmente anche qui, perché é un disturbo del buon comportamento, "Chi si loda si sbroda" dice un robusto proverbio, e significa che la millanteria, il parlar molto di sè e lodarsi, é considerato non solo poco saggio ma anche indecente. Se non sbaglio, le leggi del buon comportamento che non vengono colpite fanno parte dei multiformi comandamenti di riservatezza e distacco destinati a non provocare conflitti con la presunzione, presupponendo sempre che essa sia non minore del prossimo che in noi stessi. Tali comandamenti di distanza interdicono anche l'uso di parole troppo sincere, regolano le forme del saluto e dell'allocuzione, non permettono che ci si contraddica senza scusarci o che una lettera cominci con la parola "io", insomma richiedono l'osservazione di determinate regole affinchè non ci si "avvicini troppo" gli uni agli altri, il loro compito é di appianare e livellare i rapporti vicendevoli, di facilitarne l'amor proprio e l'amore del prossimo e di conservare per così dire una temperatura media nell'interscambio di relazioni umane; e tali prescrizioni si ritrovano in ogni società, in quella primitiva, anzi ancora di più in quella ad alto livello di civiltà, e perfino quella delle bestie, benché privi di parola, le conosce, come si ricava facilmente da molte delle loro cerimonie.
Fa parte però di questi comandamenti di distanza non soltanto il non lodare se stesso, ma neanche il lodare gli altri con troppa invadenza. Il dire in faccia a qualcuno che é un santo o un genio sarebbe quasi altrettanto mostruoso che dirlo di se stessi; e l'imbrattarsi il volto e lo strapparsi i capelli non sarebbe, per la sensibilità attuale, affatto meglio che l'insultare il prossimo. Ci si accontenta di osservare che non si é poi più stupidi o peggiori di altri, come abbiamo già precedentemente menzionato.

Sono evidenti le formulazioni eccessive e incontrollate che in una situazione di ordine sono bandite. E siccome per ora si parlava di vanità per cui popoli e partiti si credono superiori a ogni altro in quanto particolarmente ispirati, bisogna qui aggiungere che la maggioranza vitalistica - proprio come il singolo megalomane nelle sue allucinazione - non solo crede di detenere il monopolio della saggezza, ma anche quello della virtù, e si considera coraggioso, nobile, invincibile, pio e buono; e che tra gli uomini c'è una propensione in particoloare quella di permettersi quando si presentano in masse, tutto ciò che è loro proibito come individui. Questi privilegi di un "NOI" divenuto grande, producono oggigiorno addirittura l'impressione che il sempre crescente rincivilimento e addomesticamento del singolo sia compensato dall'imbarbarimento, addirittura nella stessa proporzione delle nazioni.
Stati e gruppi ideologici; ed evidentemente si rivela qui una perturbazione emotiva, un perturbazione dell'equilibrio emotivo, che in fondo precede il contrasto tra IO e NOI nonchè ogni forma di valutazione morale. Ma é ancora stupidità questa - dovremmo pur chiederci - anzi, ha ancora a che fare comunque con la stupidità?

Egregi ascoltatori! Non vi é nessuno che ne dubiti!!
Ma concedeteci prima della risposta, di riprendere fiato con un esempio non privo di una certa amabilità. Tutti noi, benchè specialmente noi altri uomini e in particolar modo tutti gli scrittori rinomati, conosciamo quella dama che vorrebbe confidarci a ogni costo il romanzo della sua vita e la cui anima, a quanto pare, si è sempre trovata in condizioni interessanti, senza che abbia mai raggiunto un successo, che essa anzi attende soltanto da noi. E' stupida questa dama? Qualcosa che previene dal fiotto delle impressioni ci sussura: si, lo è! Ma la cortesia come pure la giustizia ci costringono all'ammissione che essa non lo é completamente e non sempre. Essa parla molto di se, e in genere parla molto. Dà giudizi con molta decisione, e su qualunque cosa. E' vanitosa e indiscreta. Ci ammaestra frequentemente. Di solito la sua vita sentimentale non è a posto, e in genere la sua vita é un po' malriuscita.
Ma non esistono forse anche altri tipi di persone per i quali valgono tutte queste cose, o almeno in gran parte?
Parlar molto di se, per esempio, é anche un vizio degli egoisti, degli inquieti e perfino di un certo tipo di malinconici. E lo stesso comportamento in genere vale specialmente per i giovani, ma questo fa parte dei fenomeni della crescita parlar molto di sè, esser vanitosi, saccenti e un po' spostati nella vita, insomma mostrano sì quelle deviazioni dall'intelligenza, senza che perciò siamo stupidi o più stupidi di quanto é dovuto normalmente, per il fatto che essi - per l'età - non sono ancora diventati intelligenti.

Signore e Signori !
I giudizi della vita quotidiana e della sua esperienza umana sono per lo più esatti, ma di solito - per giunta - anche sbagliate.

Non sono nati dalla ricerca di una vera dottrina, ma rappresentano soltanto atti psichici di approvazione o di difesa. Anche questo esempio ci insegna perciò solo questo, che qualcosa può essere stupido ma non lo é necessariamente, che il significato cambia con il contesto in cui compare, e che la stupidità é strettamente intessuta con altri elementi, senza che si possa trovare da qualche parte il filo che permetta di scucire d'un tratto il tessuto. Perfino la genialità è la stupidità sono indiscidibilmente collegate, e il divieto (pena la punizione di essere considerato stupido) di parlar molto e di parlare molto di se', l'umanità lo elude in maniera bizzarra: per mezzo del poeta. A lui é concesso di narrare in nome dell'umanità che ha mangiato bene o che il sole splende in cielo, può mettere a nudo il suo interiore, rivelare segreti, fare confessioni, render conto personalmente con estrema sincerità (per lo meno molti poeti ci tengono a farlo!); e tutto ciò ha proprio l'aria di un' eccezione che l'umanità si concede per far qualcosa che altrimenti essa proibisce.

In tal modo l'umanità parla incessantemente di se stessa e con l'aiuto del poeta ha narrato le stesse storie e avventure milioni di volte, variando soltanto le situazioni, senza che ne fosse risultato per lei un qualsiasi progresso o arricchimento del pensiero: non andrebbe allora sospettata anch'essa di stupidità, per l'uso che fa della poesia e per l'adattamento della poesia al suo tornaconto? Io, per me non lo considero affatto impossibile? Tra i campi di applicazione della stupidità è dell'immortalità - questa ultima intesa nel suo ulteriore, attualmente non usuale, equivalente pressapoco a mancanza di valori spirituali ma non di non ragionevolezza - esiste ogni modo una complessa identità e differenza. E questa mutua appartenenza, questo legame é certamente simile a ciò che Johann Eduard Erdmann ha espresso in un passo importante del suo già mensionato discorso, con la sua formulazione che la rozzezza è la "prassi della stupidità".
Egli ha detto: "le parole non sono....l'unica forma in cui uno stato psichico si rivela. Questo si esprime anche in azioni. Così anche la stupidità. Non solo l'essere stupido, ma l'agire da stupido, di commettere stupidaggini" - dunque la prassi della stupidità - o la stupidità in azione la chiamiamo rozzezza".

Questa attraente affermazione insegna dunque nientemeno che la stupidità é un errore di sentimento, perché la rozzezza lo é ! E ciò porta direttamente a quella "perturbazione emotiva" e "perturbazione dell'equilibrio emotivo" di cui si era già accennato senza che ne fosse trovata una spiegazione. Anche la spiegazione contenuta nelle parole di Erdmann può non concidere completamente con la verità, perché a parte il fatto che essa mira soltanto all'uomo singolo rozzo e ineducato, in contrasto con la "Cultura", e dunque non include tutte le forme di applicazione della stupidità, anche la rozzezza non è soltanto un stupidità e la stupidità non è soltanto la rozzezza, e perciò restano ancora parecchie cose da spiegare sul rapporto tra emotività e intelligenza, quando si uniscono a produrre la "stupidita applicata", e queste cose devono prima venir messe in luce, e il miglior modo è di servirsi nuovamente di alcuni esempi.

Perché risaltano chiaramente i contorni del concetto di stupidità, bisogna innanzi tutto non irrigidirsi sulla concezione che la stupidità sia soltanto o prevalentemente una mancanza di intelligenza; abbiamo già indicato che l'opinione più generale sembra essere quella dell' incapacità nelle attività più diverse, dell'insufficienza fisica e intellettuale in genere. Abbiamo di ciò un esempio significativo nei nostri dialetti locali, la definizione della sordità, cioè di un difetto fisico, con la parola "derisch" (sordo) con "terisch" (sciocco), simile a "torish" che gli si accosta e significa "stupidità".
E proprio come in questo senso, l'accusa della stupidità si usa popolarmente anche in altri casi. Quando uno sportivo cade nel momento decisivo o commette un errore dice poi: "Ero come rimbecillito", oppure: "non so proprio dove avevo la testa!" benchè la partecipazione della testa al nuoto o alla box si possa pur sempre considerare come piuttosto vaga.
E così pure tra i ragazzi e gli sportivi uno che si comporta goffamente verrà titolato di stupido, anche se fosse poi un Holderlin. Inoltre vi sono situazioni d'affari in cui uno che non sia furbo e senza scrupoli passa per stupido. Nel complesso queste sono stupidità legate a saggezze più antiche di quella che oggi viene ufficialemente onorata: e se sono bene informato, nell'era antico-germanico non solo le concezioni morali, ma anche i concetti di ciò che è competente esperto e saggio, cioè i concetti intellettuali, si riferivano alla guerra e alla lotta.

Ogni saggezza ha dunque la sua stupidità, e perfino la psicologia animale ha scoperto nelle sue prove d'intelligenza che ogni "tipo di prestazione" si possono collegare un "tipo di stupidità". Se perciò si volesse trovare un significato quanto più vasto possibile dell'intelligenza, risulterebbe da questi confronti all'incirca quello di abilità e capacità, e tutto ciò che é incapace lo si potrebbe anche chiamare occasionalmente stupido; e in realtà é così anche quando un'abilità appartenente a una stupidità non viene chiamata letteralmente intelligenza.
Quale abilità sia in primo piano e riempia in un dato momento del suo contenuto il concetto dell'intelligenza e della stupidità, questa è cosa che dipende dalla forma della vita. In epoche d'insicurezza individuale saranno l'astuzia, la violenza, l'acutezza di sensi e l'agilità fisica a caratterizzare il concetto di intelligenza, mentre in epoche di una mentalità di vita spirituale - pur con delle riserve necessarie si potrebbe anche dire: borghese - si sostituisce loro il lavoro intellettuale.
Più esattamente dovrebbe essere il lavoro intellettuale più elevato, ma nel corso delle cose non è risultata la preponderanza della prestazione razionale, che si vede scritta nel volto vuoto, sotto la fronte dura di un'attiva umanità: e cosi ne è risultato che oggigiorno intelligenza e stupidità vengono riferite soltanto, come se potesse essere assolutamnete altrimenti al raziocinio e ai diversi gradi della sua abilità, benché ciò sia più o meno unilaterale.

La concezione generale di incapacità collegata fin dall'inizio con la parola "stupido" - sia nel senso d'incapace di fronte a ogni cosa che nel senso di una qualsiasi incapacità specifica - ha poi una conseguenza importante: i termini "stupido" e "stupidità", in quanto significano incapacità generica possono sostituire occasionalmente ogni parola che indichi una incapacità specifica. Questo è uno dei motivi per cui l'accusa vicendevole di stupidità è oggi così enormemente diffusa (in un altro contesto é anche il motivo per cui il concetto é così difficile a delimitarsi, come mostravano i nostri esempi).
Basti leggere le annotazioni che si ritrovano a margine dei romanzi di una "certa pretesa" che sono rimasti per lungo tempo nella quasi anonimità delle librerie circolanti: qui, dove il lettore é solo con lo scrittore, il suo giudizio si esprime di preferenza nella parola "stupido!" e nei suoi equivalenti, come "imbecille!", "assurdità!", e simili. Così pure sono queste parole d'indignazione quando l'uomo affronta in massa l'artista, così nelle mostre d'arte o esecuzioni teatrali, si scandalizza.

Anche la parola "Kitsch" andrebbe qui ricordata, prediletta come nessun altra come primo giudizio fra gli artisti stessi; senza che però, per lo meno a quanto ne so io, se ne possa definire il concetto e spiegare la fruibilità, salvo col verbo "verkitschen", che nell'uso colloquiale ha il valore di "dar via sottocosto", "svendere".
"Kitsch" ha dunque il senso di merce troppo a buon mercato, di svendita, e ho l'impressione che questo significato, naturalmente trasposto in senso spirituale, si possa sempre attribuire là dove la parola viene inconsciamente usata a ragione.
Poichè merce di svendita, robaccia, entrano nella parola "Kitsch" principalemnete nel senso collegato di merce non valida, insufficiente, é anche la base per l'uso della parola stupido, non é esagerato affermare che tendiamo a definire come " comunque stupido" tutto quello che non ci va bene - specialmente se, parte ciò, pretendiamo poi di rispettarlo come elevata sensibilità artistica.

E per definire questo "comunque" é importante notare l'uso delle espressioni di stupidità e intimamente compenetrazione da un altro uso che comprende le altrettanto imperfette espressioni per quello che é volgare e moralmente ripugnante: ciò guida lo sguardo a un momento già precedentemente notato, al destino comune dei concetti "stupido" e " indecente". Perché non solo Kitsch, é espressione estetica di origine intellettuale, ma anche le paroli morali "Sozzura", "Ripugnante", "Schifoso", "Insolente", "Morboso" sono incisive e sottosviluppate critiche artistiche e giudizi sulla vita.
Forse queste espressioni contengono anche uno sforzo intellettuale, una differenziazione di significato, anche se vengono usate senza distinzione: e allora l'ultimo mezzo a cui si ricorre è il grido quasi muto "che indecenza"!!! che sostituisce tutto il resto e può dividersi il dominio del mondo col grido "che stupidaggine!" perché evidentemente queste due parole possono occasionalmente sostituire tutte altre, poiché "stupido" ha acquisito il significato dell'incapacità generica e "indecente" quello della generica offesa alla morale; e se si ascolta quel che gli uomini dicono l'uno dell'altro, sembra che l'autoritratto dell'umanità quale si viene sviluppando incontrollatamente in base a queste vicendevoli fotografie di gruppo, sia composto esclusivamente da variazioni di queste due parole di colore gradevole.

Forse vale la pena di rifletterci su. Senza dubbio ambedue costituiscono il gradino più basso di un giudizio non giunto a maturazione, una critica non completamente strutturata, che sente che qualcosa non va, ma non é in grado di dire cosa. L'uso di queste parole é un espressione più semplice e più forte di disapprovazione che si possa trovare, l'inizio di una risposta e insieme è già anche la sua conclusione se si riflette che "stupido" é "indecente", qualsiasi cosa significano, sono usati anche come insulti. Il significato degli insulti, infatti, non è tanto nel loro contenuto quanto nel loro uso, e molti di noi ameranno anche gli asini, ma si offendono se vengono chiamati così. L'insulto non rappresenta ciò che raffigura, bensì un miscuglio di immagini, sentimenti e intenzioni che non si può in alcun modo esprimere, ma solo segnalare.

Incideltamente questo carattere gli é comune come le parole alla moda e straniere, che perciò appaiono indispensabili anche se si possono sostituire perfettamente. Per questo motivo gli insulti contengono un che di straordinariamente eccitante, che coincide evidentemente con la loro intenzione ma non con il loro contenuto e ciò si vede magari più chiaramente nelle espressioni di canzonatura e dileggio dei giovani. Un bambino dice "Busch" o "Moritz" (i due terribili monelli dell'umorista Busch) a due suoi compagni e questo dileggio li fa andare in bestia.
Ciò che si può dire di insulto, dileggio si può dire dei frizzi, dei luoghi comuni, delle parole d'amore: e nell'elemento comune di queste parole, per il resto così indifferenti tra loro, sono solo al servizio di un momento emotivo, proprio questa innapropriatezza permette di soppiantare altre parole più appropriate, razionali e esatte.

Evidentemente talvolta nella vita non se ne può fare a meno e non negheremo l'importanza: ma é stupido ciò che accade in tali casi. Questo rapporto si può studiare più chiaramente in un modello principe della confusione mentale, cioè nel panico. Quando qualcosa esercita sull'uomo un'azione troppa violenta per lui, sia ciò uno spavento improvviso o una pressione psichica continua, allora può accadere che quest'uomo ad un tratto agisca "perdendo la testa".
Magari comincerà ad urlare in fondo non diversamente come fa un bambino, oppure fuggirà "alla cieca" da un pericolo o si precipeterà alla cieca nel pericolo o verrà preso da una tendenza esclusiva alla distruzione, all'insulto o al lamento. Nel complesso produrrà invece di quell'azione utile richiesta dalla situazione in gran quantità di altre azioni se sempre in apparenza ma troppo spesso anche in realtà sono inutili o addirittura controproducenti.

Questo tipo di reazione é meglio noto con il nome "timor panico" ma se la parola non viene intesa in senso troppo restrittivo, si può parlare anche di un panico dell'ira, dell'avidità, e addirittura della tenerezza e in genere di tutti i momenti uno stato di eccitamento si manifesta senza riuscire a calmarsi in maniera altrettanto agitata, cieca e assurda. L'esistenza di un panico del coraggio che si distigue da quella della paura soltanto per la direzione opposta dell'effetto, ed è stata confermata da gran tempo da un uomo sia coraggioso che intelligente.

Ciò che si svolge con l'inizio del panico viene considerato psicologicamente come temporaneo venir meno dell'intelligenza e in genere delle qualità spirituali più elevate cui si sostituiscono meccanismi psichici più antichi: ma bisognerà pur aggiungere che con la paralisi l'atrofizzazione della ragione in questi casi si ha tanto un calo fino all'azione istintiva quanto piuttosto un passaggio attraverso questo stadio fino a un istinto dell'estrema necessità e a un'estrema forma disperata di azione. Questo tipo di azione ha l'aspetto della confusione totale, é disordinato e apparentemente privo sia di ragione che di ogni istinto salvatore. Ma il suo progetto inconscio é di sostituire la qualità delle azioni la loro quantità e la sua non disprezzabile astuzia si basa sulla probabilità che fra cento tentativi alla cieca che poi risultano fiaschi ci sia anche un biglietto vincente. Un uomo che ha perduto la testa, un insetto che sbatte contro la parte chiusa della finestra finché per caso "si precipita" fuori dalla parte aperta, non fanno altro nella loro confusione, come fa con un preciso calcolo l'arte bellica quando dirige una raffica di una mitragliatrice o usa una granata verso un bersaglio.

Ciò vuol dire, in altre parole sostituire a un modo di agire con obiettivo preciso uno quantitivamente "massiccio" ed é quanto mai caratteristrico dell'animo umano sostituire alla natura delle parole o delle azioni la loro massa. Ma nell'uso di parole istintive vi è qualcosa di molto similie all'uso di molte parole, perché quanto più indistinta é una parola tanto più vasto é il numero delle cose a cui può essere attribuita; e lo stesso vale per l'inesattezza. Se questi modi di parlare sono stupidi allora saranno l'elemento di unione che apparenta al panico la stupidità, e anche l'uso eccessivo di questa e di analoghe accuse non differirà molto da un tentativo di salvataggio psichico con metodi arcaici e primitivi - e come si può ben dire a ragione morbosi -.

E in realtà dal giusto uso dell'accusa che qualcosa sia veramente una stupidità o un'indecenza si può riconoscere non solo il venir meno dell'intelligenza, ma anche una spinta cieca e insensata fuga o distribuzione. Queste parole non sono soltanto insulti, ma sostituiscono anche tutta una scarica di insulti. La' dove qualcosa può venir espresso soltanto per mezzo loro, si é vicini alla violenza fisica.

Per tornare ad esempi già mensionati, certi quadri vengono aggrediti a ombrellate e per giunta in sostituzione di colui che li ha dipinti, libri vengono scaraventati a terra, come se questo fosse un mezzo per eliminare il veleno. Ma vi é anche una pressione debilitante che precede questa violenza e dalla quale essa deve liberare: si "soffoca" di rabbia: "non bastano parole" salvo appunto le più generiche e povere di significato; uno ha " perso la parola" deve "farsi aria". Questo é il grado di perdita del linguaggio anzi il pensiero, che precede l'esplosione. Esso significa uno stato grave di insufficienza e alla fine l'esplosione viene introdotta di solito dalle parole profondi e banali che "la cosa é troppo stupida". Questa cosa però siamo noi stessi, in una era in cui una grande energia attiva é molto apprezzata, é necessario ricordarsi anche di ciò che talvolta le somiglia tanto da generare confusione.

Signore e signori! Al giorno d'oggi si parla frequentemente di una crisi di fiducia nell'umanitarismo, una crisi di fiducia che fin'ora veniva riposta nel senso di umanità: si potrebbe anche parlare di un panico in procinto di sostituire i nostri affari in libertà secondo ragione. E non dobbiamo illuderci: questi due concetti morali e anche etico-estetici, la libertà e la ragione, che sono giunti a noi come emblemi della dignità umana dall'epoca classica del cosmopolismo tedesco, già verso la ametà del secolo diciannovesimo o poco dopo non erano più tanto in buone condizioni. Sono andati lentamente "fuori corso", non si sapeva cosa farsene di loro, e che li abbiamo lasciati ridursi sempre più non è tanto il merito dei loro nemici quanto dei loro amici. Non possiamo percià illuderci per il futuro: noi, o quelli dopo di noi non riprenderemo nuovamente queste concezioni immutate: nostro compito, e giustificazioni delle prove cui saranno sottoposti gli spiriti sarà - ed é questo il compito troppo spesso incompreso, pieno di dolore e speranza insieme di ogni generazione - quello di realizzare con le non perdite possibili quel passaggio verso il nuovo che é sempre nercessario, anzi assai desiderabile.

E poiché si é mancato al momento giusto il passaggio verso idee che convertino in parte il passato, ma che trasformino esse stesse, tanto più in questa attività si ha bisogno di concezioni che siano di sostegno a ciò che é vero, ragionevole, importante, saggio, e perciò all'opposto, anche a ciò che è stupido.

Quale concetto, ho concetto parziale della stupidità ci si può formare, però, quando il concetto della ragione e dell'intelligenza sta cadendo? E quanto queste concezioni mutino coi i tempi, vorrei mostrarlo solo con questo piccolo esempio, che in un manuale di psichiatria un tempo assai noto, alla domanda: "Che cosa é la giustizia?! la risposta "Quando viene punito l'altro!!" viene citato come caso di imbecillità, mentre oggi é la base di una concezione del diritto assai discussa. Temo perciò che non sarà possibile concludere neanche le più modeste argomentazioni senza almeno accennare a un nucleo indipendente da mutamenti temporali. Dal ché sorgono altre questionie considerazioni.

Non ho nessun diritto di presentarmi come psicologo, e non ho neanche l'intenzione di farlo, ma mi pare che un po' d'attenzione per questa scienza sia la prima cosa da cui in questo caso si può sperare di trovare aiuto. La psicologia di un tempo distingueva tra sensazione, volontà, sentimento e fantasia o intelligenza, ed era chiaro, così che la stupidità fosse un grado inferiore d'intelligenza.
La psicologia dei nostri giorni ha sminuito l'importanza della distinzione tra i diversi campi della psiche, ha riconosciuto la vicendevole dipendenza e compenetrazione delle diverse attività psichiche e con ciò ha reso assai più complessa la risposta alla domanda di che cosa significa la stupidità per la psicologia.

Naturalmente anche secondo le concezioni attuali esiste una relativa indipendenza dell'attività raziocinante, ma anche nelle condizioni più tranquille, l'attenzione, comprensione, memoria e altro, anzi quasi tutto ciò che appartiene alla ragione, dipendono probabilmente anche dalle qualità dell'indole emotiva: a ciò nell'esperienza pratica come pure in quella più spirituale una ulteriore compenetrazione di intelligenza o di emotività che é quasi indissolubile. E questa difficoltà di distinguere ragione e passione nel concetto della stupidità: e se per esempio la psicologia medica descrive il pensiero dei deficienti mentali con parole come: povero, impreciso, incapace di astrarre, privo di chiarezza, lento, facile a distrarsi, superficiale, unilaterale, rigido, complicato, eccessivamente mobile, confuso, si comprende senz'altro che questi attributi indicano in parte la ragione in parte il sentimento.

Si può perciò dire: la stupidità e l'intelligenza dipendono sia dalla ragione che dal sentimento; e se l'una cosa o l'altra prevalga, se per esempio nell'imbcecillità la debolezza dell'intelligenza sia "in primo piano" o secondo alcuni rispettati rigoristi morali la fiacchezza del sentimento, lo si può lasciar decidere agli specialisti, mentre noialtri profani ci dobbiamo arrangiare in modo un po' più libero.

Nella vita per stupido si intende di solito uno che "é un po' debole di cervello". Però esistono anche le più svariate aberrazioni intellettuali e psichiche, da cui perfino una intelligenza indenne fin dalla nascita può venire talmente intralciata e ostacolata e confusa da giungere a una condizione per cui il liguaggio ha a disposizione una volta di più solo la parola stupidità.
Questa parola include dunque due tipi in fondo assai diversi: una stupidità semplice e onesta e un'altra che, un po' paradossalmente, è addirittura un segno di intelligenza. La prima è dovuta più che altro a una debolezza della ragione, l'altra piuttosto a una ragione che é un po' troppo debole rispetto a qualcos'altro, e quest'ultima é di gran lunga la più pericolosa.

La stupidità onesta é un po' dura di comprendonio e lenta da afferrare. E' povera di immagini e di parole e anche maldestra nell'usarle. Preferisce le cose banali, perché le si fissano bene in mente attraverso la loro frequente ripetizione, e quando una volta si è impresso in mente qualcosa non intende farselo togliere tanto facilmente, o farselo analizzare, o stare essa stessa a rifletterci sopra. In fondo ha non poco in comune con la sana vita delle rosse guance! E' vero che spesso è vaga e imprecisa nel pensare e il pensiero spesso le smette di funzionare completamente di fronte a nuove esperienze, ma in compenso si ottiene preferibilmente a ciò che é apprendibile attraverso i sensi, e che può per così dire contare sulle sue dita.

Insomma, é la cara "stupidità luminosa", e se non fosse talvolta così ingenua, confusa e al tempo stesso così impervia a ogni spiegazione da far impazzire, sarebbe un'apparizione quanto mai amabile.

Non posso rinunciare a decorare ulteriormente questa apparizione con alcuni esempi che la mostra anche da altri lati e che ho ricavato dal "Manuale di Psichiatria" di Bieluer: un imbecille esprime ciò che noi sbrigheremmo con la formula "medico al letto del malato" con le seguenti parole: " Un uomo che tiene la mano all'altro, questo sta a letto, poi c'é una suora". E' il modo di esprimersi di un primitivo che dipinge! Una donna di servizio non molto sveglia considera uno scherzo sciocco proporle di provare di portare i suoi risparmi in banca dove aumenterebbero con gli interessi: "ma sono così stupidi da pagarmi con altri soldi quando già mi custodiscono il denaro?".

Ma torniamo di nuovo al rapporto con l' arte. La stupidità semplice é spesso veramente artista. Invece di rispondere a una parola - stimolo - con un'altra parola, come un tempo era assai diffuso in certi esperimenti, risponde con intere frasi, e, si può dire quel che si vuole, queste frasi hanno in sè qualcosa di non dissimile dalla poesia! In certi eccessi spesso si accosta il poeta all'idiota, pure non si può disconoscere l'elemento poetico anche in ques'ultimo, ed è significativo che nella poesia l'idiota possa venir rappresentato con un strano compiaciamento per il suo spirito,
Con questa stupidità onesta, quella invece pretenziosa e più elevata si trova in un contrasto anche troppo spesso violento. Essa non é tanto mancanza di intelligenza in sè, quanto piuttosto il suo fallimento, dovuto ai fatti che pretende di esaudire compiti che non le si addicono; ed essa può avere tutte le cattive qualità della ragione debole, ma ha in più anche tutte quelle causate da un sentimento non equilibrato, deforme, di mobilità irregolare, insomma ogni setimento che devia dalla salute.

Poiché non esistono sentimenti "normali" in questa deviazione si esprime, più esattamente, un'insufficienza di collaborazione, fra le unilateralità del sentimento e una ragione che non é sufficiente a controllarle. Questa stupidità più elevata é la vera malattia dell'educazione (ma per evitare malintesi, essa significa ineducazione, educazione errata o deformata, sproporzione fra materia e forma nell'educazione) e descriverla é un compiro quasi illimitato. Essa giunge fino alla più elevata intellettualità perché, se la vera stupidità é un arista silenziosa, quella intelligente é ciò che contribuisce alla movimentatezza della vita intellettuale, e specialmente alla sua instabilità e infruttuosità.

Già anni orsono ho scritto: "Non c'é praticamente nessun pensiero importante che la stupidità non sia in grado di utilizzare, essa é mobile in tutti i sensi e può indossare tutti i vestiti della verità. La verità invece ha solo una veste in ogni occasione; e solo una via, ed é sempre in svantaggio. La stupidità che s'intende con ciò non é una malattia mentale, eppure é la più pericolosa malattia della mente, pericolosa perfino per la vita.

Dovremmo certo identificarlaa ciascuno di noi in se stesso e non aspettare a riconoscerla nelle sue grandi esplosioni storiche.
Ma in che modo riconoscerla? E quale marchio inconfondibile possiamo imporle?! La psichiatria indica oggi come uno sintomo principale per i casi che la riguardano l'incapacità di raccapezzarsi nella vita, il fallimento di fronte a tutti i compiti che questa assegna, o anche improvvisamente di fronte a un compito dove nessuno si sarebbe aspettato un fallimento.

Anche nella psichiatria sperimentale, che ha a che fare prevalentemente con individui sani, la stupidità viene definita in termini analoghi "Stupido per noi é un comprtamento che non riesce ad assolvere una prestazione per la quale sono date tutte le condizioni, salvo quelle personali" scrive un noto rappresentante di una delle scuole più recenti di questa scienza. Questo sintomo della capacità di un comportamento obiettivo, di abilità, dunque va benissimo però per i "casi" nella clinica o nel centro di osservazione delle scimmie, ma sono i "casi" in libertà che rendono necessarie alcune aggiunte, perché in loro il "compimento" giusto o sbagliato della "prestazioni" non é così evidente.

In primo luogo nella capacità di comportarsi sempre come un uomo vitale ed energico si comporterebbe in quelle date condizioni sta già tutta la profonda ambiguità della intelligenza e della stupidità, perché il "comportamento appropriato", "competente", può utilizzare la cosa per il proprio vantaggio personale o invece mettersi al suo suo servizio, e chi fa l'una cosa considera di solito stupido colui che fa l'altra. (Ma in senso medico, stupido é chi non può fare né l'una né l'altra cosa).
E in secondo luogo non si può negare che un comportamento soggettivo o perfino inappropriato può essere spesso indispensabile perchè l'oggettività e l'impersonalità, la soggettività e l'inappropriatezza sono imparentate tra loro, e per quanto ridicola possa essere la soggettività spensierata, altrettanto impossibile a viversi e anche a pensarsi é naturalmente pure un comportamento completamente oggettivo; equilibrare le due cose é proprio una difficoltà fondamentali della nostra cultura.

E infine andrebbe obbiettato che occasionalmente tutti non si comportano così saggiamente come sarebbe necessario, che dunque ognuno di noi é stupido se non sempre almeno di tanto in tanto. Bisogna perciò distinguere tra il fiasco e l'incapacità tra stupidità occasionale o funzionale e, continua o costituzionale, tra errore e mancanza di senno. Questo é uno dei punti essenziali, poiché le condizioni della vita al giorno d'oggi sono tali, così oscure, confuse, completate, che dalle stupidità occasionali del singolo può nascere senz'altro una stupidità costituzionale della comunità.

Ciò dunque porta l'attenzione, che concludere anche fuori del campo delle qualità personali, a considerare una società affetta da tare mentali. E' vero che non si può applicare alla società ciò che avviene psicologicamente e realmente all'interno del singolo individuo, dunque neanche malattie mentali e stupidità, ma attualmente si potrebbe parlare spesso di una "imitazione sociale di deficenze mentali": gli esempi in proposito sono anche troppo evidenti.

Con queste aggiunte abbiamo naturalmente superato di nuovo l'ambito della spiegazione psicologica. Essa ci insegna che una mente intelligente ha determinate qualità, così chiarezza, precisione, ricchezza, elasticità, e molte altre ancora, che si potrebbero enumerare; e che queste qualità sono in parte innate, in parte vengono acquisite assieme alle cognizioni che uno accumula, con una specie di abilità nel pensare; infatti una buona intelligenza e una mente agile significano pressapoco la stessa cosa. Per giungere a ciò non vi é niente da superare se non la pigrizia e la disposizione naturale, ci si può anche educare, e la strana parola "sport mentale" esprime anche abbastanza bene che cosa é l'essenziale.

La stupidità "intelligente", invece non si trova tanto in contrasto con l'intelletto, quanto col pensiero e anche col sentimento (qualora non si voglia intendere con ciò soltanto un mucchietto di stati sentimentali). Poiché i pensieri e i sentimenti si muovono insieme, ma anche perchè in essi si esprime lo stesso individuo, alcuni concetti come vastità, ristrettezza, agilità, semplicità, fedeltà si possono applicare sia al pensiero che al sentimento e anche se la connessione che ne risulta non é del tutto chiara, basta però per poter dire che del sentimento fa parte anche la ragione, e che i nostri sentimenti sono in rapporto con l'intelligenza e con la stupidità. Contro questa stupidità bisogna agire con l'esempio e con la critica.

La concezione qui esposta si differenzia dall'opinione corrente (che non é affatto sbagliata ma certo é estremamente unilaterale) secondo cui un sentimento profondo e sincero non avrebbe bisogno della ragione, anzi ne verrebbe soltanto inquinato.
La verità é che in certe persone semplici, alcune qualità pregevoli come fedeltà, costanza, purezza di sentimenti e simili si presentano non commiste, ma solo perché la concorrenza delle altre qualità é troppo debole.

Un caso limite di ciò ci si é presentato or ora con l'immagine dell'idiozia amabile. Non intendo minimamente svilire con queste precisazioni il sentimento bonario e bene intenzionato - la sua assenza è proprio una delle cause fondamentali della stupidità più elevata! - Ma ancora più importante é attualmente preporgli il concetto del significato, che menziona però ormai soltanto in chiave del tutto utopistica.

Il significato riunisce in sè la verità che possiamo riconoscere in esso con le qualità del sentimento che hanno la nostra fiducia, per giungere a qualcosa di nuovo, a una comprensione, ma anche a una decisione, a un persistere sempre rinvigorito, a qualcosa che ha un contenuto psichico e spirituale e (pretende) da noi e da altri un comportamento. Potremmo ad esempio dire, ed é il momento più importante in connessioone con la stupidità, che il significato é comprensibile sia dal lato razionale che da quello affettivo della critica. Il significato é anche il contrario sia della stupidità che della rozzezza, e la proporzione generale in cui oggi i momenti emotivi soffocano la ragione invece di darle slancio, sparisce nel concetto della significatività.

Non parliamone più, forse abbiamo già detto di più di quanto possiamo responsabilmente sostenere. Perchè se ci dovesse ancora aggiungere qualcosa, si dovrebbe aggiungere solo questo: che con quanto si é detto non si é dato alcun segno sicuro di riconoscimento e di distinzione del significato, e che non sarebbe neanche facile darle uno pienamente soddisfacente. Proprio questo però ci porta all'ultimo e più importante rimedio contro la stupidità; alla modestia.

Occasionalmente noi tutti siamo stupidi; e dobbiamo occasionalmente anche agire da ciechi e da semiciechi, altrimenti il mondo ci fermerebbe; e se qualcuno volesse dedurre dai pericoli della stupidità la regola: "Astieniti dal giudizio e dalla decisione in tutto ciò di cui non comprendi abbastanza!" resteremmo inerti . Ma questa situazione, di cui attualmente si parla tanto, é analoga a un che nell'ambito dell'intelletto ci è nota da lungo tempo. Siccome infatti il nostro sapere e le nostre capacità sono incomplete, siamo costretti in tutte le scienze a emettere giudizi azzardati, ma sfonzandoci abbiamo imparato a restringere questo errore in limiti noti e laddove possibile a correggerlo, così la giustezza ritorna nelle nostre azioni. Niente impedisce di trasferire questo giudizio e questa azione, esatti e pieni di orgoglio e umiltà insieme anche ad altri campi della nostra esistenza: e io credo che in principio: "agisci bene quando puoi e male quando devi, e sii frattanto cosciente dei limiti d'errore del tuo operare!" potrebbe già a metà strada per la creazione di una vita piena di prospettive positive.

Ma questi miei accenni ho già, da un pezzo, finito le mie argomentazioni che, come affermavo prudentemente all'inizio, non sono che un primo studio preliminare. E col piede sul confine dichiaro di non essere in condizione di andare più oltre, perché anche con un solo passo oltre il punto dove qui ci fermiamo saremmo fuori dell'ambito della stupidità, che perfino nella teoria é vario e interessante, e giungeremmo al regno della saggezza, una ragione desertica in genere schivata dagli uomini.

FINE

In Rete esiste anche una traduzione di Antonello Sciacchitano (con 43 note)
http://www.sciacchitano.it/Alle%20soglie%20del%20sito/Sulla%20stupidit%C3%A0.pdf

 

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IL SIGNOR POLITICO "COMESIDEVE" e
IL POLITICO "COMISIVUOLE"

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