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anni 1 - 222
222 - 336
336 - 432
432 - 530
530 - 606
607 - 640
640 -752
752-816
816-882
882-928
928-999
999-1048
1048-1119
1119-1292
1294-1455
1455-1691
1691-1831
1831- 2005

ANNI DAL 1048 AL 1119

LEONE IX, Brunone, alsaziano (1049-1054)
Brunone della famiglia alsaziana dei conti di Egisheim-Dagsburg, nato intorno al 1002 e già vescovo di Toul fu nominato papa, rispettando così anche i voleri imperiali il 12 febbraio 1049, con il nome di Leone IX, dopo una vacatio al soglio durata oltre sei mesi.
Al suo arrivo a Roma, iI vescovo di Toul fu accolto fin dall’inizio come un santo da una processione di popolo che lo ricevette a porta Latina.
L’ operato di Leone IX fu subito improntato alla riforma ed al risanamento morale della Chiesa con un concilio tenuto a Roma dopo solo due settimane dalla sua consacrazione e durante il quale rinnovò le abiure di Clemente II nei confronti della simonia e del nepotismo, nonché contro i concubinati clericali. Per la riforma ecclesiastica e della Chiesa chiamò a sé le persone più integerrime e dotte dal punto di vista teologale quali Ildebrando di Soana (vero artefice della riforma stessa), già monaco a Cluny o cluniacense , il quale fu nominato suddiacono ed al quale fu affidata l’amministrazione della basilica di San Paolo. Ma anche il monaco Umberto di Moyenmontier già suo compagno di viaggio fino a Roma ed in seguito suo ambasciatore, l’ arcidiacono Federico di Lorena in qualità di bibliotecario, l’ abate Ugo Candido ed ancora l’abate Ugo di Cluny, l’arcivescovo Alinardo di Lione e Pier Damiani priore di Fonte Avellana vicino a Gubbio.
Dopo aver deposto una miriade di vescovi e prelati che avevano in qualche modo tenuto comportamenti poco consoni ai decreti conciliari, Leone IX visitò il Nord Italia , la Germania ed infine la Francia, convocando di volta in volta i concilii di Pavia, Colonia, Reims e Magonza , confermando i decreti del concilio romano. A Colonia pronunciò l’anatema contro Goffredo di Lorena e Balduino, principi ribelli all’imperatore Enrico III.
Nell’aprile del 1050 in un nuovo concilio di Roma , fu ripresa la scomunica del canonico Berengario di Tours, la quale eresia sconfessava la presenza di Cristo nell’ eucaristia. Un’ altra spinosa questione affrontata da Leone IX fu l’accuirsi dello scisma tra oriente ed occidente quando Michele Cerulario, patriarca di Costantinopoli accusò di eresia la Chiesa romana facendo chiudere tutte le chiese e le rappresentanze latine.

Ma se sul fronte delle riforme attorno a lui si creò un alone di santità, sul campo temporale la sua aurea fu piuttosto scalfita quando il 18 giugno del 1053 per difendere Benevento, città pontificia in virtù della donazione fatta da Enrico III, dalle scorrerie normanne , per non aver voluto trattare, l’ esercito di Leone IX fu sconfitto a Civitate a sud del Gargano dall’ esercito di Riccardo di Aversa e di Roberto il Guiscardo.

Il pontefice sconfitto fu imprigionato e liberato solo il 12 marzo del 1054, ormai ammalato e deluso si fa trasportare in laterano dove arriva il 3 aprile e dove il 19 aprile muore.
Seppure la sua fama santità fu leggermente offuscata per aver brandito la spada contro fedeli cristiani, sulla sua tomba si perpetrarono numerose guarigioni finchè nel 1087, papa Vittore III decise di dargli una più degna sepoltura facendo trasferire la salma in San Pietro.
San Leone IX è stato proclamato patrono di Benevento nel 1762 ed il Martirologio lo festeggia il 19 aprile.

VITTORE II, Gebeardo, conti Dollestein, tedesco (1055-1057)
Gebeardo dei conti di Dollnstein-Hirschberg (famiglia sveva) , cugino di Enrico III e vescovo di Eichstätt fu proclamato pontefice il 16 aprile 1055 ed assunse il nome di Vittore II, dopo oltre un anno di sede vacante.
Il motivo di un così lungo interregno fu dovuto a parecchi fattori, il primo tra i quali il fatto che la nobiltà romana mandò a Magonza parecchie ambascerie al fine di far propendere la scelta dell’imperatore su qualche personaggio antiriformista. Ma nonostante Ildebrando di Soana si trovasse ancora in Francia per far capitolare il monaco eretico Berengario, cosa che per altro gli riuscì durante il concilio di Tours del 1054, riuscì a convincere l’imperatore a spostare la scelta sul di lui cugino in maniera che l’opera riformatrice potesse aver seguito.
Un ulteriore ritardo alla nomina papale fu dovuto allo stesso Gebeardo il quale volle assumere l’impegno solo dopo l’assicurazione di Enrico III che i territori pontifici sarebbero stati posti sotto tutela imperiale.
Enrico III la promessa la fece salvo poi nominare il pontefice “vicario imperiale” nel giugno dello stesso anno in occasione dei concilio di Firenze, scaricandosi così le responsabilità temporali legate ai territori governati dal papa.
Capito che avrebbe dovuto arrangiarsi nel campo militare, Vittore II cercò quindi l’appoggio di Goffredo di Lorena anche se questi era stato per lungo tempo in contrasto con Enrico III, dal quale era stato spogliato del ducato di Bassa Lorena e che dopo aver sposato Beatrice, vedova di Bonifacio di Toscana ( morto nel 1052 per un incidente di caccia) ed essere diventato il signore più potente d’ Italia, fu nuovamente attaccato da Enrico III non dimentico dei torti subiti.
Goffredo era riuscito a resistere agli attacchi dell’esercito imperiale lascinando però in mano a Enrico III, la moglie Beatrice e la figlia Matilde, nata dal matrimonio con il precedente marito.
Però la sorte non girò male al pontefice perché Enrico III morì nell’ottobre del 1056 e con l’imperatrice Agnese riuscì a trovare il giusto canale diplomatico per ricondurla a più miti consigli.
L’influenza di Ildebrando di Soana fece si che ad Agnese fosse riconosciuta la reggenza sul figlio Enrico di appena sei anni ed in cambio questa lasciò liberi gli ostaggi, restituendo a Goffredo la Lorena.
Rientrato in Italia, durante il concilio di Firenze del 1057 Goffredo fu proclamato “ patricius” e suo fratello Federico, già abate di Montecassino proclamato cardinale di San Crisogono in Transtevere.
Già provato per i duri viaggi Vittore II si spense ad Arezzo il 28 luglio 1057, alcuni vescovi avrebbero voluto far trasportare la salma ad Eichstätt ma fu impedito dalle locali popolazioni pertanto il corpo fu trasportato a Roma dove fu sepolto ( probabilmente nella chiesa di Santa Maria in Cosmedin)

STEFANO IX, Federico, dei duchi di Lorena (1057-1058)

Il monaco tedesco Federico di Lorena, già cancelliere di papa San Leone IX, poi monaco a Montecassino, alle isole Diomedee, o Tremiti, a San Giovanni in Venere, ed in fine abate di Montecassino; alla morte di Vittore II, fu consacrato papa il 3 agosto 1057 con il nome di Stefano IX, nella chiesa di Santa Reparata ( poi divenuta Santa Maria del Fiore) in Firenze.
La sua consacrazione non fu ben accetta dagli imperiali perché questa fu praticamente imposta senza il loro consenso ma, grazie all’opera di mediazione di Ildebrando di Soana, divenuto nunzio apostolico le cose si volsero al meglio per il pontefice, d’altro canto l’imperatrice Agnese non fu certo in grado di contrapporsi alla fine diplomazia dello stesso Ildebrando.

Non tutto fu chiaro nel breve operato di Stefano IX perché, se da un lato tentò di rafforzare ulteriormente il progetto di riforma, chiamando a sé il dottore della Chiesa e priore dell’eremo Camaldolese, della Santa Croce di Fonte Avellana Pier Damiani (già in odore di santità), nominandolo cardinale di Ostia, dall’altro macchinò tentando di crearsi un esercito personale, a capo del quale avrebbe dovuto esserci il fratello Goffredo, il quale ai suoi occhi avrebbe non solo potuto diventare re d’ Italia ma forse anche imperatore.
Tanto è vero che, il pontefice in vista di chissà quali progetti, fece trasferire il tesoro dell’abbazia di Montecassino, nonostante le riottosità dei monaci e fu in procinto di incontrare il fratello a Firenze presso la chiesa dove era stato consacrato, quando il 29 marzo 1058 morì improvvisamente.
Il corpo di Stefano II fu sepolto in Santa Reparata stessa.

NICCOLO' II, Gerardo, della Borgogna (1059-1061)
(con BENEDETTO IX antipapa)
Al secolo Gerardo di Borgogna, nato a Chevron , nella Savoia attorno i primi anni del 980 e vescovo di Firenze, Nicolo II fu consacrato in San Pietro il 24 gennaio 1059 dopo una vacanza del seggio pontificio di dieci mesi a causa delle ormai connaturate divisioni interne alla Chiesa stessa.
Infatti, alla morte di Stefano IX la nobiltà romana tentò il colpo di mano eleggendo pontefice Giovanni vescovo di Velletri che si insediò con il nome di Benedetto X grazie anche alla sortita dell’ esercito capitanato da Gregorio di Tuscolo, fratello di Benedetto IX il quale, il 5 aprile 1058 entrò in Roma.
L’elezione fu immediatamente condannata da tutti i padri riformatori da Pier Damiani a Ildebrando di Sona e per modificare la situazione, si riunirono in concilio a Siena il 18 aprile, con l’appoggio di Goffredo di Toscana e Lorena. Dal concilio uscì appunto la scelta di Gerardo di Borgogna.
Nel frattempo, Ildebrando di Soana che si già trovava in Germania mando una sua delegazione presso l’imperatrice reggente Agnese, ad Augusta, per convincerla ad abbracciare la causa riformista. L’imperatrice accondiscese ed ordinò al duca di Toscana di scortare a Roma il neo eletto pontefice.
In un nuovo concilio di Sutri Benedetto X fu scomunicato e dichiarato deposto ma le cose furono tutt’altro che semplici perché tutti sapevano che ogni tipo di forzatura da una parte o dall’altra sarebbe costata un bagno di sangue. L’escamotage fu come sempre trovato da Ildebrando di Soana il quale nel frattempo era rientrato ad Ostia: contattato il ricchissimo Leone Baruch, parente per parte materna e figlio di un ebreo convertito, riuscì a far circolare notevoli quantità di denaro tanto da non far presa solo sul popolo ma anche presso la nobiltà e tanto da riuscir a provocare una sommossa popolare costringendo Benedetto X alla fuga
Ai primi di aprile del 1059, Nicolò II tenne il suo primo concilio in Laterano, con la presenza di oltre 100 vescovi che si concluse con la bolla papale <<In Nomine Domini>> ( Nel Nome del Signore) del 13 aprile 1059 la quale oltre ad esprimere nuovamente la condanna e la scomunica di Benedetto X, la condanna della simonia e la proibizione del concubinato clericale sancì in modo inequivocabile che il compito dell’ elezione papale spettava solamente ai vescovi cardinali, cardinali non vescovi, clero nobiltà e popolo potevano solamente dare il loro consenso. Inoltre il decreto stabilì che l’ elezione potesse avvenire anche fuori Roma se i cardinali vescovi lo avessero ritenuto opportuno, che il papa poteva anche non essere nativo di Roma pur in considerazione dei degni e capaci che in Roma avessero avuto i loro natali. All’imperatore fu riconosciuto il diritto di essere considerato degno di considerazione e rispetto.
Inutile dire che quanto stabilito dal pontefice provocò il finimondo ma anche su questo i padri riformisti furono pronti. Nicolò II si recò presso i feudi normanni e nell’agosto 1059 tenne un ulteriore concilio a Melfi, al quale furono invitati Roberto il Guiscardo e Riccardo di Aversa, ad essi furono riconosciute tutte le terre conquistate e ancora da conquistare con l’esclusione di Benevento. A Roberto fu conferito il titolo di duca signore di Puglia e Calabria, a Riccardo il titolo di principe di Capua e la conferma dei suoi già vasti possedimenti.
Davanti a tanta prodigiosità i normanni si sentirono in dovere di dichiararsi vassalli del pontefice e pronti a mettere a disposizione i propri eserciti per il bene della Chiesa, e a riprova accompagnarono a Roma Nicolò II allo scopo di porre fine alle velleità di quella nobiltà che ancora riconosceva Benedetto X, il quale fu stanato dal castello di Galeria dove si era asserragliato ed imprigionato nella chiesa di Sant’ Agnese.
Nel Nord Italia successe invece che il popolo si coalizzò in una sorta di movimento definito “Pataria” che si prefiggeva lo scopo di combattere il concubinato dei preti e che arrivò talvolta a veri e propri tumulti con relativi saccheggi. A dirimere la questione arrivarono, nel 1060 Pier Damiani ed il vescovo di Lucca i quali, non senza notevoli sforzi costrinsero Guido arcivescovo di Milano e tutto il clero a fare atto di rinuncia al concubinato e pronuncia di abiura nei riguardi della simonia.
Mentre ad Augusta per indorare la pillola alla corte imperiale fu inviato il cardinale Stefano ma non fu ricevuto dall’imperatrice, mentre quasi tutti i vescovi tedeschi dichiararono nulle le decisioni papali ed in aperta sfida, illegali le nuove modalità di elezione.
Ma l’aria dello scisma in essere Nicolò II non la potè respirare: si spense a Firenze il 27 luglio 1061 e fu sepolto nella stessa cattedrale.


ALESSANDRO II, Anselmo da Baggio, di Milano (1061-1073)
Anselmo, nato a Baggio (oggi in provincia di Milano), vescovo di Lucca fu consacrato papa alla mezzanotte tra il 30 settembre ed il 1° ottobre 1061. Egli fu eletto secondo i dettami della bolla del 13 aprile del 1059, per volere di Ildebrando di Soana e di tutti i riformatori, con la protezione di Riccardo di Capua, nonostante il tentativo del conte Gherardo di Galèria di far eleggere il cancelliere Guilberto, per il qual scopo si era recato con una delegazione ad Augusta presso la corte imperiale. Ma lo scisma accadde il 28 ottobre 1061, quando i vescovi germanici venuti a conoscenza della “forzatura” si riunirono nel concilio di Basilea decretando patricius romanorum Enrico IV, figlio decenne di Enrico III ed eleggendo papa Cadalo, vescovo di Parma che assunse il nome di Onorio II.
Ma l’investitura di Onorio II avrebbe potuto avvenire solo a Roma, dove egli arrivò nel marzo del 1062, scortato dall’esercito lombardo. Battute le truppe papaline si impossessò della città leonina e di San Pietro. Nel frattempo in Germania era accaduto una sorta di colpo di stato da parte di Annone, arcivescovo di Colonia, il quale più vicino ai riformisti aveva tolto la reggenza all’imperatrice Agnese ed aveva preso sotto protezione il giovanissimo Enrico IV. Annone infine convocò il parlamento germanico affidando l’istruttoria per dirimere lo scisma al nipote Burcardo, vescovo di Halberstadt il quale alla fine decretò del tutto valida l’elezione di Alessandro II. Anche a quei tempi, quando si voleva far giungere una notizia importante a qualcuno, questa spesso metteva le ali e Alessandro II, appena venuto a conoscenza del pronunciamento di Burcardo non attese il decreto parlamentare per conferire a quest’ultimo l’arcivescovado di Pallium e ad Annone il cancellierato di tutta la Chiesa. Alessandro II fece ritorno a Roma nell’aprile del 1063 scortato dall’esercito di Goffredo di Toscana. Convocato un concilio in Laterano, Onorio II fu scomunicato e destituito. La definitiva soluzione avvenne però solamente il 31 maggio 1064 quando convocato il concilio di Mantova costituito da vescovi tedeschi ed italiani , Alessandro II fu definitivamente riconosciuto il papa legittimo . Le pretese di Onorio continuarono fino alla sua morte avvenuta nel 1072 ma senza più seguito.
Gli altri fatti salienti di questo pontificato furono sicuramente la conquista dell’ Inghilterra del 1066, da parte del duca Gugliemo di Normandia che sotto il gonfalone di San Pietro schiacciò il partito degli antiriformisti; nonché la conquista della Sicilia da parte di Roberto il Guiscardo, con la cacciata degli arabi. Intensi rapporti furono intessuti con il regno cristiano di Spagna di Filippo I Capeto e soprattutto diede il suo appoggio ai vescovi francesi contro la persecuzione degli ebrei in Francia.
Un altro gonfalone di San Pietro fu inviato al cavaliere Erlembaldo che si era schierato a favore della Pataria e di Pier Damiani per la tenacia nel sostenimento della riforma e soprattutto per essere riuscito a sventare, dopo l’abdicazione del arcivescovo Guido, l’elezione di Goffredo, prete antiriformista fedele ad Enrico IV, imponendo l’elezione di Attone, soprattutto dopo la morte di Pier Damiani, avvenuta nei primi mesi del 1072.
Il pontificato di Alessandro II finì comunque in maniera turbolenta così come iniziato perché nel 1069 morì anche Goffredo di Toscana la nobiltà romana si riaffacciò rivendicando la signoria di Roma città attraverso l’incarico di prefetto all’epoca detenuto da Cencio della famiglia dei Crescenzi.
Alessandro II si spense il 21 aprile del 1073 e fu sepolto in laterano.

GREGORIO VII, Ildebrando, della Tuscia (1073-1085)
Ildebrando di Soana fu eletto papa il 22 aprile del 1073, in San Pietro, con il nome di Gregorio VII. Nato intorno al secondo decennio dell’anno mille, nel territorio di Sorano (attuale provincia di Grosseto), dall’artigiano Bonizione e dalla madre Betta, la sua vita fu subito improntata alla religiosità, soprattutto per l’interessamento dello zio materno Lorenzo, abate del monastero di Santa Maria all’Aventino e successivamente di Giovanni Graziano, arciprete di San Giovanni a Porta Latina, divenuto successivamente papa Gregorio VI. Alla morte di quest’ ultimo si ritirò nel monastero di Cluny da dove fu richiamato da papa Leone IX per essere affiancato nella riforma della Chiesa , della quale si è sino a questo pontificato descritto.
Contrariamente a quanto disposto dal decreto di Niccolò II che prevedeva l’elezione pontificia proveniente dal conclave dei cardinali vescovi, Gregorio VII fu invece proclamato papa a furor di popolo lo stesso giorno delle esequie ad Alessandro II, in presenza del suo feretro e nonostante un primo diniego, accomodato dal cardinale Ugo Candido, egli fu definitivamente consacrato il 30 aprile dello stesso anno.
Enrico IV non ci mise molto a ratificare l’elezione di questo papa che riconfermò subito tutta la riforma, per altro da lui stesso fortemente voluta, minacciando di scomunica chiunque non avesse aderito alle volontà pontificali. All’imperatore le volontà del papa furono comunicate da Goffredo di Lorena detto “il Gobbo”, terzo marito di Matilde di Toscana e Lorena.
Nel marzo del 1074 Gregorio VII convocò il suo primo concilio in Roma alla fine del quale furono scomunicati tutti i prelati in odore di simonia o di concubinato. L’imperatore fu informato di tali decisioni dalla stessa madre ed imperatrice Agnese, la quale si aggregò alla delegazione pontificia in visita alle terre germaniche.
La contesa si innescò sul controllo dei territori e sul dissidio dei vescovi germanici.
Gregorio VII anticipò tutto e tutti convocando un ulteriore concilio nel febbraio del 1075 il quale provocò un decreto ( Dictatus Papae ) che sosteneva la priorità assoluta del pontefice nella nomina dei vescovi e la scomunica di cinque prelati e vescovi, consiglieri di Enrico IV, ovvero la netta indipendenza del potere religioso, senza per questo rinunciare ai diritti territoriali ecclesiastici, là dove gli stessi territori venivano considerati patrimonio della Chiesa stessa, con i propri sudditi, in una sorta di regno “teologico”.
La fermezza e la convinzione del papa in queste questioni non provocarono solo malumori ma, dopo la sostituzione di cardinal Attone con Tedaldo a Milano ed il completo dissenso del cardinal Guilberto di Ravenna, la situazione sfociò in una vera e propria sommossa antipontificia. L’insurrezione fu comandata da cardinal Ugo Candido ( lo stesso che aveva voluto la sua incoronazione ed improvvisamente - forse per mano imperiale – divenutogli nemico) e capitanata dal prefetto Cencio.
Mentre Gregorio VII stava celebrando la santa messa la notte di natale del 1075, in Santa Maria Maggiore , il prefetto con un manipolo di uomini ferì il pontefice sull’altare e lo arresto sino a rinchiuderlo nella torre dello stesso monastero.
Gli stessi cristiani che avevano voluto la sua elezione e che stavano assistendo alla funzione, dopo qualche ora di sbandamento riuscirono ad organizzarsi e a liberare il papa già il 25 dicembre stesso. Gregorio VII, liberato dalla torre calmò la folla inferocita e riprese la funzione da dove era stata interrotta. Sia il prefetto Cencio che il cardinal Candido riuscirono a guadagnare il largo fino a rifugiarsi presso la corte di Enrico IV.
Nel gennaio del 1076 Gregorio VII invitò Enrico IV a conferire in Roma al fine di scagionarsi nei confronti della congiura subita. Enrico IV rispose invece con l’assemblea a WORMS del 24 gennaio dello stesso anno, durante la quale il papa fu messo sotto accusa perché: "attraverso Matilde di Canossa ed altre stregonerie era riuscito a convincere il popolo romano in una sorta di antimperialismo".
L’assemblea deliberò la disobbedienza, quindi, da tutti i decreti papali ed alle future deliberazioni.
Il pontefice rispose attraverso il concilio del 2 febbraio in Laterano con la scomunica di Enrico VI, alla presenza propria madre, l’imperatrice Agnese e di Matilde di Canossa.
Secondo la cronaca, l’anatema papale colpì con la morte molti dei consiglieri imperiali, tra i quali l’arcivescovo di Utrecht e lo stesso Cencio ex prefetto di Roma, con la conseguenza che principi, e tanti altri vassalli, duchi, marchesi e conti, antagonisti alla dinastia dello stesso imperatore, si ribellarono e si auto-convocarono in Augusta per convincere il re-imperatore ad abbandonare l’eventuale intento di una lotta fratricida.
Superando la scadenza dell’ ultimatum previsto per il 2 febbraio 1077, Enrico IV con il proprio esercito diresse verso Roma e giunse nei pressi di Mantova la mattina del 25 gennaio dello stesso anno, là dove il papa era in visita e prontamente rifugiato presso il castello di Matilde di Canossa.
Enrico IV dovette rimanere per tre giorni e tre notti sotto la neve ed il gelo, prima di essere ricevuto dal papa, al quale stava andando a chiedere clemenza e dal quale riceverà la comunione. (Nda - da cui il detto: "CI RIVEDREMO A CANOSSA!".
Enrico IV, nonostante la revoca dell’interzione papale, al suo rientro in Germania trovò un clima piuttosto ostile. La nobiltà, in sua assenza aveva nel frattempo decretato re ed imperatore suo cognato Rodolfo, duca di Svevia, quando l’imperatrice Agnese moriva il giorno di natale del 1077.
Le lotte fratricide all’interno delle terre Germaniche iniziarono subito dopo per terminare ( o quasi ) solamente nel 1080.
Le trame, le battaglie, le usurpazioni anche tra consanguinei non ebbero mai termine.
Per Enrico IV le vittorie arrivarono una dopo l’altra fino alla morte del suo più acerrimo nemico: il cognato Rodolfo, avvenuta sulle rive dell fiume Elster dopo una sanguinosa battaglia accaduta il 15 ottobre 1080.
Il re o imperatore, si presentò sotto le mura di Roma e nell’ aprile del 1082 dopo essere entrato nella “città leonina” assedia Castel Sant’ Angelo dove Gregorio VII si era trincerato.
Questo avvenne essenzialmente per il tradimento della nobiltà romana, esclusa sin dall’inizio dell’elezione di questo papa.
La stessa nobiltà si fece garante delle volontà di Enrico IV, salvo poi smentirsi e fu quindi un andirivieni delle truppe imperiali attraverso Roma, fino a che Enrico IV non decise di insediare un nuovo papa: Clemente III, ovvero il patriarca Guilberto di Ravenna.
Inutili fino a quel punto furono gli sforzi di Matilde di Canossa che per finanziare e mantenere il papa, era riuscita a vendere persino le dorature del proprio castello.
Il 24 marzo 1083, ignorando completamente l’assedio di Castel Sant’Angelo e quindi la presenza di Gregorio VII, Enrico IV entrò a Roma con il proprio esercito decretando papa, per l’appunto, Clemente III, dal quale lo stesso giorno si fece incoronare imperatore.
A quel punto intervenne il normanno Roberto il Guiscardo il quale, liberatosi temporaneamente dai saraceni condusse il proprio esercito verso Roma,rispondendo così all’appello lanciato dal papa ben due anni prima.
Il 27 maggio da porta San Giovanni entrarono i normanni capitanati da Roberto il Guiscardo dopo che 6 giorni prima, ovvero, preventivamente, il Enrico IV abbandonò il campo assieme al suo antipapa rifugiatosi a Tivoli.
Il 30 maggio tutta la nobiltà antipapale fu massacrata ed un vastissimo incendio si propagò dal Colosseo al Laterano distruggendo case, chiese e monumenti. Le devastazioni prodotte dai normanni infliggono un ulteriore colpo alla credibilità di Gregorio VII, nonostante questi avesse tentato in ogni modo di fermare le violenze.
Perduta la propria credibilità , il pontefice fu costretto a seguire le orme dei devastatori e a rifugiarsi a Salerno, dove morì il 25 maggio 1085. Le sue spoglie dapprima deposte in un sarcofago del III secolo, nel 1953 furono traslate in una nuova urna nel 1953, sempre all’interno della chiesa di San Matteo in Salero.
La sua canonizzazione in quanto “omo” libero, casto e puro avvenne nel 1606.
(nda: probabilmente le voci che corsero sulle relazioni con Matilde di Canossa non furono del tutto “barbine”, nell’insegna di "fate quel che dico non fate quel che faccio".
Nel frattempo nel mondo circostante altri eventi ebbero luogo:
a VENEZIA succedette a Domenico Contarini ( 1043-1071) il doge Domenico Silvo (1071-1084) e si insediò poco dopo la morte di Gregorio VII il doge Vitale Falier.
L’ISLAM, ad oriente si suddivise con Allah al Qaim (1031-1075), ultimo erede della dinastia Abbassidas, di Bagdad rigenerata in mille rivoli sparsi per tutto il Nord Africa fino alla penisola Iberica con le roccaforti di Granada e Cordova, per lasciare il posto al sultanato di Konia, il cui primo capostipite fu SÜLEYMAN I Jutalmisoglu Nàrcsiruddevle Ebu’l-Fevàrcris Gazi (1077-1086) della dinastia Selyúcida (la prima turco-ottomanna)
VITTORE III, Dauferio, di Benevento (1086-1087)
Al secolo Desiderio, nato a Benevento ed abate della basilica di Montecassino, egli fu sicuramente proposto dal principe Giordano di Capua, ma tra i suoi sostenitori vi fu anche Matilde di Canossa (non certamente poco importante all'epoca dopo la debacle di Enrico IV presso il castello di Canossa, dove matilde aveva le sue terre di Toscana e Lorena, in quanto figlia di Bonifacio, marchese di Toscana e di Beatrice di Lotaringia, sposa di Goffredo il Gobbo duca di Lorena).
Stante come stavano le cose socio-economiche nonchè le questioni religiose volute dai suoi predecessori riformisti, o forse più probabilmente per motivi di effettiva religiosità asceta, Desiderio, nostante le pressioni rifiutò. Egli sosteneva infatti che solo un concilio lo avrebbe costretto a ricevere la consacrazione.
Ma tante e tali furono le pressioni degli stessi cardinali italiani che alla fine fu convinto ad andare a Roma almeno per la Pasqua del 1086, dopodichè il 24 maggio avvenne la sua elezione, per la quale assunse il nome di Vittore III.
Andirivieni ed opposti veti incrociati tra il principe di Capua e Roberto il Guiscardo scatenarono però lotte ed insurrezioni interne ai normanni ed il pontefice, già restio per principio non fece altro che raggiungere via mare Terracina, dove si spogliò delle insegne papali, pensando di ritornare a vita monastica.
Ritornò però ben presto alla carica il principe di Capua il quale, accordatosi definitivamente con Roberto il Guiscardo , su pressioni di Matilde di Canossa al fine di promuovere un nuovo concilio, quello del marzo 1087 a Capua, anche per scongiurare il nuovo reinsediamento di Clemente III, reinsediatosi in Laterano con l'appoggio imperiale di Enrico IV.
Alla fine Vittore III fu consacrato papa il 9 maggio 1087, ma non si insedio nella cattedra di San Pietro, sotto scorta di Matilde di Canossa stabilì la sua cattedra sull' isola Tiberina ( parte di Roma sul fiume Tevere), dove però il vecchio abate si ammalò, mentre l'antipapa Clemente III scorribandava per Roma avendo fissato la sua dimora in Castel Sant'Angelo.
Vittore III, ormai alle soglie della morte, riuscì però a decretare alcune funzioni essenziali, attraverso il concilio di Benevento tenutosi tra la fine di agosto e i primi giorni di settembre dello stesso anno. In pratica, egli definì per sempre la scomunica di Clemente III, rinnovò i canoni della riforma e bandì un appello a tutti i cristiani contro l'imperversare dell'Islam in Nord Africa e nella menisola Iberica, per il quale appello risposero le città di Amalfi, Pisa e Genova che riuscirono ad imporre il proprio dominio sulla città di Mahdia (nell'odierna Tunisia).
Vittore III si spense nella sua abbazia a Montecassino il 16 settembre 1087, ove tuttora dovrebbe riposare a dispetto dei bombardamenti avvenuti durante la II guerra mondiale. Vittore III fu beatificato solamente nel 1887 (nda: forse avrebbe dovuto avere un maggior tributo, sia in termini di fede che di umiltà!).

Nel frattempo a Venezia fu insediato il XXIII doge: Vitale Falier (1084-1085)
Amalfi in quegli anni si stava spegnendo a causa delle opressioni normanne e delle continue scorribande di Pisa, dalla quale sarà definitivamente saccheggiata nel 1135.
Genova stava appena nascendo economicamente, commercialmente e politicamente impostata sulla gestione veneziana, il suo primo doge a vita fu Simon Boccanegra( X secolo).

Ad oriente il sultano Seljuk, dopo aver messo in serie difficoltà l'impero romano d'oriente, elesse la capitale a Konya (bellissima città della Turchia asiatica posta nel bacino del Taro).
URBANO II, Oddone, francese (1040-1099)
(pontificato 1088-1099)
Fu eletto l’ 8 marzo 1088 a Terracina, da un conclave formato da una quarantina di vescovi e prelati e dal prefetto Benedetto, in rappresentanza del popolo, dopo una vacanza di quasi sei mesi dovuta al fatto che la Cattedra di San Pietro era tornata in balìa dell’antipapa Clemente III.
Eudes (Oddone) che assunse, appunto, il nome di Urbano II nacque intorno al 1040 a Châtillon-sur-Marne in Francia, da nobile famiglia . Compì i suoi studi a Reims e divenne monaco nell’abbazia di Cluny. Nel 1077 accompagnò l’abate s. Ugo di Cluny a Canossa presso il papa s. Gregorio VII e l’anno successivo venne eletto vescovo di Ostia, succedendo a s. Pier Damiani. Per due volte ebbe l’incarico di Legato pontificio in Germania, nella controversia con l’imperatore Enrico IV.

Dopo l’elezione riuscì però a raggiungere Roma solo nel novembre del 1088 e se pur scortato dall’esercito normanno dovette comunque rimaner confinato entro l’ isola Tiberina, a causa dell’antipapa che ancora imperversava il quale arrivò persino a pronunciargli contro la scomunica in un concilio tenuto in San Pietro nel gennaio 1089. Nell’ aprile dello stesso anno Urbano II rispose a tale provocazione inviando la rinnovata scomunica ad Enrico IV, a Clemente III e a tutti coloro i quali sostenevano quest’ultimo attraverso il vescovo Ghebardo di Costanza.
Nel frattempo Enrico IV si era rafforzato ed aveva ormai l’adesione di quasi tutto il clero germanico, pertanto, incollerito nei confronti del pontefice mosse il suo esercito verso l’Italia dove riuscì a vincere le prime battaglie e ad entrare a Mantova per poi perdere definitivamente la guerra negli scontri prima, con l’esercito di Matilde di Canossa e poi, con quello formato dalla lega dei comuni lombardi ( Milano, Cremona Lodi e Piacenza). E mentre Enrico IV si dovette ritirare prima a Verona e poi in Germania, Urbano II potè celebrare la Pasqua del 1094 in Laterano, potuto riottenere grazie ad una somma di denaro offertagli da Goffredo abate di Vendome il quale fu accompagnato a Roma dall’esercito di Ugo de Vermandois costringendo Clemente III a rinchiudersi in Castel Sant’Angelo.

Subito dopo però Urbano II partì per il suo ministero apostolico fuori Roma; si recò a Pisa, a Pistoia, a Firenze ed a Cremona; nel marzo 1095 indisse un Concilio generale a Piacenza, che fu tenuto all’aperto, visto la partecipazione di 4.000 chierici e 30.000 laici; furono promulgati dei decreti pontifici, con i quali Urbano II dichiarò di non riconoscere le ordinazioni simoniache, cioè comprate e quelle ricevute da vescovi scismatici, rinnovò le condanne delle eresie, scomunicò l’antipapa e i suoi fautori. Nei primi tempi del suo pontificato, Urbano II si dimostrò indulgente con vescovi e principi, ad esempio concesse il pallio arcivescovile ad Anselmo vescovo di Milano e consacrò Ivo di Chartres, tutti e due eletti dall’imperatore; ma dopo aver consolidato la sua carica, combatté tutte le ingerenze dei laici nelle cose ecclesiastiche.

Mediò sulle dispute fra Guglielmo il Rosso d’Inghilterra e s. Anselmo di Canterbury; scomunicò Filippo I di Francia per le sue vicende matrimoniali. D’altra parte ebbe il sostegno di Alfonso VI di Castiglia, che stava liberando la Spagna dalla dominazione dei Mori.
Nell’agosto 1095 si trasferì in Francia, dove da Le Puy emanò una Bolla per convocare un Concilio a Clermont nell’anno successivo. In detto Concilio vennero di nuovo condannate le investiture laiche e scomunicato il vescovo di Cambrai perché l’aveva accettata dall’imperatore.
Papa Urbano istituì la “tregua di Dio” cioè una breve pausa tra le battaglie per seppellire i morti; poi sulla pubblica piazza di Clermont, proclamò la “PRIMA CROCIATA” per la liberazione dei luoghi santi, provocando un grande entusiasmo e organizzandola personalmente, nominò come capo il vescovo di Le Puy Ademaro di Monteil e il duca Raimondo di Tolosa; incitò principi e fedeli a prendere la croce, trattò con i Genovesi per le navi.
“Deus vult” : Appello alla cristianità di Urbano II (27 novembre 1095 - Concilio di Clermont d'Auvergne)
"...E' impellente che vi affrettiate a marciare in soccorso dei vostri fratelli che abitano in Oriente... I Turchi e gli Arabi si sono scagliati contro di loro e hanno invaso le frontiere della Romania (Impero bizantino) fino al luogo del Mar Mediterraneo detto Braccio di S.Giorgio (stretto dei Dardanelli)... Hanno messo a soqquadro tutte le chiese e devastato tutti i paesi sottoposti alla dominazione cristiana...
A coloro che, partiti per questa guerra santa, perderanno la vita sia durante il percorso di terra, sia attraversando il mare, sia combattendo gli idolatri, saranno rimessi per questo stesso fatto tutti i peccati...
Niente dunque ritardi la partenza di quanti parteciperanno a questa spedizione: diano in affitto le terre, raccolgano tutto il denaro necessario al loro mantenimento e non appena l'inverno sarà finito e cederà alla primavera, si mettano in cammino sotto la guida del Signore..." (Testo riportato da Fulcherio di Chartres).
Inizio della crociata (15 agosto 1096)
"...Quelli tra voi che sono ispirati da Dio a fare questo voto sappiano che potranno unirsi con i loro uomini alla partenza fissata, con l'aiuto di Dio, per il giorno della Beata Vergine..." (da una lettera di Urbano II al principe di Fiandra).
L’esito della Crociata portò alla conquista di Gerusalemme il 15 luglio 1099, anche se con numerose perdite umane, ma il papa non lo seppe perché morì a Roma il 29 dello stesso luglio 1099. Urbano II fu sepolto nella cripta di San Pietro, accanto ad Adriano I. Considerato il gran seguito che ebbe in Francia il pontefice fu beatificato ed il suo culto fu riconfermato il 14 luglio 1881, la sua festa si celebra il 29 luglio.
In Medioriente nel frattempo avevano preso piede le dinastie ottomane e la prima fu quella selyùcida di Konya (Turchia): SÜLEYMAN I Jutalmisoglu Nàrcsiruddevle Ebu’l-Fevàrcris Gazi (1077-1086)
KILIÇ-ARSLAN I Kilids Arslan (1092-1107)
Nel 1066 ebbe inizio la guerra marinara fra Genova e Pisa. I Genovesi offesi per le troppe conquiste pisane in Corsica e in Sardegna incominciarono a dare guerra ai navigli pisani. Poichè bande corsare scorazzavano sempre lungo le coste tirreniche, il Papa Vittore III invitò le due Repubbliche marinare a combattere insieme contro questi nemici.
Le due città si unirono e vinsero definitivamente i nemici.
Nell'anno 1089 Papa Urbano II concesse ai Pisani ed al loro Vescovo l'isola della Corsica ed innalzò il Vescovado di Pisa ad Arcivescovado.
Nel 1099 i Pisani parteciparono largamente alla Guerra Santa compiendo notevoli atti di valore.
Altre conquiste sia pisane che genovesi seguirono e le due città acquistarono sempre più potenza e ricchezza.
Furono così riconquistate le coste della Siria e le isole Baleari.
Amalfi fu la più antica delle repubbliche marinare. Essa aveva fatto parte del dominio bizantino, ma verso la metà del secolo IX, quando, a causa dei continui attacchi dei Musulmani, dovette provvedere con mezzi propri alla sua difesa, ed acquistò piena autonomia politica.
A capo dello Stato era il Duca, eletto dai cittadini nel pubblico parlamento o arengo.
Amalfi combatté ripetutamente contro i Musulmani. Si deve ricordare al riguardo, la famosa vittoria di Osti (849), quando una potente flotta di Musulmani, che minacciava Roma, fu quasi distrutta. Nel complesso, tuttavia, Amalfi cercò di vivere in pace con i turchi per i suoi traffici commerciali. Aveva colonie fiorentissime a Costantinopoli, in Siria, in Egitto, sulle coste dell'Africa, e poiché queste colonie erano già in decadenza all'epoca delle Crociate, non poté, come le altre repubbliche marinare, prendere parte attiva alle stesse e trarne vantaggio.
Amalfi è inoltre famosa per le sue Tavole Amalfitane del sec. XII, una specie di codice mercantile e marittimo, che rimase in vigore per secoli in quasi tutto il Mediterraneo.
Tuttavia la potenza di Amalfi durò poco: oppressa dai Normanni (1076), vinta e saccheggiata dalla rivale Pisa (1135), cessò praticamente di esistere nei primi anni del secolo XI.
A Venezia si succedettero due dogi : VITALE FALIER - Dodoni (1084-1095) e VITALE I MICHIEL (1095-1102) ambedue ufficialmente non impegnati nella prima crociata!

PASQUALE II, Raniero, nativo di Bieda (RA) (1054-1118)
(pontificato 1099-1118)
Morto Urbano II il 29 luglio, fu consacrato RANIERO DA BIEDA, col nome di Papa PASQUALE II.
Raniero era stato monaco a Vallombrosa poi al monastero di Cluny. Ancora durante il pontificato di Gregorio VII, inviato dall'abate Ugo per trattare questioni del monastero, giunto a Roma, il pontefice ammirò così tanto questo monaco che lo creò cardinale e lo trattenne a Roma. Morto Gregorio, Raniero sotto Urbano II divenne suo legato in Spagna. Scomparso anche Urbano, quindici giorni dopo, clero e popolo elessero Raniero portandolo di peso dalla chiesa di san Clemente alla basilica Lateranense. Il 14 agosto lo consacravano papa in san Pietro. Portato di peso, perchè lui era piuttosto avverso a questa impegnativa nomina, forse perchè era cosciente delle tensioni per la lotta per le investiture, ed era convinto di non avere nè la fermezza di un Gregorio VII, nè le energie di Urbano II.
Ed infatti il suo pontificato iniziò subito con una serie di contrasti, per le manovre insidiose del partito imperiale che seguitava ad eleggere un antipapa dopo l'altro, e una serie di lotte perchè fin dal primo momento a Raniero gli venne fuori una sorprendente indole impetuosa e combattiva. Cosicchè ben presto gli avvenimenti resero illustre il suo pontificato, che ebbe l'appoggio del partito papale romano, forte del successo ottenuto con la prima crociata di Urbano, oltre l'appoggio di Matilde di Canossa; uniti l'uno e l'altra avevano allora il predominio in Italia.

In Germania lo scomunicato imperatorre Enrico IV, era ovviamente ostile alla nomina di Raniero; lui e il clero tedesco erano sostenitori degli antipapi. Soprattutto di Clemente III, che alla morte di Urbano, e quindi prima dell'elezione di Pasquale, convinto di salire sul soglio, nell'attesa, si era rifugiato in Albano con l'appoggio dei conti della Campagna. Ma Pasquale appena eletto con l'aiuto delle soldatesche normanne, riuscì a farlo sloggiare da Albano; Clemente III fuggì a Civita Castellana, dove però l'anno dopo (1100) morì.
Non si arresero i seguaci filotedeschi, che a Roma non mancavano, ed elessero un altro antipapa col nome di Teodorico; ma anche questo, pensando che era meglio rifugiarsi in Germania, nel tentativo di lasciare Roma, fu fatto prigioniero dai seguaci di Pasquale e rinchiuso nel monastero di Cava dei Tirreni. Stessa sorte toccò al suo successore nella primavera del 1102, un certo Alberto che appena eletto finì catturato e confinato in una torre e poi rinchiuso nel monastero di san Lorenzo in Aversa.

"Nessuna epoca - osserva il Bertolini - presenta la storia d'Occidente così piena di contrasti e di disordini come quella che stiamo descrivendo. Il papato e l'impero in guerra fra loro; l'uno e l'altro in preda a continue turbolenze dei loro popoli e a conati sediziosi dei loro vassalli; la Chiesa esposta a continui scismi e l'impero a continue ribellioni".

Nel corso di questi primi contrasti, Enrico IV fin dalla morte di Clemente III, aveva tentato una riconciliazione con Roma, ma dopo la morte di Corrado, suo figlio ribelle, avvenuta a Firenze il 27 luglio 1102, aveva cambiato parere, sbagliando e subendo una feroce disillusione. Aveva fatto incoronare re il suo secondogenito Enrico (il futuro Enrico V) , che però ben presto gli divenne nemico più di Corrado e l'imperatore si trovò a fronteggiare una situazione difficile, che sarebbe culminata nell'aperta ribellione del figlio; quando il 12 dicembre 1104 Enrico passò nelle file degli avversari del padre. Tra padre e figlio si venne a guerra aperta.
La fine dell'anno 1105, per ENRICO IV non fu una delle pił felici. Il 31 dicembre a Magonza il figlio ENRICO V, alla testa dei Principi ribelli gli andò incontro con un esercito, non solo per destituirlo ma anche per mortificarlo.
Se vogliamo prestar fede a un cronista, Pasquale II - dopo avere nel Giovedì Santo del 1103 rinnovata la scomunica contro l'imperatore - convinse il giovane re a ribellarsi al padre (stessa cosa aveva fatto Matilde con Corrado; anzi si disse che dopo averlo usato (rafforzando così in Italia un partito antitedesco) il giovane morì a Firenze avvelenato).
Enrico IV si
trovava a Fritzlar, pronto a marciare contro i Sassoni, quando, nel dicembre del 1104, il figlio (come aveva fatto prima il fratello Corrado) abbandonò la corte paterna, dichiarando di non poter più vivere sotto lo stesso tetto di uno scomunicato.
Forte dell'appoggio di tutti i nemici, dell'imperatore e principalmente dei nobili della Svevia e della Baviera, il giovane ENRICO marciò contro il padre, che, radunato un esercito, si era rifugiato a Colonia. Si era dell'opinione che sulla Mosella dovesse aver luogo uno scontro tra le milizie dell'imperatore e quelle del figlio. Lo scontro però non avvenne, il ribelle, mostrando di voler riconciliare il Papa con il genitore, invitò questo ad un colloquio a Coblenza e con lui poi s'incamminò alla volta di Magonza, dove l'ignaro imperatore aveva convocata un'assemblea di principi.
Giunti però a Binggen, il giovane trascinò il padre nel castello di Bóckelheim e qui l'infelice sovrano fa fatto prigioniero con tre suoi servi, messo in una segreta, fu costretto a subire ogni sorta di privazioni e di oltraggi e a consegnare infine le insegne della sua dignità, la corona, lo scettro, la croce, la lancia e la spada, se voleva aver salva la vita.
Trasferito poi con una schiera di guardie di suo figlio al castello d' Ingelheim, invano chiese che gli si concedesse di difendersi dalle accuse che gli erano state mosse; promise che avrebbe perfino accettato la penitenza se fosse risultato colpevole; invano le suppliche, la contrita sincerità, le assicurazioni e le promesse. Dovette rinunciare al trono e ai suoi diritti in favore del figlio e ciononostante rimase suo prigioniero nel castello.
Sparsasi la notizia della violenza fatta al sovrano, l'opinione pubblica questa volta si volse a favore dell'imperatore, e questi, riuscito a fuggire con l'aiuto di alcuni fedeli, annullò l'abdicazione che gli era stata strappata con la forza e trovò un rifugio sicuro prima a Colonia, che si schierò con lui e respinse dalle sue mura il nemico, poi a Liegi, la cui cittadinanza, compreso il clero, giurò di difenderlo fino all'ultimo e accolse con scherno la tuttora permanente scomunica papale.
Eppure, da Liegi, Enrico IV scrisse lettere affettuose al figlio ribelle e ai principi infedeli; una la inviò al re di Francia, che non si può leggere senza raccapriccio quando il sovrano gli narra le sofferenze patite e la profonda amarezza per il tradimento del figlio. La lettera terminava:
"Da Liegi vi scrivo, spinto dalla fiducia che mi ispirano i vincoli familiari, da cui siamo congiunti, e quelli della nostra antica amicizia. E vi supplico in nome di questi santi legami, di non abbandonare nel suo angoscioso dolore un parente e un amico. E anche se tali vincoli non esistessero sarebbe interesse nostro e di tutti i re vendicare le ingiurie che ho ricevute e il disprezzo di cui mi hanno colmato, per cancellare dalla faccia della terra un così dannoso esempio di malvagità, d'infamia e di tradimento".
Tanti appoggi morali, tanta compassione, ma nessuno materialmente si mosse in suo aiuto e l'infelice sovrano -e questa volta l'amarezza era davvero profonda e sincera- morì l'anno dopo, il 7 agosto del 1106, forse di crepacuore. Aveva appena 52 anni. Lui, uno dei pił famosi imperatori del tempo, moriva come l'ultimo dei miserabili.
Salito al trono del Sacro Romano Impero all'etą di 4 anni, Enrico IV dopo aver dominato la scena politica per 40 anni, messo in discussione quella religiosa, ostentato potenza e autoritą davanti a re e papi, a 52 anni finiva come un cane randagio a morire dentro una topaia. Castigato non dai nemici, ma da una azione indegna del proprio figlio.
Perchè scomunicato non gli diedero nemmeno sepoltura. Cinque anni dopo, fu necessario reclamare l'assoluzione dalla scomunica perché la povera salma del sovrano trovasse finalmente quella pace che tanti anni di vita agitata non avevano concessa al difensore strenuo e sventurato dell'impero nella lotta gigantesca contro il Papato.
Dopo che Enrico V fu incoronato dall'arcivescovo di Magonza, una nutrita ambasceria fu inviata a Roma, composta dagli arcivescovi di Treviri e Magdeburgo, dai vescovi di Bamberga, Eichstadt, Costanza e Coira, e diversi principi secolari, per invitare Pasquale II in Germania. Ma questi legati lungo la via furono catturati e messi in prigione a Trento dagli ex seguaci di Enrico IV e non giunsero mai a Roma (anche quando furono liberati mediante Guelfo duca di Carinzia, se nje tornarono in Germania). Solo Gebardo di Costanza che aveva preso un'altra strada, dopo essere entrato in Italia, con l'aiuto degli uomini di Matilde giunse fino al Papa.

Nell'ottobre del 1106 Pasquale riunì un sinodo a Guastalla, al quale presero parte i legati di Enrico V. Vi fu rinnovato il divieto delle investiture, e per l'estinzione dello scisma si provvide che tutti i vescovi e chierici ordinati durante lo scisma potevano continuare nei propri offizi, ad eccezione degli intrusi, usurpatori di una sede non vacante, i simoniaci ed altri colpevoli di delitti manifesti. I legati del re tedesco assicurarono che il re abrebbe onorato il papa come un padre e l'invitarono in Germania. Pasquale si dispose per partire. Ma una sommossa levatasi a Verona e alcune notizie, le quali annunziavano i disegni poco benevoli del giovane re, lo trattennero dal recarsi ad Augusta. Andò invece in Francia e vi celebrò il Natale del 1106 a Cluny, mentre i suoi legati nello stesso giorno raggiungevano Enrico V a Ratisbona. Il re continuava a conferire, come prima, le investiture, incurante delle ammonizioni del papa, il quale si fece, promettere aiuto dal re di Francia contro gli oppressori della Chiesa. Poi, ricevette i messaggi di Enrico a Chàlons, sollecitando per il re il libero uso delle investiture. Pasquale diede incarico al vescovo di Piacenza di rispondere che la Chiesa di Cristo non doveva opprimersi come una schiava, e schiava abbietta diverrebbe certamente, se i vescovi dovessero essere eletti dal re. L'investitura fatta con l'anello e col pastorale da un principe secolare era un atto peccaminoso contro le leggi di Dio. I legati risposero con minacce, dicendo che avrebbero deciso a Roma la controversia con le armi. Intanto il pontefice, per mezzo di suoi fedeli ambasciatori, trattò col cancelliere del re, Adalberto. Riunì poi nel maggio del 1107 un sinodo a Troyes, pubblicandovi alcuni canoni contro le investiture fatte per mano dei laici, punendole con la deposizione sia dell'ordinato come dell'ordinante.
I legati tedeschi si facevano forti di presunti privilegi di Adriano I a Carlo Magno, e protestarono perchè le cose di Germania venivano trattate in un sinodo francese. Il papa concesse il termine di un anno per riunire un sinodo in cui il re potesse difendere le sue pretese, sempre nella speranza di un benevolo accordo. A Troyes aveva invitato i vescovi di Germania, e sospese l'arcivescovo di Magonza e parecchi suoi suffraganei, perchè non intervennero, e parteggiavano per il re.
Il papa, di ritorno dalla Francia, nell'ottobre del 1108, celebrò un sinodo a Benevento, rinnovando la proibizione per le investiture.
Prima si era dovuto occupare dei soliti contrasti a Roma. Infatti, durante la sua assenza, il prefetto Pietro, i Pierleoni, i Frangipani, uniti a Gualfredo nipote del papa, avevano con molto sforzo mantenuto l'autorità pontificia. Al suo ritorno, Pasquale fu costretto a combattere contro Stefano Corso, a Montaldo, dove si era fortificato; ma non riuscì a mettere a posto questa ribelle nobiltà romana avida di accrescere la propria potenza a spese della Chiesa. Per recarsi a Benevento, il papa dovette affidar Roma ad altri nobili, i quali non furono più fedeli dei precedenti. Tolomeo di Tuscolo si unì con Beraldo abate di Farfa e con Pietro Colonna, e si rivoltarono contro Pasquale, che ricorse alle armi del normanno Riccardo, duca di Gaeta, per rientrare in Roma, e conquistare Tivoli, roccaforte degli avversari. Pasquale si recò al Campidoglio e ottenne dal Senato la proscrizione di Stefano Corso. Dovette poi assediare Subiaco e Velletri, per mettervi un po' di pace.
Ma la pace del papa veniva turbata da Enrico V. Dopo il Sinodo di Benevento si era sparsa la falsa voce che egli avesse concesso al re tedesco le investiture. Pasquale smentì la notizia scrivendo al primate d'Inghilterra, promettendo di conservare rigidamente le sue posizioni. Intanto Enrico aveva lasciato finir l'anno senza occuparsi della questione, occupato solo negli affari di Ungheria, Polonia e Boemia. Nel 1109 chiese al papa di essere incoronato imperatore. Il pontefice lo promise a patto che il re si mostrasse ossequente alla Chiesa.
Si temeva però, con un certo fondamento, che Enrico non volesse rinunziare alle investiture. Perciò, nel sinodo lateranense del 7 marzo 1110, il papa decretò nuovamente che dovevano essere scomunicati tutti quelli che davano e ricevevano investiture, e rei di sacrilegio tutti i laici, che si erano appropriati di cose sacre e beni ecclesiastici. Ritornò poi nell'Italia meridionale per assicurarsi l'appoggio dei Normanni, suoi vassalli, sicuro di una prossima tempesta, poi rientrato a Roma si fece giurare fedeltà dai Romani.
Intanto Enrico, nell'agosto del 1110, con un forte esercito e con fedeli consiglieri, prese la via dell'Italia. Novara, che tentò di resistergli, fu da lui messa a sacco. Giunto a Roncaglia, vi tenne dieta e ricevette l'omaggio dei signori delle città Lombarde. Non quelli di Milano che rifiutarono di riceverlo e di offrirgli donativi. Matilde di Canossa, che nutriva qualche dubbio sulle buone intenzioni del re, si rinchiuse nei suo ben difeso castello. Enrico le inviò legati, ma la contessa lasciò Canossa e si rifugiò al castello di Bianello per trattare personalmente col re. Fu conclusa una pace, che permise ad Enrico di continuare il viaggio. Lucca e Firenze gli aprirono le porte. Arezzo invece ribelle venne incendiata; quindi, giunto a Sutri, intavolò laboriose trattative con i legati di papa Pasquale.
Il pontefice, dopo aver chiesto il consiglio di alcune Commissioni, fu del parere che solo la povertà della Chiesa poteva darle la libertà. Bastava che i ministri dell'altare cessassero d'essere uomini di Corte per divenire uomini di Dio, e la questione delle investiture sarebbe finita. Il principio altissimo piacque naturalmente ai rappresentanti del re. Ma la realizzazione era estremamente difficile, dato che moltissimi vescovi di Germania erano ricchissimi principi e non avrebbero volentieri rinunziato ai beni del tempo. Perciò i rappresentanti di Enrico dissero che il re non poteva sforzare quei vescovi alla restituzione delle regalie, nè spogliare le chiese. La odiosa responsabilità doveva cadere quindi sul pontefice. Infatti i legati del papa risposero che Pasquale poteva costringere i vescovi con la scomunica. Ciò che egli fece il 12 febbraio 1111.
Nel trattato che venne chiamato di Sutri si stabili: che il re nel giorno della sua incoronazione rinunzierebbe alle investiture e, ricevuta la dichiarazione del papa concernente le regalie, giurerebbe di non mai più arrogarsi investiture per l'avvenire; le chiese rimarrebbero in possesso dei beni liberi da feudo e delle oblazioni; il re scioglierebbe le sue genti da ogni giuramento a cui le avesse costrette contro i vescovi; il papa interdirebbe ai vescovi, pena la scomunica, il possesso o l'appropriarsi feudi e regalie, contee e simili ; il patrimonio di S. Pietro resterebbe inviolato alla Chiesa romana; il papa e i suoi legati godrebbero piena sicurezza nelle loro persone. Il re doveva dare garanzie ed ostaggi, e primo fra questi il nipote Federico di Hoenstaufen, che il papa avrebbe restituito il dì della incoronazione.
Il re accolse a Sutri i suoi legati di ritorno da Roma, insieme con i plenipotenziari del papa, e ratificò il trattato, con questa riserva, che fosse accettato dai vescovi e dai signori del regno. Il papa era un monaco virtuoso e aborriva dai beni della terra, ma non aveva intelletto pratico per capire che la sua riforma era prematura, cozzando con la realtà dei fatti e con la diversa spiritualità dei suoi vescovi principi. Enrico V aveva ben altri pensieri e interessi che non Pasquale, nè poteva esser lieto di riavere tanti feudi che avrebbe dovuto passare a principi secolari, sempre più pericolosi dei vescovi. Del resto i principi laici non erano favorevoli all'accordo, non volendo rimettere i feudi ricevuti dalla Chiesa, nè abbandonare investiture minori alle quali si erano abituati, sull'esempio del re.

Tutto lo spirito feudale si opponeva all'idealità di Pasquale. Enrico si maneggiò con l'astuzia; non giurò tutto l'accordo, ma solo l'ultima parte di esso.
Il sabato, 11 febbraio 1111, Enrico mise campo nelle vicinanze di Monte Mario. La seguente domenica, solennemente accolto dal clero e dal popolo, entrò in S. Pietro. Il papa lo ricevè al sommo della gradinata, e dopo averne ricevuto l'omaggio, lo abbracciò e lo introdusse nella chiesa, dove si diede inizio al rito della consacrazione. Ma quando il papa venne a raccomandare l'esecuzione dell'accordo concluso, il re protestò non essere intenzione sua di togliere alle chiese e al clero nulla di quanto avevano donato i precedenti imperatori, e richiese che si leggesse il documento papale, concernente la rinunzia delle investiture.
Dopo questa lettura, il re e i suoi prelati, avendo lungamente deliberato in segreto, gridarono contro il decreto. Enrico volle l'incoronazione, senza condizioni, cercando di far paura al papa con le minacce. Pasquale resistette; per cui il re lo fece imprigionare, contro il giuramento dato. Solo l'arcivescovo di Salisburgo Corrado e Norberto cappellano del re, che fu poi fondatore di un Ordine religioso, protestarono contro il delitto reale. Col papa furono imprigionati molti prelati, e dei cardinali scamparono solo i vescovi d'Ostia e di Tuscolo che si diedero a lavorare per la liberazione del papa.
I Romani insorsero contro lo sleale Enrico, che in una zuffa venne ferito alla fronte, mentre molti Tedeschi furono uccisi. Al terzo giorno il re uscì da Roma togliendosi il papa prigioniero.
Matilde di Canossa, sorpresa dagli avvenimenti, non abbastanza forte d'armi, mandò Arduino capitano al re, il quale maltrattava il papa confinandolo prima in un castello e poi tenendolo nel campo sotto la minaccia di far peggio.
Soltanto Roberto di Capua mandò trecento cavalieri in difesa del pontefice, ma a Ferentino furono costretti a dar di volta. Sessantun giorni Enrico tenne cardinali e papa prigioni. Che cosa avrebbe fatto e detto Gregorio VII prigione di Enrico V ?
Pasquale, senza umano appoggio, cedette alfine, sia per timore di nuovo scisma, sia perché aveva paura delle minacce di Enrico che avrebbe colpito Roma, sia per compassione verso i suoi compagni di sofferenze.
Si venne ad un accordo sommamente sfavorevole alla Chiesa. II papa acconsentiva che dopo eletti i prelati liberamente e senza simonia, ma col consenso del re, innanzi di essere consacrati, il re potesse dare loro l'investitura con l'anello e il bastone pastorale. Quanto ai fatti accaduti, anzi per ogni altro caso, il re non dovesse mai venire scomunicato.
Dall'11 al 13 aprile del 1111, si discusse a lungo su questo accordo, che poi fu giurato in nome del papa da sedici cardinali di tutti i gradi, e in nome del re da tredici signori ecclesiastici e secolari: ed insieme fu promessa pace ai Romani. Dopo ciò Enrico V il 14 aprile, entrò in Roma, dove il papa lo incoronò solennemente imperatore, ma la cerimonia non fu salutata da alcun cenno di gioia. Tutte le porte di Roma rimasero sbarrate, così che la moltitudine, di là dalle mura, accompagnava l'incoronazione, che avveniva fuori della città, con maledizioni contro il re, che aveva strappato il diadema al papa, come un ladro.
Appena incoronato, Enrico, sempre diffidente, prese ostaggi, andò al suo campo, levò le tende, trionfalmente mosse verso la Toscana, lasciò dietro di sede Roma che non aveva conquistato, ma che pure aveva domato al voler suo, e lasciò il clero sbigottito; lui, lieto del decreto papale, strappato con audacia, ritornava verso il suo Paese. Il suo incontro con Matilde di Canossa fu dei più cordiali. La contessa, già di malferma salute con suoi sessantacinque anni, non avrebbe ancora vissuto a lungo ed Enrico desiderava diventarne l'erede. Matilde, che nell'atto di donazione alla Santa Sede aveva conservato la più ampia libertà di alienare e di disporre per testamento dei beni donati, poteva ora concedere al re Enrico la successione dei beni suoi. Il che difatti avvenne nel 1115 alla morte di Matilde, senza che la Santa Sede protestasse.
Solo con la morte di Enrico, estintasi la casa di Franconia, i papi elevarono i propri diritti. Alcuni storici del resto dubitano della pretesa eredità di Enrico, e non si spiegano come la contessa abbia trattato così benevolmente chi aveva fatto violenza al papa. Ma è difficile sapere se i fatti romani vennero riferiti come erano avvenuti in realtà, alla donna che aveva lottato una vita per la causa di Gregorio VII, che ora pareva perduta.
L'imperatore se ne tornò in Germania, dopo aver nominato sua vicaria per la Liguria la contessa Matilde.
In Roma intanto si sollevò un turbine d'indignazione nel partito gregoriano. Molti, e in particolare i cardinali di Ostia e di Tuscolo, rigettavano il trattato, come vergognoso ed illecito; altri lo dicevano nullo perchè estorto; ma c'erano anche quelli che lo difendevano.
La reazione delle gerarchie ecclesiastiche, sconfessarono il papa, accusato di voler conservare solo la propria sovranità in quanto capo sello Stato della Chiesa, e chiedevano di rifiutare l'incoronazione a Enrico. In Francia alcuni sinodi lo condannarono senz'altro.

Il papa, profondamente amareggiato, cercava in qualche modo di revocarlo, senza però rompere il giuramento fatto all'imperatore; l'irritazione giunse a tal punto che molti cardinali fanatici attaccarono con violenza la persona del pontefice. Egli invano scriveva delle lettere piene di zelo per stabilire un po' di calma. Prese anche in considerazione di abdicare. Il giorno 18 marzo del 1112 radunò in Laterano un concilio, descrisse ciò che aveva sofferto, disse come fosse stato costretto ad accettare quella transazione; confessò che il privilegio era stato cosa contraria al giusto, ma protestò che egli doveva lasciare al concilio l'ultima risoluzione. Con una solenne professione di fede confermò la sua ortodossia, che in quel trambusto di cose venne messa in dubbio. Allora, conforme al consiglio di Gerardo vescovo di Angoulème, il privilegio fu dichiarato nullo perchè estorto, ma, per rispetto al giuramento del papa, furono risparmiate le censure ad Enrico. Il decreto, sottoscritto da dodici arcivescovi, centoquattordici vescovi, quindici cardinali preti e otto cardinali diaconi, fu recato all'imperatore da un cardinale e dal vescovo Gerardo ; ma quegli non se ne dette pensiero.
Così con molta facilità si disfece un trattato ottenuto con le minacce. Pasquale era un sacerdote buono e seppe perdonare; non volle scomunicare. Se avesse preferito la morte alle imposizioni di Enrico, o se fosse disceso dal trono prima del concilio lateranense, sarebbe apparso uomo più grande. Rimase papa, e seguì la via dolorosa delle umiliazioni, in mezzo alle quali ci sembra pontefice pio e buono.
In Francia molti zelanti furono scontenti di questo decreto, perchè il papa non aveva scomunicato l'imperatore. Guido arcivescovo di Vienna e parente dell'imperatore, il cardinale Conone di Palestrina, legato del papa in oriente, in diversi sinodi ed in quello di Gerusalemme, fecero quello che Pasquale non volle fare. Così avvenne in Germania nel 1115. Qui, dal 1114, Enrico V incontrava molte resistenze e non aveva potuto vincere quella della città di Colonia e del suo arcivescovo Federico. Adalberto, già suo cancelliere, da lui sollevato ad arcivescovo di Magonza, gli si ribellò e fu imprigionato. Così Enrico iniziò ad attirarsi contro l'odio degli ecclesiastici. Molti, specialmente i principi sassoni, si rallegrarono della scomunica lanciatagli dalla Francia e fecero lega con la città di Colonia. Il cardinal Teodorico, l'8 settembre 1115, senza speciale mandato del papa, pronunciò a Goslar sentenza di scomunica contro l'imperatore e rimise l'arcivescovo di Magdeburgo e altri Sassoni nella comunione della Chiesa.
Enrico capì la minaccia, sentì l'abbandono dei vescovi e chiamò gli avversari per una dieta a Magonza il 1° novembre 1115. Pensava intanto di scendere in Italia per impossessarsi dei beni della contessa Matilde, morta pochi mesi prima, il 24 luglio.
A Magonza giunsero pochi principi. I cittadini assediarono nel suo palazzo l'imperatore, liberando il loro arcivescovo, Adalberto, che poi, verso Natale, andò a Colonia a presiedere un'assemblea di principi. Enrico, tradito da altri suoi fedeli, all'inizio del 1116 passò le Alpi, ebbe aiuti in Lombardia, occupò i beni matildini, e prima di scendere a Roma, mandò avanti Ponzio, abate di Cluny, per riconciliarsi col papa.

Intanto a Roma il pontefice era turbato dalle lotte delle fazioni. La Pasqua del 1116 fu sconvolta dai tumulti sanguinosi che volevano imporre a Pasquale come prefetto Pietro, figlio del prefetto della città dello stesso nome, morto sulla fine di marzo. Il papa diede invece quella dignità ad un figlio di Pierleone. La nobiltà si ribellò e Pasquale fu costretto a fuggire ad Albano, ma rientrato non fu più fortunato nella lotta contro gli avversari, e dovette fuggire di nuovo nelle torri di Sezze, sui monti Volsci. Nell'estate la guerra delle fazioni cessò, e Pasquale potè rientrare a Trastevere non prima di aver nominato Pietro prefetto. La nobiltà trionfava.

Però adesso veniva l'imperatore, e il povero pontefice prendeva nuovamente la fuga, ricoverandosi a Montecassino e a Benevento. Beraldo abate di Farfa, Giovanni Frangipani e Tolomeo si posero alla parte di Enrico, che giunto a Roma fu ricevuto dai Romani. Nel giorno di Pasqua del 1117 si recò a S. Pietro, riunì un parlamento, cui intervennero anche alcuni cardinali, parlò di pace, e biasimò l'assenza del papa. I cardinali risposero con un coraggioso discorso, nè vollero mettergli la corona, secondo il rito delle grandi solennità. Questo atto solenne venne però compiuto dall'ambizioso Burdino, e Roma anche questa volta fece festa.
Frattanto il papa teneva un concilio a Benevento, nel quale scomunicava lo stesso Burdino arcivescovo di Braga, già legato del papa.
Nel Sinodo di Ceperano dell'ottobre 1114 aveva dato l'investitura delle Puglie e delle Calabrie al nuovo duca dei Normanni Guglielmo; in quello di Troia del 1115 stabilì tra i Normanni la "tregua di Dio". A sue istanze, ora, il principe di Capua mandò milizie nelle terre romane, ma non riuscirono ad arrivare a Roma. Nell'autunno del 1117 Pasquale potè muovere da Benevento con un esercito maggiore, e avanzarsi fino ad Anagni. Il papa, vecchio e infermo, celebrò le feste di Natale a Palestrina, sotto la protezione di Pietro Colonna; fu ricondotto a Roma, dove le fazioni ancora si combattevano le une contro le altre. I Romani stesero le mani al papa e già si preparavano ad espugnare S. Pietro, dove era trincerato il prefetto, quando il papa colpito da un grave malore, la vita iniziò rapidamente a fuggirgli via.

Ciononostante esortò i cardinali alla concordia ed a resistere ai Tedeschi che volevano opprimere la Chiesa, poi nella notte del 21 gennaio 1118, otto giorni dopo, cessò di vivere e di soffrire, in un edificio prossimo alla porta di bronzo di Castel Sant'Angelo, e fu sepolto in Laterano, perché S. Pietro era in mano dei suoi nemici. Il suo fu un pontificato pieno di miserie e di tumulti. Nessun mausoleo ricorda lo sventuratissimo papa. Eppure egli restaurò S. Bartolomeo nell'isola Tiberina e S. Adriano nel Foro; S. Maria in Monticelli e probabilmente S. Clemente, di cui era stato cardinale. Rinnovò la chiesa dei Santi Quattro Coronati sul Celio che l'incendio normanno aveva distrutta. La consacrò il 20 gennaio, poco tempo prima dell'ultima sua fuga. Nonostante le lotte che ebbe a combattere durante tutto il suo periodo fu sempre impegnato a edificare in Roma.

Pasquale da Anagni, il 10 ottobre del 1117, aveva concesso a Ruggero II conte di Sicilia ciò che Urbano aveva dato al padre, il privilegio, cioè, la legazione pontificia nell'isola. Contro Filippo I re di Francia che, ripudiata la moglie legittima, aveva sposato Bertrada, agì con energia, mandando legati per intimargli di abbandonare la concubina. Al rifiuto essi risposero con la scomunica, pronunciata nel Sinodo di Poitiers. Ma poco dopo il re accolse il comando del papa, che influì efficacemente per la restaurazione dei costumi nella Corte franca.
Sul piano dell'attività ecclesiastica Pasquale è ricordato per aver concesso la prima indulgenza generale, (1116) e per le trattative, peraltro fallite, che condusse con l'imperatore bizantino Alessio I Comneno per la riunificqazione delle chiese greca e romana.

Questo Papa fu indubbiamente partecipe del clima di rinnovamento spirituale collegato con la "riforma cluniacense". Infatti propugnò sempre la necessità di una chiesa povera, che, come tale, sarebbe stata più libera dai vincoli della politica nella sua azione spirituale, proponendo una soluzione radicale della lotta per le investiture: l'imperatore avrebbe abbandonato ogni pretesa consentendo libere elezioni canoniche, mentre i vescovi avrebbero rinunciato alle regalie e a ogni potere politico (ma non diventavano poveri perchè avrebbero conservato le decime e le oblazioni). Pasquale già a Sutri nel 1111, come abbiamo già accennato, aveva delle buone intenzioni in linea con le idee di Gregorio VII, ma non era questo papa, e lui non riuscì a capire che la sua riforma era prematura, che cozzava con la realtà dei fatti.


Pasquale a Sutri con la sua azione spirituale anticipava il concordato di Worms, pochi anni dopo concluso da papa Callisto e Carlo V (1122) e se lui non ebbe fortuna, non fu per il contrasto con Carlo V, ma per le reazioni delle gerarchie ecclesiastiche, soprattutto dei suoi vescovi principi che avevano un'altra concezione delle spiritualità.
Ed anche il breve pontificato del suo successore, potè fare ben poco. "Erano più di quarantacinque anni - scrive il Lanzani - che irriducibili contese mettevano sottosopra l'Italia e la Germania: anche se tutto aveva preso una specie di stanchezza o, dirò meglio, di sazietà. Tanto l'impero, quanto il papato si trovavano di fronte ad infinite contraddizioni di fatti e di principi".
Bibliografia.
Storia del mondo Medievale, Cambridge Univesity, IV vol. Garzanti 1979
Storia dei Papi, Saba e Castiglioni, Utet, 1929
Enciclopedia Europea, Garzanti

GELASIO II, Giovanni Caetani, di Gaeta
(pontificato 1118-1119)
Morto Pasquale II, gli succedette Giovanni di Gaeta, prendendo il nome di Gelasio II.
Il suo oltre che essere breve (poco più di un anno) fu un pontificato travagliato, infatti per le insurrezioni provocate dai Frangipane e dall'imperatore Enrico V, dovette sostenere una continua battaglia contro i suoi nemici e quasi sempre dovette peregrinare fuori di Roma. Morì a Cluny il 29 gennaio 1119 mentre cercava aiuto presso i Francesi.


Lo storico di Montecassino, P. Luigi Tosti, in una delle sue pagine più vive (pompose ma anche pittoresche) ci narra i giorni che precedettero la nomina di Gelasio. Nel celebre monastero, i monaci avevano appena appreso la morte di Pasquale, quando giunse un messaggio spedito da Pietro vescovo di Porto, e dal collegio dei cardinali, che a nome di questi chiedeva di Giovanni di Gaeta; lo si desiderava successore del defunto papa e l'invito di recarsi subito a Roma.

Giovanni non era un monaco qualsiasi. Uomo dotto, era stato Cancelliere di santa Chiesa sia sotto Urbano II sia sotto Pasquale II, e aveva contraddistinto il periodo del suo ufficio con l'introduzione del "cursus", che divenne una particolare caratteristica delle lettere papali, più tardi imitata da altre cancellerie.

Torniamo a Luigi Tosti: " Era Giovanni figlio di Crescenzio, duca di Fondi, della casa Gaetani di Gaeta sotto abate Desiderio venne offerto dai parenti a S. Benedetto, versando ancora nella puerizia. In quella fiorentissima scuola cassinese, in cui sedevano maestri Alberico e Costantino Africano, fu educato alle lettere, cui intese con tanto buon successo, che poi venne in fama di sapiente uomo. Papa Urbano II nell'anno primo di suo pontificato creò cardinale il monaco Giovanni Gaetano del titolo di S. Maria in Cosmedin, e suo cancelliere; poi Pasquale II lo nominò arcidiacono e bibliotecario di santa Chiesa. Il Cassinese rispose benissimo ai favori pontificali, e non falli mai alla fiducia che in lui posto avevano gli anzidetti pontefici : e ne dava splendido argomento quando, abbandonato Pasquale da tutti, assediato dai Tedeschi, fautori dell'antipapa Guiberto, egli non si partì mai dal fianco del pontefice, e lo confortò di ogni maniera di uffici, intanto che costui soleva dire, in quelle distrette in cui mettevalo Enrico, Giovanni essere il bastone della sua vecchiezza. E bene diceva: perocchè, quando l'abate e vescovo Brunone gli moveva contro richiami con gli altri prelati per quella scritta che gli aveva strappata di mano il Tedesco nel castello di Tribucco, colui lo difese a tutt'uomo ; e perciò, nei trent'anni che ressero la Chiesa quei due papi, nelle mani sue tutti si raccolsero e prudentemente si amministrarono i negozi del romano Seggio ».
Perciò «.... chiamato Giovanni dal vescovo di Porto a togliere il supremo officio di papa, montò una mula, ed a corte giornate mosse per Roma; ove tali e tante tribolazioni lo aspettavano, quali e quante non ebbero mai patite i suoi antecessori in qual si fosse più fortunoso tempo ».

La sua elezione avvenne in gran segreto, in un monastero sul Palatino, il 24 gennaio del 1118. Invano il vecchio monaco -
uomo dotto e mite, fervente sostenitore delle dottrine gregoriane- si oppose a questo onore in un tempo così pericoloso.

La scelta di un tale uomo non poteva certamente esser accolta con favore dal partito imperiale e a Roma si rinnovarono i tumulti e le scene di violenza. I cardinali erano ancora riuniti, quando nel convento irruppe una moltitudine di armati; con il potente e facinoroso Cencio Frangipani che li guidava, assalirono la casa dove si trovava il nuovo papa, ruppero le porte, entrarono nella chiesa afferrarono per la gola il vecchio Pontefice, lo atterrarono, lo ricoprirono di calci, e pesto, sanguinante e carico di catene, lo portarono via, mentre altri scherani del prepotente infuriavano contro i cardinali.

Gelasio fu imprigionato in una torre di Cencio Frangipani, carico di catene, più morto che vivo. Ma il popolo si sollevò, le milizie delle dodici regioni, le genti del Trastevere e dell'Isola corsero alle armi: il prefetto Pietro, riconciliatosi con Pierleone, Stefano dei Normanni ed altri fautori del papa si riunirono in Campidoglio. Il pontefice venne liberato e perdonò al suo carceriere. Roma festeggiò l'avvenimento, e Gelasio fra le grida di gioia, sopra un bianco mulo, si recò in Laterano per ricevere l'omaggio dei Romani.

I Frangipani non si diedero per vinti, prima gli resero impossibile la residenza e nel contempo chiamarono a Roma l'imperatore Enrico V, al quale premeva insistere sul nuovo papa per ottener la conferma del privilegio di Pasquale II, del 1111. L'imperatore accolse subito l'invito dei Franfipani e partì in fretta dal suo campo nei pressi del Po; con pochi soldati al seguito, giunse a Roma nella notte del 2 marzo (1118).

Si diffuse ben presto il panico
GELASIO II, atterrito dalla discesa dell'imperatore e dal ricordo dei casi toccati al suo predecessore, si rifugiò con alcuni uomini della sua corte in una casa privata lungo il fiume, nella torre del romano Bulgamino, in S. Maria, nella regione di S. Angelo, dove trascorse la notte, e all'alba, mentre tuonava e lampeggiava una furiosa tempesta che sconvolgeva le acque del mar Tirreno, con un'imbarcazione era intenzionato a lasciare il rifugio attraverso il Tevere per raggiungere il mare e imbarcarsi. Ma, essendo il fiume ingrossato e impetuoso, fu costretto a restare a terra, e sarebbe caduto nelle mani dei soldati tedeschi mandati all'inseguimento, se il cardinale UGO d'Alatri, caricatoselo sulle spalle, non lo avesse portato a rifugiarsi nel castello di Ardea e se i cortigiani raggiunti da tedeschi non avessero giurato che il Papa era fuggito ma non sapevano dove.
Ritiratisi i Tedeschi, Gelasio fu ricondotto sulla nave e, sebbene la tempesta non era per nulla cessata, affrontò i pericoli del mare e giunse a Terracina, poi passò a Gaeta festosamente accolto dai suoi concittadini e da un gran numero di prelati.
A Gaeta, scoperto il suo rifugio, andarono a trovarlo, poco tempo dopo, alcuni ambasciatori di Enrico, i quali lo invitarono a ritornare a Roma per essere consacrato purché promettesse di pacificare il Papato e lo Stato.
Gelasio rispose che non era suo compito, che occorreva un concilio per risolvere la controversia e assicurò che n'avrebbe convocato uno nel successivo ottobre a Milano o a Cremona, città amiche e devote alla Chiesa.


Enrico era rimasto deluso da questa fuga, e per rivalsa creò un antipapa nella persona di Maurizio Burdino di Braga, che si chiamò Gregorio III.
Enrico giungendo a Roma era intenzionato chiedere la conferma dei suoi privilegi e l'incoronazione in S. Pietro. Gelasio però fuggendo si era sottratto a questo ma tuttavia promise di far decidere la controversia in un sinodo che si sarebbe riunito a Milano o a Cremona, nel successivo ottobre.

Prendendo una decisione che Pasquale aveva sempre evitato, da Capua, Gelasio, scomunicò l'imperatore e il suo antipapa. Inequivocabilmente si giunse così a un nuovo scisma. Vari sinodi in Germania la scomunica la confermarono, sotto il cardinal Conone e l'arcivescovo Adalberto di Magonza. A quel punto l'imperatore ripartì per la Germania, mentre Gelasio potè ritornare a Roma nell'estate.
A Roma si trovava ancora l'antipapa, il quale venne riverito da molte province d'Italia, di Germania e persino d'Inghilterra. Gelasio si fermò in vicinanza di S. Maria in Secundicerio, fra le torri di Stefano Normanno, del fratello Pandolfo e di Pietro Latro dei Corsi. Burdino teneva la maggior parte della città con la chiesa di S. Pietro S. Paolo seguito dai seguaci del pontefice. Questi, invitato dal cardinale del titolo di S. Prassede ad assistere alla festa di quella patrona, la cui solennità cadeva ai 21 di luglio, vi partecipava, sebbene la chiesa fosse situata proprio presso le torri dei Frangipani.

Vi fu accompagnato da uomini coraggiosi, ma la Messa non era ancor finita, quando i Frangipani si cacciarono ferocemente nella basilica, empiendola di una gragnola di sassi e di saette. Fu il segno di una mischia brutale, mentre Gelasio riuscì a fuggire. Poi riavutosi dal primo spavento, decise di lasciare la nuova « Sodoma »; nominò Pietro di Porto suo vicario, Ugo cardinale a legato per Benevento, confermò Pietro prefetto, fece Stefano Normanno confaloniere della Chiesa, e con un piccolo seguito, il 2 settembre, s'imbarcò per la Francia. Dove sapeva di poter ottenere pace e protezione.
Nel corso del viaggio fu accolto con molte feste a Pisa, nominò quel vescovado a chiesa metropolitana cui rese soggetta la Corsica, ne consacrò il Duomo, e parlò con dottrina al popolo. Nell'ottobre fece vela per Genova, e alla fine pervenne non lungi dalle foci del Rodano, presso il convento di S. Egidio nell'Occitania.
I vescovi, i principi di Francia, gli ambasciatori del re Luigi lo ricevettero con molta venerazione. A Maguelonne, Monpellier, ad Avignone, nelle città della Francia meridionale, una gran folla accorreva a vedere il venerando esule, e molte offerte spontanee cercarono di alleviare la sua povertà.
Giunto a Marsiglia il 26 settembre, non come un fuggiasco, sebbene come un trionfatore, onorato dai vescovi e dai grandi della Francia, che sperava di averli alleati contro la Germania.
Non doveva però godere a lungo dell'ospitalità francese ne riuscì a mettere in esecuzione i suoi progetti: dopo aver tenuto un concilio a Vienne e averne programmato un altro per il successivo marzo 1119, per risolvere la dibattuta questione delle investiture, cessò di vivere due mesi prima, il 29 gennaio, mentre si trovava ospite del monastero di Cluny circondato da monaci, da cardinali e da vescovi, vestito di una povera tonaca, disteso sul nudo terreno.

Il suo pontificato era durato solo un anno e qualche giorno, eppure in questo breve tempo furono molti dolori che si erano accumulati sul capo di questo venerando papa.
Prima di morire raccomandò ai cardinali, come suo successore, Ottone vescovo di Palestrina, il quale però ebbe paura del grave peso, e suggerì Guido vescovo di Vienne.
« Allorquando -- scrive il Gregorovius -- vien detto che, sulle eccelse cime della grandezza umana, i papi non sono che martiri, la vita di Gelasio, più di quella di ogni altro, può far fede di cosiffatta parola. Per lo meno non vi è uomo di animo pietoso, il quale, volgendo il pensiero a quel vecchio sventurato, ultima vittima della controversia delle investiture, non si senta tratto a gravi e serie meditazioni ».


Prima di morire si narra che Gelasio abbia suggerito di far eleggere al trono pontificio il vescovo OTTONE di Palestrina; ma questi rifiutò l'offerta e in sua vece fu eletto l'arcivescovo GUIDO di BORGOGNA (o di Vienne).
Non era questa un'elezione regolare essendo stata fatta dai soli sei cardinali che avevano seguito Gelasio in Francia; eppure, diffusasi la notizia, giunsero entusiastiche adesioni da parte del clero, della nobiltà francese e dello stesso re Luigi VI; ed otto giorni dopo, il 9 febbraio 1119, Guido fu consacrato col nome di papa.... CALLISTO II.

Ce ne occuperemo nel successivo capitolo, dedicato alla biografia di CALLISTO

Bibliografia.
Storia del mondo Medievale, Cambridge Univesity, IV vol. Garzanti 1979
Storia dei Papi, Saba e Castiglioni, Utet, 1929
Enciclopedia Europea, Garzanti

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