PIANETA RUSSIA
In un libro degli anni Cinquanta il leggendario leader cinese
critica senza mezzi termini la politica del dittatore sovietico

1956 - MAO TSE TUNG
PROCESSA STALIN


di IGOR PRINCIPE


Nel 1956 l'Unione Sovietica vive momenti cruciali per la sua storia. Concentrati nello scorrere di pochi giorni, due eventi la chiamano a recitare il ruolo della protagonista sul palcoscenico del mondo. Il primo si svolge il 29 ottobre con l'invasione della penisola del Sinai da parte dell'esercito di Israele, che intende reagire con la forza alla nazionalizzazione del canale di Suez decisa nel luglio dello stesso anno dal presidente egiziano Nasser. E' l'inizio della "crisi di Suez", che per qualche giorno risveglia nel pianeta il timore della terza guerra mondiale. Il secondo è del 30 ottobre, quando i carri dell'Armata Rossa entrano a Budapest per affogare nel sangue il sogno di un "socialismo dal volto umano", obbiettivo della politica riformista del premier ungherese Imre Nagy, sostenuto dalla maggioranza della popolazione magiara.

Dalla prima vicenda, l'Urss esce vincitrice; la seconda, invece, è un trionfo fasullo. La crisi del canale di Suez segna l'entrata di Mosca nella partita mediorientale tra israeliani e arabi, a fianco di questi ultimi e contro gli Stati Uniti, tradizionali alleati del popolo ebraico. L'Urss, in altre parole, allarga lo scacchiere della Guerra Fredda. L'insurrezione di Budapest invece, come s'è accennato, viene repressa nel sangue: Imre Nagy muore in circostanze mai chiarite e il suo posto viene preso da Janos Kadar, fedele esecutore delle direttive politiche impartite dal Cremlino. Quando si nomina l'anno 1956, il pensiero corre veloce a quanto raccontato.

Tuttavia, ci si dimentica di un altro fronte sul quale l'Unione Sovietica è impegnata a combattere un'ennesima guerra: quello cinese. Una guerra, diremmo oggi, virtuale, combattuta a colpi di ideologia con gli strumenti del più rigoroso metodo interpretativo del credo marxista e condotta da tre "generali" d'eccezione: Josif Stalin e Nikita Kruscev da un lato, Mao Tse-Tung dall'altro. Quest'ultimo, nell'aprile 1956, dà alle stampe il Discorso sui dieci grandi rapporti, primo abbozzo di un pensiero politico che, nell'ambito di una stretta fedeltà ai dogmi teorizzati alla metà dell'Ottocento dal filosofo tedesco, critica con forza l'azione di governo - in particolare di quello dell'economia - condotta da Stalin e proseguita da Kruscev.

E' una delle prime brecce che scalfiscono il monolite del comunismo mondiale. Tre anni prima, a Berlino Est, la polizia è dovuta intervenire con la forza per disperdere una manifestazione di operai che chiedevano migliori condizioni di lavoro e di salario. Parallelamente, in Cina, Mao Tse-Tung cominciava a dar corpo a quel programma di allontanamento da Mosca che, tra il '59 e il '60, passerà alla storia con il nome di "grande balzo in avanti".

Il Discorso, quindi, non è che una tappa nel cammino verso quel balzo; significativa, però, proprio perché datata 1956, annus horribilis per il comunismo di matrice sovietica, che subisce, proprio a causa dei fatti di Budapest, una consistente emorragia di iscritti ai partiti comunisti dell'Europa occidentale. Va sottolineato, ad ogni modo, che l'attacco sferrato Mao Tse-Tung concerne soprattutto il versante economico: il capo del comunismo cinese, infatti, è cauto nei giudizi sulla reazione sovietica alla sommossa ungherese.

L'entrata, nella capitale magiara, dei carri dell'Armata Rossa viene sì vista come segnale di incapacità di cogliere le diverse contraddizioni del socialismo reale e come violazione della legalità di un Paese, almeno nella forma, indipendente. Un'incapacità che può essere superata senza dover ricorrere a metodi coercitivi, bensì migliorando i rapporti interni tra i partiti comunisti di ogni Paese, sviluppando forme di consultazione, di "controllo reciproco" che diano vita a una politica internazionale unitaria. Tutto ciò, ad ogni modo, non costituisce un buon motivo né per mettere in discussione la figura di Stalin nè per apportare correzioni sostanziali al sistema socialista (correzioni che in futuro Mao apporterà a tal punto da dar vita ad un modello comunista profondamente diverso da quello realizzato sulla base del leninismo e dello stalinismo).

Ciò che invece viene criticato è quel programma di politica economica che privilegia l'industria pesante a danno di quella leggera e dell'agricoltura. Questi ultimi settori sono, a giudizio del leader cinese, le basi su cui si fonda e si sviluppa il primo, che può fare da traino all'economia di un paese comunista solo se sono sufficientemente sviluppati gli altri.

Dietro queste parole si nasconde innanzitutto un orgoglioso sentimento di appartenenza al ceto contadino, unico motore di una possibile rivoluzione comunista, ma anche una certa acrimonia personale verso Stalin, che dei lavoratori della terra non ha mai avuto troppa considerazione.
Ma al di là delle questioni più personali tra i due dittatori, va rilevato che la critica di Mao al governo dell'economia sovietica aggiunge un ulteriore, importante tassello a quel processo di revisione storica della figura di Stalin avviato da Kruscev nel 1953 con la rivelazione, al XX congresso del Partito comunista, degli orrori dei gulag. Mao stesso è fortemente critico nei confronti di questo "revisionismo", al quale, tuttavia, ha involontariamente contribuito con il Discorso sui dieci grandi rapporti e che sortisce un paradossale "effetto boomerang" proprio sulle riforme pensate dal leader cinese per il suo Paese.

L'esplosione del "caso Stalin", la critica al culto della personalità e il nuovo corso inaugurato da Kruscev, teorico di un passaggio indolore dal comunismo al socialismo, bloccano infatti l'attuazione del piano maoista. Il leader cinese, in questa pausa forzata, decide quindi di tornare a riflettere sulla politica di Stalin per migliorare, facendo tesoro dei suoi errori, il programma di governo da applicare alla Cina.

Tra il 1958 e il 1959, Mao analizza con profondità il sistema economico dell'Urss, addirittura spingendosi a esaminare l'organizzazione del lavoro nelle fabbriche e soffermandosi sul ruolo dei capireparto. Gli appunti vengono raccolti in due testi, Note di lettura ai problemi economici del socialismo in Urss (1959) e Note di lettura al manuale di economia politica dell'Unione Sovietica (1960). Sono pensieri sparsi e non organici, quasi pagine di diario sulle quali leader della Cina popolare fissava le proprie riflessioni; ma questa disorganicità di forme non impedirà a quei pensieri di far da base ideologica per quel "grande balzo in avanti" che, nel 1960, affrancherà definitivamente la Cina dall'orbita di Mosca, realizzando una nuova idea di credo comunista.

Il primo dei testi si apre con un vero e proprio colpo di sciabola: l'Urss "ha camminato su una sola gamba". Un concetto che Mao ripete tre volte in poche righe, e che poi spiega in questo modo: "Stalin ignora la politica e le masse, mette in rilievo solo la tecnologia e i quadri tecnici".

Si intuisce, già da queste prime battute, che la critica maoista parte da questioni strettamente economiche per arrivare ad una rilettura integrale della filosofia politica dell'Unione Sovietica, accusata di scarsa considerazione nei confronti delle masse.
Il partito, le strutture dello Stato e la tecnologia sono elementi essenziali per il governo di un Paese comunista, ma non possono essere anteposti all'attività delle masse. E' quest'ultima il fattore che condiziona l'utilizzo di quegli strumenti, non il contrario.

Mao riconosce che la tecnologia e le macchine moderne sono indispensabili per compiere il "grande balzo", ma è convinto che nulla si possa fare se prima non si procede con le grandi collettivizzazioni, trasformando il lavoro e la proprietà individuale in lavoro e proprietà collettivi. "Stalin - afferma - non prende in considerazione l'uomo.
"Vede le cose, non l'uomo".

La prosa è lenta, ma l'esame corre veloce: sin dall'inizio delle sue riflessioni, si intuisce che la critica maoista all'Urss si fonda su una questione di metodo. E' una premessa generale, che il leader cinese approfondisce per ogni settore e diventa cruciale quando si analizzano i rapporti tra lavoratori dell'industria e dell'agricoltura.

Stalin, durante la sua azione di governo, rifiutò di cedere ai kolkoz la proprietà della macchine agricole, atteggiamento che Mao non considera tanto ispirato da alte visioni di politica economica, quanto dalla sua innata "grande diffidenza nei confronti dei contadini" e, soprattutto, dalla sua sfiducia nella più alta forma di egualitarismo. Non assegnare la proprietà delle macchine ai lavoratori significa, a giudizio di Mao, perpetuare la storica divisione della società in padroni e lavoratori.

Su questa strada, l'Unione Sovietica non potrà mai raggiungere l'idea di comunismo teorizzata da Marx e Engels nel Manifesto. Le Note di lettura al Manuale di economia politica, invece, si soffermano a lungo sul ruolo delle masse contadine nella rivoluzione nelle campagne e sulla trasformazione degli intellettuali. Il clima tra Cina e Urss si fa sempre più gelido. Kruscev guarda più a Kennedy e a Giovanni XXIII che a Mao: sono gli anni in cui il mondo spera in un avvicinamento tra Est e Ovest, che assopisca del tutto la minaccia di una guerra nucleare (minaccia che si risveglierà improvvisamente con la crisi di Cuba del 1962).

A Pechino questa politica è invisa, in quanto elemento di ostacolo al compimento della "rivoluzione" sognata da Mao. Con ogni probabilità, è questo il momento in cui il leader cinese comprende che la strada del suo Paese non è più quella dell'Unione Sovietica. Il graduale allontanamento si trasforma, sotto il profilo del governo dell'economia, in vero e proprio strappo. Mao giudica "di destra" la politica di confische dei terreni attuata da Stalin, che assegnando gli appezzamenti ai contadini poveri e di media ricchezza si trova a fare una "politica di elargizione", a intervenire dall'alto verso il basso sottraendo spazio alla "lotta di classe".

Risultato: la mancata organizzazione delle masse e il loro mancato coinvolgimento nel processo rivoluzionario. L'altro punto sul quale Mao incentra la sua attenzione è il rapporto con gli intellettuali, dei quali rileva la difficoltà a mettersi totalmente a servizio della nuova società comunista. Per il "grande timoniere" non è sufficiente la sola "formazione di intellettuali di origine contadina e operaia" o l'approntare "mezzi per integrare gli intellettuali di origine borghese"; c'è bisogno, invece, di una radicale trasformazione che estirpi dalle loro menti ogni residuo di cultura e ideologia borghese (cosa che l'Unione Sovietica, con la sua politica "di destra", non è in grado di fare). 

Questi, in estrema sintesi, sono i due pilastri del programma di rivoluzione maoista. Nelle Note al manuale, il leader cinese entra nel merito di questioni specifiche - gli incentivi materiali ai lavoratori, la critica alla disciplina del cottimo e al mercato dei kolkoz - che possono essere tralasciate.

 Non può essere tralasciato, invece, il fatto che dal 1960, anno del definitivo "strappo" di Pechino da Mosca, l'Urss fu davvero più sola nel contrastare quei sintomi di disgregazione che esplosero nell'autunno del 1989.

di IGOR PRINCIPE

Bibliografia
Note su Stalin e il socialismo sovietico, di MaoTse Tung 
 Ed. Laterza, Bari 1975

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