BIOGRAFIA
( n. 1587 - m. 1637) - Duca 1630 - 1637)

Il figlio primogenito di Carlo Emanuele I, Filippo Emanuele, resse il governo sotto la direzione di un Consiglio di Stato mentre il padre guerreggiava in Francia, ma non potè raccogliere la successione perchè morì non ancora ventenne nel 1605, a Madrid. Successore di Carlo Emanuele I fu quindi il suo secondogenito Vittorio Amedeo I, nato in Torino l'8 maggio 1587.

Quando questo principe nel 1630 divenne sovrano della Savoia e del Piemonte, le condizioni del Ducato erano, come già si disse, assai tristi. Tutta la Savoia, tranne Monmeliano, era occupata dai Francesi, che tenevano anche Susa, Pinerolo, Saluzzo e Bricherasio; la fame e la peste devastavano il paese dove, qua e là, erano accampate anche soldatesche spagnole ed imperiali.

Vittorio Amedeo I aveva allora quarantatrè anni. Era uomo di animo pacato, ricco d'esperienza per aver lungamente vissuto nelle Corti di Spagna e di Francia, presso le quali aveva avuto incarichi diplomatici, e si era già segnalato in guerra nella Liguria e specialmente in Piemonte, dove era anche stato ferito, durante l'assedio di Verrua. Aveva sposato CRISTINA di FRANCIA, detta "MADAMA REALE", donna molto bella e molto intelligente « assai gradita a tutti e in modo speciale ai Francesi », ed anche per questo sembrava destinato a riuscire nell'ardua impresa di rimediare ai molti mali che la sfrenata ambizione e l'inconsideratezza del padre avevano prodotti nello Stato.

All'inizio del suo regno, egli comprese l'assoluta necessità di procurarsi la pace, per potere esercitare un'azione proficua, e la pace ottenne, a Ratisibona, con l'aiuto del cardinale Mazarino. Per il trattato che allora venne firmato, ebbe alcune terre del Monferrato, ma dovette rassegnarsi a rinunciare ad ogni altro diritto, ad ogni altra pretesa. Più tardi, a Cherasco, ebbe la signoria di Alba, perdendo però quella di Pinerolo e della valle della Perosa. Così la Francia acquistò un nuovo e più pericoloso àdito agli Stati dei Duchi di Savoia, e così cominciò un nuovo periodo di predominio francese, dal quale non dovevano poi riuscire a liberarsi neppure le due reggenti Maria Cristina di Francia e Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours, pure essendo l'una e l'altra gelosissime custodi della dignità e dell'indipendenza della corona di Savoia.

Vittorio Amedeo I fu costretto dalle circostanze a lasciar calare i Francesi in Italia e ad allearsi con loro, ma tutti i suoi sforzi furono diretti a mantenere la politica di equilibrio già allora tradizionale nella Casa di Savoia. « Infatti, scrisse il Cibrario, mentre stava con la Francia egli non faceva agli Spagnoli tutto il male che avrebbe potuto, e manteneva vive, (per mezzo del vescovo d'Alba) le pratiche con loro, e procacciava di non lasciar guadagnare nè all'una nè all'altra parte straniera preponderante influenza in Italia ».

Ma appunto questo gli venne rimproverato. Si disse che, in certi momenti, egli non ebbe l'audacia che sarebbe stata necessaria, e che non seppe resistere ai Francesi, ai quali finì con l'abbandonare il Piemonte.
Comunque, Vittorio Amedeo I fu certamente un principe dotato di grande buon senso, e si può dire che fece tutto quello che le circostanze gli permisero di fare. La prudenza politica fu una delle sue caratteristiche. Riordinò l'amministrazione dei suoi Stati e pagò molti debiti. Non riuscì a far cessare le contese tra i suoi parenti, alcuni dei quali parteggiavano per la Francia, mentre gli altri tenevamo per la Spagna. Fu umano e generoso, quantunque risulti che si lasciò trascinare a qualche eccesso nelle persecuzioni contro i Valdesi. Ma si deve tuttavia ricordare che in Torino seppe moderare le crudeltà dell'Inquisizione.
Diede incremento al commercio delle sete, favorì l'allevamento dei cavalli, tentò di facilitare le comunicazioni facendo costruire od allargare molte strade. Istituì nello Stato di Savoia un Consiglio di Stato e l'anagrafe della popolazione. Ebbe a cuore l'edilizia e le arti; volle che in Torino non si potesse costruire alcun palazzo senza che prima ne avesse egli stesso approvato il progetto architettonico.

Amò la giustizia, tanto da far punire un proprio fratello che aveva percosso un magistrato. Nella politica interna fu molto astuto e seppe destreggiarsi in modo tale da far trionfare sempre la propria volontà, anche contro quella del Senato. Come condottiero, riportò parecchie notevoli vittorie contro gli Spagnoli, la gloria delle quali gli fu contesa, però, dal maresciallo francese Créqui. Il più considerevole di questi successi militari fu quello di Monbaldone (8 settembre 1637), dopo il quale i Franco-Piemontesi varcarono la Sesia ed occuparono terre del Novarese. Il cardinale di Richelieu, nelle sue memorie, fu prodigo di elogi a questo «buon principe, che curò il buon governo e il sollievo de' suoi popoli, quanto il suo antecessore li aveva trascurati ».

Morì a cinquant' anni il 7 ottobre 1637, dopo aver ricomposto lo Stato, di cui potè accrescere alquanto l'estensione sacrificando però in parte la propria indipendenza. « Morendo, nota un biografo, egli lasciò i Francesi in Piemonte, i popoli esausti, la guerra in casa con la Spagna, due fratelli e una sorella strettamente legati al nemico, la moglie, Cristina di Francia, donna dotata di alti spiriti, quanto di cuore facilissimo, compromessa dalla sua grande avvenenza ».

Da Cristina ebbe sei figli : Lodovica Cristina, FRANCESCO GIACINTO (che fu suo successore a cinque anni, sotto la reggenza della madre), Carlo Emanuele, destinato a succedere al padre e al fratello, Margherita Violante, che fu moglie di Manuzio Farnese di Parma, Caterina Beatrice e Adelaide Enrica, gemelle, la prima delle quali morì in fasce.

Di Madame Reale, parleremo nella successiva biografia, in quella di Francesco Giacinto.