BIOGRAFIA
(n. 1632 -m.1638)

la madre: MARIA CRISTINA DI FRANCIA
" MADAME REALE"

(n.1606 - m. 1663)

 

Il primogenito di Vittorio Amedeo I aveva appena cinque anni, quando per la morte del padre ebbe l'eredità ducale.
Quindi, la successione toccò in realtà alla vedova del defunto duca, Maria Cristina di Francia, che appena trentenne e nella pienezza della vitalità e dell'attività mentale, assunse la reggenza dello Stato nella quale, come vedremo, diede prova di grandi qualità.

Nell'anno seguente, il piccolo Francesco Giacinto, che per la sua debolezza organica aveva fatto prevedere già dai primi mesi di vita una fine precoce, cessò di vivere, e a lui successe, ancora sotto la reggenza della duchessa vedova, il secondogenito CARLO EMANUELE, che allora (1638) aveva poco più di quattro anni, e sulle cui condizioni di salute correvano voci ben poco rassicuranti.

MARIA CRISTINA di Borbone, figlia di Enrico IV re di Francia, detta "MADAMA REALE" per la sua origine regia, fu donna bellissima, affascinante, galante, volubile, pure essendo in certe cose molto ostinata, e diffidente, e gelosissima della propria autorità. Il Cibrario afferma, però, che malgrado la diffidenza che la distingueva, ella era assolutamente incapace di custodire un segreto, « a tal segno che l'ambasciatore francese d'Emery, stancandola con due o tre ore di colloquio ogni giorno, finiva con lo spillarle sempre qualcosa».

Pur essendo ancora quasi bambina, aveva nutrito un'ardente passione per il principe di Galles, ma poi appena dodicenne andò sposa a Vittorio Amedeo I di Savoia. In quei tempi, come si sa, i matrimoni principeschi si combinavano senza che alcuno si curasse della volontà degli sposi. Soltanto la politica li consigliava, li confermava. Da ciò naturalmente aveva origine, assai spesso, l'infelicità di due esseri congiunti indissolubilmente senz'averlo desiderato per reciproca simpatia.

Maria Cristina di Francia, come tante altre principesse d'allora, fu condotta al talamo mentre aveva nel cuore l'immagine d'un altro uomo, e senza che neppur conoscesse il marito, i parenti, il popolo di cui doveva diventare signora. Fortunatamente per lei, le cose andarono nel migliore dei modi. Vittorio Amedeo I, presto conquistato dalla straordinaria avvenenza di lei, l'amò d'un amore esclusivo e geloso, rendendosi schiavo dei voleri ch'ella manifestava, anche nei più gravi affari di Stato. Ed ella, nonostante il temperamento passionale e quella innata inclinazione alle avventure amorose che nocquero alla sua reputazione, gli fu certamente compagna affezionata.

Vittorio Amedeo morì il 7 ottobre 1637, in circostanze tali da far correre la voce che fosse stato avvelenato per istigazione del Richelieu, che, volendo sottomettere completamente alla Francia il Piemonte, poteva aver visto in lui un ostacolo da sopprimere, tanto più pel fatto che lo Stato avrebbe potuto esser retto da una principessa francese.
Fu opinione generale che la volontà di Vittorio Amedeo I circa la reggenza da lui lasciata alla moglie, fosse interpretata dai parenti, quasi tutti francesi, piuttosto che espressa. « Il Duca era moribondo, dice il Cibrario, quando nell'interesse di Cristina ed in quello di Francia gli si propose di testare lasciando la reggenza alla moglie. Egli non ne ebbe la forza. Allora fu interrogato dal confessore, Padre Broglia domenicano, se non avesse intenzione di costituire la moglie tutrice e reggente. Il moribondo mandò fuori un sospiro che rassomigliava ad un sì; e di quel sì fu steso un atto che venne sottoscritto da nove testimoni. Questo fu il fondamento della reggenza di Madama Reale ».

Morto Vittorio Amedeo, il cardinale di Richelieu concepì tutto un piano per raggiungere quei suoi scopi politici che la presenza del duca aveva resi difficilmente realizzabili. Nell'ipotesi che i due figli di Vittorio Amedeo, fanciulli gracilissimi, avessero a campare, e sfruttando la reggenza di una donna bella, leggera, tenera e sensibile alle adulazioni e alle lusinghe, qual'era Cristina, egli sperava di rendere la monarchia di Savoia, se non suddita, almeno vassalla della Francia, e di giovarsi di essa per cacciare dall'Italia gli Spagnoli e per soggiogare la penisola. Nell'ipotesi, invece, che i due figli di Vittorio Amedeo morissero, egli si proponeva di escludere dalla successione il principe Tomaso di Carignano, e il cardinale Maurizio di Savoia, ai quali sarebbe spettata di diritto, secondo le antiche leggi della monarchia, e di farla passare alle femmine, per dare poi in moglie al Delfino la primogenita del duca defunto.

Per realizzare questi progetti, Richelieu aveva pensato di mandare presso Maria Cristina "l'homme le plus corrompu de France", il Particelli d'Emery, cieco strumento dei suoi voleri, il quale, per cattivarsi gli animi nel Ducato, cominciò col dispensare pensioni e benefizi ecclesiastici e con l'offrire vantaggiosi matrimoni in Francia ai principali ministri e ai personaggi più potenti. Madama Reale non lo poteva soffrire, e cercava di resistere alla sua influenza tenendosi vicini due uomini di provata fede: il conte Filippo d'Agliè ed Padre Pietro Monod, gesuita. « Il primo, scrisse il Cibrario, ne signoreggiava il cuore; il secondo ne regolava la coscienza, e tutti e due pretendevano reggerne la politica ».

Ma Cristina non aveva intenzione di farsi comandare nè dirigere da chicchessia, e di ciò diede prova per la prima volta, immediatamente dopo esser rimasta vedova, -quando, correndo voce che i Francesi volessero impadronirsi di Vercelli e tenere in loro potere il duchino e lei, ad Emery e ad un altro emissario del ministro di Francia, che le si erano presentati per scoprire le sue intenzioni, rispose risolutamente che intendeva conservare la propria libertà, e comandò alle milizie piemontesi di occupare Vercelli e di impedire che i Francesi vi entrassero.
Ma le buone intenzioni non valgono a sostituire nè la forza, nè l'autorità morale che in certi casi può tener luogo della potenza, e Cristina non potè, come avrebbe voluto, rimaner neutrale tra la Francia e la Spagna, e si vide costretta ad allearsi con la prima.

Ella d'altronde non dovette soltanto lottare per l'indipendenza del suo Stato di fronte alle pretese straniere; dovette anche aver cura della successione dei propri figli, difendendola contro le aspirazioni del cardinale Maurizio di Savoia, che viveva a Roma, e contro quelle del principe Tomaso di Carignano, che militava nelle Fiandre. Quei principi erano tutti e due devoti alla Casa d'Austria, e tutti e due indotti dalle ragioni del sangue e dai precedenti della famiglia a prender parte agli affari dello Stato, in molte cose, opponendosi alla duchessa, francese per nascita e per sentimenti, e nemica della Spagna, di cui essi erano invece fautori. Si aggiunga che il cardinale Maurizio era stato, un tempo, innamorato della bella duchessa, la quale lo aveva respinto, e che egli allora si era vendicato denunciandola come infedele a Vittorio Amedeo I. Inoltre le popolazioni, immiserite dal continuo stato di guerra, aspiravano vagamente all' indipendenza dagli stranieri, e odiavano in ugual misura i Francesi e gli Spagnoli; i primi, alleati e protettori di Madama Reale; i secondi, amici del cardinale Maurizio e del principe Tomaso.

Il Senato proclamò senza indugio la duchessa « tutrice e reggente », dovendosi tenere per certo (così fu scritto) che sotto la reggenza di lei e la protezione di Sua Maestà il re di Francia, « il paese sarebbe per godere intera pace e felicità ». Da un certo punto di vista, l'aspettativa del Senato non ebbe a rimanere delusa, poichè la duchessa emanò delle disposizioni tendenti a diminuire i pubblici aggravi. « Ma come scrisse un contemporaneo, sul finire del regno di Carlo Emanuele II, la nobiltà nel tempo di Madama Cristina, con l'occasione delle guerre civili, era divenuta così altiera e signoreggiante che strapazzava i suoi sudditi, e da vassallo ognuno la voleva far da duca, come se fosse stato unico padrone. Di più, sotto pretesto di quartier d'inverno, i nobili avevano comprato dagli ufficiali delle quietanze sopra le comunità, comprando a dieci quello che valeva quaranta, e le comunità si trovavano aggravate al maggior modo ».

Una delle prime cure della duchessa fu di adoperarsi a tenere lontani dal Piemonte i cognati, cardinale MAURIZIO e principe TOMASO, e di far togliere i sequestri che erano stati messi sui loro appannaggi. Ma il cardinale Maurizio (cardinale senz'esser stato iniziato agli ordini sacri, bell'uomo, letterato, protettore di letterati, fondatore di accademie, ben voluto e desiderato dal popolo), appena informato della morte del duca, da Roma dove risiedeva si era recato a Savona, ed aveva inviato a Madama Reale un abate (l'abate Soldati) per chiederle un colloquio, dichiarando che intendeva recarsi da lei per obbedirle e per rimettersi in ogni cosa ai voleri di lei. Forse gli balenò nella mente la speranza «di poter sposare finalmente la vagheggiata cognata», come dice uno storico, ma più probabilmente fu mosso soltanto da ragioni politiche.

Ad ogni modo, Cristina, consigliata dal gesuita Monod suo confessore a ricevere il cognato, esortata invece a respingerlo dal cardinale Richelieu, che le faceva intendere com'egli dovesse esser venuto soltanto per toglierle il potere, e che insisteva per avere da lei facoltà di arrestarlo, mandò a dire a Maurizio di ritornarsene a Roma, dato che la sua presenza in Piemonte avrebbe potuto esser causa di gravi inconvenienti. Il cardinale di Savoia le oppose delle condizioni, volle essere pubblicamente pregato, e non ricevere l'ordine, di ritornarsene a Roma. Pretese delle somme non indifferenti, a titolo di appannaggi arretrati, e delle grazie per alcuni suoi amici piemontesi, e poi s'indugiò per un certo tempo a Genova, a brigare con gli Spagnoli per non ritirarsi scornato. Ma allora la Corte di Madrid non gli diede retta, ben sapendo che in quel momento egli pensava sopra tutto a se stesso, senz'essere in realtà fautore della Spagna più di quanto potesse esserlo della Francia.

Il principe Tomaso di Carignano, dal canto suo, aveva saputo tardi, nelle Fiandre, della morte del duca Vittorio Amedeo suo fratello, e aveva scritto che se il cardinale Maurizio avesse avuto una parte nel governo, non si sarebbe mosso, ma che in caso contrario sarebbe accorso a liberare dall'ingerenza francese la cognata reggente e la sicurezza dello Stato. Ma per allora non ne fece nulla. Il cardinale Maurizio, essendosi persuaso che non avrebbe trovato aiuti per entrare in Piemonte, si rassegnò a ritornare a Roma, mentre a Torino, intorno alla duchessa, gli agenti francesi facevano tutto il possibile per allontanare i fautori dei cognati di lei, primo fra tutti il gesuita Monod, che infatti venne confinato a Cuneo.

Le complicazioni gravi, però, vennero più tardi quando, morto il piccolo duca Francesco Giacinto, cominciò il secondo periodo della reggenza di Madama Reale, che continuò a governare per conto di Carlo Emanuele II. Questo principe prima della morte del fratello, aveva costituito un gradino intermedio fra il successore del duca defunto e il cardinale Maurizio. Ormai quel gradino non esisteva più, ed il fastoso prelato si era avvicinato di più alla corona ducale, che sarebbe toccata a lui qualora anche Carlo Emanuele II fosse morto senza lasciar figli come si prevedeva.

Il nuovo giovanissimo duca era anch'egli gracile e malaticcio, ed era diffusa la voce a cui abbiamo accennato, secondo la quale, morto lui, il cardinale Richelieu, sopprimendo la consuetudine e la regola per cui le donne di Casa Savoia erano escluse dalla successione, avrebbe fatto sì che venisse chiamata a succedergli la sorella Luisa, alla quale avrebbe dato per marito il Delfino. Così i territori della Savoia e del Piemonte sarebbero divenuti, di fatto, possedimenti francesi.
È inutile dire di quanta inquietudine fossero causa al cardinale Maurizio queste possibilità, che furono le ragioni per le quali, deciso ad agire risolutamente, egli si recò a Chieri ad aspettare che una congiura ivi ordita gli aprisse le porte di Carmagnola e della cittadella di Torino.

Ma quella congiura venne scoperta, e il cardinale allora si ritirò in certe sue terre di Lombardia, dove lo raggiunse il fratello Tomaso. Ben sapendo che le forze di cui potevano disporre non sarebbero bastate a sostenerli o a difenderli, i cognati della Reggente di Savoia invocarono ed ottennero aiuti spagnoli. Invano la duchessa cercò di opporsi a questa intesa dei due fratelli con la Spagna; gli avvenimenti precipitarono, e il 27 marzo 1639 il principe Tomaso, alla testa di duemila dragoni comparve davanti a Chivasso, i cui abitanti, favorevoli ai fratelli Sabaudi in quanto erano ostili alla duchessa francese, si affrettarono ad aprirgli festosamente le porte.

Il principe Tomaso riportò rapidamente altri successi. Occupò, oltre a Chivasso, Biella, Aosta, Asti e Trino, ed infine, negli ultimi giorni di agosto, s'impadronì anche di Torino. Frattanto, suo fratello, il cardinale Maurizio aveva occupata la contea di Nizza. In tutti questi luoghi, gli abitanti non esitarono a giurar fedeltà ai due principi, riconoscendoli come soli Reggenti dello Stato e soli tutori del duca fanciullo Carlo Emanuele II.
Ma le popolazioni di tutto il Ducato si divisero poco dopo, in due partiti: quello dei Madamisti, che portavano al cappello nastri bianchi e celesti, e quello dei Cardinalisti, che adottarono un nastro azzurro. Gli animi s'accesero, e la guerra civile non tardò a scoppiare. « Chi potrebbe dire, scrive il Ricotti, che cosa divenne allora il Piemonte, dove gli stranieri combattevano con gli stranieri, i cittadini coi cittadini, i parenti coi parenti? Si vedeva Chivasso armato contro Torino, Vercelli contro Santhià, Trino contro Casale, Cuneo contro Savigliano, Saluzzo contro Pinerolo, Asti contro Alba, e su questa città le bandiere di Spagna, su quella i vessilli di Francia. Nè solo nelle città, ma anche nelle campagne imperversava la rabbia omicida, e agli odi pubblici s' intrecciavano i rancori privati. Preti e frati partecipavano al terribile sconvolgimento, e di essi i più parteggiavano per i due principi fratelli, uno dei quali era cardinale di Santa Chiesa».

In mezzo a tanto subbuglio, Richelieu consigliò al re di Francia di recarsi a Grenoble, di chiamarvi Madama Reale ed il piccolo duca, di trattenere questi presso di sé col pretesto di garantirne la sicurezza, e di farsi consegnare dalla sorella duchessa la fortezza di Monmeliano per occuparla con soldati francesi. Ma Cristina, comprendendo che il cardinale mirava ad impadronirsi irrevocabilmente dei domini della Casa di Savoia, seppe sfuggire all'insidia. Rinchiuse il figlio nel castello di Monmeliano, ordinando solennemente al comandante della piazza di non consegnare ad alcuno nè il duchino nè la fortezza, quand'anche gli venisse presentato un ordine scritto da lei e a meno che ella venisse in persona a revocare quegli ordini. Poi si recò direttamente a Grenoble, dove, aiutata dal suo fedele conte d' Agliè, seppe resistere con mirabile costanza, e non inutilmente, alle abilissime lusinghe ed alle minacce del cardinale di Richelieu.

Finalmente, nel 1642, quando le popolazioni piemontesi furono stanche delle prepotenze francesi, e quando i principi fratelli si furono persuasi che la Spagna, intervenendo nelle cose del Piemonte, agiva molta più nel proprio interesse che non nel loro, le due parti contendenti, oramai decise a far cessare la guerra civile, che ancora insanguinava il paese, iniziarono dei negoziati che furono assai lunghi, ma che ebbero per conclusione dei giusti accordi.

A Madama Reale rimase la reggenza, ma i suoi cognati vi ebbero qualche partecipazione; e per ottenere che la Francia restituisse le fortezze occupate, essi dovettero abbandonare la bandiera spagnola e mettersi sotto l'egida di quella francese. Intanto la duchessa attendeva ansiosamente il 20 giugno 1648, termine della minorità del duca Carlo Emanuele II, che ormai avrebbe assunto direttamente il potere. « È vero per altro - così un biografo - che il duca giovinetto, sebbene mostrasse una grande vivacità di spirito, non aveva nè forza, nè mente, nè finanche statura corrispondenti all'età sua, cosicchè molti speravano, mentre molti altri temevano, che la Duchessa. pur ritirandosi apparentemente, avrebbe continuato in realtà a tenere la reggenza. Così infatti ella fece, attraverso fortunose e talvolta drammatiche vicende, fino al 1662, anno nel quale Carlo Emanuele II sposò Francesca d'Orléans ».

Madama Reale non prese parte alcuna al nuovo tentativo di pacificazione dei Valdesi fatto da Carlo Emanuele II nel 1657, dopo che essi ebbero ancora una volta resistito alle armi ducali. Da parecchio tempo ella aveva cessato d'occuparsi delle cose dello Stato e conduceva vita ritiratissima, dedicandosi con ardore alle pratiche religiose. Faceva gli esercizi spirituali quattro o cinque volte all'anno, in questo o quel convento, per quattro giorni e tre notti di seguito, « battendosi con la disciplina, portando ai fianchi il cilicio, sulle carni, e una corda al collo e sul capo una corona di spine, e recando sulle spalle una pesantissima croce. Ascoltava, sempre in ginocchio, quindici messe di seguito, poi si gettava a terra sulla soglia della chiesa, e voleva che tutte le monache le passassero sul corpo in processione e che ciascuna coi piedi le premesse la gola ».

Quale e quanta trasformazione, fosse dunque avvenuta nella bellissima, orgogliosa, elegante e galante Madama Reale, è dunque facile pensare, e quanto grande debba esser stata in lei l'alterazione della mente e del fisico negli ultimi anni della sua vita è pure evidente.
Morì il 27 dicembre del 1663, forse appunto per effetto de' suoi eccessi di mortificazione.

«Madama Reale Cristina - dice il Cibrario - ebbe alcune qualità veramente regie: coraggio, grandezza d'animo, liberalità, anzi quasi prodigalità, non mediocre ingegno, labbro facondo, con cui passando fra le squadre arringò talora i soldati. Serbò fede al Piemonte ed ai figliuoli; fu di tempra amorosa leggera ed incostante; diede troppo favore e lasciò prendere troppa baldanza ai nobili, i quali al suo tempo inventarono genealogie favolose, origini poetiche e documenti mai più veduti. Cristina può appuntarsi di errori propri del suo sesso, non di crudeltà e lascivie, come ne divulgarono, anche per le stampe, bugiarde voci i satelliti di Richelieu e alcuni principi focosi ».

Madama Cristina fu splendida anche nel far costruire monumenti religiosi. Per volere suo e secondo le sue disposizioni vennero edificati in Torino i conventi di San Francesco da Paola e di Santa Teresa, come pure la chiesa e il monastero di Santa Cristina.