I SAVOIA - LA DINASTIA


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Premessa: Questa è una sintesi della Storia di Casa Savoia, la più antica ed illustre fra le dinastie d'Europa.
Antica di quasi 1000 anni, illustre per aver 42 Principi Sabaudi regnato nelle proprie terre, poi nell'Italia Unita.
Di ognuno si riportano rapidi cenni biografici, senza critica storica, senza retorica, senza cortigianeria.
Se analisi-critiche vi sono, queste sono riportate dentro i singoli periodi nei "Riassunti Storia d'Italia" >>>>
o nei singoli anni di "Storiologia"; necessaria perchè nel bene o nel male la Storia di una buona parte della penisola italiana
è anche la Storia della dinastia dei Savoia.
Le incisioni fanno parte di un rarissimo "Albero Gentilizio della Casa di Savoia" pubblicato in Torino nel 1701 dall'Abate Ferrero di Lavriano.
Le successive sono state aggiunte con lo stesso stile.
Per i testi ci siamo avvalsi di "I Savoia" di D. Cinti (1929) - "I Savoia" di E. Janni (1925), e per cfr. l'enciclopedia Treccani.

Le singole biografie, dei regnanti, o dei principi che si sono distinti, o dei personaggi (mogli, figli, rami collaterali della dinastia ecc.)
a causa della enorme quantità di Kb per le immagini correlate, bisogna aver pazienza nel caricarli.


E, FUORI D 'ITALIA, da Principesse Sabaude a REGINE E IMPERATRICI

sempre QUI IN RETE > >

 

L'ALBERO GENEALOGICO DEI SAVOIA
(
Q
UI )

________________________________________
IL REGNO DI SARDEGNA NEL 1848 > > >
CARTINA, POPOLAZIONE E STRUTTURA DEL REGNO
il governo - gli ordini religiosi - giustizia e finanze -
lo stato militare - l'istruzione pubblica - la sanità - la Sardegna

________________________________
PER CAPIRE GLI ULTIMI 150 ANNI DELLA STORIA D'ITALIA
" UNA LUNGA STORIA "

new: VITTORIO EMANUELE II - " L'INIZIO DI UN REGNO "> > > >

new: VITTORIO EMANUELE III - " LA FINE DI UN REGNO "> > >


( periodo storico anni 1003 - 1720 )
Signoria di Savoia (1003-1103)
Contea di Savoia (1103-1416)
Ducato di Savoia (1416-1713)

UMBERTO BIANCAMANO - ( biografia >
(n. 980? - m. 1056 ?) Signore 1003 -ca 1047
Capostipite dei Savoia. Origine Sassone Borgognana o Provenzale.
Signore della Savoia dal 1003.
Sposa Ancilia (o Ansilia)


Figli: Amedeo I, Aimone, Buscardo, Oddone.

Per la sua bella vittoria a Ginevra ricevette dall'imperatore Corrado benefici e terre e probabilmente ottenne anche il permesso imperiale di fregiare il suo stemma con l'aquila imperiale tedesca...


... questa vi rimase fino all'avvento di Amedeo III (vedi avanti) lo sfortunato crociato che morì di peste durante il ritorno dalla Terrasanta. Da allora la famosa croce che era cucita nella tunica dei crociati iniziò ad apparire in piccolo all'interno dello stemma di Casa Savoia (spesso al centro dell'aquila), fino a quando Carlo Alberto adottò l'intero scudo crociato nell'intero stemma, e lo stesso,
a seguito dell'Unità d'Italia fu poi inserito sormontato dalla corona reale, al centro del rettangolo bianco della bandiera nazionale italiana (vedi avanti).




AMEDEO I - ( biografia > >
(n. 1003- m. 1048?) Signore - 1047 - 1048

Figlio di Umberto I - Sposa Adila (o Adalasia - biografia > >


Figli: Umberto, Aimone (vescovo di Belley).




ODDONE - ( biografia > >
(n. 1010 - m. 1060) Conte - 1048 -1060

Figlio di Umberto I. Nel 1051 sposa ADELAIDE (biografia > >
contessa di Torino (due volte vedova ed erede di Susa, Pinerolo, Auriate)
estendendo così il regno al di qua delle Alpi.
Oddone muore cinquantenne lasciando la signoria alla moglie e ai figli:
Pietro, AMEDEO II l'erede;
Berta (moglie del futuro imperatore Enrico IV, poi divorziata);
Adelaide (moglie di Rodolfo di Svezia)

( CARTINA: > >
Domini dei Savoia dal 1047 al 1300
............................ dal 1300 al 1418
............................. dal 1418 al 1503




AMEDEO II - ( biografia > >
(n. 1048 - m. 1078) Conte 1057 - 1078

Figlio di Oddone; primo associato al fratello Pietro (n.1048 - m. 1080), dal 1078 solo.
Sposa nel 1067 Giovanna da Ginevra.
Figli Umberto II; Adelaide (incerte Costanza e Lucrezia)




UMBERTO II - ( biografia > >
(n. 1070 - m. 1103) - Conte 1080 - 1103

Figlio di Amedeo II, sposa Gisla di Borgogna.

Figli: Amedeo III; Guglielmo (vescovo di Liegi);
Adelaide (sposa Luigi VI di Francia); Agnese (sposa Arcimboldo conte di Borgogna).




AMEDEO III - ( biografia > >
(n. 1095 - m. 1148) - Conte 1103 - 1148

Figlio di Umberto II, sposa Adelaide poi Matilde di Albon. Figli: UMBERTO III (l'erede);
Mafalda (o anche Matilde) (sposa Re Alfonso di Portogallo) la prima di tre, regina del Portogallo;
Agnese (sposa Guglielmo I conte Genevese).
Amedeo muore di peste a Cipro il 4 marzo 1148, durante il ritorno dalla fallimentare II crociata.

Lo stemma di Casa Savoia inizia ad avere inserito lo scudo crociato, il simbolo che veniva cucito nella tunica dei liberatori della Terrasanta.



Prima di partire aveva fondato il famoso monastero di Altacomba (Hautecombe) che accolse in seguito fra le sue mura le tombe degli antichi Sabaudi, fino (perchè precluso il suo rientro in Italia) all'ultimo Re (di un solo mese, maggio 1946) Umberto.




UMBERTO III - ( biografia > >
(n. 1136 - m. 1189) - Conte 1148 - 1189

Figlio di Amedeo III e di Matilde. Ha quattro mogli.
Figli: Alice; Sofia (Sposa Azzo IV d'Este); TOMMASO l'erede.




TOMMASO I - ( biografia > >
(n. 1177 - m. 1233) - Conte 1189 -1233

Figlio di Umberto III, sposa Beatrice di Ginevra, poi Margherita di Faucigny).
Figli: AMEDEO IV (l'erede); Beatrice (Sposa Raimondo di Berengario);
Tommaso II; Pietro II; Filippo I.




AMEDEO IV - ( biografia > >
(n. 1197 - m. 1253) - Conte 1233 - 1253

Figlio di Tommaso I, sposa Margherita di Vienne, poi Cecilia del Balzo.
Figli: Beatrice (sposò Manfredi marchese di Saluzzo, poi Manfredi figlio dell'imperatore Federico II,
e fu madre di Costanza); Beatrice (Contesson) e BONIFACIO l'erede.


BONIFACIO - ( biografia > >
(n. 1244 - m. 1263) - Conte 1253 - 1263

Figlio di Amedeo IV, sotto la reggenza dello zio TOMMASO II e la madre Cecilia, muore ventenne e non lascia figli.
Conte di Savoia diventa lo zio Pietro. Spodestato poi da Tommaso II
TOMMASO II (n.1199 - m. 1259) - Conte 1253 - 1259 era figlio di Tommaso I.
Durante la reggenza del nipote, sposa Giovanna di Fiandra, poi Beatrice Fieschi.
Figli: Tommaso III (che inizia il ramo Acaia); Amedeo V; Eleonora; Ludovico (che inizia il ramo di Vaud).
Tommaso II finisce in prigione, gli subentra Pietro II rientrato dall'Inghilterra.




PIETRO II - ( biografia >
(n. 1203 - m. 1268) - Conte 1263 - 1268

Figlio di Tommaso I , fratello di Tommaso II (in prigione), rientra dall'inghilterra.
Sposa Agnese di Faucigny. Non ha figli maschi, solo una femmina (Beatrice).
Gli succede il fratello, Filippo I, dopo aspre contese con altri parenti.




FILIPPO I - ( biografia >
(n. 1207 - m. 1285) - Conte 1268 -1285

Figlio di Tommaso I, era diventato vescovo, ma nel 1267 sposa la vedova
Alice figlia di Oddone II di Borgogna, ma non ha figli.
I domini passano al nipote Amedeo V.




AMEDEO V - ( biografia >
(n. 1249 - m. 1323) - Conte -1285 - 1323

Figlio di Tommaso II, succeduto alla morte dello zio Filippo I.
Sposa Sibilla di Bage, poi Maria di Brabante.
Dalla prima moglie ha i figli: Edoardo; Aimone; Margherita (sposa Giovanni di Monferrato);
Agnese (sposa Guglielmo II di Ginevra). Dalla seconda moglie: Caterina (Sposa Leopoldo d'Austria);
Giovanna (poi Anna) (sposa Andronico paleologo imperatore bizantino).




EDOARDO (il "Liberale") - ( biografia >
(n. 1284 - m. 1329) - Conte 1323 - 1329

Figlio di Amedeo V e di Sibilla, sposa Bianca di Borgogna,
non ha discendenti maschi, ma solo una femmina,
Giovanna che sposa Giovanni III duca di Bretagna.
I domini passano al fratello Aimone.




AIMONE - ( biografia >
(n. 1291 - m. 1343) - Conte - 1329 - 1343

Figlio di Amedeo, succede al fratello. Sposa Iolanda del Monferrato;
ha due figli: AMEDEO VI suo successore;
BIANCA Biografia > ( n. 1331 - m. 1387)
che sposerà nel 1350 Galeazzo II Visconti signore di Milano )
e Umberto (che inizia il ramo Arvillars).




AMEDEO VI (Conte Verde) - ( biografia >
(n. 1334 - m. 1383) - Conte 1343 - 1383

Figlio di Aimone. Sposa BONA di Borbone.

Figli AMEDEO VII, il successore.
Acquisizione di Biella, Cuneo e Santhià, e riunisce il paese del Vaud.
E' lui a fondare l'ordine cavalleresco del Collare della SS. Annunziata.
Valido giurista. Grande condottiero, fu soprannominato Conte Verde.




AMEDEO VII (Conte Rosso) - ( biografia >
(n. 1360 - m. 1391) - Conte 1383 -1391

Figlio di Amedeo VI, sposa Bona di Berry.
Figli: AMEDEO VIII; Bona; Giovanna (sposa Giangiacomo Paleologo marchese del Monferrato).
Il dominio sabaudo dalle Alpi, sbocca al mare, acquistando e annettendo ai suoi domini "piemontesi" la contea di Nizza.

Amedeo fa costruire nel 1380 il famoso Castello di Fenis in Val D'Aosta


AMEDEO VIII - PRIMO DUCA DI SAVOIA - ( biografia >
E ANCHE PAPA (antipapa)

(n. Chambery 1383 - m. Ginevra 1451)
Conte 1391 -1416 - Duca 1416-1440 - Papa 1439-1449

Figlio di Amedeo VII, minorenne succedette al padre. Dalla condizione di Conte, passa nel 1416 a quella di Duca di Savoia per investitura dell'Imperatore Sigismondo. Giovane ma abile politico si adopra sia nel consolidare il potere dei Savoia realizzando l'unione con il Piemonte nel 1418, sia nell'estendere i territori. Allarga così i domini e oltre la conferma dei privilegi già acquisiti, ottiene pure il vicariato della Lombardia .

Dopo aver deposto papa Eugenio IV (era il periodo della "Prammatica Sanzione" di Bourges, con l'atteggiamento antipapale di Re Carlo VII, che diede poi origine alla chiesa gallicana) i riformisti radicali elessero papa Amedeo VIII.
Dal 1439 al 1449 Amedeo VIII figura come antipapa col nome di FELICE V.
Rinunciò poi al fasullo soglio (si dice per favorire l'unità della Chiesa) dove invece vi salì papa Niccolò V.
Incline alla vita religiosa e a quella eremitica, già nel 1434, lasciando luogotenente il figlio Lodovico, Amedeo si era ritirato a Ripaglia presso Ginevra ove fondò l'Ordine di San Maurizio.
Amedeo aveva sposato Claudia di Borgogna dalla quale aveva avuto i figli Maria (che sposerà Maria Filippo Visconti) e LODOVICO suo successore..
Quanto al Ducato, aveva già abdicato a favore Ludovico nel 1440 dopo la nomina a papa.
Dopo il breve periodo d'oro di Amedeo VIII, con i successori ci fu un periodo di decadenza e di soggezione alla Francia, quando i Sabaudi divennero
doppiamente parenti del re di Francia Luigi XI; questi sposerà una figlia di Ludovico, e il suo erede Amedeo IX sposerà la sorella di Luigi, Iolanda di Valois - vedi sotto).


Amedeo VIII, il 17 giugno 1430, pubblicò dal castello di Chambery, lo "Statuto Generale", . ("Statuta Sabaudiae") Una promulgazioni di leggi per i vecchi e nuovi territori acquisiti.

Una curiosità:
sedici capitoli di questo statuto sono dedicati al "problema ebraico".

Fu istituito per gli ebrei un segno distintivo giallo sulla spalla
e confinati in un "serraglio" ( non si chiamava ancora "Ghetto)
vedi documenti in Razzismo in Italia >>>>>
Le leggi razziali del fascismo furono "all'acqua di rose"

In quella di Amedeo VIII furono esposti crudamente i delitti della stirpe ebraica
".... Dio li manterrà in ischiavitù finché essa non abbia riconosciuto i suoi errori".

Alla fine della Messa, fino al 1965 vi era l'imprecazione agli ebrei per il loro "Deicidio".


LODOVICO - ( biografia >
(n. 1402 - m. 1465) - Duca 1440 -1465

Figlio di Amedeo VIII. Duca dall'abdicazione del padre.
Sposa ANNA di Lusignano


Figli: Amedeo IX (l'erede), Ludovico, Margherita, Carlotta (sposa poi Luigi XI),
Filippo II, Bona (che sposa Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano).




AMEDEO IX
- ( biografia >
(n. 1435 - m.1472) - Duca 1465 - 1469

Figlio di Ludovico, sposa VIOLANTE (o Jolanda) ( biografia >

... sorella di Luigi XI re di Francia.
Con Amedeo infermo, nel 1469, assume la reggenza la moglie che di fatto governa il ducato.
Figli: Anna (sposa Federico d'Aragona), Carlo I, Giacomo, Ludovico e FILIBERTO I l'erede.




FILIBERTO I
- ( biografia >
(n. 1465 - m. 1482) - Duca 1472 - 1482

Figlio di Amedeo, in minore età fino al 1479, la madre Violante è la reggente.
Sposò giovanissmo Bianca Maria Sforza ma non fece in tempo ad avere figli,
morì misteriosamente all'età di 17 anni.
La vedova sposò poi l'imperatore Massimiliano d'Austria.




CARLO I - ( biografia >
(n. 1468 - m. 1490) - Duca 1482 - 1490

Figli di Amedeo e fratello di Filiberto. Sposa BIANCA di Monferrato ( biografia >
Figli: Iolanda, Ludovica (sposa Filiberto di Savoia), Carlo Giovanni Amedeo.




CARLO II GIOVANNI AMEDEO - ( biografia >
(n. 1489 - m. 1496) - Duca 1490 -1496

Figlio di Carlo I. In minore età (n.1489) la Madre Bianca di Monferrato... ( biografia > )


... ne è la reggente fino alla prematura morte, anno 1496.
Bianca inizia a risiedere a Torino, ben presto sede dei Savoia.
Non essendoci discendenti, la successione va allo zio Filippo II, 54 enne, che però muore l'anno dopo.




FILIPPO II (Senza Terra) - ( biografia >
(n. 1443 - m. 1497) - Duca 1496 - 1497


Figlio di Ludovico, fratello di Amedeo IX. Conte di Bressa, sposa Margherita di Borbone, figli FILIBERTO II, a cui toccò il titolo ducale, e Luigia, che sposò Carlo di Valois, duca d'Angouléme, e fu madre di Francesco I, re di Francia. Dalla seconda moglie Claudina figlia di Giovanni di Brosse, duca di Bretagna, ebbe sei figli: CARLO, che regnò dopo la morte del fratellastro Filiberto II; Filippo, che fu vescovo di Ginevra e poi duca di Nemours e d'Aumale; Luigi, che fu prelato; Filiberta, che andò sposa a Giuliano de' Medici, ed altri due che morirono fanciulli.
Dalla terza moglie, Libera Portoneri ebbe un figlio naturale, Renato (il Gran Bastardo) che inizia il ramo di Tenda.
Dopo tanto affannarsi per conquistare il ducato,
Filippo II quando ne ebbe il diritto come discendente regnò un solo anno, poi morì.




FILIBERTO II - Il "Bello" - ( biografia >
(n. 1480 - m. 1504) - Duca 1497 -1504

Figlio di Filippo II e di Margherita di Borbone.
Sposa MARGHERITA d'Austria ( biografia > ) figlia dell'Imperatore Massimiliano.
Muore 24 enne, senza figli, la discendenza passa al fratello Carlo III.




CARLO III ( il buono ) - ( biografia >
(n. 1486 - m. 1553) - Duca 1504 - 1553
Figlio di Filippo II e Claudine, sposa BEATRICE figlia del re del Portogallo.

Regnò pigramente per 49 anni; la moglie ebbe invece grande influenza (biografia > >

Carlo muore 67 enne, lasciando il ducato al figlio: Emanuele Filiberto.




EMANUELE FILIBERTO - "Testa di ferro" - ( biografia >
(n. 1528 - m. 1580) - Duca 1553 - 1580

Figlio di Carlo II e di Beatrice di Portogallo.
Sposa MARGHERITA di Valois, ( biografia > > ) figlia del re di Francia Francesco I.
Oltre vari figli naturali, suo erede CARLO EMANUELE I.

CARTINA della SAVOIA dopo la pace di Cateau-Cambresis del 1559
( CARTINA: > >




CARLO EMANUELE I - ( biografia >
(n. 1562 - m. 1630) - Duca 1580 - 1630

Figlio di Emanuele Filiberto. Sposa la figlia di Filippo II re di Spagna,
CATERINA d'Austria (biografia > > ).
Ebbe dieci figli: fra i quali Filippo Emanuele e Vittorio Amedeo I ( suoi successori), Margherita (che sposa Francesco IV Gonzaga di Mantova), Isabella (che sposa Alfonso d'Este duca di Modena), Tommaso Francesco (che dà vita al ramo dei Carignano - dove poi nel 1821 verrà ripescato Carlo Alberto dallo zio senza eredi Carlo Felice.

Ginevra all'epoca di Carlo Emanuele I

Casale all'epoca di Carlo Emanuele I

Torino all'epoca di Carlo Emanuele I




VITTORIO AMEDEO I
- ( biografia >
( n. 1587 - m. 1637) - Duca 1630 - 1637)

Figlio di Carlo Emanuele I, sposa Maria Cristina di Francia, figlia del re di Francia Enrico IV.
Figli: Carlo Emanuele II; Margherita; Iolanda (che sposerà Ranuccio II Farnese); Adelaide; Enrichetta (che sposerà Ferdinando di Wittelsbach);
FRANCESCO GIACINTO , primo erede, infante sotto la reggenza della madre "madame reale".

GIACINTO - ( biografia >
(n. 1632 -m.1638)

Alla morte del padre essendo infante la reggenza passò alla madre
MARIA CRISTINA di Francia ...

( "madame reale" biografia >
ma il piccolo re Giacinto muore l'anno dopo.


CARLO EMANUELE II - ( biografia >
(n. 1634 - m. 1675) - Duca 1634 - 1675

Figlio di Vittorio Amedeo I, fratello minore che subentra al fratello maggiore morto, ma sempre sotto la reggenza di Cristina ("madame reale"). Sposa prima Francesca Maria d'Orleans, poi in seconde nozze con la cugina consanguinea MARIA GIOVANNA di Savoia del ramo Nemours.
(biografia >



Alla morte del marito, dal 1675 Maria Giovanna divenne reggente fino al 1680 (al compimento dei 14 anni del figlio) ma di fatto tenne il potere per unici anni, fino al 1686.
Muore nel 1724.
Figlio: VITTORIO AMEDEO II l'erede


( periodo storico anni 1713 - 1945 )

da RE DI SICILIA, a RE DI SARDEGNA (1713 - 1861)
(Dal 1831 Carlo Alberto - ramo Savoia-Carignano)


Primo Stemma Reale del Regno



VITTORIO AMEDEO II - ( biografia >
(n.1666 - m. 1732) - Duca 1675- '84 - Re di Sicilia dal 1713, dal 1720 Re di Sardegna

CARTINE:
del Principato del Piemonte, del Regno di Sicilia, del Regno di Sardegna
( Cartine:> >

Figlio di Carlo Emanuele, infante subentra al padre, sotto la reggenza della madre MARIA GIOVANNA di Nemours (biografia > seconda moglie di Carlo E. - Maggiorenne nell'84 è Duca; dal 1713 al 1718 re della Sicilia, che però è scambiata con la Sardegna diventandone re dal 1720 al 1730 anno che abdica a favore del figlio. -
Sposa prima Anna Maria D'Orleans ( biografia >

poi Anna Canalis di Cumiana.
Figli avuti da Anna Maria d'Orleans: Maria Adelaide ( biografia > ) che sposa Luigi duca di Borgogna, nel 1711 è delfina di Francia);
Maria Luisa Gabriella (che sposerà Filippo V re di Spagna) ( biografia > );
CARLO EMANUELE III (il successore).
Notevole l'aiuto datogli dal cugino Eugenio di Savoia
(al comando di un esercito austriaco) nel 1706 durante l'assedio francese di Torino.


CARLO EMANUELE III - ( biografia >

( n. 1702 - m. 1773) - Re di Sardegna 1730 - 1773

Figlio di Vittorio Amedeo II e prima moglie Anna Maria d'Orleans,
sposa prima Anna Cristina di Baviera, poi Polissena di Baviera d'Assia,
poi Elisabetta Teresa di Lorena, sorella dell'imperatore Francesco I.
Figli fra gli altri, l'erede del regno, VITTORIO AMEDEO III.
Carlo era salito sul trono di Sardegna a 28 anni a seguito dell'abdicazione del padre.


VITTORIO AMEDEO III - ( biografia >

( n. 1726 - m. 1796) - Re di Sardegna 1773 - 1796

Figlio di Carlo Emanuele III e di Polissena di Baviera-Assia, sposa Maria Antonietta di Borbone, figlia di Filippo V re di Spagna.
Figli: Carlo Emanuele IV; Luisa Maria Giuseppina (che sposerà Luigi XVIII di Francia);
Maria Teresa (che sposerà il successivo re di Francia Carlo X); Vittorio Emanuele I e Carlo Felice.


CARLO EMANUELE IV - ( biografia >

(n. 1751 m. 1819) - Re di Sardegna 1796 - 1802 (deposto da Napoleone)
Figlio di Vittorio Amedeo III.

CARTINA
della nuova dominazione Francese in Piemonte
( Cartina: > >

Carlo E. rifugiatosi in Sardegna, abdica in favore del fratello Vittorio Emanuele I.
Sposa MARIA ANNA CLOTILDE di Francia (sorella di Luigi XVI) ( biografia > >

Carlo Emanuele non ha figli. Morirà nel 1819.


VITTORIO EMANUELE I - ( biografia >

(n. 1759 m. 1824) - Re di Sardegna (1802-1821 - dal 1815 anche del Piemonte)
Figlio di Amedeo III, e fratello di Carlo Emanale IV, da quest'ultimo ha ricevuto il regno anche se solo parziale. Con la Restaurazione ritorna la sovranità anche in Piemonte, ma a seguito dei fermenti rivoluzionari, V. E. abdica a favore del fratello Carlo Felice.
Sposato con MARIA TERESA d'Asburgo-Este ...

( biografia >

... ha sei figli, fra i quali: Maria Beatrice Vittoria (che sposerà l'arciduca d'Austria Francesco IV); Maria Cristina (che sposerà Ferdinando II re delle due Sicilie); Carlo Emanuele.
Fino alla caduta di Napoleone regnò sulla sola Sardegna poiché i suoi domini di terraferma erano stati annessi all'impero francese; alla Restaurazione col secondo Trattato di Parigi nel 1815, gli furono restituiti integralmente, con l'aggiunta della Liguria. Geloso della sua indipendenza, ma devoto alla reazione più gretta, piuttosto che concedere la Costituzione richiesta dagli insorti del 1821 abdicò a favore del fratello Carlo Felice.


CARLO FELICE - ( biografia >
(n. 1765 - m. 1831) - Re di Sardegna 1821-1831


Stemma del Regno di Sardegna

Figlio di Vittorio Amedeo III, riceve il regno dopo l'abdicazione del fratello Vittorio Emanuele I.
Sposa Maria Antonietta Ferdinanda Cristina di Borbone-Napoli.
Non ha figli, e nomina reggente il nipote Carlo Alberto, del ramo Carignano
(discendente di Carlo Emanuele I, 1580-1630) che alla sua morte (nel 1831) eredita il regno.

Salendo sul trono Carlo Felice aveva fatto subito svanire tutte le speranze concepite dai patrioti piemontesi sotto la brevissima reggenza di Carlo Alberto. Reazionario convinto ed inflessibile sostenitore del "diritto divino" fu ostile ad ogni riforma politica e liberale; dopo aver severamente colpito gli autori del moto rivoluzionario del '21, che avevano angustiato il fratello, nei dieci anni limitò le sue cure al campo economico, giudiziario (codice del '27) e militare (spedizione contro i pirati barbareschi di Tripoli del 1825).



CARLO ALBERTO - ( biografia >
(n. 1798 - m- 1849) - Re di Sardegna 1831 -1849

IL REGNO DI SARDEGNA NEL 1848 > > >
CARTINA, POPOLAZIONE E STRUTTURA DEL REGNO
il governo - gli ordini religiosi - giustizia e finanze -
lo stato militare - l'istruzione pubblica - la sanità - la Sardegna


Stemma Reale adottato da Carlo Alberto


Figlio di Carlo Emanuele di Carignano e di Maria Cristina Albertina di Sassonia-Curlandia. Sposa Maria Teresa di Toscana. Dopo la disastrosa battaglia di Novara, nel 1849 abdica a favore del figlio. Figli: Vittorio Emanuele, Maria Cristina, e Ferdinando Maria Alberto duca di Genova, che inizia il ramo Savoia-Genova - sua figlia Margherita orfana andrà poi in sposa al figlio di Vittorio Emanuele, Umberto.


All'epoca della dominazione napoleonica in Piemonte, Carlo Alberto seguì i corsi di studi a Parigi e a Ginevra; nel 1814 Napoleone lo nominò sottotenente del Reggimento Dragoni; caduto l'Impero poco dopo, fece ritorno a Torino ed ivi fu riammesso nella famiglia reale benché guardato un po' con sospetto a causa delle sue simpatie per la Francia napoleonica. E a sua volta anche lui insofferente alla etichette della retriva corte piemontese.
23 enne, nel
1821 il giovane Carlo Alberto ebbe una parte non molto chiara nei moti costituzionali avvenuti in Piemonte. Certamente egli era stato in contatto con i rivoltosi, ma all'ultimo momento (preso forse da scrupoli) pare si ritraesse mentre i congiurati, in buona o in mala fede, continuarono a contare su di lui.
Tutto questo accadde quando dopo l'a
vvenuta l'abdicazione del re Vittorio Emanuele I (1821) con Carlo Felice, questi non avendo figli, nominò reggente il nipote, il quale senza consultarsi con lo zio, accordò un po' troppo precipitosamente la Costituzione salvo l'approvazione del Re; questi disapprovò l'operato, chiamò gli austriaci in Piemonte, ed ordinò a Carlo Alberto come punizione di allontanarsi dalla corte e di recarsi presso le truppe fedeli a Novara, cosa che Carlo Alberto fece senza esitare.
Caduto in sospetto per il suo atteggiamento non solo ai Carbonari che lo accusarono di tradimento e per i quali divenne l'"esecrato Carignano" (Berchet), ma anche a corte, si recò dapprima in esilio presso il suocero, Ferdinando III di Toscana, poi per riscattarsi con lo zio e nei confronti degli Austriaci, prese parte alla repressione della rivoluzione liberale spagnola combattendo al Trocadero attirandosi in tal modo l'odio dei suoi antichi amici politici.

Nel 1831 alla morte di Carlo Felice salì al trono senza difficoltà (è leggenda o verità che Metternich tramasse per escluderlo dalla successione); subito dimostrò grande energia e rigore nel reprimere qualunque tentativo di rivoluzione liberale. Si dedicò con alacrità al riordinamento dello Stato, risanando le finanze, promuovendo lo sviluppo economico del Regno, riorganizzando l'esercito e dando impulso alle riforme amministrative di cui le più notevoli furono l'istituzione del Consiglio di Stato (organo giurisdizionale con il quale il sovrano veniva in un certo senso ad autolimitare la propria autorità) e la promulgazione di un nuovo codice civile. In questa attività Carlo Alberto più che alle nuove idee del secolo guardò alla tradizione settecentesca e solo in parte ripristinò la tradizione amministrativa napoleonica che Vittorio Emanuele I e poi Carlo Felice avevano eliminato.

In politica estera si distinse per il sostegno dato alla causa del legittimismo aiutando in Portogallo i miguelisti ed in Spagna i carlisti, parteggiando entrambe le volte con i reazionari contro i liberali.
Pur in cuor suo nemico dell'Austria si alleò con essa nel 1831 per timore della Francia di Luigi Filippo; tuttavia, dopo la crisi egiziana del 1840 (occasione in cui l'Austria dimostrò la non volontà a soccorrere il Piemonte qualora fosse stato attaccato dalla Francia) Carlo Alberto si staccò sempre più da Vienna senza però agire in modo concreto, tormentato com'era da scrupoli religiosi.
Questi svanirono quando nel 1846 l'elezione di Pio IX sembrò dar corpo alla concezione giobertiana di un papato conscio di una missione italiana.

Carlo Alberto aveva una sua teoria in base alla quale gli unici due sovrani legittimi erano i Savoia ed il Pontefice: quando vide che quest'ultimo si schierava contro l'assolutismo e contro l'Austria pensò fosse venuto il momento di divenire lui la "spada d'Italia".
Cominciò appoggiando energicamente dapprima il Papa nel conflitto che questi ebbe con l'Austria per l'occupazione di Ferrara (estate 1847) e quindi il Granduca di Toscana nella controversia che questi ebbe con il Duca di Modena che era appoggiato da Vienna (autunno 1847).
All'interno del suo regno, accordò alcune riforme che l'opinione pubblica richiedeva ma solo dopo che Ferdinando II di Napoli ebbe promesso la Costituzione (29 gennaio 1848). Egli pure promise di accordare la sospirata carta costituzionale ai suoi sudditi (8 febbraio 1848). La promessa fu adempiuta il 4 marzo successivo, non senza crisi di coscienza e ondeggiamenti (non per nulla fu chiamato "re tentenna" VEDI QUI LA POESIA > > ). La Costituzione, chiamata Statuto Albertino, era ricalcata sulla carta francese del '30 e non instaurava il governo parlamentare ma quello costituzionale (quindi senza responsabilità dei ministri dinanzi alle Camere).
Lo Statuto Albertino (testo originale autografato e firmato ) con gli 84 articoli

Due giorni dopo la creazione del ministero "costituzionale", affidato a Balbo, scoppiava a Milano il moto rivoluzionario noto con il nome di Cinque Giornate. Sotto la pressione degli avvenimenti e dopo nuove, sia pur brevi incertezze, Carlo Alberto decise l'intervento armato contro l'Austria. La guerra, condotta personalmente dal re, dopo alcuni successi iniziali, finì con la grave rotta di Custoza cui seguì la battaglia di Milano ed il frettoloso rientro dei piemontesi nelle terre del regno sardo che soccombenti rischiavano di perdere anche questo.

La sconfitta, originata da varie cause, tra cui l'incapacità del re come comandante supremo, diede adito a gravi ma infondati dubbi sulla sua lealtà. Alcuni, memori del 1821, arrivarono addirittura ad insinuare che Carlo Alberto si fosse fatto sconfiggere apposta dagli austriaci (per così essere "costretto" a ritirare lo Statuto, mal visto da Vienna). In realtà il re non solo lasciò che fino al luglio del 1848 il governo restasse parlamentare, ma tollerò che venissero revocati dal loro impiego pubblico militari e civili che l'opinione pubblica giudicava avversi al nuovo regime, ed alla fine dell'anno chiamò al governo i democratici con Gioberti alla testa.

Tuttavia si oppose al piano di questi, di intervenire in Toscana per abbattervi il governo democratico di Guerrazzi e restaurare quello del granduca Leopoldo II preferendo licenziare il ministro e riprendere, come voleva l'opinione pubblica, la guerra contro l'Austria benché fosse convinto nel suo intimo dell'enorme difficoltà dell'impresa e dovesse rinunciare ad essere il comandante supremo dell'esercito, carica alla quale fu chiamato un esule polacco, Wojciech Chrzanowski, che dava apparentemente assicurazione all'opinione pubblica se non proprio delle sue capacità militari quelle della sua rettitudine politica.

La breve campagna si risolse dopo appena tre giorni con la disastrosa battaglia di Novara (23 marzo 1849): Carlo Alberto abdicò il giorno stesso in favore del figlio Vittorio Emanuele II, ritirandosi in Portogallo, a Oporto, ove morì poche settimane dopo (28 luglio) sia per malattia riacutizzatasi dopo le fatiche dell'ultimo anno, sia per lo strapazzo terribile del viaggio da Novara ad Oporto, compiuto quasi senza sosta, ma soprattutto per la tanta amarezza di come era avvenuto il suo tramonto.
La sua rapida fine suscitò attorno a lui un alone di benevola simpatia di cui non aveva mai goduto quand'era in vita, e tale corrente è poi andata crescendo fino al punto da rasentare l'agiografia dei santi, chiamandolo il "martire di Oporto".

Figura complessa si trovò a vivere in un periodo di transizione senza avere programmi ben definiti salvo (anche se celato) il persistente odio per l'Austria, il rispetto per la Chiesa ed il desiderio di espandere i domini della sua casata. Alle naturali titubanze di cui vive nei periodi di trapasso da una forma politica all'altra (ed in questo ebbe compagni anche Leopoldo II di Toscana, Ferdinando II di Napoli, ed altri) aggiunse ulteriori dosi d'incertezza derivanti dalla sua natura e dalla sua disgraziata giovinezza; è alla luce di queste considerazioni che si possono spiegare molti suoi atteggiamenti che gli valsero odi inestinguibili. Ma in seguito lo stesso Berchet si ricredette, e il carducciano appellativo di "Italo Amleto" iniziò ad essere più benevolmente accettato.

QUI
LA GRANDE AVVENTURA
DA CARLO ALBERTO A VITTORIO EMANUELE II

LA GRANDE AVVENTURA che portò un piccolo casato
feudale a regnare sull'Italia fino al 1946

C'ERA L'ITALIA
NEL LORO FUTURO

L'epopea risorgimentale ha avuto, in Carlo Alberto prima e in Vittorio Emanuele II poi, due tra i maggiori artefici dell'unità nazionale. Ma fu vero patriottismo il loro? O piuttosto si trattò di un desiderio di espansione territoriale, assieme da un innato sentimento antiaustriaco?

di ALESSANDRO FRIGERIO


Vittorio Emanuele I di Savoia con la famiglia

Dove affondano le radici del patriottismo di casa Savoia? A ben guardare forse neanche in quei momenti epici del Risorgimento fissati a chiare lettere nelle pagine dei libri di scuola, dall'inutile esposizione del petto al fuoco austriaco di Carlo Alberto a Novara fino alla proclamazione di quel primo re d'Italia, Vittorio Emanuele, non a caso incoronato come "secondo".
Del resto, prima delle guerre d'indipendenza la storia di casa Savoia ebbe poco a che spartire con la storia d'Italia. Nonostante nel '700 lo stato sabaudo fosse ormai divenuto - dopo aver a lungo gravitato, territorialmente e politicamente, nell'ambito del versante franco-svizzero delle Alpi -, almeno nel suo nucleo essenziale spiccatamente piemontese, a corte e tra l'aristocrazia la lingua francese era ancora molto usata. Peccato veniale se vogliamo, dato che la moda dell'epoca vedeva la lingua di Voltaire diffusa anche alla corte prussiana e in quella, ben più lontana, di San Pietroburgo.

Ma il fatto è che già nel '700 lo stato sabaudo differiva dagli altri stati della penisola italica per le sue origini: non aveva alle spalle una vivace storia comunale, non era nemmeno sorto dalla progressiva espansione amministrativa di un importante comune a tutto il suo contado, bensì dall'accorpamento di più feudi anticamente appartenuti a casa Savoia e definitivamente costituiti in monarchia da Emanuele Filiberto dopo il 1559.
Intraprendenza e avventurismo, qualità che a prima vista potrebbero apparire essenziali a un casato che intenda ambire alla costruzione di un grande stato unitario, non appartenevano al DNA dell'aristocrazia savoiarda. Se negli aristocratici lombardi, veneti e toscani queste attitudini si erano sviluppate in età comunale e poi con le attività mercantili, nel XVIII secolo in casa Savoia la vocazione era ancora quella delle origini, placidamente feudale e terriera. L'aristocrazia veniva ancora legata al potere monarchico con uffici e ricompense nobiliari e militari. Ancora nella seconda metà del '700, mentre buona parte d'Europa risentiva degli influssi dell'Illuminismo, l'azione di governo della monarchia sabauda si caratterizzava per un forte assolutismo conservatore, sostanzialmente accentratore e assai parco in materia di riforme.

Il conte Dalmazzo Francesco Vasco, che nel 1791 azzardò la pubblicazione di un Essai sur une forme de gouvernement légitime et modéré par des lois fondamentales dove si propugnava una riforma costituzionale assolutamente moderata si buscò da Vittorio Amedeo III il carcere a vita. Non maggiore fortuna ebbe il movimento giacobino piemontese, i cui sentimenti rivoluzionari per un ordinamento nazionale e democratico valsero ai suoi principali esponenti la repressione del 1799.
Se in questi atteggiamenti non si riesce a ravvisare quella che poi sarà la vocazione patriottica e unitaria di casa Savoia, è invece nell'esercito e nella sua forza che si possono individuare i precedenti del Risorgimento. Sotto Vittorio Amedeo III (1773-1796) l'esercito fu irrobustito e potenziato fino a farne la spina dorsale di tutto lo stato.

Le gagliarde armi sabaude tuttavia non riuscirono ad evitare le sconfitte contro le armate repubblicane francesi a partire dal 1792 e, successivamente, la poco gloriosa annessione del Piemonte alla Francia (1798). L'armistizio di Cherasco e l'occupazione militare francese fecero venire meno nei Savoia la fiducia nel proprio esercito, e nei patrioti giacobini quella nella liberalità di Napoleone. Il re fuggì a Parma, quindi a Firenze e poi in Sardegna, lasciando a società segrete di diversa tendenza (giacobine, aristocratiche e cattoliche) il compito di portare avanti in Piemonte l'attività antifrancese, ma non certo l'idea di una unità nazionale di tutta la penisola.

Il congresso di Vienna e la Restaurazione riportarono sul trono i sovrani legittimi. Nel regno sabaudo Vittorio Emanuele I abrogò i codici napoleonici, che in parte erano riusciti a rendere più fluida la confusa amministrazione precedente, per sostituirli con la vecchia legislazione e con l'uso ampio e discrezionale degli editti regi. La Restaurazione in Piemonte fu quindi intesa in tutto e per tutto come chiusura verso l'esterno e verso le nuove idee. Basti a dimostrarlo l'introduzione di barriere doganali interne tra la Liguria e il Piemonte e tra questi e la Savoia, per non parlare dei dazi proibitivi verso gli altri stati confinanti.

L'unico passo, compiuto del tutto inconsapevolmente, verso l'italianizzazione dello stato sabaudo, fu l'annessione di Genova. Al porto ligure facevano da tempo capo gli interessi economici e finanziari inglesi, nonché importanti flussi commerciali verso il Lombardo-Veneto. La permeabilità di Genova a nuovi correnti di pensiero, l'intraprendenza commerciale della sua borghesia, secolarmente collegata da flussi di scambi con la Toscana, Roma, Napoli e la Sicilia contribuì a suscitare nei Savoia le prime attenzioni verso il resto della penisola. Fu costituita una marina da guerra e a partire dal 1815 la politica sabauda prese a orientarsi con maggiori ambizioni nel gioco diplomatico europeo, guidata dal sincero atteggiamento antiaustriaco degli ambienti di corte e dello stesso Vittorio Emanuele I. Ma ancora una volta le ambizioni dei Savoia furono portate avanti senza tradire le proprie radici, che erano pur sempre quelle di un piccolo casato di origine feudale, incapace di intendere la politica di potenza se non come pura e semplice espansione dei propri domini.
Del resto, intellettuali sabaudi liberal-moderati come Santorre di Santarosa o Cesare Balbo, erano convinti che se di patriottismo italiano bisognava parlare non lo si poteva fare se non nei termini di una predominante fedeltà al Piemonte e alla dinastia sabauda. Lo stesso odio antiasburgico, che durante il Risorgimento diventerà un potente fattore di aggregazione e uno straordinario veicolo di diffusione del pensiero liberale e patriottico, era in realtà di discendenza sabauda. L'ostilità dei Savoia verso gli Asburgo rimontava infatti dal rancore per aver perso per mano austriaca i territori lombardi ottenuti nel '700 da Carlo Emanuele III, oltre che, naturalmente, dal pericolo rappresentato nel presente dall'egemonia asburgica in Italia.

Quando all'inizio del 1820-21 scoppiano i moti a Napoli e in Sicilia i liberali piemontesi guardarono con interesse alla possibilità di introdurre nel regno una costituzione ricalcata su quella spagnola e contemporaneamente iniziarono a fare pressioni al fine di dichiarare guerra all'Austria e costituire un regno dell'alta Italia sotto l'egida di casa Savoia. Il 1821 segnò quindi la nascita di un vero e proprio ideale liberale-nazionale marcatamente antiasburgico, ideale attorno al quale si radunarono intellettuali e borghesi piemontesi e lombardi ma non in modo diretto la dinastia sabauda. Come è noto, Vittorio Emanuele I preferì abdicare piuttosto che concedere la costituzione, lasciando al giovane reggente Carlo Alberto, che allora farà la sua comparsa sulla scena, lo scomodo e improprio ruolo di interprete del movimento antiaustriaco e costituzionale.

Sulla figura indecisa, più che ambigua, di Carlo Alberto, molto è stato scritto. Figlio di Carlo Emanuele I di Savoia, sesto principe di Carignano, e di Maria Cristina di Sassonia-Curlandia, all'epoca della dominazione napoleonica in Piemonte Carlo Alberto aveva seguito i corsi di studio a Parigi ed a Ginevra. Nel 1814 Napoleone lo aveva nominato sottotenente del Reggimento Dragoni, ma, caduto l'Impero, fece ritorno a Torino e fu riammesso nella famiglia reale, benché guardato con un po' di sospetto a causa delle sue simpatie per la Francia napoleonica. Queste presunte simpatie gli valsero la stima dei circoli liberali torinesi, anche se in realtà gli ideali della Rivoluzione non ebbero molta parte nella sua formazione. Di mentalità tradizionalista, fortemente legato alla chiesa e alla dinastia, permeato da un generico sentimento antiasburgico, Carlo Alberto appariva nonostante tutto assai più aperto rispetto al tradizionale e grigio ambiente di corte. Inviso all'aristocrazia reazionaria piemontese, incarnava per i giovani liberali la speranza di un vero patriottismo italiano. Ma in realtà il giovane principe di Carignano aveva ben poco del liberale, e la possibilità di una guerra contro l'Austria veniva interpretata da lui solo nei termini di una espansione dinastica.

Si spiega così il ruolo apparentemente poco chiaro avuto durante i moti del 1821 in Piemonte. Prese contatti con i rivoltosi, ma all'ultimo momento si fece da parte, mentre i congiurati continuarono a contare su di lui. Avvenuta l'abdicazione del re Vittorio Emanuele I divenne reggente ed accordò la Costituzione salva l'approvazione del Re, cioè di Carlo Felice, che in quei giorni si trovava al di fuori dei confini del Regno. Questi invece disapprovò l'operato, chiamò gli austriaci in Piemonte e ordinò a Carlo Alberto di abbandonare i rivoltosi e di fuggire a Novara, dove le truppe erano rimaste fedeli al Re. Accusato di doppiogiochismo dagli ambienti di corte ma anche dai liberali, Carlo Alberto si fece da allora fama di indeciso. Mazzini lo definirà "l'Amleto della monarchia", più tardi verrà sbertucciato come "re tentenna", fino a immortalarsi nella definizione carducciana di "italo Amleto".
Si recò quindi in esilio presso il suocero, Ferdinando III di Toscana, poi prese parte alla repressione della rivoluzione liberale spagnola combattendo al Trocadero, attirandosi in tal modo l'odio dei suoi antichi amici politici.

Quando dieci anni dopo i moti del 1821 Carlo Alberto salì al trono, uno dei primi a complimentarsi con lui fu Mazzini, che con una accorata lettera invitò il nuovo sovrano a mettersi alla guida del movimento per la libertà e l'unità d'Italia. In tutta risposta le autorità di Torino diramarono ai posti di frontiera l'ordine di impedire all'autore della inopportuna missiva l'ingresso negli Stati Sardi.

Nei primi anni di regno continuò nei suoi atteggiamenti ambivalenti. Dimostrò grande energia e rigore nel reprimere qualunque tentativo di rivoluzione liberale. Si dedicò con alacrità al riordinamento dello Stato, risanando le finanze, promuovendo lo sviluppo economico del Regno, riorganizzando l'esercito e dando impulso alle riforme amministrative di cui le più notevoli furono l'istituzione del Consiglio di Stato (organo giurisdizionale con il quale il sovrano veniva in certo senso ad autolimitare la propria autorità) e la promulgazione di un nuovo codice civile. In questa attività Carlo Alberto più che alle nuove idee del secolo guardò alla tradizione settecentesca ed in parte ripristinò la tradizione amministrativa napoleonica che Vittorio Emanuele I aveva improvvisamente abbandonato. In politica estera si distinse per il sostegno dato alla causa del legittimismo aiutando in Portogallo i miguelisti ed in Spagna i carlisti, parteggiando entrambe le volte per i reazionari contro i liberali. Pur nemico dell'Austria si alleò con essa nel 1831 per timore della Francia di Luigi Filippo.

Nel 1845 concesse un colloquio a Massimo d'Azeglio, allora impegnato a tessere una tela di rapporti cospiratori in tutta Italia. Al d'Azeglio rivolse un invito a temporeggiare: "Faccia sapere a que' signori - gli disse - che stiano in quiete e non si muovano, non essendovi per ora nulla da fare; ma che siano certi, che, presentandosi l'occasione, la mia vita, la vita de' miei figli, le mie armi, i miei tesori, il mio esercito, tutto sarà speso per la causa italiana". D'Azeglio, riportando le dichiarazioni del sovrano poco tempo dopo, aggiungerà sibillino: "Queste le parole: il cuore lo vede Iddio". Le intenzioni di Carlo Alberto continuavano ad apparire insondabili ai più.

Ha scritto lo storico Giorgio Candeloro, nella sua monumentale Storia dell'Italia moderna, che il re sabaudo era certamente favorevole all'idea di una confederazione italiana da attuarsi dopo eliminata l'Austria ed assicurata al Regno di Sardegna l'egemonia; ma è certo anche che su due punti Carlo Alberto restava intransigente: sulla conservazione del sistema assolutistico con esclusione di qualsiasi concessione costituzionale e sulla continuazione di una politica religiosa rigidamente cattolica secondo una linea assai più vicina al gesuitismo che al cattolicesimo liberale.

L'elezione di Pio IX, che sembrò dar corpo alla concezione giobertiana di un papato conscio di una missione italiana, indusse Carlo Alberto a rompere gli indugi. Chiesa e trono potevano porsi alla guida del movimento unitario, togliendo a repubblicani e rivoluzionari qualsiasi velleità di comando. Per conquistare alla casa Savoia l'egemonia sul resto dell'Italia Carlo Alberto scelse quindi di rinfocolare il suo tradizionale sentimento antiaustriaco e di fare affidamento, in modo del tutto strumentale, sull'ala liberale più moderata del movimento nazionale. Che tuttavia non si lasciò abbindolare così facilmente. In una lettera a Minghetti dell'ottobre 1847 Massimo d'Azeglio, che aveva fondato il suo patriottismo a partire dalle opere dell'Alfieri, scriveva a proposito dell'equivoco concetto di nazionalità interpretato da Carlo Alberto: "Il re […] è un misto di terrore di perdere una particella d'assolutismo, di paura di cospirazioni e di frodi e slealtà, per mantenersi allo status quo. Figuratevi che a Balbi e Doria chiamati a Torino, disse che […] dovevasi intendere nazionalità Piemontese! Eccovi che uomo è. […] Se non muta strada anderà male per lui, pel Piemonte, ove qualche cosa succederà e porterà forse male complicazioni per tutta Italia".

Spinto dagli eventi, nel 1848 Carlo Alberto accordò alcune riforme che l'opinione pubblica richiedeva, ma solo dopo un analogo passo compiuto da Ferdinando II di Napoli. La promessa fu adempiuta il 4 marzo non senza crisi di coscienza ed ondeggiamenti. La Costituzione, lo Statuto Albertino, era ricalcata sulla carta francese del 1830 e non instaurava il governo parlamentare ma quello costituzionale (quindi senza responsabilità dei ministri dinanzi alle Camere). Due giorni dopo la creazione del ministero "costituzionale", affidato a Balbo, scoppiavano a Milano le Cinque Giornate.

Le motivazioni dell'intervento del re sabaudo in quella che passerà alla storia come la prima guerra d'Indipendenza sono state variamente interpretate. Lo storico Giorgio Candeloro, studioso di formazione gramsciana, scrive a proposito dei timori che indussero Carlo Alberto a prendervi parte: "Che sarebbe avvenuto della monarchia sabauda se a Milano fossero prevalsi i repubblicani? Certamente una nuova Cisalpina sarebbe divenuta il centro di raccolta e di propulsione del movimento nazionale italiano ed avrebbe forse potuto travolgere anche il trono sabaudo. Era logico che Carlo Alberto e i suoi ministri giudicassero questa ipotesi peggiore di una vittoria austriaca e che pertanto fossero propensi ad intervenire in Lombardia per appoggiare i moderati ed ottenere così che la Lombardia stessa, e possibilmente tutto il Lombardo-Veneto, si unisse al Piemonte in un solo regno".

La guerra, condotta personalmente dal re, dopo alcuni successi iniziali, finì con la grave rotta di Custoza cui seguì la battaglia di Milano ed il rientro dei piemontesi nelle terre del regno sardo. La sconfitta, originata da varie cause, tra cui l'incapacità del re come comandante supremo, originò gravi ma infondati dubbi sulla sua lealtà. Alcuni, memori del 1821, arrivarono addirittura ad insinuare che Carlo Alberto si fosse fatto battere apposta dagli austriaci (per essere "costretto" a ritirare lo Statuto). In realtà il re non solo lasciò che fino al luglio del 1848 il governo restasse parlamentare, ma tollerò che venissero revocati dal loro impiego pubblico militari e civili che l'opinione pubblica giudicava avversi al nuovo regime ed alla fine dell'anno chiamò al governo i democratici con Gioberti alla testa. Addirittura si oppose al piano di questi di intervenire in Toscana per abbattervi il governo democratico di Guerrazzi e restaurare quello del granduca Leopoldo II preferendo licenziare il ministro e riprendere, come voleva l'opinione pubblica, la guerra contro l'Austria benché fosse convinto dell'enorme difficoltà dell'impresa e dovesse rinunciare ad essere il comandante supremo dell'esercito, carica alla quale fu chiamato un esule polacco, Wojciech Chrzanowski. La breve campagna si risolse in tre giorni con la disastrosa battaglia di Novara (23 marzo 1849): Carlo Alberto abdicò il giorno stesso in favore del figlio Vittorio Emanuele II, ritirandosi in Portogallo, a Oporto, ove morì pochi mesi dopo (28 luglio).

La rapida fine suscitò attorno a Carlo Alberto un alone di benevola simpatia di cui non aveva mai goduto quand'era in vita. Figura complessa, non può certo definirsi il vero anticipatore dell'Unità d'Italia. Titubante, indeciso, pervaso da un generico odio contro l'Austria, rispettoso della Chiesa e desideroso di ampliare i confini del suo regno, ma senza dare spazio a rivoluzionari e repubblicani, si trovò a interpretare un ruolo difficile senza avere programmi ben precisi. Eppure, rispetto alla tradizione rigidamente assolutista del passato di casa Savoia rappresentò un poderoso balzo in avanti. Fu lui, insomma, ad aprire la strada alla fase finale del Risorgimento italiano.

 

VITTORIO EMANUELE II
UN UOMO COMUNE
DI MOLTO BUON SENSO

 

Fu, con Cavour e Garibaldi, l'artefice dell'Unità d'Italia. Sovrano un po' rozzo, esuberante e gran "cacciatore" di donne, è passato alla storia come il "re galantuomo". Seppe capire l'importanza di coniugare l'espansionismo dinastico con l'ideale nazionale.

Con l'abdicazione di Carlo Alberto il Risorgimento italiano entra nella fase più calda. A Vignale, il 24 marzo 1849, è il nuovo re Vittorio Emanuele II a firmare l'armistizio con Radetzky, il quale ottiene dal giovane sovrano, in cambio di migliori condizioni di pace, l'impegno a non dare appoggio ai rivoluzionari italiani. Scriverà il vecchio maresciallo austriaco: "Il re […] dichiarò apertamente la sua ferma volontà di voler, da parte sua, dominare il partito democratico rivoluzionario, al quale suo padre aveva lasciato briglia sciolta, così che aveva minacciato lui stesso e il suo trono; e che per far questo gli occorreva soltanto un po' di tempo, e specialmente di non venire screditato all'inizio del suo regno, altrimenti non avrebbe potuto trovare nuovi ministri dabbene".

Del resto il vecchio maresciallo asburgico sfondava una porta aperta chiedendo al re di non dare credito ai democratici. Le convinzioni conservatrici del primogenito di Carlo Alberto e di Maria Teresa d'Asburgo-Lorena erano, infatti, ormai piuttosto note. Come militare aveva dimostrato vigore e sprezzo del pericolo. Allo scoppio della prima guerra d'indipendenza Vittorio Emanuele aveva seguito l'esercito, al comando di una divisione di riserva. Si distinse nelle battaglie di Pastrengo, S. Lucia e Custoza. Alla battaglia di Goito (30 maggio 1848) guidò personalmente all'assalto la brigata Guardia, rimanendo ferito. Ma sul piano schiettamente politico considerava una debolezza la concessione dello Statuto fatta dal padre. Nonostante i suoi sentimenti antidemocratici, tuttavia, dopo l'armistizio di Vignale sentì la necessità di seguire la strada paterna e mantenne lo Statuto, acquistandosi così l'appellativo di "re galantuomo".

Ha scritto lo storico Gianni Oliva che: "A dispetto dell'importanza del suo ruolo storico e della compiacenza dei biografi ufficiali, Vittorio Emanuele è stato in realtà un uomo 'normale' per intelligenza e per carattere, nel quale vizi, debolezze e abitudini si sono mescolati senza che un aspetto prevalesse sull'altro: un uomo 'comune' nel senso positivo del termine, privo di intuizioni geniali ma dotato di molto buon senso, consapevole delle proprie funzioni e dei propri poteri, ma anche dei propri limiti".

Uomo onesto e dabbene, Vittorio Emanuele II non fu quindi l'eroe risorgimentale tramandato dall'agiografia degli anni successivi all'Unità. Un po' rozzo, di complessione robusta, appassionato cacciatore di selvaggina e di donne (a proposito delle numerose amanti e della ricca messe di figli illegittimi, Massimo D'Azeglio dirà che meritava più che il titolo di "Padre dell'Italia" quello di "Padre degli italiani"), si trovava a suo agio più con il dialetto piemontese che con la lingua italiana, e preferiva una zuppa di fagioli ai ricchi pranzi di corte. Neanche lo slancio patriottico fece mai presa su di lui. Quando arrivò a Roma, dopo Porta Pia, pare che la fatidica frase "Ci siamo e ci resteremo", sia stata costruita ad arte da qualche "portavoce" della corona perché la vera esclamazione del re, "I suma", cioè "finalmente siamo arrivati", trasudava ben poco orgoglio risorgimentale.

Difficile quindi chiedersi oggi cosa per Vittorio Emanuele II rappresentasse allora il concetto di nazione italiana. Non era certo quella profondamente descritta da Pasquale Stanislao Mancini come "una società naturale di uomini, da unità di territorio, di origine, di costumi e di lingua conformati a comunanza di vita e di coscienza sociale", né tantomeno quella cantata dal Manzoni in Marzo 1821, "una d'arme, di lingua, d'altare, / di memorie, di sangue e di cor". Cresciuto nel Piemonte della Restaurazione, il re era stato educato alla lettura dei testi religiosi, della storia della propria dinastia, e sottoposto con metodo allo studio di latino, francese e matematica (ma i precettori si lamentavano per la scarsa applicazione). E una volta prese in mano le redini del Regno sabaudo continuerà a lungo, perlomeno fino al 1859, a coltivare l'idea del padre di un accrescimento territoriale dello stato sabaudo.

Lacunoso sul piano dottrinario, al re non mancò mai invece l'"immagine". Una vera e propria operazione promozionale venne attuata sulla sua figura dai mass media dell'epoca. Ha scritto Alberto Banti, in un recente saggio sulle origine dell'identità nazionale, che "fin dall'episodio dell'incontro di Vignale, del 24 marzo 1849, la proiezione dell'immagine del re guerriero, giusto e coraggioso, si spostò [da Carlo Alberto] sul figlio, Vittorio Emanuele, di cui una ricca pubblicistica cominciò a celebrare magnanimità, fermezza e vigore virile. La lealtà nei confronti dello Statuto, i buoni successi politici e militari di cui fu se non artefice, certamente simbolo riassuntivo (dalla guerra di Crimea, alla campagna del 1859, all'occupazione dell'Italia centrale nel 1860, alla patriottica deferenza nei confronti di Garibaldi) ne fecero un re estremamente popolare. Le sue qualità più apprezzate furono il coraggio personale, l'indole affabile e comunicativa, non disgiunta dal senso della dignità reale, i comportamenti gioviali, irruenti, spavaldi, una schietta, istintiva adesione a modi di essere pragmatici, ispirati al buon senso comune e lontani dalle sottigliezze della politica".

Ma torniamo agli avvenimenti del 1849. Se l'esercito era stato duramente provato dalla sconfitta non migliore era la situazione interna del regno, scosso anche da una sommossa repubblicana a Genova (aprile '49) repressa nel sangue. La maggior difficoltà politica era costituita dall'ostilità della Camera dei Deputati, a maggioranza democratica, a ratificare il trattato di pace con l'Austria. Vittorio Emanuele II, per superare l'opposizione della Camera emanò il proclama di Moncalieri (20 novembre '49) con il quale scioglieva la Camera ed indiceva nuove elezioni. L'appello reale conseguì il suo effetto e il Piemonte, firmata la pace con l'Austria, poté dedicarsi alla soluzione dei grandi problemi interni, primo fra tutti il consolidamento del regime costituzionale.
Propenso ad esercitare l'autorità regia fuori dai limiti dello Statuto, Vittorio Emanuele II diede tuttavia prova di lealtà costituzionale promulgando, nonostante fosse contrario, le leggi Siccardi contro i privilegi del clero. A ciò, tuttavia il monarca fu indotto anche dal fermo contegno del governo, presieduto da Massimo D'Azeglio.

Nel novembre 1852 al D'Azeglio successe Camillo Benso conte di Cavour. I rapporti di Vittorio Emanuele II con Cavour non furono facili, poiché il grande ministro, pur devoto alla monarchia, non esitava ad esporre i suoi punti di vista, non sempre concordi con quelli del sovrano. Cavour gli rimproverò sempre l'eccessiva disinvoltura sentimentale e la relazione con la "bella Rosina", che potevano provocare un danno di immagine a livello internazionale. Ma tra i due i contrasti erano anche politici e caratteriali. Ammiratore del modello parlamentare inglese il Cavour, deciso a rivendicare un ruolo attivo nelle faccende politiche il re, la loro convivenza fu dettata dalle necessità contingenti. Valga per tutte una lettera di Cavour a Lamarmora scritta negli ultimi mesi del 1860, quando ormai il più era fatto: "Il re non mi ama, ed è di me geloso; mi sopporta come ministro, ma è lieto quando non mi ha al fianco. Dal canto mio mentirei se vi dicessi di aver dimenticato che il giorno in cui il re entrava a Firenze a Palazzo Pitti, esso, lungi dal rivolgermi una sola parola di ringraziamento, mi disse cose villane e dure, che dette da altri che da un re ci avrebbero condotto sul terreno. Come rappresentante del principio monarchico, come simbolo dell'Unità, sono pronto a sacrificare al re la vita, le sostanze, ogni cosa infine; come uomo desidero da lui un solo favore, il rimanermene il più lontano possibile".

Tuttavia Vittorio Emanuele II, spirito bellicoso ed esuberante, accettò pur tra molti contrasti la politica cavouriana, sia nel desiderio di restaurare la fama del suo esercito e del suo Regno, sia nel caso dell'intervento in Crimea. Per aumentare il prestigio ed i domini della sua casata approvò l'alleanza con Napoleone III, con il quale il re sabaudo condivideva un certo gusto per la politica segreta, e manovrò per tenere a bada gli elementi più rivoluzionari e i fautori della democrazia come Mazzini.
In fondo la grande intuizione che portò Vittorio Emanuele a farsi paladino dell'Unità d'Italia consiste nell'aver capito che la tendenza dei ceti emergenti borghesi a creare uno stato nazionale era ormai irreversibile e che la monarchia doveva adeguarvisi mettendosene alla testa con la sua autorità, e cercando di ritagliarsi più margine di controllo possibile. Si spiegano così anche i cosiddetti tentennamenti attribuitigli dai democratici nel decennio precedente l'Unità. Lo capì benissimo, ad esempio, il patriota Daniele Manin che, in una lettera del 1856, scrisse: "Finché l'idea nazionale non è generalmente e notoriamente accettata, l'esitazione del governo piemontese è naturale. Siamo giusti, e mettiamoci ne' suoi panni. La monarchia piemontese non può tirar la spada e gittarne il fodero finché non è tolto intieramente il dubbio che dopo la vittoria i mazziniani non solo le negheranno la debita ricompensa, ma tenteranno cacciarla dal trono de' suoi padri".

Gli anni più favorevoli a Vittorio Emanuele furono quelli dal '59 al '61. In quei due anni fatidici riuscì, sfruttando abilmente la congiuntura politica, a coniugare espansionismo dinastico con ideologia nazionale. Partito in guerra contro l'Austria nell'aprile del '59, meno di due anni dopo era acclamato re d'Italia da un Parlamento italiano. Certo, alla rapida ascesa del monarca contribuì l'opera di Cavour e di Giuseppe Garibaldi che, con la spedizione dei Mille, gli donò il grande regno meridionale. Ma si deve riconoscere che in quegli ultimi anni decisivi Vittorio Emanuele II fu decisamente per la causa dell'unità nazionale.

La firma dell'armistizio di Villafranca nel luglio del 1859, che assegnava al Piemonte la sola Lombardia, firma osteggiata da Cavour che temeva così di vedere sfumare l'idea unitaria, fu voluta da Napoleone III e accettata di buon grado dal re. Tale atteggiamento di Vittorio Emanuele ha fatto sospettare una sua scarsa passione patriottica, a vantaggio invece di un utilitarismo dinastico del tutto contingente. Ma i sospetti verranno fugati dall'atteggiamento tenuto nei confronti di Garibaldi e dei Mille. Cavour si opporrà per paura di eccessivi sviluppi democratici, il re, invece, appoggerà la spedizione, anche se con parole velate: "Caro Generale - scrisse a Garibaldi il 22 luglio 1860 - Lei sa che allorquando Ella partì per la Spedizione di Sicilia non ebbe la mia approvazione: ora mi risolvo a darle un suggerimento nei gravi momenti attuali, conoscendo la sincerità dei suoi sentimenti verso di me. Per cessare la guerra fra Italiani e Italiani io la consiglio a rinunziare all'idea di passare colla sua valorosa truppa sul continente Napoletano".
Curiose parole quelle di un re, che come capo supremo dell'esercito, invece di intimare a Garibaldi un dietrofront, si limita a "suggerire" e "consigliare", nella speranza, neanche troppo nascosta, che l'eroe faccia poi di testa sua e metta tutti di fronte al fatto compiuto!

Proclamato il Regno d'Italia nel marzo del 1861, al compimento dell'unità italiana mancavano ancora il Veneto e Roma, ma la trasformazione di Casa Savoia - avvenuta tra contrasti, indecisioni e con il concorso determinante di casualità e necessità - da piccolo potentato di origine alpina a dinastia regnante italiana era ormai compiuto.

ALESSANDRO FRIGERIO

Bibliografia
Il re che tentò di fare l'Italia, di S. Bertoldi, Rizzoli, 2000
I Savoia, di F. Cognasso, Corbaccio, 1999
I Savoia. Novecento anni di una dinastia, di G. Oliva, Mondadori, 2000
I Savoia re d'Italia, di D. Mack Smith, Rizzoli, 1998
La nazione del Risorgimento, di A. M. Banti - Ed. Einaudi, 2000


La bandiera italiana con al centro lo Stemma Reale dei Savoia

i RE D'ITALIA (1861 - 1946)
Vittorio Emanuele II - 17/03/1861 09/01/1878 muore
Umberto I - 09/01/1878 29/07/1900 ucciso
Vittorio Emanuele III - 29/07/1900 09/05/1946 abdica
Umberto II 05/06/1944 Luogotenente del Regno 09/05/1946 11/06/1946 inst. Repubblica

sunto biografico

VITTORIO EMANUELE II

(n. 1820 - m. 1878 )
Re di Sardegna 1849-1861 - Poi Re d'Italia fino al 1878.
E' il I° re d'Italia, anche se conserva il II° del Regno Sabaudo Sardo.

BIOGRAFIA E CARTINA GIGANTE
dell'Italia ANNO 1861, ANNO 1866, ANNO 1870
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Figlio di Carlo Alberto, eredita il regno per abdicazione del padre nel 1849. Sposa il 12 aprile 1842 Maria Adelaide D'Austria di Lorena (+1855), ma inizia la relazione dal 1848 con Rosa Teresa Vercellana (la "Rosina" - Poi Contessa di Mirafiori e di Fontanafredda) che sposerà in seguito (nel 1869) morganaticamente, dopo aver già avuto da lei 2 figli (Vittoria n. 1849-1909) e Emanuele Alberto (n. 1851-1894)
Dalla prima moglie ha invece avuto: Maria Clotilde (che sposerà Giuseppe Napoleone- muore nel 1911); Umberto I (n.1844 +1900); Oddone (+1866); Maria Pia (n.1847+1911); Amedeo I (n.1845+1890).
(AMEDEO I inizia il ramo Savoia-Aosta; sposerà (1867) prima Maria del Pozzo della Cisterna; figli: Emanuele Filiberto (n.1869+1931) duca d'Aosta; Vittorio Emanuele (n. 1870+1946) duca di Torino; Luigi Amedeo (n.1873+1933) Duca degli Abruzzi. Dalla seconda moglie ebbe Umberto Maria (n.1889+1918) Conte di Salemi.


Allo scoppio della prima guerra d'indipendenza (1848) seguì l'esercito del padre, al comando di una divisione di riserva. Alla battaglia di Goito (30 maggio) guidò personalmente all'assalto la brigata Guardia, rimanendo ferito. Dopo la battaglia di Novara e l'abdicazione di Carlo Alberto (23 marzo '49) si trovò dall'improvviso sul trono di Sardegna, in un momento difficile per il Paese e con lui stesso impreparato nelle cose di governo, che il padre non gli aveva mai trasferite. Per l'impossibilità a continuare la guerra Vittorio Emanuele II dovette subito firmare l'armistizio di Vignale (24 marzo '49) con il maresciallo austriaco Radetzky.

Se l'esercito era stato duramente provato dalla sconfitta non migliore era la situazione interna del regno, scosso anche da una sommossa repubblicana a Genova (aprile '49) repressa nel sangue. La maggior difficoltà politica era costituita dall'ostilità della Camera dei Deputati, a maggioranza democratica, a ratificare il trattato di pace con l'Austria. Vittorio Emanuele II, per superare l'opposizione della Camera, raggiunse l'estremo limite della correttezza costituzionale (ma lo aveva promesso agli austriaci e questi erano acquartierati ad Alessandria) emanando quel proclama di Moncalieri (20 novembre '49) con il quale scioglieva la Camera ed indiceva nuove elezioni (promuovendosi però presso i nobili proprietari terrieri). L'appello reale conseguì il suo effetto ed il Piemonte, firmata la pace con l'Austria, poté dedicarsi alla soluzione dei grandi problemi interni, primo fra tutti il consolidamento del regime costituzionale.

Vittorio Emanuele II era propenso ad esercitare l'autorità regia fuori dai limiti dello Statuto, ma diede poi  prova di lealtà costituzionale promulgando quelle leggi Siccardi contro i privilegi del clero alle quali non era del tutto concorde. A ciò, tuttavia il monarca fu indotto anche dal fermo contegno del governo, presieduto da Massimo D'Azeglio. Nel novembre 1852 al D'Azeglio successe Camillo Benso conte di Cavour. (Il padre proprietario terriero (uscito indenne dalla varie "bufere" napoleoniche) oltre che amministratore di grandi proprietà, era il capo della Polizia a Torino)

I rapporti di Vittorio Emanuele II con Cavour non furono sempre cordiali né facili, poiché il grande ministro, pur devoto alla monarchia, non esitava ad esporre al re i suoi punti di vista, non sempre concordi con quelli del sovrano (intervenne perfino nella sua vita privata), ma nelle linee il re seguì costantemente (pur con molti contrasti) la politica del Cavour, nel desiderio di restaurare la fama del suo esercito e del suo Regno, come nel caso dell'intervento in Crimea. 
Per aumentare il prestigio ed i domini della sua casata approvò l'Alleanza con Napoleone III, con il quale il re sabaudo condivideva un certo gusto per la politica segreta con l'ex carbonaro.

Gli anni più favorevoli al regno di Vittorio Emanuele furono quelli dal '59 al '61. Partito in guerra contro l'Austria nell'aprile del '59, meno di due anni dopo era acclamato re d'Italia da un Parlamento italiano. Certamente, alla rapida ascesa del monarca, contribuì l'opera di Cavour e di Giuseppe Garibaldi (rapporti non sempre chiari con quest'ultimo) che, con la spedizione dei Mille, gli donò a Teano il grande regno meridionale; ma si deve riconoscere che in quegli ultimi anni decisivi Vittorio Emanuele II fu risolutamente (!?) con la causa dell'unità nazionale.

L'ITALIA DURANTE LA SPEDIZIONE DEI MILLE


INGRANDISCI



La terza guerra di indipendenza (1866) portò alla corona il Veneto, ma senza quella vittoria militare che il re desiderava. Inoltre al compimento dell'unità italiana mancava ancora Roma.

Quando nell'estate del '70 scoppiò la guerra franco-prussiana, Vittorio Emanuele II era più propenso di accorrere in aiuto a Napoleone  III, l'antico compagno d'armi e di intrighi di dieci anni prima, ma si piegò alla volontà dei suoi ministri che vollero cogliere l'occasione propizia per scendere invece su Roma, proprio quando i Francesi stavano entrando in crisi e infatti poi persero contro i prussiani e Napoleone III destituito.

A Roma si recò anche il re, ma come si era trovato spaesato a Firenze, dove era stata portata la capitale in seguito alla Convenzione di Settembre (1864), così si trovò a disagio a Roma. Non soggiornò mai al Quirinale preferendo ritirarsi in una residenza più modesta, con la moglie morganatica Rosa Vercellana (la bella "Rosina", che il Re -sposato e con figli- mise incinta, quando la bella esuberante contadinella aveva 14 anni)  poi divenuta contessa di Mirafiori. (Cavour fu sempre indignato e ostacolò furiosamente questo rapporto; e altrettanto indignati i parenti di sua moglie e sua madre - come noto - entrambe austriache).

Concluso il periodo del Risorgimento, il re era in un certo senso un sopravvissuto, rispetto a tanti altri protagonisti. Nel 1876 vide allontanarsi dal governo per contrario voto parlamentare la Destra Storica dalla quale erano usciti i suoi ministri più abili ed i suoi più fidati consiglieri. Ossequiente alle indicazioni del Parlamento, chiamò al governo la Sinistra. Ciò avveniva nell'anno della sua morte, nel 1878.
Lasciò il regno al figlio UMBERTO I


UMBERTO I - ( biografia >
Re d'Italia 1878-1900

Figlio di Vittorio Emanuele II, sale sul trono alla morte del padre nel 1878. Sposa la cugina di primo grado, Margherita di Savoia, orfana di Elisabetta di Sassonia e di Ferdinando Maria Alberto, duca di Genova, fratello di suo padre. Ebbe un unico figlio, che - all'assassinio del padre - eredita il trono il 29 luglio 1900, VITTORIO EMANUELE III


VEDI ANCHE PER APPROFONDIRE

VITTORIO EMANUELE II - " L'INIZIO DI UN REGNO "


VITTORIO EMANUELE III - " LA FINE DI UN REGNO "
(e l'Italia allo s-fascio) (la sua voce
) (morire per il Re)

 

SALE SUL TRONO RE VITTORIO EMANUELE III
( n. 11 nov. 1869 - m. 28 dic. 1947 )

All'indomani del tragico fatto il figlio di Umberto, lo rintracciarono nelle acque del mar Egeo in uno dei suoi tanti viaggi, per comunicargli la triste notizia. Quando giunse in Italia, per assumere il gravoso impegno, lesse il suo proclama, e il "piccoletto" s'impose con un'aria così superba che nessuno gli conosceva; rifiutò il discorso redatto dal primo ministro Saracco e dal consiglio dei ministri, li ringraziò della loro fatica, e lesse quello che aveva scritto lui; che rispondeva esattamente all'idea che si era fatta sulla situazione politica, ma guardandola attentamente e con distacco dall'esterno e non dall'interno dove lui non c'era mai entrato. Eppure i suoi (e forse proprio per questo motivo) furono concetti chiari e coraggiosi e così aderenti alla realtà del Paese e dell'ora, che il governo non poté che inchinarsi. E se molti dopo l'attentato si aspettavano una grande svolta a destra, furono tutti delusi, il Re scelse la via di sinistra.
Ricordiamo che nell'anno 1900 erano in gestazione le imponente ondate di scioperi, e la moltiplicazione di camere del lavoro, di federazioni operaie, di braccianti e altri movimenti lavoratori tutti sotto l'influenza del socialismo riformista. Nasceva il cosiddetto "Quarto Stato" che proprio nel 1900 Pelizza da Volpedo con molto realismo in quel problematico presente dipingeva.

 

Breve cronologia della sua famiglia


VITTORIO EMANUELE FERDINANDO MARIA GENNARO nato a napoli l'11 novembre 1869, morto ad Alessandria d'Egitto il 28 dicembre 1947) figlio unico di Re Umberto I (nato a Torino il 14 marzo 1844 morto a Monza assassinato il 2 luglio 1900, e di regina Margherita, sua cugina, nata principessa di Savoia a Torino il 20 novembre 1851, morta a Bordighera il 4 gennaio 1926 - orfana del fratello di Umberto, Ferdinando, duca di Genova) sposa (*) a Roma il 24 ottobre 1896 .....


ELENA PETROVIC-NIEGOS, principessa del Montenegro, nata a Cettigne l'8 gennaio 1873, figlia di Nicola I Petrovic-Niegos ( “gospodar” o “Sveti Gospodar” =Signore o Supremo Signore), che si proclamerà Re nel 1910 del Montenegro - nato il 25 settembre 1841, morto il 1° marzo 1921) e di Milena Petrovna Vucotic (nata il 22 aprile 1847 morta il 16 marzo 1923) . Costei, era una patrizia russa, e proprio per questo, fece studiare le cinque figlie nel collegio della corte imperiale, e riuscì a darle a ciascuna un marito principesco. L'incontro con Vittorio Emanuele, non proprio casuale (c'era la madre! Ma anche per l'Italia un matrimonio simile era a quei tempi propizio alle trame politiche dei Balcani - Di Crispi?) avvenne a Venezia, alla Biennale d'Arte. Combinato o no, per l'inconsapevole Vittorio fu un colpo di fulmine. Quando pochi mesi dopo la rivide alla corte di Mosca, all'incoronazione dello Zar Nicola II, il cuore per la bella principessa si mise al galoppo, ma anche quello del principe non era di meno; infatti, in quei giorni moscoviti, nel suo diario il futuro re (che a tutto pensava meno di fare il Re) scrisse "Ho deciso". Il 18 agosto del 1896, Vittorio Emanuele, si tolse di dosso tutti i complessi del "piccolo principe di Napoli", e partì per Cettigne a chiedere la mano della "Bella Elena". Politica o no, fu un matrimonio d'amore ben riuscito, fedele, e perfino con lui geloso, un'unione che durò fino alla morte.

(*) Prima del matrimonio, essendo Elena di religione ortodossa (il Vaticano si era opposto nel far precedere una cerimonia ortodossa a Cettigne) giunta in Italia per le nozze, sbarca a Bari, dove il 19 ottobre avviene l'abiura alla chiesa di San Nicola e abbraccia il cattolicesimo; il celebrante non è un'autorità della Chiesa, ma l'abate Piscitelli Taloggi. Lo stesso abate che celebrerà a Roma il 24 le nozze religiose a Santa Maria degli Angeli (dopo quelle civili, a San Pietro, il Vaticano ha detto "No". Nè ha mandato una berretta cardinalizia al matrimonio, celebrato senza fasti, e con l'assenza della madre della sposa Milena, in dissidio per quella abiura preventiva pretesa dai Savoia (o dalla Chiesa).

Furono insomma delle nozze dimesse, il "risentito" Eduardo Scarfoglio, dal suo "Mattino", le commentò con titolo ironico "Le nozze coi fichi secchi". (Si dice che da questo momento iniziò l'astio del futuro Re con gli intellettuali e i cronisti).
La coppia tarderà ad avere figli. E già si temeva che il cugino (dal lato paterno) Filiberto di Savoia duca d'Aosta, andato in sposo a Elena Luisa Enrichetta di Orleans (matrimonio 25 giugno 1895 - fastoso, e che non volle posticipare) diventasse lui l'erede (o la sua prole maschile nel frattempo già nata - Amedeo (nato 21 ottobre 1898) e Aimone (nato 9 marzo 1900), quando la coppia reale, con Vittorio nel frattempo diventato improvvisamente Re, dopo l'assassinio del padre Umberto, inizia la figliolanza; prima con due femmine, poi il tanto desiderato erede maschio, poi altre due femmine.


Qui in una foto ufficiale del 1908, con i figli Jolanda, Giovanna, Mafalda, Umberto
manca nella foto l'ultima figlia, Maria Francesca, nata nel 1914

I 5 FIGLI:

1) - JOLANDA MARGHERITA MILENA ELISABETTA ROMANA MARIA, nata a Roma il 1° giugno 1901, maritata in Roma il 9 aprile 1923 con il conte Giorgio Carlo Calvi di Bergolo ten col di cavalleria nato al Pireo (Atene) il 15 marzo 1887. Figli: a) Maria Ludovica nata a Torino il 27 gennaio 1924; b) Vittoria nata a Torino il 22 giugno 1927; c) Guia nata a Torino l'8 marzo 1930; d) Pier Francesco nato a Torino il 22 dicembre 1933.


2) - MAFALDA MARIA ELISABETTA ANNA ROMANA, nata a Roma il 19 novembre 1902, maritata a Racconigi il 23 settembre 1925 con il principe Filippo di Assia del ramo primogenito, langraviale, tenente nell'esercito prussiano, nato a Rumpenheim il 6 novembre 1896; figli a) Maurizio nato a Racconigi il 6 agosto 1926; b) Enrico Guglielmo nato a Roma il 30 ottobre 1927. Morta nel "Lager di Buchelwald" il 24 agosto del 1944, alle 4 del pomeriggio nella baracca n. 15, dove era stata rinchiusa per 11 mesi col nome di Frau von Weber, distrutta da una incursione aerea anglo-americana.
Estratta dal cumolo di macerie, gravemente ferita, i capelli bruciati, scottature in tutto il corpo, fu ricoverata nell'infermeria della casa di tolleranza dei tedeschi del campo, dove, dopo una affrettata visita, fu abbandonata sola in una stanza del postribolo, e dove dopo quattro giorni nei tormenti delle piaghe, cessò di vivere la notte del giorno 28.
Nel lager vi era stata deportata il 23 settembre del 1943, dopo essere stata arrestata il 22 settembre a Roma. Era in questa città nell'agosto del '43, il 28 si era recata a Vienna per onorare il cognato Boris di Bulgaria (si dice fatto uccidere da Hitler per non essersi schierato con la Germania). Il 7 settembre Mafalda riparte da Sofia per l'Italia; l'8 settembre è a Budapest, dall'Italia (come è accaduto a MARIA JOSE' ) nessuno la mette in allarme per l'armistizio, il 9 settembre forse qualcuno la informa che c'è stata la "fuga" a Chieti (non a Pescara- chi qui scrive era lì, a Palazzo Mezzanotte) e si appresta a prendere un aereo di fortuna per raggiungere i fuggiaschi purtroppo nel posto sbagliato. Infatti, atterrata a Chieti Scalo il 12, non trova nessuno. I tedeschi di KESSELRING sono impegnati alla liberazione di Mussolini, l'aeroporto è già in mano ai tedeschi e le strade da Pescara a Roma pure. Potrebbe fuggire, come hanno fatto tanti a Brindisi, ma ha i figli a Roma, e quindi riparte per la capitale ormai in mano tedesca. Vi giunge infatti con mezzi di fortuna solo il 22, e fa appena in tempo a rivedere i figli, custoditi in Vaticano da un certo Montini (futuro Papa VI); poi il 23 mattina, all'improvviso, è chiamata al comando tedesco con urgenza, per l'arrivo di una chiamata telefonica del marito da Kassel in Germania. E' un tranello. E' subito arrestata e, messa su un aereo, la sua destinazione il lager di Buchelwald, baracca n. 15.

Alle 4 del pomeriggio del 24 agosto 1944 una incursione di bombardieri anglo-americani centra il lager e la baracca n. 15, dove è rinchiusa da 11 mesi nell'anonimato la principessa sabauda. Estratta dal cumolo di macerie, gravemente ferita, i capelli bruciati, scottature in tutto il corpo, fu ricoverata nell'infermeria della casa di tolleranza dei tedeschi del campo, dove, dopo una affrettata visita, fu abbandonata sola in una stanza del postribolo. Dopo quattro giorni trascorsi nei tormenti delle piaghe, cessò di vivere la notte del giorno 28.

Per andare al comando tedesco, si era vestita - pensando che si trattasse di un impegno di pochi minuti- con un modesto vestito nero. Con quello fu arrestata, con quello partirà, e per undici mesi nel lager avrà solo quel lugubre vestito addosso, e con quello -la più sfortunata principessa di casa Savoia - morirà. Il cadavere - uscito dall'infermeria del postribolo- fu inumato in una fossa comune, con il cartello "N. 262 eine enberkannte fraue" (donna sconosciuta). Solo grazie ad alcuni italiani scampati al lager a fine del conflitto, fu ritrovata la salma, poi inumata a Konberg dove oggi si trova.

3) - UMBERTO NICOLA TOMASO GIOVANNI MARIA,
principe di Piemonte, generale di divisione, nato a Racconigi il 15 settembre 1904,
sposa l'8 gennaio 1930 la principessa del Belgio ...

MARIA JOSE' CARLOTTA SOFIA AMELIA ENRICHETTA GABRIELLA
... nata a Ostenda il 4 agosto 1906, figlia di Alberto Re del Belgio (nato l'8 aprile 1875 morto il 17 febbario 1934) e di Elisabetta regina, nata duchessa in Baviera.
Figli:
- a) MARIA PIA Elena Elisabetta Margherita Milena Mafalda Ludovica Tecla Gennara, nata a Napoli il 24 settembre 1934 (ha sposato Alessandro di Jugoslavia);
- b) VITTORIO EMANUELE, nato nel 1937, ha sposato con rito civile Marina Doria a Las Vegas il 12 gennaio del 1970, e con rito religioso a Teheran il 7 ottobre del 1971 - hanno avuto un figlio, EMANUELE FILIBERTO (ultimo discendente della Dinastia Savoia)
- c) MARIA GABRIELLA, nata nel 1940, ha sposato il finanziere svizzero Robert de Balkany dal quale ha poi divorziato;
- d) MARIA BEATRICE, nata nel 1943, ha sposato Luis Reyna, misteriosamente ucciso nel 1999.


4) - GIOVANNA ELISABETTA ANTONIA ROMANA MARIA - nata a Roma il 13 novembre 1907, sposata in Assisi il 25 ottobre 1930 con Boris III Clemente Roberto Maria Pia Luigi Stalislao Saverio, Re dei Bulgari, nato a Sofia il 30 gennaio 1894, figlio di Ferdinando (nato il 20 febbraio 1861, abdicato il 3 ottobre 1918, della casa di Sassonia-Coburgo-Gotha) e di Maria Luisa principessa di Borbone-Parma (nata 17 gennaio 1870 morta 19 gennaio 1899). Figli: Maria Luisa, nata a Sofia il 13 gennaio 1933.

5) - MARIA FRANCESCA ANNA ROMANA nata a Roma il 26 dicembre 1914. Sposata a Luigi di Borbone-Parma.

 


UMBERTO "Re di Maggio" - L'ULTIMO SOVRANO (9 mag. - 12 giu. 1946)
( n. 1904 - m. 1983 )

Altre note su Umberto - sul Referendum "Monarchia - Repubblica" i RISULTATI > >

 

VEDI PER APPROFONDIRE

VITTORIO EMANUELE II - " L'INIZIO DI UN REGNO "


VITTORIO EMANUELE III - " LA FINE DI UN REGNO "
(e l'Italia allo s-fascio) (la sua voce
) - - -(morire per il Re)

 

 

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delle "fortunate" e "sfortunate" principesse > >


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