le PRINCIPESSE SABAUDE

nelle corti d'Europa

3a PARTE:
periodo
1476-1689


LUISA, Reggente di Francia

LUISA CRISTINA, Margravia di Baden
ADELAIDE ENRICHETTA, Elettrice di Baviera
MARIA FRANCESCA, Regina di Portogallo

LUISA DI SAVOIA
Duchessa d'Angouleme - Reggente di Francia ( 1476 - 1531 )

L'undici di settembre 1476 il castello di Ponte di Ain era in festa; Margherita di Borbone sposata il 6 gennaio 1472 a Filippo di Savoia, Conte di Bressa, dava alla luce una bambina, a cui veniva imposto il nome di Luisa.
La principessa passò gli anni della fanciullezza e dell'adolescenza, alternativamente col fratello Filiberto, maggiore di lei di qualche anno, nel castello paterno e dopo la morte della madre avvenuta nel 1483, alla Corte di Francia con la cugina Anna di Beaujeu, poi alla Corte Ducale a Chamberì.
Ancora bambina fu fidanzata a Carlo di Valois, Conte d'Angoulème; ma il matrimonio non venne celebrato che nel 1490 con un modesto apparato, non essendo essa che la figlia di un cadetto della famiglia, senza avvenire politico.
Terminata la cerimonia nuziale partì per la Francia accompagnata dalla matrigna Claudia di Brosse, seconda moglie del Conte Filippo, da lui sposata nel 1485.
Alla Corte francese trovò liete accoglienze nel Re Carlo non così però nella Regina Anna di Bretagna, gelosa della coltura, del brio e dell' eleganza della giovane principessa sabauda. Felice del marito, Luisa non badò al cattivo umore della Regina verso di lei e continuò a risiedere a Corte, ove tutti l'ammiravano, mantenendosi tuttavia in una prudente riserva, non occupandosi affatto di politica. L'11 aprile 1492 dava alla luce bambina, che fu poi la celebre Margherita, Regina di Navarra, autrice dell'Heptameron detta la "perla delle perle", per la sua straordinaria bellezza, e per la sua coltura, ma secondo il Michelet, per una perla ingoiata dalla madre durante il periodo della gestazione.
Due anni dopo trovandosi a Cognac, il 12 settembre 1494, fu madre di un maschio, il futuro e cavalleresco Francesco I, Re di Francia. Questa nascita consolidò la sua posizione, malgrado l'ostilità continua della Regina, la quale desolata di non avere maschi, nutriva per la Contessa d'Angoulème una fiera avversione che non si curava di dissimularle
Luisa di Savoia, superba di essere madre, e contenta dello sposo, che le prodigava ogni attenzione, non porse lamento, ma fiduciosa attese tempi migliori: sapeva che la sua ora sarebbe venuta. Senonchè la sua felicità venne presto troncata: il 10 gennaio 1496 le moriva quasi improvvisamente il marito, Carlo di Valois. In preda a violento dolore pensò dapprima a ritirarsi presso il padre, divenuto duca di Savoia, ma poi dietro ordine di Carlo VIII, prese dimora nel castello di Cognac, coi figlioletti, unico conforto ormai della sua esistenza.
Vedova a diciannove anni, non pensò a rimaritarsi, ma dedicò ogni sua cura ai figli, specialmente al maschio, oggetto della sua più tenera sollecitudine e nel quale ripose ogni sua ambizione. Su questo figlio adorato, che Anna di Bretagna, non poteva soffrire, essa confidò i suoi sogni di dominio e di gloria, che l'avvenire doveva realizzare nel modo più soddisfacente. Pure lasciando fare ai figli tutto quello che volevano, diede ad essi buoni precettori: a Margherita, madama di Chetino e a Francesco il bravo maresciallo di Giè.
Da Cognac si portò ad Etampes, ove apprese la morte del padre, il Duca Filippo avvenuta il 7 novembre 1497. Fu un nuovo lutto per la Contessa, che seppe sopportarlo tuttavia con grande coraggio; si ritirò dalla Corte, concentrando tutta la sua attività nei suoi doveri di madre, nella lettura di libri di filosofia e di religione. Aveva preso per divisa : «Libris et liberis », i libri e i figli.
A Cognac, ad Angoulème, ad Amboise, ovunque si trasferì tenne una piccola ma scelta Corte frequentata da uomini famosi per scienza e per ingegno. In certo qual modo, essa fu una donna del Rinascimento, nel senso artistico e letterario che diamo a questa parola. Suo figlio, al quale trasfuse i suoi sentimenti, fu il Re del Rinascimento per eccellenza, e la sua Corte fu popolata di artisti insigni, in prevalenza italiani, destinati ad accrescere splendore al suo regno.
Ma morto Carlo VIII (1498) e salito al trono Luigi XII, questi la volle vicina, e anche desiderò vi rimanesse, allorquando egli, sposata Anna di Bretagna, vedova del suo predecessore, formò una nuova Corte. Bella, giovane, istruita, seppe subito acquistarsi simpatia ed influenza. Madre del futuro Re, non avendo Luigi XII che due femmine, intorno ad essa s'ordirono intrighi, si combinarono mosse per il futuro. Intanto sua figlia Margherita, vero fiore di grazia e d'intelligenza, sposava il 1° dicembre 1509 Carlo duca d'Alencon, nozze che mettevano assai in evidenza la Contessa d'Angoulème e la sua lungimirante politica. Quando poi il Re chiamò a Corte il di lei figlio principe Francesco, malgrado l'opposizione della Regina Anna, la quale durante una malattia di Luigi XII, aveva tentato di farlo esiliare, essa si sentì rassicurata.

Già fin dal 1506, gli Stati Generali di Francia, convocati a Tours, avevano pregato il Re di maritare la di lui primogenita Claudia - promessa a Carlo V - al giovane Francesco, principe avvenente e colto, parlatore affascinante, amante degli esercizi fisici, e dell'arte militare. Luigi XII dapprima aveva accondisceso, ma poi la Regina Anna avendo rifiutata questa combinazione matrimoniale, la cosa era rimasta in sospeso. Era un affronto per Luisa di Savoia, ma essa pazientava, in apparenza rassegnata, ma nel suo interno non disposta a lasciare portare via al figlio la corona reale, la quale gli spettava per diritto. Messasi d'accordo con alcuni grandi del regno, ai quali l'idea di vedere passare il trono di Francia ad un forestiero ripugnava, si mise a fare una opposizione sorda e tenace ai disegni della Regina. Questa lotta durò parecchi anni finchè morta Anna a Blois il 9 gennaio 1514, Luigi XII volle che le nozze di Claudia con Francesco d'Angoulème fossero celebrate senz'altro.
Il 14 maggio successivo avvenivano, nel castello di San Germano, gli sponsali, con grande gioia dei francesi, che vedevano evitato il pericolo d'uno smembramento dello Stato, qualora la principessa avesse impalmato un principe straniero. Il 14 settembre dello stesso anno Luigi XII, nella speranza di avere maschi, atti a succedergli, sposava a sua volta la Principessa Maria, sorella del re d'Inghilterra. Ma l'esistenza del sovrano francese soprannominato « il Padre del popolo », veniva spezzata dopo pochi mesi, e precisamente il 1° gennaio 1515.
* * *
Sul trono di Francia saliva Francesco I, bello e galante e con grandi aspirazioni di fama e di gloria. Il 25 veniva incoronato con fasto e clamore a Reims, dall'arcivescovo Lenoncourt, presenti migliaia di gentiluomini e di dame, chiamati a raccolta dai castelli francesi. Si apriva per la Francia un'era di splendori militari, artistici e letterari, che l'umiliazione di Pavia non basterà a cancellare. Casa nuova, vita nuova; sotto di lui la Francia doveva rinnovarsi, e riconquistare la perduta egemonia in Europa.
Luisa di Savoia era raggiante di gioia, il suo sogno lungamente accarezzato si era avverato: quel figlio per il quale nutriva una vera adorazione, era Re di Francia ! All'affetto della madre, Francesco I fu sempre sensibilissimo, e primo suo pensiero, non appena ebbe il potere, fu di crearla Duchessa d'Angoulème con un vistoso appannaggio. Poi dichiarata la guerra agli svizzeri, alleati dello Sforza, Duca di Milano, scendeva in Italia nel luglio (1515), dopo avere affidato alla madre la reggenza del regno, a detrimento della moglie con la quale viveva in disaccordo.
Tutte le fila della politica passarono allora nelle mani di Luisa; fece sposare sua sorella Filiberta a Giuliano De Medici fratello di Leone X, creato per l'occasione Duca di Nemours, onde assicurare al figlio l'alleanza papale, e più tardi sarà ancora lei che ad un altro Medici, Lorenzo Duca d'Urbino, nipote di Leone, farà sposare una principessa francese, Maddalena de la Tour d'Auvergne.
Arbitra assoluta del potere, durante l'assenza del figlio, Luisa non pensò che ad arricchirsi e non sempre con modi onesti. Questa è la maggiore colpa della sua vita, che gli storici non hanno mancato di rimproverarle.

In Italia le cose procedevano bene, la battaglia di Marignano, mentre copriva di gloria il giovane sovrano, gli dava in mano tutto il Milanese ed una preponderanza enorme negli affari della penisola.
Il 23 ottobre Francesco I faceva il suo ingresso nella capitale lombarda, indi ritornava in Francia, ove ebbe accoglienze trionfali.
Coi denari accumulati prima e durante la reggenza, Luisa di Savoia si era fatta edificare a Parigi, sulle rive della Senna, un sontuoso palazzo, che fu l'inizio delle Tuileries. Qui vi tenne Corte di eleganza per molti anni, durante la pace, avendo con se Filiberta di Savoia, già vedova di Giuliano dei Medici, venuta a stabilirsi a Parigi, col famoso Renato, detto Le Batard de Savoie.
Fu durante questo periodo della sua vita che essa si innamorò del Connestabile di Borbone, che era la prima personalità militare del regno, dopo il Re e gli offrì la propria mano. Raccontano gli desse anche in pegno del suo amore, un anello, colla speranza di farsi sposare. Senonchè il Contestabile, il quale le aveva fatto in antecedenza la corte unicamente per sposare la principessa Margherita, lasciò cadere l'offerta. Furente di vedersi respinta, spinse il figlio a togliergli il comando ed a sequestrargli i beni a profitto della corona, quale nipote dell'ultimo Duca di Borbone. Fatto politico, che ebbe tristi conseguenze per la Francia, poichè spinse sulla via del tradimento, un valoroso soldato ed un parente sino allora fedele alla dinastia.
La morte dell'Imperatore Massimiliano venne improvvisamente a turbare l'equilibrio europeo (1519) : Luisa consigliò al figlio di farsi eleggere imperatore al posto del defunto e divenire così l'arbitro del mondo. L'idea era grandiosa e lusingò l'amor proprio di Francesco, il quale spedì subito a Francoforte l'ammiraglio Bonnivet, latore di lettere reali e di somme ingenti destinate ad accaparrare i voti dei principi elettori. Tutte le seduzioni, le intimidazioni, le minaccie e le promesse possibili furono messe in opera, ma a nulla valsero: dalla Dieta usciva eletto Imperatore, Carlo di Spagna, che assunse il nome di Carlo V.
Questo scacco irritò profondamente Francesco I, che già aveva sperato di vedere la corona imperiale posarsi sul suo capo. Esso fu la causa della rivalità fra lui e il novello Cesare, che cagionò mali infiniti e lunghe guerre disastrose, che rovinarono i popoli, e più di tutti l'Italia.
Quasi non bastasse, il Connestabile di Borbone, disgustato del Re e di Luisa di Savoia, aveva offerto la sua spada al nuovo Imperatore. Da Milano giungeva pure notizia che la città si era sollevata ad istigazione degli spagnoli, ed il Lautrec, che comandava la piazza, aveva dovuto cederla al nemico e ritirarsi nello Stato Veneto, essendogli mancati i danari per pagare le truppe, che il conte di Semblancay, tesoriere di Francia, assicurava invece di avergli spedito. Il misero tesoriere, accusato di prevaricazione, fu condannato a morte, mentre poi dalla bocca dello stesso Lautrec, il Re venne a sapere che i danari erano finiti nelle casseforti di Luisa. « Chi avrebbe mai creduto ciò di mia madre ! » esclamò Francesco I, con voce irata, ma non osò prendere contro di lei una decisione energica.
Siccome Luisa odiava il Lautrec, fratello della contessa di Chateaubriand, favorita dal Re, aveva tentato, senza riuscirvi però, a perderlo, con questo mezzo indegno, che aveva costata la vita ad un galantuomo. Francesco I non ascoltando alcun consiglio, nè avuto riguardo per la consorte ammalata, scendeva in Italia per la seconda volta e per la seconda volta malgrado, il clamore suscitato dall'affare Semblancay, Luisa fu reggente di Francia. Il figlio pareva fatto apposta per soddisfare la sua passione di dominio e di autorità.
Vennero dapprima buone nuove con la presa di Milano, ma le feste, che si fecero, furono amareggiate dalla morte della Regina Claudia, avvenuta il 20 luglio 1524. La pia e virtuosa sovrana lasciava sette figli in tenera età, di cui dovette prendersi cura la nonna reggente.

La Corte era quindi già immersa nel più profondo lutto, allorchè un corriere portò la dolorosa, incredibile notizia, che il Re, perduta una battaglia a Pavia il 24 febbraio 1525, era stato fatto prigioniero e rinchiuso nel Castello di Pizzighettone. E' nota la frase con la quale egli cominciava la lettura annunziando alla madre la propria disgrazia : « Signora, tutto è perduto fuorchè l'onore ! ».
Con lui erano stati presi prigionieri molti gentiluomini francesi del suo seguito ed il Duca d'Alencon, marito di sua sorella Margherita, il quale però riusciva a fuggire poco dopo.
In mezzo allo sgomento ed al terrore, che s'impadronì di tutti a questa notizia, solo Luisa di Savoia non si perdette d'animo, ma corse subito a Lione, ove convocò il Consiglio di Reggenza per avere lumi. Quindi dispose con prontezza ogni cosa per la difesa delle frontiere, ponendo a capo dell'esercito il duca di Vendóme; strinse una lega offensiva e difensiva con l'Inghilterra e spinse il Duca di Gueldria ad invadere i Paesi Bassi. In questo contingente si può dire che essa salvò la Francia, la quale saputa la prigionia del suo sovrano, si agitava minacciosa. Piccole rivolte scoppiate qua e là venivano da Luisa con mano ferma represse, per non lasciare cadere il paese in preda all'anarchia. Chiese un abboccamento al fratello Carlo III, duca di Savoia, il quale essendo cognato dell'Imperatore poteva fare molto per il prigioniero reale.
Interessò pure alla sorte del figlio i principi cristiani d'Europa e persino il Sultano, e mandò a Madrid, ove il Re era stato trasferito, sua figlia Margherita, vedova da poco del Duca d'Alencon, per trattare con Carlo V la liberazione del prigioniero. Se tale visita riuscì di sommo conforto a questi, fallì però completamente allo scopo, e Margherita dovette ritornarsene in Francia, senza avere potuto, non dico ottenere la liberazione del fratello, ma nemmeno alleviargli la prigionia.
Luisa ideò allora di combinare il matrimonio di suo figlio con la principessa Eleonora, sorella di Carlo V, vedova del Re di Portogallo, e quello dello stesso Carlo V con sua figlia Margherita. L'idea trovò favorevole accoglienza a Madrid, specialmente nella principessa Eleonora, felice di concorrere alla liberazione del cavalleresco Re di Francia. Essa seppe così abilmente perorare presso il potente fratello la causa del futuro marito, che il 14 gennaio 1526 veniva firmato un trattato, per il quale Francesco I otteneva finalmente la libertà. Egli però dovette abbandonare i suoi diritti sull'Italia al Re di Spagna; di più alcune province francesi, fra le quali la fertile Borgogna, venivano da lui cedute al medesimo Re spagnolo. Carlo V domandava inoltre gli fossero mandati in ostaggio i due primi figli del Re, oppure alcuni generali francesi da lui designati.
Luisa di Savoia, interpellata, preferì mandare il Delfino ed il Duca d'Orleans, anzichè privare la Francia delle migliori spade. Atto veramente eroico, che le valse l'universale plauso.
Il 21 febbraio seguente Francesco I veniva liberato: il 16 marzo successivo egli raggiungeva il confine della Bidassoa, ove avveniva lo scambio coi suoi due figli accompagnati da Lautrec. Dopo averli benedetti e baciati, si slanciò a cavallo, gridando «Eccomi di nuovo Re ! ».
Fece la strada d'un solo tratto sino a Bajona, proseguendo subito per Mont de Marsan, ove rivide la madre e la sorella, venute ad incontrarlo ed a felicitarlo.
Se egli aveva ricuperata la libertà lo doveva certamente alla politica accorta i duttili di Luisa: Francesco I lo comprese e la colmò di onori e di omaggi, e volle compiacerla in tutto, anche purtroppo quando non avrebbe dovuto, essendo già illimitato il suo potere negli affari dello Stato.
Il 24 gennaio 1527 la Corte vide feste splendide per gli sponsali di Margherita, vedova d'Alencon, con Enrico d'Albret, Re di Navarra. Ma poi si incominciò nuovamente a parlare di guerra, Francesco I, non essendo disposto a rispettare il trattato sottoscritto, perchè gli era stato carpito in prigionia; fece lega col Papa, con l'Inghilterra, con Venezia e con gli Svizzeri, e mosse quindi guerra all'Imperatore per riavere le province forzatamente cedutigli. Carlo V, stretto da ogni parte, dovette invocare una dieta a Spira per ritornare sopra al trattato di Madrid. L'Europa aveva sommo bisogno di pace: le lotte di religione dilaniavano la Francia e la Germania ed inoltre i Turchi, che già avevano preso Rodi, minacciavano Cipro e Candia e gli altri possessi veneziani. Trattative di conciliazione si apersero a Cambrai : Francesco I si fece rappresentare dalla madri, e Carlo V dalla zia Margherita d'Austria, vedova Duchessa di Savoia, cognata di Luisa. Le due principesse dopo vari colloqui piuttosto agitati, finirono per stabilire quella che fu detta La Pace delle dame (1529), appunto perchè trattata e condotta a termini da due donne.
Con questa pace, Francesco I potè riavere i figli e conservare la Borgogna, ma facendo ben inteso qualche sacrificio. Il matrimonio del Re con Eleonora d'Austria venne definitivamente stabilito, ed ebbe luogo il 4 luglio 1530 a Veries. Queste nozze, che parvero suggellare una pace duratura fra i due irriducibili avversari, furono l'ultimo trionfo politico di Luisa di Savoia.
Ritirata a Fontainebleau, ove aveva intorno a sè una numerosa Corte come una regina, continuava ad interessarsi alle vicende del figlio, il quali non tralasciava di consultarla negli affari d'importanza. Fu lei a spingerlo sulla via della reazione in materia religiosa e ad incrudelire contro gli ugonotti, mentre sua figlia Margherita, se ne era fatta la protettrice occulta ma potente.
Piena di salute e di vigore, sempre smaniosa di fasto e di comando, essa stava per gettare le basi di un matrimonio fra suo nipote il Duca di Orleans e la Duchessina d'Urbino, Caterina de' Medici, (aveva una simpatia speciale per questa famiglia) allorchè scoppiò la peste. Per sfuggirla si portò a Romorantin prima, indi a Grés ove venne colpita dal morbo, che la uccise il 29 settembre 1531.
Energica, intrigante, avveduta, bramosa di ricchezze e di autorità, fu una delle figure più marcate, più discusse della storia di Francia. Introdusse alla Corte dei Valois metodi e sistemi di governo, che con Caterina de' Medici dovevano avere, più tardi, il loro massimo esponente. Intelligente ed attiva, fu peraltro donna di non comune ingegno politico. Tuttavia il suo nome non è rimasto popolare in Francia, gli storici l'accusano di avere vendute le alte cariche dello Stato, di avere perseguitato spietatamente gli ugonotti e di avere lasciato condannare a morte il conte di Semblancay accusato di avere stornati fondi dello Stato, mentre in realtà erano stati, come si è visto, prelevati da lei. Pure riconoscendone le qualità superiori, come donna di governo, le fanno colpa di avere sempre incitato il figlio a guerre rovinose per il paese, e purtroppo molte delle accuse, che si muovono alla sua memoria, sono in parte vere.


LUISA CRISTINA DI SAVOIA
Margravia di Baden ( 1627 - 1689 )
Unione male assortita, triste, questa di Luisa Cristina di Savoia-Carignano col Margravio Ferdinando Massimiliano di Baden, che portò uno strascico penoso di recriminazioni e di pettegolezzi, i quali per oltre trenta anni occuparono le cancellerie di Torino, di Parigi e di Karlsruhe, e furono la favola di mezza Europa.
Purtroppo tutto il torto sta dalla parte della sposa, donna sventata, volubile, caparbia, avida di piaceri, di godimenti e di sfarzo, noncurante del decoro e del nome illustre della famiglia da cui proveniva. Fu oggetto di scandalo e di riprovazione, di dolore e di disgusto per la Casa di Savoia, e d'infiniti guai per la Casa di Baden, che ebbe a sopportarne i capricci e le impulvisità. Fece l'infelicità del marito e della famiglia, e non fu amata dai contemporanei, e principalmente dal proprio figlio.
Destinata a cementare i vincoli di parentela e di amicizia, che esistevano tra le due famiglie sovrane, per poco invece non ne provocò la rottura con la propria condotta inconsulta. Poteva essere sovrana rispettata ed amata di un popolo valoroso e buono, che essa invece non volle neppure conoscere: fu odiata, e certamente su di lei la storia ha pronunciato, da tempo, un giudizio severo, ma giusto.
Nacque Luisa Cristina in Parigi, l'anno 1627, dal Principe Tommaso di Savoia quinto figlio di Carlo Emanuele I - e da Maria di Borbone, donna irascibile, ciarliera, impetuosa, che per il carattere suo - trasfuso alla figlia - procurò al mite consorte numerosi grattacapi.
La Principessa dotata d'intelligenza svegliata e pronta, venne affidata, per una conveniente educazione, alle monache mentre la madre girava le Corti d'Europa, suscitando ovunque col suo spirito invadente interminabili malintesi.
A Parigi la famiglia di Carignano abitava il celebre Hótel de Soissons, la splendida residenza edificata da Caterina de' Medici; il palazzo era, in quell'epoca di facili costumi, il centro della galanteria parigina, come quello di Rambouillet lo era del Bel esprit. La Principessa Maria, che amava il fasto e la rappresentazione, era continuamente circondata da amiche, fra le quali brillava la vivace e loquace marchesa Leonia di Senoncourt: nè mancavano i cavalieri « ses amis, dont le nombre était grand », se dobbiamo credere ad un maligno cronista del tempo. Circolavano canzoni e poesie più che mordaci sulle riunioni di Casa Carignano, e la principessa madre ne formava il principale argomento.
La giovane Luisa Cristina crebbe in questo ambiente, rumoroso, saturo di frivolità e ne succhiò il germe, che doveva poi procurarle tante amarezze.
Divenuta in età da marito, rifiutò ostinatamente diversi partiti vantaggiosi per non lasciare la Corte di Francia, dove la Regina l'aveva nominata sua damigella d'onore, carica ambitissima che le dava molti privilegi.
Però nel 1652 la Corte di Savoia, a cui premeva di collocarla bene, propose come suo sposo il Principe Ferdinando Massimiliano, figlio del Margravio di Baden-Baden, ed assiduo frequentatore dell'Hotel Soissons. Il Principe, che, invaghito delle grazie di Luisa Cristina, l'amava già in segreto, corse in Germania, ed ottenuto il consenso del padre, ritornò in fretta a Parigi, per stringere i nodi, mentre i conti Nomis e Bigliore, per la Casa di Savoia, ed il cav. Krebs, per la Casa di Baden, conducevano a termine i negoziati preliminari ; alla buona riuscita di essi s'interessò assai Adelaide di Savoia, l'Elettrice di Baviera, la quale desiderava vivamente di vedere una consanguinea occupare un altro trono in Germania. Luigi XIV appoggiava pure lui tale unione, e così pure il Re di Spagna per fare piacere a quello di Francia ; rimaneva solo ad osteggiarla per motivi dinastici l'Imperatore.
Alla Principessa bella e spiritosa, malgrado l'humeur moqueuse, il Principe di Baden, pure bello, aitante come persona, conoscitore di parecchie lingue, non dispiaceva.
Le nozze quindi, malgrado le esigenze della madre, la Principessa Maria, nella questione della controdote, vennero sollecitate, e fu la Reggente di Savoia ad affrettarle. Successero peraltro questioni per futili motivi di precedenza fra i vari ambasciatori, che portarono un ritardo di qualche settimana.
Ma finalmente, tutte le difficoltà appianate, il 15 marzo 1653, veniva firmato il contratto di nozze nella camera del Re al Louvre, con grande confusione, narra un testimonio, di dame e di cavalieri, che produssero una ressa straordinaria.
La Duchessa di Angoulème portò lo strascico della Principessa, il cui vestito di tela d'oro, secondo la moda francese d'allora, fece l'ammirazione degli intervenuti alla cerimonia.
La dote di Luisa Cristina venne fissata in cento mila lire date dal re di Francia, e seicentomila date dal padre; delle quali trecentomila subito ed il resto da pagarsi in diverse rate. Di più, il corredo ricchissimo e finissimo era valutato quindicimila scudi.
Il Margravio di Baden regalò alla sua futura nuora il bel castello di Malberg, arredato con molto gusto, ed il dominio di Erbestein. Lo sposo dal canto suo fece le cose con grande liberalità e magnificenza provvedendo arazzi, quadri, carrozze, vasellame, mobili, gioie, ecc., a sazietà.
Finalmente, quasi un anno dopo la firma del contratto, veniva celebrato per procura il matrimonio nell'Oratorio del palazzo di Soissons, presenti i principi del sangue coi loro seguiti. Il Principe Eugenio di Savoia, fratello della sposa, rappresentava il Principe di Baden assente ; benedisse gli sponsali l'Arcivescovo di Ambour (febbraio 1654)
Ferdinando giunse a Parigi in giugno dello stesso anno; ossequiato dall'ambasciatore di Savoia, scese al palazzo di Soissons con un codazzo di domestici in elegantissime livree. L'abate Amoretti, che lo vide, così lo descrisse in una lettera « egli parla bene il francese, meglio l'italiano, compitissimo nel suo procedere ed ha vivacità di spirito ». Alla Corte fece buonissima impressione in tutti coloro, che ebbero modo di avvicinarlo.
Egli contava di trattenersi qualche tempo in Francia, indi fare ritorno in Germania, dove la sua presenza accanto al padre era più che necessaria. Ma gli eventi, come vedremo, disposero altrimenti.
Ferdinando Massimiliano era nato in Baden il 23 settembre 1625 dal prode Margravio Guglielmo e da Caterina Orsola di Hohenzollern, principessa virtuosissima.
I Baden - antichissima famiglia sovrana di Germania - discendevano da un ramo degli Asburgo, erano cattolici ed avevano diritto al titolo di Altezza Serenissima. Il loro Stato, se non vasto di territorio, era assai bene amministrato con ordinamenti equi ed accetti alle popolazioni; posto a confine dell'impero, verso la Svizzera, godeva di molta prosperità. Non era però questa la prima unione matrimoniale fra le due Case di Baden e di Savoia: le relazioni fra le due dinastie erano antiche, risalivano al secolo XV, in cui una figlia del duca Amedeo IX e di Jolanda di Francia, aveva sposato Filippo di Hochberg di Baden. Non molti anni dopo, nel 1528, Filippo di Savoia-Nemours sposava a sua volta la cugina Giovanna di Hochberg; furono matrimoni graditissimi alla due famiglie preludianti alleanze militari e politiche. I Baden diedero infatti valido aiuto al Duca di Savoia Carlo Emanuele I nelle numerose guerre che egli ebbe a sostenere. Nulla dunque di straordinario che Cristina di Francia, Duchessa di Savoia - la famosa Madama Reale - avesse incoraggiate e desiderate queste nozze, che potevano in avvenire dare ottimi frutti.
L'avvenuto matrimonio l'aveva colmata di gioia, che aveva ampiamente manifestata facendo un bel regalo agli sposi.
* * *
Senonchè le cose, nel frattempo, si erano messe male fra i due giovani coniugi: la vita in comune aveva fatto nascere i primi dissapori. L'indole della Principessa capricciosa, dedita a frivolezze ed a chiacchiere galanti, poco s'adattava con il carattere di Ferdinando, serio, di costumi rigidi ed alieno da quella baraonda di festività, che era la Corte francese, dove invece essa amava brillare e far parlare di sè.
L'umore altero, bisbetico della Principessa madre della sposa, concorse a rendere più evidenti, più pronunciate le discrepanze fra i novelli sposi. Il pagamento della dote si feceva aspettare e le spese salivano, per la prodigalità di Luisa Cristina, a cifre sorprendenti.
Da Baden, il Margravio sollecitava il figlio a ritornare in patria con la moglie, la quale invece allegava mille pretesti per ritardare la partenza. I ricevimenti, le feste, le cacce, esercitavano su di essa un'attrazione troppo grande perchè potesse decidersi a rinunciarvi.
Il 9 aprile 1655 dava alla luce un figlio a cui vennero posti i nomi di Lodovico Guglielmo; sembrava che il nuovo legame dovesse unirla di più al marito e consigliarla a seguirlo in Germania, ma non fu così. Rifiutò ancora accampando diverse scuse; la discordia coniugale si inaspriva di giorno in giorno, ed a Parigi tutti ne ridevano. La Corte di Torino non mancò di fare presente alla Principessa che il suo dovere era di partire, ma invano. Ferdinando Massimiliano dovette fermarsi ancora in attesa che la moglie rinsavisse ed il genio malefico della suocera si calmasse.
Di tutto questo trambusto il Principe Tommaso era infastidito e spiacente, ma taceva per non peggiorare la situazione; egli dava pienamente ragione al genero, assai ben voluto da tutti, dice Bally, « pour son esprit, sa civilité et sa probité ». Stanco però di attendere il beneplacito della consorte, il povero Principe si rivolse allora ad Anna d'Austria ed a Mazzarino, nonchè al cognato di Savoia, invocando i loro uffici; ma Luisa Cristina, spalleggiata dalla madre, non volle saperne di partire. Allora Ferdinando Massimiliano perduta la pazienza, dopo un alterco violento con la suocera e la moglie, abbandonava Parigi, portando seco il figlio di pochi mesi.
Si recò dapprima a Vannes, sperando che l'amore materno avrebbe fatto quello che nè la ragione nè i consigli avevano potuto fare. Ma Luisa Cristina non si mosse dall'Hotel Soissons ! Che le importavano il marito ed il figlio, purchè ella potesse rimanere a Parigi a troneggiare ed a farsi ammirare dagli adoratori. Lo scandalo faceva le spese di tutte le chiacchiere della Corte, dove si dava torto alla Principessa. A Torino, la notizia portata da un inviato di Ferdinando, indignò la Reggente Cristina ed il Cardinale Maurizio di Savoia, i quali la invitarono a fare il proprio dovere e ricordarsi dell'onore della famiglia.
Moriva intanto di vaiolo il Principe Emanuele, fratello di Luisa Cristina, ed essa ne traeva nuovo appiglio per non muoversi da Parigi.
Il Principe di Baden, innamorato della moglie, pazientò ancora; la sua indole mite e bonaria lo aiutava a sopportare con dignità questo disappunto coniugale, tanto più che il Margravio aveva mandato a Parigi il suo Gran Cancelliere per vedere di districare la matassa.
Ma dopo la morte del Principe Tommaso di Savoia (21 gennaio 1656) avvenuta all'assedio di Pavia, dove comandava l'esercito gallo-piemontese, e dopo un altro rifiuto di Luisa Cristina, che stavolta allegò il clima freddo della Germania, nocivo alla sua salute, Ferdinando decise di fare ritorno in Germania col figlio. Qui lo fece battezzare con grande solennità e padrino fu il Re Luigi XIV, rappresentato dal marchese di St-Geniez, e madrina una Principessa della famiglia di Baden.
Poco dopo Ferdinando mandava ancora il signor di Brombach, per vedere di interessare la Corte di Savoia ad indurre la moglie a recarsi presso lui.
Luisa Cristina, che con la madre si era portata a Torino per sistemare alcuni interessi patrimoniali, vide tutta la famiglia ducale darle torto, non solo, ma il pontefice Alessandro VII, a mezzo del Nunzio a Torino, non mancò di farle presente in quali pene canoniche ella incorreva con la sua irragionevole condotta, che non aveva attenuanti. Preghiere, consigli, minacce, non servirono a nulla, oramai ella si era impuntata, ed a nessun costo voleva cedere.
Alla Corte di Baden si nutriva la illusione di credere che la Principessa avrebbe tuttavia finito per riunirsi al marito; all'uopo, nel settembre 1657, Ferdinando spedì in Piemonte il colonnello Pardo, suo gentiluomo, a scongiurare la Duchessa di Savoia di ordinare alla recalcitrante consorte di portarsi immediatamente in Germania. Entrò di nuovo in scena l'Elettrice di Baviera, mandando essa pure a Torino un incaricato onde far pressione in questo senso sulla madre, aggiungendo che la condotta di Luisa Cristina aveva fatta cattiva impressione in tutta la Germania, con grave scapito del decoro della Casa Savoia.
Andando però le cose per le lunghe, Ferdinando decideva di recarsi egli stesso a Torino, tanto più che Luisa Cristina, vi si trovava ancora; giunto a Ginevra, trovò un cavaliere d'onore della Duchessa, venuto ad ossequiarlo. Giunse a Torino il 12 dicembre, dove gli venne offerto l'alloggio nel palazzo ducale; rifiutò l'offerta tanto lusinghiera, ed accettò invece l'ospitalità del Nunzio Pontificio.
La Principessa Luisa, però non volendo incontrarsi col marito, era partita da Torino per Pinerolo alcuni giorni prima, dove venne raggiunta quasi subito dall'abate Amoretti, mandatole dalla Duchessa reggente, per trattare un accomodamento. Egli era latore di proposte conciliantissime, che testimoniano dello spirito arrendevole del Principe « più che mai animato dello schietto desiderio di ricongiungersi a quella donna, la cui passione, nè distanza di luogo, nè longanimità, nè asprezza di trattamento erano valse a mitigare » (Claretta).
All'Amoretti si aggiunse poi anche l'abate Buschetti, che minacciò di portare la questione sul terreno legale, ma con poco profitto.
Essa continuò a dare risposte ambigue, a formulare pretese irrealizzabili, che irritarono Madama Reale, la quale invocò l'intervento del cardinale Mazzarino. Il Nunzio, a sua volta, non mancò di farle aspri rimproveri a nome del Papa Alessandro VII, ed il Parlamento di Parigi lasciò chiaramente intendere che avrebbe preso contro di lei provvedimenti severi.
Divenuta invisa alla Corte, Luisa partì da Torino nel luglio 1657, recandosi a Parigi, ove appena giunta venne ricevuta da Anna d'Austria e comparve a feste ed a balli, dimenticando ogni più elementare senso di convenienza.
Nella capitale francese si trovava anche il di lei fratello Eugenio, fidanzato alla troppo bella Olimpia Mancini, nipote del Cardinale Mazzarino: questo matrimonio, osteggiato dapprima dalla Principessa di Carignano, poco mancò non naufragasse. Poi si effettuò con sfarzo quasi regale, e fu accettato solo in vista dei grandi vantaggi finanziari, che alla famiglia ne venivano.
Ferdinando, desolato e ormai sfiduciato di poter far intendere la ragione ad una moglie simile, se ne tornò in patria, ove, unico conforto, gli rimaneva il figlioletto.
Malgrado tanti dispiaceri, continuò a mantenere cordiali relazioni con la Corte di Savoia e con l'Elettrice Adelaide, che volle ringraziare in persona dei buoni uffici interposti, passando appositamente per la Baviera nel viaggio di ritorno.
Giunto però a Karlsruhe, si ammalò e stette per quasi due lunghi mesi in pericolo di vita, senza che la moglie, avvertita dall'ambasciatore di Savoia a Parigi, corresse al suo capezzale.
Essa aveva ben altro da fare ! Con gran treno di servitù seguiva la Corte nel viaggio di Lione per il progettato matrimonio del Re Luigi XIV con la Principessa Margherita di Savoia, unione che peraltro non si effettuò.
* * *
Mentre a Parigi, Luisa, continuava nella solita esistenza folle, porgendo alle gazzette ampia materia di critica e di epigrammi salati, e l'ostilità cresceva intorno ad essa, il Principe Ferdinando non tralasciava di far pratiche per riavere la moglie, scrivendo lettere supplichevoli alla Principessa d'Assia ed agli altri Principi di Savoia. La mediazione proposta dal vescovo di Frejus (1659) venne respinta senz'altro: non soddisfatta ancora aizzò il fratello Eugenio contro il marito, dicendo che voleva averla presso di sè, per poi farla perire ! Poco mancò non avvenisse un duello fra i due cognati.
Passarono diversi anni di silenzio, tanto da una parte che dall'altra; più nessuno voleva interessarsi di una faccenda così delicata e così spinosa da risolvere e che per giunta aveva stancato tutti.
La morte avvenuta nel 1663 di Madama Reale, la Duchessa Cristina di Savoia, sollevò da un gran peso la Principessa che si vide liberata da una potente influenza a lei ostile.
S'ingolfò quindi più che mai nei piaceri e nelle distrazioni, indifferente alla mordacità dei cortigiani, che non la risparmiavano.
L'Hotel Soissons, tramutato in un focolare di ciarle velenose e di maldicenze, non poteva piacere a Luigi XIV che disgustato ordinò alla Baden d'astenersi di frequentare la Corte della Regina. Fu un grave colpo per l'ambiziosa Principessa, e la madre, per solidarietà con la figlia, non comparve neppure più ai ricevimenti del Re, con grande soddisfazione di tutti e specialmente di Olimpia Mancini, che con le due donne non viveva in buona armonia.
La condotta leggera, i discorsi maligni, imprudenti della Baden erano le sole cause del castigo reale.
Tutto questo non poteva piacere al Principe Ferdinando, ma oramai egli era rassegnato, vivendo unicamente pel figlio prediletto, che cresceva bello e forte, e sul quale riposavano le speranze della sua Casa.
Si occupava col padre del governo dello Stato e della politica generale della Germania, ma purtroppo i suoi giorni erano contati, benchè godesse florida salute. Un tragico ed impreveduto accidente doveva toglierli la vita.
Il giorno 30 settembre 1669, mentre egli si trovava in carrozza con l'Elettore Palatino a Eidelberga, per recarsi ad una partita di caccia, un colpo echeggiò sinistramente d'improvviso dal suo fucile e due palle lo colpirono, una allo stomaco, e l'altro ad un braccio.
Trasportato immediatamente al castello, stette nove giorni in agonia, essendosi sviluppata la cancrena; l'8 ottobre seguente, egli moriva fra atroci sofferenze non senza aver perdonato alla moglie, ed invocando il figlio che si trovava lontano in guerra sotto gli ordini del famoso Montecuccoli.
Sembrava fatalità: già un suo zio Alberto Carlo, ed un fratello Guglielmo Cristoforo, canonico di Colonia, erano morti della stessa maniera nel 1626 e nel 1652.
Il Margravio Guglielmo s'affrettò a dare notizia del decesso del figlio a Torino ed a Parigi, invitando la nuora a venirlo a raggiungere.
Luisa Cristina non rispose nemmeno, benchè il fratello Eugenio la spingesse ad aderire alla richiesta dello suocero; prese il gran lutto e si accontentò di restare chiusa nel palazzo per 30 giorni consecutivi.
* * *
La morte del Principe Ferdinando diede luogo a litigi fra la Principessa ed il Margravio, a motivo dell'eredità del defunto: litigi che continuarono poi col figlio, allorchè questi nel 1677 successe al nonno nel governo dello Stato. Lodovico Guglielmo, che per la madre non poteva nutrire tenerezza, tenne duro contro le eccessive pretese dell'Hotel Soissons, ed alla genitrice non volle passare che una pensione annua di dodici mila scudi. Tranne questi rapporti di interesse, altri non ne passarono fra loro, nè la madre cercò di vedere il figlio, nè il figlio di conoscere la madre.
La vita che ella continuava a condurre a Parigi non era fatta per soddisfarlo, e non mancò di fargliene rimostranze, tanto più che sapeva per mezzo dei governatori di Malberga e di Strasburgo, faceva spiare ogni suo atto. A Parigi, infatti, Luisa Cristina, libera anche dalla soggezione morale per quanto lontana del figlio, continuava a condurre la stessa esistenza di prima, malgrado l'età non più giovane. Incorse una seconda volta nel corruccio del Re, avendo voluto accasare il nipote Carlo Emanuele, il sordo-muto di Savoia, con Caterina d' Este, mentre Luigi XIV voleva dargli per moglie una francese. Venne perciò esiliata a Rennes (1685) ove non stette che pochi mesi, avendo ottenuto il perdono grazie all'intervento del Duca di Savoia. Tornata a Parigi, il Re la ricevette ed ella ripopolò il palazzo di Soisson di tutte le male lingue della capitale.
Mentre, incorreggibile Luisa Cristina, s'occupava di ordire cabale contro la Corte, suo figlio Lodovico si comportava da prode soldato nelle guerre d'Ungheria ed il suo nome si elevò a fama mondiale. La Corte di Torino mantenne con lui cordiali relazioni di parentela come ne fanno fede
parecchie lettere, pubblicate dal Claretta, dirette dal Principe di Baden al Duca di Savoia.
Con la madre invece i rapporti furono sempre di fredda ufficiosità; a Torino poi non si erano dimenticati tutti i guai ed i dispiaceri, che la sua condotta aveva procurato alla famiglia, e la si era lasciata in disparte: nessuno più si occupava di lei. Vecchia ormai, ma non stanca di pettegolezzi, moriva il 7 luglio 1689 a Parigi, rimpianta soltanto dalla madre, che le sopravvisse tre anni ancora.
Il suo corpo venne sepolto nella Certosa di Gaillon in Normandia, ove erano le tombe dei Carignano, profanate poi dalla Rivoluzione.
Lodovico Guglielmo, Margravio di Baden, che nel 1690 aveva sposato Augusta di Sassonia Lauenburgo, decedeva il 4 gennaio 1707, generalissimo degli eserciti imperiali, ed il suo nome brilla di fulgida gloria negli annali della storia di Germania.


ADELAIDE ENRICHETTA DI SAVOIA
Elettrice di Baviera ( 1636 - 1676 )
Nacque Adelaide Enrichetta in Torino il 6 novembre 1636, da Vittorio Amedeo I, Duca di Savoia, e da Maria Cristina di Borbone, detta Madama Reale.
Era l'ultima ed era gemella ad una sorellina, morta dopo poche settimane.
Correvano giorni tristi per il Piemonte: una guerra spietata, alla quale il Duca, valorosissimo, cercava di porre un freno, teneva lo Stato in perpetua agitazione.
Adelaide non aveva ancora compiuto il suo primo anno di vita che già era orfana di padre.
Vittorio Amedeo I, principe prode, guerriero intrepido, moriva il 17 ottobre 1637 in Vercelli, subito dopo la vittoria di Mombaldone, non senza sospetto di veleno datogli dai francesi, suoi alleati, invidiosi della sua fama. Questa morte fu causa per il misero Stato di una serie infinita di calamità, una peggiore dell'altra.
Erede del trono era un fanciullo di cinque anni, Francesco Giacinto, malaticcio destinato a breve vita. Reggente dello Stato, la madre, invisa a Francia ed a Spagna, per la energia dimostrata nell'assumere le redini del governo.
Il 4 ottobre 1638 moriva Francesco Giacinto, ed a lui succedeva il fratello Carlo Emanuele II, in età di anni quattro sempre sotto la tutela della Duchessa.
Ambiziosi ed irrequieti, i fratelli del defunto Duca Vittorio Amedeo I, il Cardinale Maurizio ed il principe Tommaso, pretesero entrambi avere parte nella reggenza. La Duchessa rifiutò, non fidandosi dei cognati, i quali scatenarono sul Ducato la più terribile guerra civile, che abbia mai visto il Piemonte. Maria Cristina, insidiata da tutte le parti, tenne testa con coraggio all'uragano. Per maggior sicurezza mandò i figli in Savoia, sotto buona scorta di amici devoti, a capo dei quali stava il conte di Ceva, gentiluomo di indubbia fedeltà di coraggio a tutta prova.
I giovani Principi Carlo Emanuele, Luisa, Margherita ed Adelaide, risiedettero dapprima a Chamberì, poi a Montmelian, due fortezze lontane da possibili colpi di mano dei nemici.
* * *
La guerra civile intanto continuava più deplorevole, più accanita che mai: tutte le piazzeforti dello Stato cadevano una dopo l'altra in potere di amici e di nemici. Torino, nella cui cittadella si era rinchiusa la Duchessa, veniva assediata dai francesi e dagli spagnoli (1640). Tutti volevano avere in ostaggio l'intrepida principessa: la Francia con le lusinghe e la Spagna con le minacce. Finalmente si venne ad un accomodamento, preludio della pace, che venne firmata dalla Duchessa e dai cognati, i quali ebbero parte nell'ambita reggenza (1642).
Il giovane Duca rientrava pochi mesi dopo in Torino, ma le tre principessine continuarono a rimanere in Savoia, dove la Duchessa provvide a mandare tre governanti, scelte tra le più virtuose gentildonne della Corte, ed alcuni buoni precettori, destinati a formare la loro educazione.
Quando nel 1648, cessato ogni pericolo e deposta la reggenza, Maria Cristina fece venire a Torino le tre figlie, ADELAIDE, quantunque meno avvenente di sua sorella Luisa, era un fiore di grazia e di vivacità, talchè si pensò subito a maritarla convenientemente. I pretendenti non mancavano, specialmente fra i principi italiani, ma nessuno soddisfaceva pienamente le ambizioni della madre, che per questa sua figliuola prediletta sognava un trono illustre. Il pensiero di maritarla a Luigi XIV passò per la mente della Duchessa, ma avendo tastato in proposito il terreno alla Corte di Francia, la Reggente Anna d'Austria aveva fatto intendere d'avere altre idee.
In questo tempo intanto erano giunte buone proposte a Torino per parte della Casa Elettorale di Baviera, Stato che allora contava molto nella bilancia degli affari dell'impero.
Non era la prima alleanza di famiglia fra le due Case nel corso del secolo XV due principesse di Savoia erano entrate nella Casa di Wittelsbach.
Maria Cristina lusingata assai da questa domanda, chiese qualche settimana per riflettere. Verso la fine d'ottobre del 1649 giungeva a Torino il Conte Massimo Von Lurtz per prendere la risposta che fu, come ognuno può immaginare favorevole. Egli allora presentò le credenziali di Inviato Straordinario di Baviera, alla Duchessa ed al giovane Duca, che lo accolsero coi più grandi onori. Ufficialmente egli chiese la mano della Principessa Adelaide, in nome dell'Elettore Massimiliano I, per il di lui figlio Ferdinando, nato il 31 ottobre 1636.
Narra la Signora Gemma Giovannini nel suo bel libro sulle Donne di Casa Savoia : «Il 1° dicembre ebbe luogo la scritta nuziale, ed il dì successivo il Lurtz presentò al Duca Carlo Emanuele la procura del Principe Ferdinando e gli rimise l'anello matrimoniale, quindi offrì alla fidanzata in nome dello sposo, un ricco gioiello di diamanti, alla Duchessa ed al Duca altri splenditi doni ».
Se la Casa di Savoia era lusingata di tale parentado illustre, a sua volta la Casa Elettorale Bavarese teneva nolto a tale unione, per scopi politici e militariì: cose che avevano assai agevolato le trattative da ambo le parti.
Torino vide allora feste magnifiche degne della tradizionale signorilità italiana. Giostre, luminarie, balli e tornei, deliziarono il popolo accorso da tutte le parti dello Stato per assistere agli sponsali. Il giorno 8 dicembre 1649, nella Chiesa Cattedrale di Torino, venivano celebrate con straordinario lusso le nozze per procura fra la «Serenissima Principessa di Savoia ed il Principe Ereditario di Baviera ». Condotta all'altare dal fratello e dal Nunzio Pontificio, in un ricchissimo abito cosparso di ricami d'oro e d'argento, Adelaide Enrichetta era la vera immagine della regalità.
Terminata la cerimonia fra il lieto suonare di tutte le campane della città ed il rombo dei cannoni, alla sera essa presiedette ad un grande banchetto dato a Corte in suo onore.
Questo matrimonio che suggellava la fine di tante discordie ed apriva al Piemonte un'era di felice tranquillità col regno del mite Carlo Emanuele II, diede l'avvio ad infiniti componimenti: musica, drammi e madrigali, il tutto inneggiante alla graziosa ed avvenente sposina di tredici anni.
Stante l'estrema giovinezza degli sposi - avevano la stessa età - fu deciso che Adelaide rimanesse ancora per qualche tempo a Torino. Trascorsero difatti tre anni prima di riuscire a conoscere lo sposo di cui non aveva visto l'effigie solo nei ritratti inviatile. Questo tempo lo occupò nello studio della lingua e della letteratura tedesca a lei necessari per poter figurare bene presso il consorte.
Morto nel 1651 l'Elettore Massimiliano I ed assunto al trono il Principe Ferdinando sotto la tutela dello zio Principe Alberto, la partenza di Adelaide da Torino venne fissata nel maggio 1652. Non senza lacrime essa abbandonò il suo Piemonte - che non doveva più rivedere - la famiglia e le amiche a lei care. Accompagnata dalla madre e da tutta la Corte fino a Moncalieri, dove furono scambiati gli ultimi saluti ed abbracci fra un'indicibile commozione, la Duchessa consegnò la figlia al Conte di Lurtz, giunto pochi giorni prima per condurla in Baviera. Seguita da uno stuolo di dame e cavalieri savoiardi e bavaresi, dal medico e dal confessore, Adelaide si avviò in preda ai più disparati pensieri verso la sua nuova patria.
Mai, forse, pianto di principessa fu più amaro del suo, nel separarsi dai parenti ! Il viaggio fu triste: i saluti, e gli omaggi che le borgate e le città del Piemonte, che essa attraversava, le porgevano, erano tante spine al suo cuore. Entrata nello Stato Bavarese, non valsero a distrarla, a rasserenarla le feste in suo onore: tutti i borgomastri la complimentavano con magnifici discorsi d'occasione, a cui essa doveva rispondere: tutti andavano a gara nell'offrire doni, eppure essa non era contenta!
Il paese, gli usi, la lingua, il cibo, tutto era a lei uggioso ! Voleva ritornarsene in Piemonte, e ci volle tutta l'autorità del suo confessore a farla desistere da una simile idea di fanciulla capricciosa e romantica.
Per fortuna a Kufstein le venne incontro lo sposo, seguito da una scorta di eleganti cavalieri. Entrambi giovani e belli, simpatizzarono subito e si amarono. Da questo punto il viaggio fu meno noioso, dirò anzi fu lieto e festoso.
Giunta finalmente a Monaco fra l'entusiasmo della popolazione, venne accolta dalla Famiglia Elettorale con la massima cordialità e benevolenza. La benedizione delle nozze racconta il Merkel, venne data senza alcuna solennità, la sera del 25 giugno dal cappellano di Corte, alla presenza dei parenti dello sposo e di pochi intimi, nella chiesa del Palazzo.
Il motivo della nessuna solennità anzi della quasi clandestinità di questa cerimonia, che in altri paesi assume le proporzioni di un grande avvenimento, va ricercato nel pregiudizio, allora vigente e diffuso in Baviera, che qualcuno - nemico, s'intende - informato del giorno e dell'ora del matrimonio non facesse qualche malefizio.
Benchè circondata da cure premurose e dall'affetto dello sposo i primi mesi non furono lieti per Adelaide, oppressa com'era da una perenne nostalgia, che spesso la faceva piangere. Abituata alla Corte elegante di Torino, dove il buon gusto ed i modi francesi trionfavano, essa non sapeva adattarsi alla compassata etichetta teutonica, pesante e fastidiosa, per cui passava le giornate con le persone intime venute con lei da Torino, il dottore Bezzola, suo medico, il Cav. Pistorini, suo intendente, la Marchesa Caretti, ed alcune altre damigelle.
Le sue lettere alla madre sono un lamento continuo lo sposo d'indole piuttosto taciturna mal s'accoppiava con l'esuberante vivacità di Adelaide: la suocera arcigna ed invadente, la teneva in una soggezione molesta. La Duchessa Maria Cristina s'impensierì di uno stato di cose simili e scrisse alla figlia, parecchie lettere, rimproverandola severamente e ricordandole i suoi doveri.
Stralcio il seguente brano da una di queste lettere, che dimostra quale spirito avveduto fosse Madama Reale, di solito così calunniata dagli storici
« Procurare di conoscere bene il carattere dello sposo e, conosciutolo, studiare di farsi amare, mantenendo per altro sempre una qualche modesta severità, dimodochè la troppa facilità non declini nello sprezzo".
« Farsi amare e stimare dalla suocera, con la quale dovranno passare tutte quelle dimostrazioni di stima, di affetto e di riverenza, che possono essere bastevoli per levare ogni impressione che essa potesse concepire, di mutazione di governo e di autorità".
« Rendersi infine capace della cognizione degli affari dello Stato; che danaro accumulato, che entrate, che spese, che aderenze, che parentele, che obblighi, che amicizie, che sudditi, ecc. Nelle simpatie politiche mostrarsi indifferente, ma totalmente indirizzata al vantaggio del marito ».
Questi consigli fecero il loro salutare effetto ! I lamenti, le insofferenze di Adelaide cessarono come per incanto. Premurosa col marito, che assecondò in tutte le imprese, gentile con la suocera, con la quale visse poi in buona armonia, si occupò di letteratura e d'arte, provocando uno sviluppo intellettuale in tutto lo Stato.
Si dedicò alla lettura ed allo studio dell'arpa, che prediligeva, patrocinando con intelligenza la musica, specialmente quella di chiesa, chiamando a dirigere la cappella di Corte, il famoso Ercole Bernabei di Caprarola, Direttore della Cappella Giulia in Vaticano ed autore di pregevoli composizioni sacre.
Gli studi classici - latini in special modo - ebbero da lei un notevole impulso: la poesia pure venne coltivata con amore, e in breve la Corte di Monaco divenne un centro artistico, che sparse i suoi benefici raggi in tutto il sud della Germania. Mentre prima si annoiava, ora invece il tempo scorreva fin troppo veloce. Sempre ormai d'umore gioviale essa fu amata sinceramente da tutti. Per merito suo si rinnovarono nella Baviera gli splendori del Rinascimento !
Benchè adorata dallo sposo, ancora qualche cosa mancava alla sua felicità: un figlio ! Di questa sterilità essa era inconsolabile !
Gli affari di Stato la interessavano pure vivamente, ed allorchè nel 1658 morì l'Imperatore Ferdinando, fratello di sua suocera, essa non tralasciò, a mezzo del Conte di Furstemberg, di brigare, affinchè la Dieta eleggesse suo marito Imperatore, dignità che la Casa di Baviera aveva già altre volte avuta. Senonchè caduta gravemente ammalata, il progetto che avrebbe dovuto porre sul suo capo e su quello del consorte la Corona Imperiale, naufragò e di tale scacco rimase addoloratissima.
Guarita dopo lunghi mesi, andò per rinfrancarsi ai bagni di Heilbrum, da cui trasse non lieve giovamento. La sua permanenza fu così gradita alla popolazione, che da quell'epoca i bagni si chiamarono Adelheindsquelle. Dopo lunghe attese accennò a divenir madre, ed il 28 novembre 1660 dava felicemente alla luce una bambina, la quale fu in seguito la Delfina di Francia.
Ormai sulla china della maternità, poco più di un anno e mezzo dopo dava alla luce un maschio (10 luglio 1662), del quale fu padrino il Duca di Savoia, ed a cui vennero imposti i nomi di Massimiliano Emanuele.
Per questa nascita, che assicurava l'eredità del trono, vi fu grande esultanza tanto alla Corte che nel Paese, ed Adelaide si vide circondata da quel prestigio che ancora mancava al suo amor proprio, e ne aumentò la considerazione presso i sudditi. Prese sul marito, di carattere debole e d'intelligenza mediocre, un grande ascendente e lo dominò completamente. Nessun affare politico oramai si trattò, senza il di lei intervento, nessun impiego venne dato, senza il di lei consenso. Molti posti ben retribuiti, essa volle fossero concessi a compatrioti, cosa, che fece mormorare un po' i cortigiani, i quali però finirono poi per quietarsi.
Senonchè la sua salute ricominciava ad inquietare il consorte ed i famigliari: essa deperiva visibilmente in preda continuamente ad una strana malinconia. Ad aggravare il suo stato giungeva la notizia da Torino della morte della Duchessa Maria Cristina; fu un colpo fortissimo per Adelaide, che per la madre nutriva la più grande venerazione. La sua salute peggiorò ed i medici, consultati, le consigliarono le acque di Battaglia nel Veneto.
Fu un sollievo per l'Elettrice il pensiero di rivedere l'Italia; si rinfrancò alquanto, ed essendo prossima a diventare nuovamente madre, il viaggio venne, per ogni prudenza differito. Nacque un altro maschio che al fonte battesimale ebbe i nomi di Giuseppe Clemente.
Al fine, vinte tutte le titubanze, la Corte Bavarese, nell'aprile del 1667, si poneva in viaggio per l'Italia giungendo non lungi da Battaglia, a Padova verso la metà di maggio seguente. La principessa sabauda fu assai festeggiata dagli inviati della Serenissima Repubblica Veneta, la quale mise signorilmente a disposizione degli ospiti illustri il castello di Cattaio che apparteneva agli Obizzi, ed era una vera reggia, delle più ridenti.
La cura ed il cielo d'Italia volsero propizi per la salute dell'Elettrice ; dopo poche settimane poteva dirsi completamente ristabilita. Qui la prese il desiderio di rivedere la sua Torino, ma le rivalità tra la Francia e l'Impero avendo fatto scoppiare le ostilità, essa dovette rinunciare al piacere lungamente bramato di incontrarsi col fratello Carlo Emanuele, il quale però, essendo affezionatissimo alla sorella, le fece l'improvvisata del suo arrivo al Cattaio, avendo viaggiato in incognito col titolo di Marchese di Susa.
Dopo quattordici anni si rivedevano ! e non è a dirsi la soddisfazione reciproca che provarono: furono per antrambi giorni di grande gioia. Rimessa completamente in salute, il 26 luglio Adelaide col marito e tutta la Corte, dopo aver salutato il fratello, lasciava il Cattaio per ritornare a piccole tappe in Baviera. Oramai abituata agli usi tedeschi essa rientrava volentieri nella Reggia di Monaco a riprendervi le sue occupazioni predilette ed a curare l'educazione dei figli, ai quali non dimenticò di insegnare la lingua italiana.
Quelli che seguirono furono anni tranquilli, di felicità e di pace ! Spinse il marito ad una politica di riavvicinamento con la Francia per garantirsi delle insidie della Casa d'Austria, e nel febbraio 1670, l'alleanza difensiva fra i due Stati era un fatto compiuto. Fra i patti segreti del trattato, venne stabilito un ingrandimento territoriale della Baviera, sussidi in denaro, e la promessa di matrimonio fra la primogenita dell'Elettore e l'erede della Corona di Francia.
Il 24 gennaio 1673 dava alla luce ancora una principessa, che si chiamò Violante, e fu un nuovo sprazzo di letizia nella vita dell'Elettrice, che dalla soavità degli affetti di famiglia ritraeva il maggiore conforto.
L'anno seguente il suo coraggio venne messo a dura prova: essendosi sviluppato un terribile incendio nel palazzo reale, dimostrò una straordinaria presenza di spirito nell'opera di salvataggio, tanto da meritarsi lodi entusiastiche dagli uomini preposti a spegnere il fuoco. Lo spavento però provato per questo fatto, e l'arrivo di un corriere che portava la notizia del decesso del Duca Carlo Emanuele II (1675) influirono talmente sul suo organismo delicato, che la sua salute cagionevole ne fu tristemente scossa. Colpita da una di quelle incurabili malattie di languore essa moriva serenamente il 18 maggio 1676 a soli quarant'anni, lasciando nella più grande desolazione la famiglia.
Il marito, Principe Ferdinando, al quale fu proposto di passare a seconde nozze con la vedova Regina di Polonia Eleonora d'Austria, non le sopravvisse che tre anni. Morì il 26 maggio 1679 a Schleinheim. Dei tanti figli avuti - sette - quattro soli rimasero a piangere i genitori.
- Maria-Anna, sposata nel 1680, secondo le stipulazioni del trattato su accennato - benchè fosse stata pure chiesta dal Re di Spagna - a Luigi di Borbone, Delfino di Francia;
- Massimiliano-Emanuele, che fu celebre capitano, amantissimo dell'Italia ed iscritto al patriziato di Venezia;
- Giuseppe Clemente arcivescovo ed Elettore di Colonia, poi vescovo di Liegi,
- e Violante Beatrice, sposata a Ferdinando de' Medici, Gran Principe di Toscana.
Adelaide-Enrichetta di Savoia, fu principessa colta e gentile. Di lei, che amava la poesia con entusiasmo, ci rimangono alcuni componimenti a stampa non privi di sentimento e di grazia. Estremamente pia, lasciò molti legati a fondazioni religiose di Monaco, da lei erette, quali la Chiesa dei Teatini, un ricovero per donne nubili, ecc. Scrisse anche diversi lavori ascetici: una « Vita di San Gaetano », una «Raccolta di devote orazioni » ed altri ancora.
In Baviera essa fu lungamente popolare, avendo saputo farsi amare per la bontà caritatevole del cuore e per le doti della mente; ella fu pianta e nei fasti della storia della sua nuova patria, il suo nome è ricordato con simpatia, sebbene i bavaresi le rimproverino lo spirito fastoso, che la trasse a fare spese esagerate per la Corte, ch'essa volle splendida e grandiosa e il suo intervento autoritario nella politica del paese.


MARIA FANCESCA ELISABETTA DI SAVOIA
Regina di Portogallo ( 1646 - 1683 )
Il Portogallo, che nel 1521 aveva dato alla Savoia una Duchessa nella persona della bellissima e virtuosa Beatrice, sposa a Carlo III detto il Buono, riceveva a sua volta, nel 1666, dalla Casa di Savoia una Regina.
Questa fu Maria Francesca Elisabetta figlia di Carlo Amedeo di Savoia Duca di Nemours e di Elisabetta di Borbone Vendóme, nipote di Enrico IV, Re di Francia.
Nacque a Parigi - dove la famiglia risiedeva - il 21 giugno 1646, di qualche anno minore di un'altra sorella, Giovanna Battista.
Poco ci è noto dei primi anni della principessa, destinata a cingere un giorno la corona portoghese; bambina di sei anni, le fu tolto il padre, da tragica morte.
Carlo Amedeo valoroso soldato, che si era distinto in vari combattimenti, e notissimo frondeur, era di carattere superbo ed irascibile; venuto a contesa col cognato, il celebre duca di Beaufort, a causa della duchessa di Chàtillon, della quale entrambi si disputavano il cuore, lo sfidò a un duello alla pistola, dopo di averlo insultato e preso a schiaffi.
Narra Madamigella di Montpensier, nelle sue celebri Memorie, che giunti sul terreno, il Beaufort scongiurò il Nemours a non addivenire al duello, con queste nobili parole : « Ah mon frère, quelle hónte ! Oublions le passé, soyons bons amis ! ».
Ma Carlo Amedeo fu irremovibile e rispose : «Ah coquin ! il faut que je te tue ou que tu me tues ! ».
E sparò non colpendo l'avversario. Irato, mirò giusto il duca di Beaufort, e tre palle freddarono il duca di Nemours. Il fatto, che fece molto rumore in Europa, avvenne su di una pubblica piazza dl Parigi il 30 luglio 1652, dietro il Palazzo Vendome, alla presenza dl numerosi gentiluomini. Questo avvenimento luttuoso diede pretesto al re Luigi XIV per emanare editti severi contro i duelli.
Orfane di padre le due sorelle vennero poste, secondo il P. D'Orleans in un istituto dl suore per qualche anno, poi ebbero la loro educazione sotto la sorveglianza della madre, donna dl sentimenti religiosi e dotata di molto buon senso. Ricevettero un'istruzione, sotto ogni rapporto compita, e la loro apparizione a Corte fu assai festeggiata.
Nel 1659, con la madre e la sorella, si recarono a Annecy per il trasporto della salma dl Carlo Amedeo nel sepolcro dl famiglia; poi dalla Savoia andarono a Torino ad ossequiare la Reggente Maria Cristina, che le accolse con ogni distinzione, ed in loro onore diede feste al Valentino, a Mirafiori, e a Stupinigi. Pare che durante questo viaggio, il giovane Duca Carlo Emanuele II, sl sia invaghito della maggiore delle cugine, Giovanna Battista, che cinque anni più tardi doveva fare sua sposa.
Morta peraltro la madre, il 27 dicembre 1663, lo zio duca dl Vendóme prese cura delle due nipoti, e pensò di accasarle degnamente.
Infatti l'anno dopo diede in sposa la prima, Giovanna Battista, al Duca dl Savoia, Carlo Emanuele II, ed in quanto a Maria Francesca, continuò le trattative già iniziate dalla vedova duchessa dl Nemours, per darla al Re di Portogallo Don Alfonso VI. Fu il Cardinale d'Estrées, coll'approvazione del Re di Francia, a condurre il negozio a buon fine: anche il vescovo di Laon, vi ebbe parte non indifferente, mentre l'Agente di Savoia a Parigi si manteneva neutrale. Alla Corte di Torino, avrebbero visto più volentieri un accasamento con Carlo Duca di Lorena, ma siccome Luigi XIV, per particolari interessi politici, propendeva per il Portogallo, così la Duchessa di Savoia dovette piegarsi. A trattare il matrimonio venne appositamente da Londra l'Ambasciatore portoghese, marchese di Sande, con parecchi segretari. Maria Francesca che in quel tempo si chiamava Madamigella d'Aumale, rappresentava uno dei più ricchi ed ambiti partiti, essendo la famiglia Savoia-Némours, proprietaria di vaste estensioni di terreni, di palazzi e di castelli in Francia, nella Savoia ed in Piemonte. A Lisbona si aveva bisogno di denaro, per cui si cercò di affrettare la conclusione del matrimonio; finalmente il 24 febbraio 1666, veniva firmato il contratto di nozze, che fissava la dote della Principessa in 600 mila scudi francesi, da suddividersi così: 400 mila in contanti ed il resto in effetti di corredo.
Con questo matrimonio il Re di Francia, riusciva a riacquistare il ducato di Nemours e la contea di Gisors per un milione di lire tornesi; anche il palazzo sito in Parigi veniva venduto per 260 mila lire. La citata Madamigella di Montpensier sempre maligna, quando parla d'altre donne, racconta nelle sue «Memorie» che la principessa la quale amava il bel duca di Lauzun, non aveva potuto sposarlo per mancanza di dote. Si sa che Madamigella parlava per proprio conto: ricchissima, ma non giovane, sposò poi essa il duca del quale era innamorata.
Non molto bella, ma spiritosa, risoluta, ed energica, d'animo generoso, incline alla gratitudine ed all'amicizia, favorita dalla natura di brillanti qualità intellettuali, Maria Francesca aveva ispirato a diversi principi della Corte non dubbie simpatie. Avrebbe pertanto preferito un matrimonio, che le permettesse di soggiornare in Francia; il suo fidanzamento col sovrano portoghese non la lusingò molto. Sapeva il suo futuro marito essere un inetto, di umore triste ed irascibile, benchè di figura aperta e gradevole, tutto dedito ai giuochi ed ai vizi, per cui la prospettiva non era lieta per lei, e tutti la compiangevano. Non fu che col più grande rammarico che essa lasciò Parigi il 25 maggio dopo la visita di congedo fatta al Re, e definitivamente poi la Francia, dirigendosi verso il lontano Portogallo, paese a lei sconosciuto, per lingua, usi e tradizioni.
L'accompagnavano nel viaggio il duca di Estrées, la Duchessa di Vendóme col figlio, il marchese di Sande, il conte di Carroccio Inviato Savoiardo e parecchi altri gentiluomini francesi e savoiardi, alcuni prelati ed una numerosa servitù.
Fu un viaggio triste, e non valsero a rallegrare la Principessa i ricchi doni ricevuti per l'occasione. Il Re Luigi XIV le aveva regalato un magnifico cocchio che le servì per il viaggio e che si ammira ancora oggi nel museo di Lisbona, tutti i principi e le principesse della Corte, e i Duchi di Savoia, a loro volta, le avevano fatto magnifici presenti.
Il viaggio fino alla Roccella, città fissata per la celebrazione delle nozze per procura e porto d'imbarco, non fu che un seguito di onori e di feste. Il 27 giugno, Maria Francesca circondata dal suo seguito, al quale si era aggiunta tutta la nobiltà della Rocella, ricevette in solenne udienza il marchese di Sande che la complimentò a nome del suo Sovrano. Poi il vescovo di Laon, celebrò il matrimonio, essendo il Re Alfonso rappresentato dal duca di Vendóme: funsero da testimoni il duca di Navailles, investito del carattere di Ambasciatore del Re di Francia, i duchi di Lande e di Noirmoutiers, ed un gentiluomo del Re d'Inghilterra. Il 4 luglio seguente, preso commiato dalle autorità e dalla duchessa di Vendóme, la Principessa ormai Regina, s'imbarcava malgrado il mare agitato, sulla capitana comandata dall' ammiraglio di Louvigny, che spiegò subito le vele verso le coste lusitane, seguìta da dieci altre galere.
Alfonso VI, figlio del Re Giovanni IV e della Regina Luisa di Guzman, era di tre anni circa maggiore di lei, essendo nato il 21 agosto 1643. Rimasto orfano egli pure di padre in tenera età, per lui aveva governato la madre fino al 1662, ed era stato per il Portogallo un governo saggio ed equilibrato.
Malgrado gli sforzi della madre, il giovane Re era cresciuto dissoluto, intemperante fumatore e bevitore, plebeo e rozzo, tutto dedito alle cacce ed alle corse dei tori, completamente dominato da favoriti astuti ed intriganti, quali Cesare de Menezes, il conte di Castelmelhor e un certo Antonio Conti, che la Regina madre aveva però finito col fare esiliare in Brasile. Il Claretta afferma che Alfonso VI, non sapeva nè leggere nè scrivere e nella sua ignoranza odiava la madre ed il fratello D. Pietro.
Fu allora che pensò a dargli moglie e la scelta cadde sulla Principessa Maria Francesca di Savoia-Nemours, di cui l'ambasciatore francese a Lisbona possedeva un ritratto che ne faceva risaltare le grazie e l'avvenenza.
Le trattative non furono brevi, durarono quasi due anni, a motivo degli intrighi dei favoriti, che non vedevano con piacere lo stabilirsi sul trono portoghese, di una principessa dotata di leggiadria e di coltura. Sarebbe stata la fine del loro regno. Finalmente superati tutti gli ostacoli e stabilito ogni cosa con le Corti di Parigi e di Torino, le nozze venivano fissate per la primavera del 1666, come si è visto. La Regina Luisa di Guzman non potè però vedere il compimento di questo matrimonio, da lei ardentemente desiderato, poichè essa moriva improvvisamente il 27 febbraio dello stesso anno.
Giunse Maria Francesca a Lisbona il 2 agosto, dopo aver toccato Cascais, e dopo un viaggio lungo e disagevole, non scevro di pericoli, poichè la flotta spagnuola, saputo del passaggio della Regina voleva impedirlo con la forza.
Venne ricevuta dalle autorità, dal clero e dal popolo con le più grandi manifestazioni di allegria; il Re, l'Infante D. Pietro, le mandarono a bordo ricchi presenti, poi si recarono a baciarle la mano, e l'invitarono a discendere a terra su di un brigantino superbamente intagliato, adorno di bandiere, di arazzi e di cuscini. La Regina accompagnata dal consorte, dal cognato e dalle grandi cariche della Corte, venne condotta nella chiesa di S. Clara dove il vescovo di Targo, diede agli sposi la benedizione nuziale, indi i sovrani si recarono a trascorrere la loro luna di miele nella deliziosa villa di Alcantara.
Graziosa di figura, imponente, elegante, essa fu amata ed esercitò un vero fascino su quanti l'avvicinarono. Nello sposo invece - cieco strumento di un prepotente favorito, il conte di Castelmelhor - non trovò nè simpatia, nè affetto, ma disprezzo e insulti. E questo solo dopo un mese di matrimonio !
Troppo debole per lottare col conte, se ne fece un amico e per mezzo suo ottenne un aumento di appannaggio, e l'ingresso nel Consiglio di Stato. Sentendosi oramai forte, cercò di farlo sostituire dal duca di Cadaval a lei favorevole, e come scrive il Claretta « al fine di attirarsi tutta l'autorità possibile, senonchè come il Conte potè persuadersi che Maria Elisasabetta, guidata da viste ambiziose ed aliena dal tollerare tanto giogo, fosse fuori di sè e si tenesse delusa nel concetto, che nutriva di potere con la sua bellezza, coll'ingegno e coll'ardire insignorirsi facilmente dell'imbecille monarca, allora ogni suo studio fu di allontanarla non solamente dalla confidenza di Alfonso, ma sebbene da qualsivoglia affare, al punto che di lei più non si faceva alcun caso, nè alle sue istanze si dava ascolto ».
Abbandonata totalmente dal marito, ingolfato più che mai nei vizi e noncurante della propria dignità, Maria Francesca si chiuse in un dignitoso riserbo meditando la rivincita. Non era donna da subire in silenzio affronti di questo genere.
Intanto la prepotenza del favorito conte di Castelmelhor - unita alla improntitudine del Re - aveva raggiunto un punto tale, che i Grandi del regno, capitanati dall'Infante D. Pietro, il quale godeva molta popolarità per le sue vittorie contro gli spagnoli, promossero in tutto il paese una seria agitazione.
Soffiavano nel fuoco la Regina, il conte di Schomberg, generale delle truppe estere al servizio del Portogallo, i padri gesuiti, il Cavaliere di San Romano, ambasciatore del Re di Francia, nonchè il conte di Piossasco, Inviato Savoiardo, tutto dedito agli interessi di Maria Francesca. Il 31 agosto 1667, il segretario di stato Souza, anima venduta del Castelmelhor veniva esiliato, seguito poco dopo nell'esilio dal Castelmelhor stesso. Furono due grandi trionfi per la Regina, che spaventarono il Re il quale pentitosi di avere allontanato il suo consigliere fidato, ebbe un momento l'idea di abdicare e di rifugiarsi in Inghilterra.
Era il principio dell'espiazione delle sue colpe e delle sue stravaganze: abbandonato da tutti, sentiva la sua rovina avvicinarsi senza avere la forza di reagire. Il 14 novembre, fu tenuto il grande Consiglio di Stato, al quale intervennero l'Infante Pietro e la regina, ed in esso venne deciso di convocare gli Stati Generali del Regno, per deliberare sui bisogni del paese. Il 21 sera, la Regina, per sfuggire alle violenze del Re, si rifugiava nel convento delle suore della Speranza, dicendo essere decisa a rimanervi, ed incaricava il conte di Santa Croce suo ciambellano, che l'accompagnava di significare al consorte, che lei domandava l'annullamento del matrimonio, visto « che essa non era sua moglie, nè egli suo marito ».
Il Re corse furioso al convento per strapparvi la moglie, ma si oppose risolutamente Don Pietro, aiutato dal popolo accorso in folla. Maria Francesca rifiutò il titolo di Regina, scrisse una lettera al Capitolo della cattedrale, pregandolo di patrocinare l'annullamento del suo matrimonio presso la Curia Romana, ed al Consiglio di Stato rivolse uguale preghiera. Si proponeva anche di ritornare in Francia.
Interpellato, Alfonso, si rifiutò dapprima di dare il suo consenso, ma poi sotto la pressione delle minacce dei congiurati conferì la reggenza del regno al fratello D. Pietro, ed accettò l'annullamento del matrimonio.
Gli Stati di Portogallo, appositamente adunati, deposero il Re, confinandolo all'isola di Terceira, con un appannaggio di 100 mila scudi annui, quindi giurarono fedeltà al di lui fratello, che venne proclamato Reggente. Tra i patti vi fu che la Regina, ottenuto l'annullamento chiesto del suo matrimonio con Don Alfonso, dovesse sposarlo.
Il Capitolo di Lisbona radunatosi subito, con sentenza canonica del 24 marzo 1668 dichiarava nulle e non valide le nozze di Maria Francesca con Alfonso ed in pari tempo sollecitava la Principessa ad accasarsi col Reggente.
* * *
Il 2 aprile 1668, con grandi feste, si celebrarono nel duomo di Lisbona le nozze di Don Pietro d'Alcantara con Maria Francesca di Savoia-Nemours: officiò il vescovo di Targo, quello stesso che aveva benedetto le nozze con Don Alfonso, poco meno di due anni prima.
Roma però sobillata da emissari spagnoli non volle dapprima riconoscere il deliberato del Capitolo di Lisbona, ma poi, grazie alll'interessamento del cardinale di Vendóme, zio della Regina, e le sollecitazioni della Duchessa di Savoia, Clemente IX, spedì un breve col quale dichiarava nullo il matrimonio di D. Alfonso e ratificava quello di Don Pietro.
Sobrio, modesto, abilissimo diplomatico e buon soldato, Don Pietro governò il Portogallo con molta moderazione ed accortezza. Il suo fu un governo riparatore, che tranquillizzò il paese e lo avviò verso un avvenire di prosperità e di grandezza.
Egli chiuse la guerra con la Spagna, che durava da ben ventisei anni, con la conclusione di una pace che assicurò alla nazione l'indipendenza dalla soggezione e dalla tutela di Madrid.
Coadiuvato da un ottimo ministro, il conte d'Ericeira, promosse l'industria ed il commercio, favorì l'agricoltura, ed in pochi anni il Portogallo sentì i benefici del suo governo.
La Corte di Lisbona, dove Maria Francesca di Savoia aveva introdotto gli usi ed i costumi della Corte francese, divenne in breve brillante, fastosa, ed ella, amata dal marito, potè condurre una vita tranquilla dopo tante angosce e peripezie.
Circondata dal rispetto e dall'affezione dei sudditi, trascorse i suoi anni fra le varie residenze reali, facendo anche un viaggio attraverso le province del regno, ovunque, accolta festosamente. Essa protesse le lettere e le arti, la musica in special modo, abbellì notevolmente il palazzo di Lisbona, chiamandovi artisti stranieri, pittori, architetti, scultori e decoratori. Fra gli italiani numerosi alla sua Corte, ebbe particolarmente caro P. Pacini, Agostiniano, Visitatore del Regno. Modificò in senso più largo le antiche costumanze e tradizioni della Corte portoghese, rendendola meno rigida e tetra; fondò pure il Monastero del Crocifisso ed altri istituti.
Il 6 gennaio 1669 la reggia veniva rallegrata dalla nascita di una bambina, alla quale vennero dati i nomi di Isabella Maria Giuseppina, e che Maria Francesca educò ella stessa, volendo farne una principessa di grande avvenire.
Erede presuntiva del trono, non aveva ancora compiuto il primo lustro d'età, che già intorno a lei si agitavano i pretendenti: tutti la ambivano, i più quotati all'inizio furono il Principe Ereditario di Toscana, ed il Principe Elettorale di Baviera. Ma la madre che per questa sua unica figlia aveva altre idee, scartò poco alla volta gli aspiranti che non le garbavano e scrisse alla sorella Giovanna Battista, vedova di Carlo Emanuele II, e Reggente dello Stato, durante la minorità del figlio Vittorio Amedeo II, proponendo un matrimonio fra i loro figli.
A Giovanna Battista l'idea piacque, e mandò subito a Lisbona il Priore Spinelli (1678) per trattare segretamente la cosa; uomo di fiducia della Duchessa, sottile ed accorto diplomatico, lo Spinelli portava in Portogallo un ritratto del giovane Duca, da presentare a quella Corte, e forse fu anche mostrato alla infante Isabella, la quale era «un miracolo di bellezza ».
A Versailles, dove, malgrado il segreto, qualche cosa era trapelato, il progetto fu vivamente caldeggiato: Vittorio Amedeo diventando Re di Portogallo avrebbe dovuto stabilirsi a Lisbona, e la Francia contava in un tempo più o meno breve, impadronirsi della Savoia, del Piemonte, e di Nizza,
che il Portogallo, non avrebbe potuto difendere. Il padre De Ville, gesuita francese, confessore di Maria Francesca, per consiglio di Luigi XIV, divenne il più ardente fautore di queste nozze, coadiuvato dal duca di Cadaval, dal marchese di Fronteira e dal conte di Villamajor.
Ma se la Francia era favorevole a questo matrimonio, ostilissima era invece la Spagna, che non voleva un ingrandimento della Casa di Savoia, ed un rafforzamento dell'influenza francese in Piemonte ed in Portogallo.
Malgrado questa opposizione, il 14 maggio 1679, venivano firmati in Lisbona i patti nuziali, dopo trattative piuttosto difficili, a motivo di certe esigenze della Corte di Torino, la quale fra l'altro pretendeva che il Duca continuasse ad essere Re e regnare sul Portogallo sua vita natural durante, con o senza figliolanza, qualora premorisse l'Infante Isabella.
Lo Spinelli, recatosi a Torino a rendere conto del buon esito della sua missione alla Duchessa, dopo un soggiorno di circa un mese in Piemonte, faceva ritorno in Portogallo, coi patti ratificati. A Lisbona la dichiarazione ufficiale del matrimonio diede luogo a feste magnifiche, mentre negli Stati Sabaudi l'annuncio venne accolto con freddezza e malumore; quasi tutta la vecchia e fedele nobiltà si dichiarò contro queste nozze, che avrebbero allontanato per sempre dal paese la Dinastia.
Vittorio Amedeo, già poco propenso ad accasarsi con l'Infante e rincrescendogli di abbandonare il Piemonte, la terra dei suoi avi, fu scosso dalle rimostranze unanimi, di tanti gentiluomini affezionati, ma non osò per il momento di ribellarsi all'imposizione della madre, che di queste nozze era invece felicissima.
Vi erano però ancora molti punti importanti da definire, per cui la Duchessa Giovanna Battista, inviò a Lisbona, il conte Marcello De Gubernatis, il quale ottenne dalle Cortes la derogazione alla legge del Lamego, che vietava ad uno straniero di cingere la corona portoghese. Dagli Stati Generali, egli ottenne numerosi privilegi per i commercianti piemontesi che trafficavano col Brasile: fu una specie di trattato di commercio fra i due paesi.

A Torino intanto Vittorio Amedeo II veniva riconosciuto maggiorenne, e la Reggente per accelerare le nozze, mandò con grande seguito a chiedere ufficialmente la mano dell'Infante, il marchese d'Este, con dodici patrizi appartenenti alla più alta aristocrazia del Ducato. Accolta coi dovuti onori l'Ambasciata Savoiarda, dal Reggente Don Pietro, da Maria Francesca e dalla Corte, il marchese d'Este, fece la sua domanda il 20 marzo 1681, benchè mancassero ancora le dispense papali, le quali giunsero tuttavia quasi subito. In un consiglio tenuto a palazzo reale venne espresso il desiderio che il matrimonio avesse ad effettuarsi nell'estate seguente, data che a Torino venne accettata.
Tanto la Regina quanto la Duchessa erano al colmo della loro gioia, la quale peraltro doveva finire, in una profonda delusione. Allorchè infatti giunse a Villafranca la flotta portoghese, composta di dodici legni «bene armati ed equipaggiati » per prendere il Duca e condurlo in Portogallo, questi si finse ammalato e chiese una dilazione alla partenza. Questo fatto inaspettato insospettì il duca di Cadaval, il quale volle immediatamente recarsi a Torino con un limitato seguito di persone e con l'abate Spinellì, per vedere come stessero realmente le cose. Pare che al suo sbarco a Villafranca, Don Antonio di Savoia, governatore della Contea di Nizza, non gli avesse nascosto il malcontento che in Piemonte il matrimonio del Duca con l'Infante, aveva suscitato in tutte le classi.
La Corte piemontese era in quella stagione a Moncalieri e qui si recò il Cadaval ad ossequiare la Duchessa ed il Duca; dalle voci che correvano, dall'agitazione e dall'aria di mistero che circondava il giovane principe, egli da uomo esperto ai maneggi, indovinò il gioco, e ne avvertì subito Maria Francesca. Visto che il Duca non guariva, prese commiato da lui nel settembre, dopo essersi fatto rilasciare dai medici curanti una dichiarazione scritta sulla malattia e sulla impossibilità per Vittorio Amedeo di sobbarcarsi agli strapazzi di un lungo viaggio marittimo.
Il 6 ottobre la flotta portoghese ripartiva, e subito il Duca si dichiarava guarito, con sincero giubilo dei sudditi, e fu grande ventura davvero che il principe sia rimasto italiano, e non si sia lasciato abbagliare da una corona reale, che qualche decina d'anni dopo doveva posarsi ugualmente sul suo capo, in attesa di un'altra più gloriosa che avrebbero cinto i suoi discendenti.
Giustamente temevano i piemontesi che andando il loro Sovrano in Portogallo, il loro paese sarebbe diventato una provincia qualunque del lontano regno, retta come il Milanese e Napoli, da governatori e vice-re, ingordi, avidi di denaro, che ne avrebbero trascurato il benessere e col tempo forse una dipendenza francese. Se Giovanna Battista fu umiliata come madre, di essere stata abilmente giocata dal figlio, Don Pietro e Maria Francesca, rimasero offesi dal procedere del giovane Duca, e varie note diplomatiche furono scambiate fra i due governi su tale argomento. Una freddezza compassata, successe all'intimità di prima, fra le due dinastie; il vagheggiato matrimonio per il quale tanto avevano sacrificato le due sorelle, fu deciso di considerarlo sciolto, e alle Corti estere si giustificò lo scioglimento, con la cagionevole salute di Vittorio Amedeo, che non avrebbe potuto sopportare nè il lungo viaggio, nè il clima del Portogallo.
* * *
Dello scacco subìto Maria Francesca non si consolò più; colpita da prostrazione e da febbre andava lentamente spegnendosi. I medici le consigliarono la campagna, ed essa con la figlia si recò alla villa di Palhava. Qui apprese la notizia della morte del suo primo marito, Don Alfonso, avvenuta a Cintra il 12 settembre 1683.
Gli Stati Generali proclamarono allora solennemente Re di Portogallo Don Pietro, in mezzo a feste tristi, ed alle quali essa non assistette. Deperiva visibilmente: col manifestarsi dell'idropisia, nessun rimedio valse a salvarla: il 27 dicembre 1683, moriva a Palliava assistita dal consorte e dalla figlia. Rivestita dell'abito di terziaria francescana, venne sepolta nelle tombe reali di Lisbona.
Ho detto che ella si era occupata direttamente dell'educazione della infante Isabella sua figlia: negli ultimi mesi della sua dolorosa malattia dettò per lei alcuni precetti e consigli « che il core di madre e l'esperienza di Regina le avevano ispirato ». Dovevano servire di norma alla principessa per regolare le sue azioni nella vita.
Questo scritto citato dal Claretta è diviso in quattro parti: nella prima si discorre dei doveri verso Dio, nella seconda dei doveri verso noi stessi, nella terza degli obblighi verso la famiglia, e nella quarta di quelli verso i sudditi. Alcune massime contenute in questa ultima parte sono degne di rilievo per la loro giustezza.
Scrive la Regina: «Procurate con ogni studio di farvi amare dai vostri sudditi, usando con loro tale benignità e dolcezza che la maestà non si avvilisca, nè si addomestichi troppo, ma piuttosto ispiri loro amore e rispetto. Contentate almeno con la parola chi non potete coi fatti, nè mai offendete persona nè con concetto d'alcun dispregio o scherno, nè con motto o risposta pungente. Questi sono due modi per cui si fanno dei nemici che non si rimediano mai più e nei prìncipi sono assai più dannosi che nelle persone private, perchè le offese loro non fanno mai piaghe sì dolorose e i loro portamenti non sono così esposti alle pubbliche censure. Scusate i difetti di coloro che accettate a trattare con voi, nè permettete che se ne parli mai in vostra presenza. Benignamente udirete ciò che le persone vorranno dirvi, o sia per chiedervi qualche grazia o per discolparsi di qualche accusa, non correte però a dare loro fede, nè a concedere quel che domandano, sinchè non abbiate ben prima esaminato le cose. Insomma usate a tutti clemenza e compassione e soprattutto fate che nei vostri andamenti appaia grande equità e moderazione, poichè non vi è cosa che maggiormente guadagni l'amore e la stima dei sudditi ».
Donna d'intelletto aperto e colta, amante delle lettere, si hanno ancora di lei varie poesie « che svelano una tal quale vena poetica », nonchè un Diario nel quale sono registrati di suo pugno gli avvenimenti straordinari della sua vita, documento prezioso per la storia.
La memoria di Maria Francesca è rimasta, se non amata, popolare in Portogallo; il caso tragico della sua infanzia, le vicende drammatiche del suo primo matrimonio, ispirarono poeti e romanzieri.
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Dato il precario stato di salute dell'Infante Isabella, presunta erede del trono, i Grandi delle Cortes, consigliarono il Re a riprendere moglie, onde dare un erede maschio alla Corona. Il 12 giugno 1687, egli sposava infatti la Principessa Elisabetta di Baviera, figlia del Duca dì Neoburgo, che lo rese padre di un figlio, che fu il famoso Giovanni V.
L'Infante Isabella, di cui aveva chiesto la mano nuovamente un Principe Elettorale di Baviera, moriva il 21 ottobre 1689, ed il Re Pietro cessava di vivere il 9 dicembre 1706 in Alcantara per apoplessia.

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