LE UTOPIE


*** A PARIGI, PIOMBA UN AUTODIDATTA


PROUDHON
con il suo famoso

La proprietà é un furto!
ma poi aggiunse La proprietà è la libertà!

vedi anche integralmente
LA CAPACITA' POLITICA DELLE CLASSI OPERAIE" >>>>
originale digitalizzato



Proudhon sembra stia ora ritornando attuale, e forse lo sarà ancora di più quando una decina di persone avrà in mano - fra non molto - tutte le banche, i mezzi di produzione, di comunicazione, di distribuzione e di informazione del pianeta. ( non manca molto !!! )

 

DICEMBRE - In quella frenetica attività che abbiamo accennato in altre pagine, cioè quel capitalismo industriale che sta facendo i suoi primi passi per allargare il suo regno,  un attento trentenne francese lo esplora, ne fa una sua analisi, ed esplode con un suo saggio: é PIERRE JOSEPH PROUDHON (1809-1865)

"Utopista" (o realista?) di un socialismo, libertario, pluralistico, federalista e in seguito antimarxista. Un uomo, impropriamente chiamato anarchico. ( vedi COS'E' L'UTOPIA >>>UNO SCRITTO DI Diego Fusaro >>>>>>>>>>)

PROUDHON esce con "Che cosa è la proprietà?"
Punto centrale del suo lavoro è l'analisi della proprietà che egli considera da un lato come struttura portante del privilegio sociale, dall'altro come cardine della resistenza degli individui e dei gruppi al dominio dello Stato (in questo periodo ancora feudo-monarchico e autoritario)
Nelle sue pagine  Proudhon si risponde:  La proprietà é un furto! ma aggiungerà poi: La proprietà è la libertà!

(questa seconda frase molti poi la ometteranno)  Due massime che sintetizzano i due aspetti apparentemente contradditori.

(vedi su questo stesso sito l'ultima opera scritta da Proudhon:
"La capacità politica della classe operaia")

OPERA INTEGRALE 286 pagine

La prima frase benchè suggestiva (molto impropriamente usata dopo) non riflette fedelmente il pensiero dell'autore. Proudhon infatti non rifiutava affatto la proprietà in sè. Fu pronunciata da un uomo che non fu per nulla pregiudizievolmente ostile alla proprietà, e che condannò sin dall'inizio il comunismo, portatore di germi liberticidi, in nome di ciò che veniva definito "l'anarchia positiva".
Proudhon distingue infatti l'aspetto originario e ineliminabile della proprietà, ossia il possesso dei mezzi di produzione ( e fa un distinguo preciso) dal sistema in cui la proprietà dei mezzi di produzione si accentra in poche mani, e il lavoro  separato dal godimento dei suoi frutti e la proprietà che si trasforma in rendita parassitaria di alcuni soggetti. (Proudhon paragona  il profitto, gli interessi e la rendita, ai vecchi diritti feudali- (senza fatica) un vero e proprio furto di parte del prodotto dei sudditi plebei (corvè), che ora si chiamano operai)

E' della proprietà  intesa nel primo senso (il possesso) che Proudhon sottolinea i vantaggi auspicandone la generalizzazione a tutti i lavoratori. Su questa base, critica (e vede con anni di anticipo il pericolo) alcuni aspetti del nascente comunismo, in particolare la teorizzazione di una società in cui la comunità divenga unica proprietaria dei mezzi di produzione (il collettivismo); egli é convinto, in effetti, che in una tale società l'oppressione delle libertà individuali (!) si accompagnerebbe a tutti i danni arrecati dalla proprietà parassitaria individuale (dalla padella si cadrebbe nella brace!)
Proudhon  concepisce invece una società in cui gli attributi dell'autorità centrale vadano restringendosi e in cui si costituiscono pluralità di associazioni, delle corporazioni, ognuna delle quali svolga una funzione autonoma creando legami con altre collettività sociali, anche al di là dei confini nazionali.(Qui concepisce il suo "federalismo" cui   dedicherà più tardi un saggio Del Principio Federativo, che pochi conoscono pur parlando oggi di federalismo).
E' riferendosi a questo modello di governo, nel quale il massimo di libertà individuale dovrebbe conciliarsi con il massimo di armonia sociale, che Proudhon parla di "anarchia" (ma rivolgendosi però a quei governi assolutisti del suo tempo)

Il suo saggio Che cosa è la proprietà? é un aspra polemica non solo con i teorici della nuova borghesia nascente (liberismo) ma anche con i principali esponenti del nuovo socialismo (comunismo) che sta sorgendo  -anche questo- con i rivoluzionari di questo primo periodo in fase di gestazione.
 Infatti,  Marx ancora ventunenne, é ancora a scuola a Berlino, è ancora un hegeliano di sinistra. Ma  sarà proprio Marx (all'inizio suo grande ammiratore con giudizi altamente positivi) ripetutamente ad  attaccarlo quando appena venticinquenne il professore ebreo diventa direttore del giornale radicale Rheinische Zeitung.
Una polemica tra i due che continuerà per venticinque anni (all'inizio lo definì il Rousseau-Voltaire di Luigi Bonaparte, poi in Miseria della filosofia Marx  attacca Proudhon con intolleranza,  cruda violenza e lo definisce un piccolo borghese, quindi non un "comunista". E se lo dice lui!).

Ma con gli storici successivi e perfino con gli attuali del nostro tempo, questa polemica sulle due teorie in contrasto (socialismo - comunismo) da un lato, e quella del liberismo dall'altra non ha mai avuto termine. Soprattutto in questi ultimi tempi, con il marxismo andato in crisi, e con un liberismo che ha toccato ormai i vertici di una vera e propria dittatura di pochissimi (che però non sappiamo chi sono, oggi si mascherano dietro grandi  società - dove la globalizzazione è solo bancaria ).

Proudhon sembra stia ora ritornando attuale, e forse lo sarà ancora di più quando una decina di persone avrà in mano - fra non molto - tutte le banche, i mezzi di produzione, di comunicazione, di distribuzione e di informazione del pianeta. ( non manca molto !!! )

Altrettanto diventerà attuale il suo federalismo. Infatti, Proudhon se non è stato l'unico sociologo federalista della storia, certamente é stato il suo più grande profeta.

In un modo o nell'altro la storia non ha reso ragione a questo grande pensatore. Forse egli stesso vi ha contribuito. Infatti,  descrivendosi socialista e anarchico; si é autoescluso dalla considerazione di gran parte della pubblica opinione e questa può essere una delle ragioni dei pregiudizi che molti si sono fatti di lui.

Il significato del primo termine era allora del tutto diverso da quello che noi gli attribuiamo oggi; socialista per Proudhon  era lo studioso dell'uomo e dei fenomeni che si verificano nella "società", allo scopo di migliorare le condizioni della vita umana (al pari di Comte, che invece inventa contemporaneamente e usa per la prima volta il termine "sociologia", e quindi crea la figura del sociologo - un termine più moderato) e così  anarchico che allora voleva dire  il rivoluzionario che  vuole una società priva di ogni dominio politico  e di ogni autorità (con quest'ultimo pensa ai sovrani inetti - e non "a tutti" i sovrani!). 
Proudhon  infatti si riferiva a quella politica e a quella autorità, alla natura oppressiva del vecchio assolutismo e del nuovo capitalismo, con i lavoratori estranei agli obiettivi della borghesia democratica, non escludendo il regime parlamentare e l'estensione del diritto di voto ai lavoratori.

Altrimenti -affermava- si passava da una schiavitù imposta, a una schiavitù legittimata dal riconoscimento popolare. (Anche la Serenissima Venezia era democratica, ma solo all'interno di 900 aristocratici. Anche le elezioni in Italia nel 1861 furono democratiche ma solo riservate a 239.583 " notabili cittadini" che elessero (ovviamente) 85 principi, marchesi, conti e baroni, e nemmeno un rappresentante dei lavoratori, di artigiani, piccoli o grandi industriali).
Altrettanto il termine  comunismo: che Proudhon usava come comunità, quindi nessuna relazione al significato che gli attribuiamo oggi.  Tanto che alla fine  il fallimento del comunismo, rende ragione a  Proudhon quando espresse il suo inappellabile giudizio proprio sulle dottrine di Marx (giudizio che abbiamo già letto sopra)

Un accenno a quest'uomo - Proudhon - che forse passerà alla storia come uno dei più grandi pensatori del diciannovesimo secolo.

Nato a Besancon nel 1809, di umile origine, figlio di un contadino birraio, iniziò gli studi ma presto, nonostante i brillanti risultati,  li dovette abbandonare per mancanza di mezzi. Entrò a lavorare in una tipografia. Vi rimase dieci anni, fino al 1838. L'accademia di Besancon  si accorse di lui forse con molto ritardo;  gli fu infatti concessa a 29 anni una borsa di studio. Proudhom aveva nel frattempo da solo appreso il latino, il greco e l'ebraico;  leggendo molto scoprì il "socialismo" di Fourier, maturando presto una visione critica dell'assetto sociale esistente.
Con la borsa si trasferisce dunque nel 1838 a Parigi, e qui   continuò la propria istruzione. Subito l'anno dopo, nel '39, pubblica  un breve saggio: La celebrazione della domenica.

Passano pochi mesi, poi quest'anno dà alle stampe Che cosa è la proprietà? sopra accennata. Che non é rimasta come simbolo di quel periodo (molto dialettico) caotico, ma fa ancora molto discutere nell'anno 2000.

Nel 1846 pubblicherà  Contraddizioni economiche (gli risponderà uno sprezzante Marx  con Filosofia della miseria). Nel 1851 L'idea generale della rivoluzione nel sec. XIX. Nel 1858, La  giustizia  nella rivoluzione e nella chiesa. Nel 1862, Del principio federativo. Nel 1865 (uscirà postumo), Della capacità politica della classe operaia;( VEDI SOPRA IL LINK CON L'OPERA INTEGRALE) opera in cui sviluppa e precisa le sue idee sull'organizzazione economica e politica di una società "anarchica" (attenzione! inteso contro quel regime allora esistente).
Ma nonostante l'apparente estremismo di queste idee, il sistema teorico e il programma politico di Proudhon sono tutti permeati dall'aspirazione a conciliare principi antagonistici: socialismo e mercato, capitale e lavoro.
Aspirazioni che sono riconfermate nella successiva opera postuma, Teoria della proprietà.

Per un ex tipografo, autodidatta di politiche di riforme sociali, il segno lasciato è notevole. La rivisitazione alla luce degli ultimi avvenimenti sociali, politici ed economici è oggi quasi d'obbligo.
Fu accusato di utopia, ma a quanto pare questi temi oggi nel mondo occidentale sono ancora più che mai al centro dell'attenzione.

E potrebbero essere fra breve anche inquietanti.

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UNA PAGINA DI DIEGO FUSARO

Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865) elaborò una forma di socialismo antiborghese e anarchico; nato a Besancon, in un primo tempo lavorò in una tipografia, poi, nel 1840, pubblicò la prima memoria sulla proprietà ( Che cos'é la proprietà? ), dedicata all'Accademia di Besancon che la sconfessò; nel 1841 la seconda memoria, dedicata a Blanqui (che sarà esponente politico del movimento socialista nel governo provvisorio del 1848, sostenitore di una polItica in cui il giacobinismo era commisto al marxismo); e nel 1842 la terza, immediatamente sequestrata. Accusato di attentato alla proprietà privata e alla religione e di incitamento all'odio per i governi, fu assolto; nel 1844 a Parigi entrò in contatto con Bakunin e Marx, con il quale però tuttavia ruppe ben presto i rapporti.
Nel 1846 pubblicò il Sistema delle contraddizioni economiche o filosofia della miseria , a cui Marx non tardò a rispondere con la Miseria della filosofia. Nel 1848 Proudhon prese parte alla rivoluzione, fu redattore del giornale "Le Représentant du Peuple" e venne eletto nell'Assemblea costituente, ma l'anno successivo, avendo attaccato Luigi Bonaparte (il futuro Napoleone III), fu condannato a tre lunghi anni di prigione.

Nel 1851 pubblicò la Filosofia del progresso e, nel 1859, Sulla giustizia considerata nella rivoluzione e nella Chiesa . Anche quest'opera, forse la sua più importante, fu immediatamente sequestrata ed egli fu di nuovo condannato a tre anni di prigione. Per evitarla si rifugiò a Bruxelles e solo nel 1862 tornò in Francia. Tra i suoi ultimi scritti vanno ricordati La guerra e la pace (1861) e Sul principio federativo (1864).

Proudhon é radicalmente contrario al principio economico del "lasciar fare"; contrariamente a quanto pensava Marx, egli ritiene che l'economia non poggi ancora su basi scientifiche, essa piuttosto deve essere diretta dalla volontà umana e subordinata ad obiettivi superiori, in primis alla giustizia .
La storia é il dominio della libertà, che ha il proprio fine nella realizzazione della giustizia. Sono però possibili due diversi modi di concepire la giustizia, come risultato di un'imposizione da parte di un'autorità esterna superiore all'individuo o come facoltà dell'individuo stesso di riconoscere le pari dignità di ogni altro individuo. Nel primo caso si pretende di realizzare la giustizia a discapito della libertà individuale, ma Proudhon respinge la legittimità di ogni tipo di autorità superiore all'individuo, e precisamente di quella di Dio in ambito religioso, dello Stato nella sfera politica e della proprietà in quella economica: di qui il suo radicale anarchismo, che significa letterariamente "rifiuto di ogni potere".

Lo Stato, in particolare, é considerato un'istituzione assurda o illegale, finalizzata alla scopo, da parte di alcuni, di sfruttare i propri simili tramite la forza, così come la proprietà privata é finalizzata allo sfruttamento del lavoro altrui.
Ogni individuo ha invece il diritto di godere della massima libertà, a patto che uguale libertà sia riconosciuta anche a tutti gli altri. Sulla base della libertà e della giustizia, come riconoscimento della pari dignità altrui, é possibile, secondo Proudhon, la libera organizzazione di una società mutualistica, in cui i lavoratori, in quanto produttori, si scambiano i prodotti, in modo da costruire un tutto armonico. Il perno di essa é la famiglia: Proudhon, infatti, considera il matrimonio indissolubile ed é contrario all'emancipazione femminile. In questa nuova forma di società lo Stato e le sue leggi finiscono per scomparire e la loro funzione può essere assolta da contratti liberamente stipulati, volti a risolvere i problemi della convivenza. Sarà così possibile l'instaurazione della giustizia, che é agli antipodi del nazionalismo e della guerra, negazione di ogni rispetto per la dignità umana.

Al pensiero di Proudhon si richiamarono movimenti e pensatori anarchici, come Bakunin e Kropotkin. La critica mossa da Proudhon alla proprietà privata (definita come "un furto" per il fatto di non trarre la propria origine dal lavoro, ma da un'indebita appropriazione) é feroce, come feroce é anche quella mossa alla statalizzazione, considerata come la massima espressione dell'oppressione, incompatibile con la libertà e con la giustizia; ed ecco allora che, come accennato, in antitesi al liberismo (forma di individualismo selvaggio) come al socialismo di stato (forma di oppressione collettiva), Proudhon immaginava una società basata sulla libera cooperazione tra i lavoratori, sia sul piano produttivo sia su quello assistenziale, attraverso associazioni di solidarietà.

Un ringraziamento a Diego Fusaro
Per approfondire Proudhon vedi il suo link (esterno)
"La filosofia e i suoi eroi"


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LA REPUBBLICA DI ICARIA

L'unico vero utopista di questo periodo (dove le idee non furono chiare nè da una parte né dall'altra della barricata; e  forse proprio per questo ebbe un notevole successo) è un singolare romanzo di un francese "socialista" esule in Inghilterra. ETIENNE CABET.
Più che un comunista-socialista, era un "comunista" "evangelico"; con una specie di comunismo spiritualistico. Predica anche lui un utopistico movimento comunitario avente per fine la comunione dei beni e l'uguaglianza assoluta di tutti i cittadini.
La sua opera è Il viaggio in Icaria. Ambientato nella  "felice repubblica degli icariani" (Thomas More non è assente). Vi si doveva arrivare "gradualmente", partendo prima con un regime "democratico"......

" " .... poi ognuno praticando la virtù, si doveva trasformare  in un persuasore di altri cittadini e in un maestro delle nuove generazioni per farle approdare alla grande comunità con la nuova coscienza.
Al centro di questo regime, c'è il lavoro, grande livellatore di uomini; si lavora in comune, si mangia in comune, si leggono gli stessi libri, si stampa un solo giornale che riporta solo i fatti e non le opinioni, l'educazione é identica per tutti, i cattivi libri sono bruciati, il matrimonio la famiglia e i figli ideale ma tuttavia   obbligatoria scelta. Dappertutto nelle case, nelle piazze e nelle vie,  troneggia l'immagine del volto protettivo e sorridente del fondatore del regime di  Icaria e dove non mancano le sue massime.  La comunità assegna a tutti prima il necessario, poi l'utile ed infine il gradevole......."
(rileggete, fate menta locale, e ritroveremo qualcosa di simile molto più avanti in uno spurio  "socialista" del 1921-22 - ma anche nell'anno 2000)


Sembrerebbe una vita monastica, viceversa tutti lottano a Icaria con ossessione, perchè tutti sono continuamente alla ricerca dell'eguaglianza assoluta (da imporre ai più riluttanti).
Abbiamo detto che l'opera ebbe un considerevole successo. In America nell'Illinois, fondarono persino una comunità Icaria, che fallì dopo appena un paio d' anni. Non se ne parlò più.
Ma se di Proudhon usarono comunisti e socialisti quella famosa frase, di Cabet molti usarono l'impianto scenico, e a sproposito, anche alcuni  utopistici concetti. (tanto cari a STARACE >
nel "ventennio")

L'unica cosa  non  gradita ai "comunisti-socialisti" , era  il termine "gradualmente" e il "democratico". Cioè non c'era tempo da perdere. A Icaria ci si doveva arrivare con la rivoluzione e con le insurrezioni, cioè seguire la tradizione comunista fino allora  dominante in Francia, di tipo  repubblicano-giacobina alla  Babeuf, Buonarroti, Blanc, Barbes o del "muscoloso" Blanqui (una sua frase - "chi ha del ferro ha del pane" la usò Mussolini sottotitolando il suo Popolo d'Italia),  che Marx lo ha già  adottato come simbolo vivente della sua a venire  "lotta di classe".

Marx é ancora giovane, sta ammirando un po' tutti, Proudhon, Blanqui, Blanc (le prime teorizzazioni dello stato dei lavoratori, dello stato operaio)  e un certo Karl Grun che ha una  corrente tutta sua, che Marx definisce  "il vero socialismo".
Il Marx giovane prima lo ammira, poi prende come Proudhon subito un'altra strada e una cantonata, e  se andiamo a vedere i risultati del marxismo, la prende anche postuma).

Infatti,  Grun commentando il "Comunismo d'Icaria"  (fondato  con le buone e le cattive) lo definisce non una "vita felice" ma una "vita da schiavi", non un paradiso, ma "un inferno".

Forse Marx non  tenne conto di questo giudizio profetico. Continuò imperterrito.
Ma quasi tutto il comunismo-socialismo degli ultimi anni si era concentrato sul movimento comunitario e sulla questione, teorica e  pratica insieme, della transizione verso la comunità e anche del suo governo. Solo a partire da questi anni (dove i saggi utopistici si sono sprecati) si assiste al grande ritorno della politica. La prima  fase é terminata   con il tentativo fallimentare di Blanc lo scorso anno, con l'insurrezione che abbiamo visto a maggio, subito stroncata dal governo.

La seconda fase prende avvio quest'anno, con  numerose inchieste, con studi analitici e statistici sulla condizione operaia. Diventa ora tutto scientifico e possiamo farla iniziare questa fase proprio da quest'anno con COMTE  (sociologia), COURNOT (economia), e EUGENE BURET   e FLORA TRISTAN rispettivamente con due opere che escono proprio in questi mesi: La miseria della classe lavoratrice, e Passeggiata su Londra.
Importanti per la formazione intellettuale del giovane Marx, e importante il lavoro di Tristan perchè gli fece conoscere con cinque anni d'anticipo il più noto studio di ENGELS, cioè la situazione della classe operaia in Inghilterra, gli orientamenti di OWEN e il movimento cartista.


La Tristan nel 1843 aggiunse l'opuscolo  Classe operaia, unione. Dove espone il principio che Marx conobbe e apprezzò  molto. Vi si proclamava per la prima volta, l'autoattività "l'emancipazione dei lavoratori deve essere opera dei lavoratori stessi".

Purtroppo molti concetti utopistici di CABET (e anche di un altro non dissimile THEODOR DEZAMY, utopistico, meno spiritualistico, più materialistico, con Code de la Comunaute)  li ritroveremo  dentro il Comunismo Marxista, Leninista, Stalinista e anche dentro  il Fascismo.

Sul fascismo basta rileggere il corsivo sopra di Cabet e ci ritroviamo davanti alle caratteristiche  tipiche del "ventennio". E ci ritroviamo davanti anche lo Stalinismo che iniziato comunista (comunitario) divenne anche questo poi "fascista".
Non dobbiamo dimenticare del resto  l'origine socialista di Mussolini, nè dobbiamo ignorare che a 20 anni,  mentre fa il barbone a Losanna, ma non si perde una lezione di
VILFREDO PARETO il cui pensiero ("i sistemi socialisti? non hanno senso, c'è l'irrazionalità umana!!") e la sua influenza su Mussolini fu notevole; come del resto poi quelle di ROCCO, l'ideologo del corporativismo (sue le norme giuridiche dei rapporti collettivi di lavoro del 1931, che sembrano staliniste), ed é lui a sanzionare la svolta autoritaria del regime fascista rafforzandone il potere sul terreno prima politico poi in quello giuridico-istituzionale. I famosi Codici del 1925 e 1926 ).

Comunismo stalinista-fascista!?  Non abbiamo detto un eresia!

L' Italia nel ventennio non fu immune da un regime dittatoriale "stalinista"-fascista, o "fascista"-stalinista. Se nacque prima l'uovo o la gallina, la risposta è molto difficile; con il corporativismo e il capitalismo di stato Mussolini e Rocco presero moltissimo dai vari "comitati" di Stalin (del grano, prezzi, produzione, banche ecc.)   e altrettanto presero come dittatura.
O l'incontrario? 

Nel dubbio ci resta comunque una inequivocabile affermazione di compiacimento scritta dal più autorevole personaggio del fascismo: "Stalin davanti alla catastrofe del sistema di Lenin,   é diventato segretamente un fascista. Essendo lui un semibarbaro non usa ("come noi" - Ndr) l'olio di ricino, ma fa piazza pulita con i sistemi che usava  Gengis Kan. In un modo o nell'altro sta rendendo un commendevole servizio al fascismo".
Lo scrive BENITO MUSSOLINI, sul Popolo d'Italia, il 5 marzo del 1838 !!!!
Con questa frase forse  abbiamo dato un dispiacere sia ai fascisti che ai comunisti.

vedi anche integralmente
PROUDHON
"
LA CAPACITA' POLITICA DELLE CLASSI OPERAIE"
PRIMA EDIZIONE ITALIANA 1920

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