Un eccezionale campione automobilistico italiano che fra gli anni Venti e Quaranta sbalordì il mondo
TAZIO NUVOLARI

IL PILOTA CHE ANNEGO' NELLA POLVERE
I BOLIDI VOLUTI DA HITLER

di CARLO SANGALLI

TAZIO NUOVOLARI era un eroe. Ognuno può esprimere il proprio giudizio sull'opportunità di attribuire questa qualifica ad un personaggio sportivo, ma non c'è dubbio che il grande pilota nel periodo del suo massimo splendore venisse considerato proprio un eroe. Lo era per lo sport che faceva, l'automobilismo, che a quell'epoca era ancora in una fase pionieristica, lo era perché rischiava la vita tutti i giorni, lo era perché i mezzi di informazione, spinti dal regime fascista lo dipinsero sempre come tale. Se provaste a chiedere ad una persona che abbia avuto l'età della ragione tra gli anni Venti e Quaranta di raccontarvi qualcosa delle imprese di Nuvolari, vi accorgereste che il suo racconto assumerebbe i toni della narrazione epica, e questo non per volontà del narratore, ma perché Nuvolari fu sempre visto come un superuomo da chi poté ammirarne le gesta. 

La prima corsa in cui si impose Nuvolari è del 1921, l'ultima del 1950, dunque la sua carriera durò poco meno di trent'anni, coinvolse almeno tre generazioni di appassionati e fu costellata di vittorie, alcune delle quali trascendettero il valore puramente sportivo. Per esempio nel 1936 il pilota mantovano si imbarcò per l'America per correre il rodeo automobilistico di New York, Coppa Vanderbilt, a bordo di una Alfa Romeo, è già al culmine della sua carriera e la sua fama ha varcato l'oceano molto prima di lui; al suo arrivo una folla di gente comune e di autorità lo accoglie festeggiando, lo stesso Roosevelt si complimenta con il campione Italiano e gli dimostra la propria stima. Ma dietro questa gara si nascondevano, o meglio si vollero nascondere, significati politici di grande rilievo: fino all'anno prima il regime di Mussolini godeva di grande stima e prestigio in USA, lo stesso Roosevelt nel '34 aveva giudicato il duce "Dittatore, sì, ma un vero galantuomo", l'anno dopo lo stesso presidente con la sua neutralità verso l'Italia aveva influenzato i paesi stranieri contrari ad applicare le sanzioni. 

Ma all'epoca dell'arrivo di Nuvolari a New York Mussolini è sceso a fianco dei golpisti nella guerra di Spagna, mentre i volontari americani cominciavano ad affluire nella Brigata Internazionale di parte Repubblicana, dunque l'Italia ha un grande bisogno di assicurarsi la neutralità di Washington. Da parte americana invece le elezioni incombono e Roosevelt sa quanto gli convenga cercare di accaparrarsi i voti dei numerosi italo-americani. Nuvolari sbarcò a New York a bordo del Rex, il transatlantico che pochi anni prima aveva conquistato il "Nastro Azzurro" per la più veloce traversata dell'Atlantico, Balbo ha da poco trasvolato lo stesso oceano con i suoi ventiquattro idrovolanti, se anche Nuvolari riesce ad imporsi l'immagine dell'Italia come paese all'avanguardia nel mondo dei motori e della tecnica diventa inattaccabile.

Nuvolari non solo vinse la gara, ma sbaragliò tutti gli avversari al punto che a metà corsa lo speaker annunciò che erano stati messi in palio mille dollari come premio per il pilota americano che fosse riuscito a rimanere per un minuto davanti al campione italiano. A completare il trionfo si aggiunga il fatto che al secondo posto si classificò il francese Wimille su di una Bugatti, al terzo il tedesco Sommer anch'egli su di un'Alfa, mentre il primo americano fu un tale Mauri Rose, sesto a ben 25 minuti dal vincitore. 

La Gazzetta dello Sport titola a tutta pagina: " Tazio Nuvolari vince di prepotenza in terra d'America" e accompagna il trionfo con queste parole: "L'asso mantovano sbaraglia tutti gli avversari del vecchio e del nuovo mondo e riafferma la supremazia dell'Italia nell'automobilismo"; a corredo di queste parole già di per sé cariche di eccessiva retorica viene pubblicata la foto di Nuvolari che festeggia la propria vittoria facendo il saluto romano. Ma anche i giornali d'oltreoceano non possono fare a meno di inchinarsi al grande campione definendolo "il cow-boy imbattibile dell'automobilismo", "il diavolo della velocità" ed altre cose di questo tipo; anzi curiosamente sono gli unici a sottolineare il ruolo decisivo che hanno svolto le gomme Pirelli, dunque anch'esse italiane, che hanno consentito a Nuvolari di correre per quattro ore e mezzo senza mai cambiare le gomme. 

TAZIO NUVOLARI nacque nel 1892 in una tipica famiglia contadina come ce n'erano tante nel mantovano della fine del secolo scorso. Non c'è molto da raccontare sulla sua infanzia, fu un ragazzo normale che rivelò ben presto la sua passione per i motori, ma che nessuno immaginava potesse diventare il grandissimo pilota che vinse quasi cento gare nella più straordinaria carriera che il mondo dell'automobilismo ricordi. In effetti Nuvolari non ebbe mai il fisico di un super-eroe, anzi era piuttosto basso di statura, esile e per di più aveva una gamba più corta dell'altra a causa di una frattura causatagli da un cavallo quando aveva soltanto cinque anni.

Presto Tazio mostrò il suo interesse per i motori e la sua competenza in materia, tanto che alla lunga riuscì a superare le comprensibili diffidenze che i suoi genitori mostravano per questo tipo di attività. Dopo la prima guerra le pressioni di Nuvolari si fecero insistenti, arrivò perfino a costruirsi un aereo da sé riuscendo a farlo volare, e nel 1920 si iscrisse alla sua prima gara anche se senza grande successo. I primi anni della carriera non furono facili, fu una vera e propria gavetta resa più difficile dal fatto che all'epoca della sua prima gara Nuvolari aveva già ventotto anni, dunque non si poteva considerare un giovane di belle speranze. Inoltre fino a quasi gli anni '30 il futuro grande campione non seppe scegliere se il suo ruolo dovesse essere quello di motociclista o di automobilista; affrontò molte gare da privato con moto o auto comprate e preparate da sé, ottenne dei buoni risultati in entrambe le discipline, ma nonostante questo fece molta fatica a convincere i grandi costruttori delle sue doti. Ma quando finalmente riuscì a dimostrarle non conobbe più rivali, i suoi successi furono tali e tanti da rendere quasi impossibile la loro elencazione senza annoiare il lettore che si trovasse a scorrerle.

Non è compito di questo articolo elencare tutte le vittorie di Nuvolari, né si ha la pretesa di analizzare in così poco spazio una carriera trentennale che si presta a molti spunti interessanti anche e soprattutto dal punto di vista tecnico; qui piuttosto interessa analizzare il personaggio Nuvolari e tutto ciò che ha significato in un'epoca difficile e complessa come quella tra le due guerre. Nuvolari guidò quasi sempre vetture italiane e con esse sfidò tutte le case automobilistiche del mondo, vincendo spesso e portando così grande lustro all'Italia da un lato ed al fascismo dall'altro.

Le cronache dell'epoca raccontano che quando il pilota mantovano incontrò Mussolini rimase molto commosso da quell'incontro, ma la testimonianza va presa con le dovute precauzioni e soprattutto non deve indurre a concludere che Nuvolari fosse un convinto fascista o che corresse per dare lustro al regime. 
Nuvolari è comunque passato alla leggenda con la sua maglia gialla che portava in ogni gara e inoltre non ha senso catalogare un campione sportivo perché è stato ricevuto da Mussolini o perché ha stretto la mano ad Hitler. Nuvolari pensava a correre e vincere, e siccome correva e vinceva nel periodo mussoliniano era inevitabile che finisse sugli stendardi fascisti. 
Nuvolari non era né un intellettuale né un politico, il suo mestiere era quello di pilotare i bolidi; era fascista nella misura in cui il fascismo, servendosi della sua immagine, lo privilegiava. Se invece di Mussolini in quel tempo ci fosse stato Giolitti, e Giolitti lo avesse voluto ricevere per complimentarsi con lui, Nuvolari sarebbe andato da Giolitti. L'unica differenza è che il fascismo si servì del pilota così come ogni nazionalismo si serve delle vittorie sportive per uso interno ed esterno. 

Non si pensi che Nuvolari non capisse tutto ciò, ma gli faceva comodo e decise di stare al gioco; era certamente un uomo intelligente, ma forse proprio per questo decise che non potendo lui da solo decidere le sorti del mondo gli conveniva monetizzare questo interesse che l'Italia sportiva mostrava per le sue imprese. Gli episodi degni di nota si sprecano, ma alcune imprese di Nuvolari resteranno a lungo nella storia dell'automobilismo e la sua particolare tecnica al volante rimane un marchio indelebile che ancora oggi connota uno stile di guida al tempo stesso rischiosissimo e molto ragionato. 

Enzo Ferrari, che di piloti se ne intendeva, fece di tutto per poter scritturare il pilota mantovano tra i suoi corridori e quando vi riuscì costruì intorno a lui alcuni dei più significativi successi dei primi anni della sua gloriosa scuderia. Alcuni anni dopo fu chiesto allo stesso Ferrari quale fosse il segreto di Nuvolari e lui rispose così: "Tazio abbordava la curva alquanto prima di quello che l'istinto di pilota avrebbe dettato a me. Ma l'abbordava in una maniera inconsueta, puntando di colpo il muso della macchina contro il margine interno, proprio nel punto in cui la curva aveva inizio. A piede schiacciato faceva così partire la macchina in dérapage sulle quattro ruote, sfruttando la spinta della forza centrifuga e tenendola in pista con la forza traente delle ruote motrici. Per tutto l'arco della curva il muso sfiorava il margine interno, ma quando la curva terminava e ricominciava il rettilineo, la macchina si trovava già in posizione normale per proseguire diritta la corsa, senza necessità di correzioni".

Con il progresso della tecnica la "curva di Nuvolari" perse progressivamente efficacia, ma a quel tempo nessuno riuscì mai a riprodurla. Molti si avvicinavano alla sua tecnica, provando e riprovando, ma nelle curve più dure finivano per sollevare il piede non arrivando ad osare quello che osava Nuvolari; probabilmente nessuno come lui accoppiava una così elevata sensibilità della macchina ad un coraggio quasi disumano. Anche in questa storia i toni della narrazione si intrecciano con la leggenda, ma che Nuvolari traesse grande vantaggio dalla sua superiorità nel fare le curve è fuori di dubbio e molti episodi lo dimostrano. 

Uno degli esempi più significativi risale al 28 luglio 1935, in una gara al Nürburgring, in cui le Mercedes e le Auto Union di fabbricazione tedesca si presentavano al via con tutti i favori del pronostico; la gara aveva assunto un significato politico superiore a quello che traspare a prima vista. Due anni prima le Alfa italiane avevano stracciato le macchine teutoniche sul circuito berlinese dell'Avus davanti agli occhi costernati del neoeletto cancelliere Hitler. In quell'occasione quello che poi sarebbe diventato il Führer decise che la Germania doveva diventare una nazione all'avanguardia nella fabbricazione di automobili ed iniziò una politica di incentivi a questo tipo di produzione che diede presto i suoi frutti. A quell'epoca la Germania era in ginocchio, il popolo era esasperato dall'odio di classe e dalla crescente disoccupazione e Hitler cercava di drogare i tedeschi con lo sport e con il razzismo motoristico. Stanziò immediatamente 450.000 marchi per finanziare i progetti di Mercedes e Auto Union di Porsche, affinché preparassero delle macchine da grand prix degne delle ambizioni della nuova Germania in camicia bruna. A dire il vero quei soldi non bastarono neanche per coprire le spese per i progetti delle otto cilindri Mercedes, ma ebbero il merito di riportare l'entusiasmo intorno al mondo dei motori ed i primi risultati si videro già nel 1934.

Le macchine tedesche cominciarono a vincere ed in poco tempo conquistarono un'indiscussa supremazia mondiale. L'Alfa arrancava, le sue vetture si trovarono a non essere più all'altezza dei neonati bolidi d'argento e la casa italiana dovette tentare, costretta dagli eventi, a rispolverare la vecchia auto progettata da uno dei più geniali ingegneri del mondo delle corse di quel tempo: VITTORIO JANO. Jano fu naturalmente richiamato a seguire l'evoluzione della vettura di sua creazione e si mise a lavorare alacremente al fianco di Nuvolari con l'obiettivo dichiarato di riuscire ad arrivare alla corsa in Germania salvando quanto meno la faccia. E' inutile dire come il morale degli addetti ai lavori e degli appassionati italiani fosse basso, ma Nuvolari dichiarò più volte che il tracciato del Nurburgring, così pieno di curve e così adatto ad esaltare le doti tecniche di un pilota lo avrebbe agevolato; non prometteva la vittoria, probabilmente la riteneva anche lui fuori portata, ma era conscio di avere ancora qualche carta da giocare. 
Insomma il 25 luglio 1935 si arrivò ad un gran premio che sapeva di resa dei conti definitiva tra le due più grandi potenze automobilistiche del mondo, ma agli occhi di tutti pareva dovesse solo sancire l'avvenuto sorpasso della Germania ai danni dell'Italia.

Fino a quella gara italiani e tedeschi avevano accuratamente evitato di confrontarsi direttamente, avevano scelto le gare a cui partecipare anche in funzione dei programmi dei rivali e la curiosità e la tensione erano salite di conseguenza. Ma adesso il confronto non poteva più essere evitato: il gran premio di Germania era considerato il più prestigioso del mondo insieme a quello di Monza, in più Hitler, ormai sicuro di vincere, aveva provveduto personalmente ad invitare le Alfa a parteciparvi e, dati i buoni rapporti che intercorrevano tra le due nazioni, nessuno si prendeva la responsabilità di fare un torto al dittatore tedesco.

L'andamento delle prime prove non fece che confermare i pronostici della vigilia e Nuvolari, ormai quarantatreenne, non fa più paura ai tedeschi tanto che un giornale ha scritto: "Nuvolari ha solo un glorioso passato, ma il presente ed il futuro appartengono ai piloti di Hitler".

 Il giorno della gara l'elemento di maggiore interesse per i duecentomila che affollavano le tribune del circuito pareva essere se la migliore macchina tedesca fosse la Mercedes o la Auto Union, al cui vertice stava uno dei personaggi simbolo dell'automobilismo mondiale, FERDINAND PORSCHE. Dal canto suo Nuvolari porta ancora i segni di un incidente dell'anno precedente, sa di essere alla fine della sua carriera, ma ci crede. Il circuito di gara è molto tecnico, è lungo 28 chilometri, ha 174 curve ed un dislivello complessivo di 700 metri: l'ideale per le sue caratteristiche. E infatti l'ultimo giorno di prova, proprio nell'ultimo giro utile, il pilota mantovano fa segnare il miglior tempo assoluto. I tedeschi non se ne preoccupano, pensano ad un errore dei cronometristi e continuano a lavorare concentrandosi sull'obiettivo di superare i loro connazionali. La mattina della gara Nuvolari fa cambiare la bandiera italiana issata all'autodromo perché troppo vecchia e sbiadita e quando il suo meccanico gli chiede perché si preoccupa della bandiera con tutti i problemi che devono affrontare risponde: "Perché oggi vinco io e la bandiera che sventolerà deve essere all'altezza della mia impresa".

Inutile dire che Nuvolari vinse la gara, ma la vinse alla sua maniera. Vola subito in testa, ma per un problema tecnico perde oltre 70 secondi al rifornimento, a quel punto si trova quarto, distanziato di un minuto dai tre tedeschi che lo precedono; recupera secondi e posizioni, ma quando inizia l'ultimo giro (di ben 28 chilometri, lo si tenga presente) con trenta secondi di ritardo da Von Brauchitsch nessuno pensa che sia possibile una rimonta. In casa Alfa c'è già grande soddisfazione per il secondo posto e per la bella figura rimediata, il maggiore Huhnlein, incaricato della premiazione, sfodera il suo bel foglietto con un discorso teso a magnificare le doti delle macchine e del popolo tedesco e due soldati alzano la bandiera tedesca sul pennone più alto. 

Quando dalla curva appare la prima macchina è accolta da un'ovazione di tutto il pubblico che, causa il fango che si è depositato sulla carrozzeria, non si accorge che quella macchina non è del colore argento che caratterizza le vetture tedesche, ma è rossa, il colore dell'Italia. 

Nuvolari fu insomma un grandissimo personaggio, un uomo che ebbe un impatto sulle folle enorme, è vero, e lo si è già detto, che la sua immagine fu in parte costruita per scopi discutibili, ma era comunque un uomo che rischiava la vita ad ogni gara; vinse una gara con una gamba ingessata e ne corse un'altra con un braccio rotto sfidando il parere dei medici che dissero che gareggiando metteva in pericolo la sua carriera, ma fu amato soprattutto per questo suo grande coraggio.

Nessuno a quell'epoca poteva essergli paragonato quanto a successo e ammirazione, anche lo stesso Carnera, l'unico altro italiano che in quei tempi si costruì una fama sportiva planetaria, durò troppo poco per potergli essere accostato. Inoltre Nuvolari era un uomo intelligente, certamente un grandissimo intenditore di motori, oltre che un pilota dal talento smisurato. Corse fino al 1950, quando aveva già 58 anni e la sua salute lasciava già presagire il destino che lo attendeva. Morì nel 1953, nel suo letto, come la più normale delle persone, a causa dei problemi respiratori causatigli da tanti anni trascorsi ad inalare il fumo dei gas di scarico delle auto da corsa. 

Nella sua carriera disputò 308 gare vincendone 91 e collezionando un buon numero di piazzamenti. Non c'è competizione automobilistica di prestigio che non possa vantare il nome di Tazio Nuvolari nel suo albo d'oro ed è difficile dire se fosse già esistito il campionato mondiale quanti ne avrebbe vinti, ma certamente sarebbero stati tanti. Inoltre fu legato all'Italia e ne difese i colori per quasi tutta la sua lunga carriera, solo nel 1942, dopo essersi ritirato dalle competizioni una prima volta, accettò di correre per la Auto Union, attirato dal fascino, e perché no dai marchi, di un personaggio come Porsche. Ma lo fece soprattutto per smentire tutti coloro che lo consideravano finito, gli interessava dimostrare alle case italiane che lo avevano accantonato troppo in fretta. 
E naturalmente ci riuscì.

di CARLO SANGALLI

Si ringrazia per l'articolo  
FRANCO GIANOLA, 
direttore di  STORIA IN NETWORK 

 

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