109 bis. (dopo GLI ANGIOINI )

Il meridione d’Italia - Periodo Aragonese

Castel Nuovo - detto anche "Maschio Angioino": Eretto inizialmente da Carlo d'Angiò (1279-1282), fu poi rifatto, rafforzato e abbellito da Alfonso I d'Aragona (1443-1453). Il famoso Arco Trionfale (1455-1458) ricorda appunto l'entrata trionfale a Napoli di Alfonso nel '43.

 

Di Franco Savelli

Sommario
- Aspetti economico-sociali del meridione insulare e peninsulare.
- Alfonso V d’Aragona (Alfonso I di Napoli): insediamento in Sicilia. Conquista del Regno di Napoli. La gestione e la politica.
- Ferdinando I re di Napoli (Don Ferrante): il lungo regno, la successione, Alfonso II, Ferdinando II di Napoli (Ferrandino), Federico IV. Carlo VIII di Francia e la conquista del Regno di Napoli. Luigi XII di Francia a Napoli. Annessione alla corona di Spagna da parte di Ferdinando II “ il Cattolico”.
- La Sicilia provincia d’Aragona

 


Aspetti economico-sociali del meridione prima di Alfonso V
A parte gli aspetti dinastici e politici illustrati (*) :
- Nel regno di Napoli gli angioini avevano attuato un vasto programma di miglioramento delle strutture e della viabilità che collegava Napoli alla Puglia, attraverso Benevento, e all’Abruzzo, attraverso Sulmona. Le strutture avevano riguardato l’ampliamento del porto di Brindisi e di Barletta che con Bari, Trani e Napoli erano diventati, importanti centri marittimi in cui i mercanti Fiorentini, con le loro attività di esportazione di olio, vini, sale e formaggi avevano soppiantato i veneziani. Dalla Calabria si esportava legname e dall’Abruzzo bestiame. Attività che entrarono in crisi, allorché, non potendo recuperare i crediti dai sovrani per il dissesto provocato dalle spese militari, i banchieri uscirono di scena. Calarono allora le esportazioni affidate ad operatori esteri che assorbivano tutta la produzione delle campagne. Questa, limitata dalle carestie, non era in grado di sopperire ai bisogni interni delle comunità urbane, inducendo ribellioni nelle popolazioni, il cui spirito di autonomia era attentamente mortificato dai signori delle terre.
In questa situazione cresceva la volontà dei cittadini di inserirsi negli organi dell’amministrazione locale il che fece emergere un nuovo ceto patrizio che tendeva, provvedendo ad innalzare proprie dimore, ad assimilarsi alla nobiltà feudale, lasciando immutata la distinzione dai popolani.

- Nella Sicilia, gli angioini, tramite i loro agenti marsigliesi e provenzali, avevano tratto lauti profitti indirizzando l’esportazione della produzione cerealicola verso il settentrione o al rifornimento delle attività belliche, tale da lasciare insoddisfatti i fabbisogni interni e costringere a periodiche sommosse gli abitanti dei centri maggiori (2). L’attività dei mercanti era sostenuta e protetta dai sovrani che, con il gettito delle licenze di esportazione potevano finanziare le loro attività. Questo accentuava la loro dipendenza dai produttori baronali che, associatisi in grandi consorterie, divennero il centro del potere economico ed indussero le popolazioni rurali, costringendoli con scorrerie, a concentrarsi nelle aree produttive dove venivano protette.
Alla fine del ‘300, quando le lotte fra i baroni e l’aragonese Martino I portarono al tracollo delle grandi famiglie (*), queste vennero sostituite dai nobili spagnoli che trovarono nuovi concorrenti, nei mercanti banchieri fiorentini che giungevano nell’isola.


Alfonso V d’Aragona ed i Regni di Sicilia e di Napoli
- In Sicilia

Nel periodo immediatamente successivo al suo insediamento in Sicilia (1416) (*), Alfonso vi fece trasferire numerosi funzionari spagnoli (valenzani e castigliani) che, avendo ricevuto facoltà decisionale, garantirono iniziative imprenditoriali e politiche. Queste contribuirono a vivacizzare economia e commerci, consentendo, al contrario di quanto ancora avveniva nel meridione peninsulare, alle grandi città siciliane una vivace ripresa che, incentivando l’inurbanizzazione dalla campagna dove diminuiva il bisogno di mano d’opera per culture intensive, colmava, nelle città, il calo demografico che si era verificato con la peste (1348).
Alfonso era riuscito a legare a se l’intereresse della aristocrazia aumentandone i privilegi, col risultato che alcune famiglie (i Ventimiglia) stabilirono una autorità, talvolta assoluta, sui loro territori. Egli basava il suo potere sulla nomina di funzionari che lo rappresentassero, introducendo alla maniera aragonese, una forma di patteggiamento che, oltre a regolare i rapporti tra corona e sudditi al fine di consentire a questi una maggior possibilità di difesa, rendesse più agevole il controllo dei territori.
Non diversamente le cose andarono a Napoli dove, però, Alfonso si vide costretto a legittimare le usurpazioni baronali senza assicurarsi, in contropartita, la lealtà.

- Alla conquista del regno di Napoli
Tra il 1416 ed il 1443, Alfonso, succeduto al padre, ancora ventenne, avviò il “progetto” (v. seguito) di formare una confederazione mediterranea, trovando ostacolo nelle sommosse che si verificavano in Sardegna ed in Corsica, acquisite in virtù della concessione Papale del 1295 (Trattato di Anagni)*. La Corsica solo nominalmente poteva considerarsi sotto la sovranità aragonese e, nel 1420, Alfonso sbarcò ad Alghero coll’intento di costituire un regno unico di Sardegna e Corsica (3), ma venne distolto nel suo intento dall’aiuto, richiestogli dalla regina Giovanna II di Napoli, volto a rompere l’assedio cui la sottoponeva Luigi III d’Angiò (*). Per la qualcosa, la regina, in mancanza di eredi, aveva adottato Alfonso e nominato duca di Calabria, titolo risevato al principe ereditario. Alfonso sbarcò a Napoli e prese in consegna Castel Nuovo (Maschio Angioino) ma i contrasti sorti con Giovanni Caracciolo, favorito della regina, indussero questa a revocare l’adozione, spostando il favore per la successione sul suo recente avversario Luigi III (1423) ed a rivolgersi per protezione a Muzio Attendolo Sforza (4) . Questo, alleato di Luigi III, trovandosi in quel momento a Benevento, la aiutò fuggire da Napoli. Mentre Alfonso, richiamato per tensioni che lo riguardavano in terra spagnola, fu costretto a farvi ritorno, lasciando a Napoli il fratello Pietro in qualità di luogotenente.

La flotta dello Sforza, guidata dall’ammiraglio Guido Torelli (5), dopo vari successi (Gaeta, Procida, Sorrento), riconquistò Napoli mentre Pietro si rifugiava in Sicilia. La morte dello Sforza (1424) nel corso del tentativo di assediare l’Aquila indusse i contententi ad una tregua che durò fino alla morte della regina Giovanna.

Durante questo periodo Alfonso, progettando un assetto economico in cui la penisola iberica coinvolgesse l’Impero Orientale, non perdeva interesse verso Napoli che, trovavandosi al centro del Mediterraneo e perno del suo progetto, aspettava l’occasione per conquistare. A tal fine, alla morte del Caracciolo (1432), Alfonso si trasferì in Sicilia cercando di riappacificarsi con Giovanna II che, morendo (1435) lasciava il regno a Renato d’Angiò (1435-42). Questi, fratello di Luigi III, scomparso poco prima, essendo imprigionato a Digione dal duca di Borgogna, inviò la moglie Isabella di Lorena a Napoli per prendere, in suo nome, possesso dei territori ed accattivarsi il baronato con concessioni. Sostenuta in questa operazione dal duca di Milano, dal Papato e dai Genovesi, in contrapposizione ad Alfonso che, comunque, vantava il sostegno dei maggiori feudatari del regno (Sessa, Marzano, d’Aquino, ecc.).
Lo scontro decisivo di Ponza fra le flotte aragonese e genovese volse a favore di quest’ultima che, catturato Alfonso ed i suoi fratelli, li condusse prigionieri a Milano per consegnarli a Filippo Maria Visconti (6) . Qui si verificò il mutamento di atteggiamento del Visconti nei confronti di Alfonso che ricevette onori e, messo in libertà, raggiunse Gaeta (1436), rimasta in possesso del fratello Pietro, da dove organizzò la sua rivalsa su Renato d’Angiò. Questo, rimesso in libertà dal Duca di Borgogna in seguito a pagamento di un riscatto, raggiunse Napoli (1438).

La lotta di conquista di Napoli da parte di Alfonso si articolò su vari scenari (Aversa, Sulmona) e con l’assedio di Napoli che fu espugnata, nel 1442, dalle truppe aragonesi che penetrarono attraverso l’acquedotto (1442) (7). Alfonso fece il suo ingresso trionfale nel febbraio 1443.

Con l’insediamento a Napoli, Alfonso V d’Aragona “il Magnanimo” , aggiungeva il Regno di Napoli (1443-1458) ai suoi domini che, oltre ai territori spagnoli, comprendevano già la Sicilia, (1416-1458), ottenuta per successione al padre Ferdinando I “il giusto” e la Sardegna, acquisita nel 1295 con il trattato di Anagni, anche se per più di un secolo, in questa regione, si manifestarono opposizioni alla nuova feudalità. I regni di Napoli e Sicilia restavano amministrativamente divisi per la rivalità esistente fra i due ceti dirigenti, accentuata in buona parte dallo spirito autonomistico degli isolani ed, ancor più, dalla nomina, da parte del successore di Alfonso, Giovanni II di Aragona, di un vicerè in Sicilia.

Il regno di Napoli, nel 1443, comprendeva tutto il meridione continentale che, dallo stretto di Messina si estendeva fino al Tronto, confine con i possedimenti del papato. (vedi cartina dell'epoca > )

- La politica di Alfonso V
Il primo problema politico che Alfonso dovette affrontare, dopo l’insediamento a Napoli, fu quello di ricucire i rapporti con il Papato che, durante le lotte di successione, aveva parteggiato per il pretendente angioino. Dopo qualche mese dall’insediamento si impegnò (Trattato di Terracina, giugno 1443) a riconoscersi vassallo della Santa Sede, ricevendo l’investitura da Papa Eugenio IV (Gabriele Condulmer, 1431-47) (8) ed il riconoscimento del diritto alla successione per il figlio naturale Ferdinando.

Alfonso si tenne ai margini delle vicende italiane che, nella prima metà del XV sec., erano caratterizzate dalla mutevole politica del Duca Visconti di Milano e delle sue contese con Firenze e Venezia, sorrette di volta in volta dallo Sforza (nota 6) ed anche con distacco accolse la notizia che lo designava successore di Filippo Maria Visconti. In questa cornice di politica dell’accondiscendenza vanno inseriti alcune scelte di Alfonso come l’espulsione dei mercanti fiorentini (1451) sollecitata dai Veneziani ed i grandi onori resi, in funzione anti francese (9), all’imperatore Federico III d’Austria in visita a Napoli per accogliere la sposa Eleonora di Portogallo, nipote di Alfonso.

L’interesse di Alfonso in quel tempo era volto a consolidare, attraverso un accordo con Firenze del 1450, la presenza aragonese sulle coste toscane per poter controllare il Tirreno al fine della realizzazione di un suo “progetto”. Questo, rifacendosi ad una visione più prossima a quella dinamica dei sovrani normanni e svevi che guardavano ad oriente e, differenziandosi dalla posizione statica dei suoi predecessori aragonesi, mirava alla creazione di un mercato unitario composto dai domini occidentali (penisola iberica, Napoli, Sicilia e Sardegna) da inserire in un ampio contesto politico economico che coinvolgesse anche l’impero orientale, verso cui il meridione rappresentava un trampolino.
Risultava pertanto strategicamente privilegiata la scelta di Napoli (10) quale centro operativo internazionale di una comunità economica, alimentata dalla produzione agricola italiana (Puglia e Sicilia) (11) e da quella industriale, tessile e navale, aragonese da contrapporre ai concorrenti genovesi e fiorentini, favorendo al contempo l’attività dei banchieri catalani a Napoli e di quelli pisani in Sicilia. Ed anche se la conquista di Bisanzio da parte dei Turchi (1453) (12) veniva a dividere in due blocchi contrapposti lo scacchiere mediterraneo, non fermava le mire di Alfonso che, pensando ad una crociata per la conquista, da occidente, dell’impero orientale, continuava ad ambire la unificazione delle potenze mediterranee. Ma una pace (Pace Italica, Lodi) concordata tra Milano e Venezia e che coinvolgeva anche i Turchi e Firenze, indusse Alfonso a sottoscriverla (1455).
I legami con Milano furono rafforzati dal matrimonio del nipote Alfonso, principe di Capua, con la figlia di Francesco Sforza, Ippolita Maria.

Alfonso ricevette, per il patrocinio delle arti, da Spagnoli e Napoletani il soprannome di “magnanimo”, sebbene questo titolo fosse meno giustificato in Sicilia dove, pur se fece nascere a Catania la prima università siciliana, il suo tempo appare interessante solo se rapportato al vuoto dei due secoli precedenti. La Sicilia infatti poco contribuì al Rinascimento ed i suoi uomini migliori (13) furono costretti ad emigrare. Le fonti di reddito, in Sicilia, erano le medesime del tempo normanno e con la protezione delle tonnare, il prodotto salato divenne un prezioso articolo di esportazione.
Alfonso promosse una razionale centralizzazione delle strutture relative al complesso dei domini, istituendo a Napoli sia la Cancelleria generale, mantenendo nei vari regni uffici periferici per l’ordinaria amministrazione, sia l’Ufficio per la conservazione del patrimonio e demanio regio, attribuendo a funzionari spagnoli gli incarichi più significativi. Avviò una riforma fiscale ispirata alla razionalizzazione del prelievo ed alla individuazione dei soggetti fiscali che comportò un aumento delle entrate superiore al 10%.

Alfonso moriva (1458) senza poter completare il suo “progetto”. Per successione, univa la Sicilia e la Sardegna al Regno d’Aragona del fratello Giovanni II (1458-79) ed assegnava il regno di Napoli al figlio naturale, duca di Calabria, Ferdinando I (Don Ferrante, 1458-94).
Il meridione continentale verrà unito all’Aragona ed agli altri domini spagnoli da Ferdinando II “il Cattolico”, nel 1504.


Il regno di Napoli di Ferdinando I d’Aragona
Al momento dell’insediamento a Napoli, Alfonso aveva nominato erede il figlio naturale Ferrante, duca di Calabria, ottenendo per lui dal Parlamento il diritto alla successione, separato dal complesso degli altri domini assegnati al fratello Giovanni che mai rivendicò la successione di Napoli. Tale divisione non doveva alterare l’unità economica dell’impero.
Al fine di assicurarsi un futuro di potere nel mezzogiorno, Ferrante, nel 1444, aveva sposato Isabella di Clairmont, nipote ed erede del principe Orsini, uno dei feudatari più potenti.

Ferrante, trentacinquenne, si trovò, all’inizio del regno, a fronteggiare la grave situazione derivante dal rifiuto di Papa Callisto III (Alfonso de Borgia, 1455-58) a riconoscerlo, intendendo proclamare il regno possesso della Chiesa. Ma Callisto moriva prima di formalizzare la sua rivendicazione. E benché Papa Pio II (Enea Silvio Piccolomini, 1458-64), eletto per condurre una politica antifrancese, si affrettasse a riconoscerlo, Ferrante, fino al 1464, dovette contrastare il tentativo, da parte del figlio di Renato d’Angiò, Giovanni, sorretto da potenti baroni (14) della Campania, Puglia e Calabria, di riconquistare il regno. Pur inizialmente sconfitto (Sarno) dagli angioini, Ferrante, sorretto da Alessandro Sforza (signore di Pesaro, fratello di Francesco; nota 6) riuscì a sconfiggere ad Ischia l’angioino, abbandonato dai suoi sostenitori, ed a ristabilire la sua autorità.

Tale occasione gli permise comunque di rendersi conto della pericolosità dei baroni per cui sforzò di stringere alleanze attraverso legami sia matrimoniali che politici. Fece sposare le figlie Eleonora e Beatrice con il marchese di Ferrara ed il re d’Ungheria ed egli stesso, essendo scomparsa Isabella (1465), sposò la cugina Giovanna, figlia di Giovanni II d’Aragona. Politicamente si legò a papa Sisto IV (Francesco della Rovere, 1471-84), sostenendo Venezia contro i Turchi ed aderendo alla congiura dei Pazzi contro i Medici che indusse Lorenzo il Magnifico a recarsi a Napoli (1480) a negoziare separatamente una dignitosa pace.

Nel 1480 i Turchi di Maometto II, memori anche dell’appoggio fornito da Ferrante ai veneziani, occuparono Otranto, massacrando la maggior parte della popolazione. L’evidenza del pericolo di una penetrazione turca nel regno indusse a costituire, promossa da Sisto IV, una alleanza che comprendeva, oltre al re d’Ungheria, Milano, Genova, Firenze e Ferrara. Ma la morte di Maometto II e la conseguente contesa di successione risolse il problema perché i turchi, si ritirarono spontaneamente (1481). Restava comunque evidente la debolezza difensiva delle coste adriatiche che vennero attaccate da Venezia (1484, conquista di Gallipoli), cui seguì una ricomposizione con restituzione dei territori occupati.

Nel 1486 Ferrante dovette contrastare una congiura composta da diversi potenti baroni di fede angioina, capeggiati da Francesco Coppola ed Antonello Sanseverino. Il figlio primogenito di Ferrante, Alfonso (1448-1495), duca di Calabria destinato alla successione, fu autore di una violenta repressione contro il baronato, causando una tensione che, anche in prospettiva della futura successione al trono da parte di Alfonso, si trasformò in ribellione dopo l’elezione di papa Innocenzo VIII (Giovanni battista Cybo, 1484-92).
Questi, a causa della sospensione del riconoscimento (1480, occupazione di Otranto) del censo dovuto dal Regno di Napoli per la sovranità feudale pontificia, appoggiò la rivolta. Ferrante adoperò la sua consumata esperienza nel tentativo di far sorgere contrasti fra i baroni ma l’Aquila, seconda città del regno, si ribellò accordandosi con il Pontefice. In risposta Ferrante invase i territori della Chiesa ma non impedì le iniziative di Alfonso che arrestò il conte di Montorio (eminente famiglia de l’Aquila) e sottrasse agli Orsini la contea di Nola. La minaccia degli aragonesi indirizzata su Roma, indusse le parti a trovare una pace, aperta alle richieste baronali ed al riconoscimento del censo dovuto al Papato (1487). Ma subito dopo Ferrante convoca i principali esponenti della congiura ed, invece di concordare una nuova fase politica, li destinò alla soppressione fisica mediante una crudele ed inutile esecuzione. La qualcosa non poté non provocare risentimento ed indurre parecchi oppositori a rifugiarsi in Francia, rendendo palese come ormai il regno non si reggesse sul consenso.

Ferdinando possedeva notevole capacità diplomatica, il che gli consentì di mantenere a lungo il trono, ma scarsa visione politica che lo indusse ad essere inclemente verso i nemici. I suoi metodi di governo furono improduttivi e l’amministrazione finanziaria basata su monopoli oppressivi e disonesti. La perdita di consenso e la cattiva amministrazione faceva sì che il mantenimento del potere dovesse essere legato ad un periodo di pace in quanto una nuova crisi avrebbe necessariamente provocato l’intervento di potenze straniere tra cui la Francia e la stessa Spagna. La prima ambiva alla riconquista del regno angioino mentre la seconda considerava Napoli, con Barcellona, Valencia e Palermo, un polo indispensabile alla sua attività commerciale.

Il matrimonio della nipote di Ferrante Isabella, figlia di Alfonso, con Gian Galeazzo II Sforza (15) non servì ad assicurargli l’appoggio della famiglia Sforza che anzi, nel 1493 per l’invito di Ludovico Sforza “il Moro”, indusse il re di Francia Carlo VIII (1483-1498) (16), sollecitato peraltro dai baroni napoletani esuli in Francia, ad invadere l’Italia per conquistare il Regno di Napoli. Impresa a cui Carlo VIII pensava da tempo, motivato soprattutto da interessi commerciali francesi che voleva si affermassero nel Mediterraneo di cui Napoli era un centro strategico.
Ferrante, avendo messo in guardia i principi italiani dei rischi cui loro medesimi andavano incontro in quanto, non era un singolo principe a muoversi come sovente era accaduto in precedenza, ma l’intero potenziale della monarchia francese, si preparava ad allestire flotta ed esercito per la difesa, quando morì (gennaio 1495) onorato e seppellito a S.Domenico Maggiore.
Gli successe il figlio Alfonso II.

Successione di Ferdinando I ed annessione alla Spagna
Carlo VIII (1494), accolto da Ludovico il Moro ad Asti, attraversò l’Italia senza incontrare resistenza da parte dei principi timorosi di scontrarsi (17) e, dopo essere stato accolto come liberatore in una Firenze che aveva scacciato Piero dei Medici, giunto a Roma, indusse, a seguito di un complesso negoziato, il Papa Alessandro VI (Rodrigo Borja/Borgia, 1492-1503) ad accordargli, controvoglia (18), il permesso di attraversare i territori del Papato, senza peraltro assumere impegni sull’investitura del regno di Napoli.

Alfonso II, malgrado avesse tentato una difesa, si rese conto di quanto inconsistente essa fosse. La sua flotta, condotta dal fratello Federico fu respinta a Genova, sconfitta dopo uno sbarco a Rapallo ed il suo esercito costretto a ripiegare dalla Romagna. Nel gennaio del 1495, una insurrezione scoppiata in Abruzzo, determinando il crollo del fronte di difesa predisposto, indusse Alfonso, assalito da incertezze e timori e, verosimilmente, per assicurare maggiore stabilità di conduzione del Regno, ad abdicare in favore del figlio Ferdinando II “Ferrandino” (1495-96) ed a ritirarsi in un monastero presso Messina dove morirà nello stesso anno.

Il giovane Ferrandino (nato nel 1469), poco poté fare in un quadro di instabilità e sfiducia in cui assisteva alla defezione da parte dei comandanti delle truppe ed all’abbandono dei nobili napoletani pronti a schierarsi con la fazione vincente. Constatata l’impossibilità di difendere Napoli, sconvolta dai tumulti, dopo un accorato discorso rivolto a nobili e popolo (19), Ferrandino si ritirò ad Ischia da dove poi raggiunse Messina, lasciando Napoli sguarnita all’accesso di Carlo VIII.

Il re di Francia si installò nella regia fortificata di Castel Capuano, mostrando l’insolente disprezzo di chi ha conseguito una vittoria senza dover affrontare un nemico che, pur sconfitto, avrebbe potuto imporre rispetto. Infatti, lasciandosi fuorviare dall’accoglienza favorevole derivante prevalentemente da nostalgia per gli angioini e sorretto dalla illusoria considerazione di avere il controllo del regno ed il favore degli altri Stati italiani, si alienò l’iniziale consenso ed installò funzionari francesi ai vertici di tutte le amministrazioni. Invece gli stati italiani, Venezia, Milano ed il Papato (20), sorretti da Ferdinando II d’Aragona “il Cattolico” (21) e dall’imperatore Massimiliano I d’Asburgo (22), intuendo il pericolo, si coalizzarono in Lega (1495) contro Carlo VIII. Questi, incalzato dallo sbarco di un contingente spagnolo in Calabria e dalla comparsa della flotta veneziana lungo le coste della Puglia, risalì la penisola scontrandosi con le forze della Lega a Fornivo, il cui esito non fu di sicura attribuzione. I Francesi, comunque, si asserragliarono a Novara e Ludovico il Moro, prima ancora dell’arrivo dei Veneziani, scelse una pace separata con i Francesi in cambio del recupero di Novara. Carlo VIII rientrò in patria (maggio 1495) abbandonando le truppe lasciate a presidiare il regno di Napoli.

Ferdinando II di Napoli (Ferrandino) colse l’occasione per riconquistare il regno e, sorretto dal contingente spagnolo di Consalvo de Cordova stanziato a Messina, dopo aver costretto alla resa i Francesi, riuscì a riconquistare le città che si erano schierate con essi ed a rientrare (luglio 1495) a Napoli tra l’entusiasmo dei napoletani. Intanto Venezia che aveva assunto il ruolo di potenza egemone occupava diverse città pugliesi. Ferrandino sposò la più giovane Giovanna, benché sorellastra del padre (figlia di Ferrante e Giovanna d’Aragona) ma, dopo breve, si ammalò e morì (settembre 1496). In mancanza di eredi diretti gli successe il fratello del padre, Federico IV di Napoli (1496-1503), ultimo della dinastia aragonese di Napoli.

Intanto non si erano sopite le mire francesi sul regno di Napoli e Luigi XII (1498-1515) (23), cugino e successore di Carlo VIII sul trono di Francia, trovò interessato Ferdinando II d’Aragona “il cattolico” che, benché cugino di Federico IV di Napoli, pensò alla possibilità di un inglobamento del regno nella corona spagnola. Con un accordo segreto (Trattato di Granata, nov. 1500), garantito dalla neutralità del Venezia e del Papato, i due sovrani, dichiararono deposto Federico IV (24) e concordarono la spartizione del regno di Napoli: la Campania con Napoli e gli Abbruzzi erano attribuiti a Luigi XII, mentre la Calabria e la Puglia a Ferdinando II. E pur se nel 1500, Luigi XII, a seguito della spedizione in Italia (nota 23) si era insediato a Napoli, tra i contraenti il Trattato di Granata, intervennero dissidi che sfociarono in una guerra Francia-Spagna. La Spagna per i suoi interessi in Sicilia e per il controllo del Mediterraneo non poteva tollerare la presenza a Napoli della Francia. Le forze francesi in Italia, privi di rifornimento via mare (controllato dagli Spagnoli), dopo circa due anni di resistenza, furono sconfitti presso il Garigliano (1503). In base ad un nuovo accordo (Trattato di Lione, 1504), I francesi si stanziarono a Milano e Ferdinando II si impossessò dell’intero regno di Napoli (divenendo re con il nome di Ferdinando III di Napoli) di cui dichiarò l’annessione alla corona di Spagna ed amministrò attraverso un viceré.

La struttura del Regno acquisito era economicamente debole e dedito alla pastorizia, a parte Napoli in cui la massa cittadina ruotava tra attività industriale o artigianale ma prevalentemente priva di una specifica competenza. Napoli era diventato uno dei maggiori centri del Rinascimento.
Dal 1504 il meridione d’Italia, insulare e peninsulare, divenne possedimento dei sovrani spagnoli fino al 1713 (guerra di successione Spagnola e trattato di Utrecht) allorché il Regno di Napoli, con la Sardegna, passerà a Carlo VI d’Asburgo.


La Sicilia provincia d’Aragona
Con la morte di Alfonso I di Sicilia (V d’Aragona), ebbe inizio per la Sicilia il periodo spagnolo in quanto essa fu inserita nell’ambito della corona d’Aragona di Giovanni II (1458-1479) che, sostenitore di una linea politica iberica, senza però porre intralcio al governo di Napoli andato in successione al nipote Ferdinando I, proclamò che la Sicilia non sarebbe più stata distinta dall’Aragona e ciò senza che si manifestasse alcun evidente dissenso. Egli non si occupò molto della Sicilia che fu governata praticamente dai Vicerè. (25)
In questo periodo la Sicilia non fu teatro di guerra ma contribuì sostanzialmente alle guerre aragonesi con considerevoli quantitativi di oro e di argento che contribuirono ad aumentare il dissesto delle risorse dell’isola. Il governo siciliano raramente respinse una richiesta di nuove tasse in quanto molti feudatari erano creditori del governo spagnolo e temevano, in tal caso, di perdere quanto era loro dovuto.

I mercanti siciliani erano piuttosto interessati ai commerci nel Mediterraneo orientale e chiesero a Giovanni di negoziare con i turchi una pace o la concessione di un salvacondotto per la libera circolazione delle merci ma egli non poteva permettere che ai nemici della Spagna fossero permessi commerci in Sicilia. Che anzi, all’inizio del ‘500, proprio nel momento in cui maturava la grande Spagna dei re cattolici, essa, con le fortificazioni che la cinsero lungo le coste (torri e castelli) e con l'aumento delle guarnigioni, divenne una roccaforte avanzata contro l’aggressione ottomana.

L’insediamento di Ferdinando il Cattolico (1479) che, con l’unione dell’Aragona alla Castiglia (nota 21) avviava la formazione della nazione spagnola, condannava la Sicilia ad un ruolo sempre marginale che si andò ancor più riducendo allorché i grandi viaggi e le scoperte di nuove terre avviavano la Spagna alla costruzione di un impero.

Un segno della subordinazione della Sicilia all’Aragona fu l’introduzione della nuova Inquisizione spagnola (26) con l’invio di inquisitori in Sicilia (1487) che posero il loro quartier generale a Palermo. Dopo una iniziale perplessità, la nobiltà siciliana considerò un privilegio far parte del collegio inquisitore, contribuendo, con l’espulsione di minoranze razziali (27), a condurre nell’ortodossia la Sicilia, ripudiando il suo esemplare passato normanno-svevo di tolleranza, allontanandola dal progresso cui il resto di Europa si avviava con il Rinascimento e facendo tramontare quei piccoli centri di vita intellettuale che erano Palermo e Messina.

A Ferdinando II d’Aragona successe, nel 1516, Carlo V che ereditò i regni di Aragona, Castiglia, Napoli e Sicilia.
La dominazione spagnola durerà fino alla guerra di successione spagnola allorché con il trattato di Utrecht (1713) la Sicilia passerà a Vittorio Amedeo II di Savoia.

NEL PROSSIMO CAPITOLO PARLEREMO APPUNTO DEGLI:
"ASBURGO DI SPAGNA NEL MERIDIONE D'ITALIA"

 

NOTE

1) Con il segno (*) si rimanda all’articolo “Il meridione d’Italia Angioino ed Aragonese”
2) I grandi centri, Palermo, Catania, Messina, Siracusa restavano sedi amministrative ma non di traffico di merci che avveniva in lontani caricatoi costieri. Particolarmente Messina, centro del collegamento con il meridione continentale, subì un vistoso declino già in epoca angioina ed anche aragonese allorché Trapani, più vicina alla Spagna, divenne centro di collegamento, non di commerci.
3) Aveva sedato Sassari ed altri centri ma in Corsica non aveva avuto altrettanti risultati.
4) Muzio Attendolo Sforza (v. nota 6), soldato di ventura al servizio degli Angioini.
5) Condottiero di ventura al servizio di diversi ducati, tra cui quello di Milano. (Nel 1421 aveva partecipato, per conto di Filippo Maria Visconti alla conquista di Genova).
6) I Visconti governarono Milano dal 1227 al 1447, anno della morte di Francesco Maria, figlio di Gian Galeazzo, duca dal 1395. Nel 1425 nacque Bianca Maria l’unica figlia di Francesco Maria che la promise in moglie a Francesco Sforza (figlio di Muzio Attendolo Sforza), condottiero al servizio di Venezia, coll’intento di controllarlo. Il matrimonio si realizzò nel 1441. Alla morte di Francesco Maria senza eredi, a Milano fu istituita, dall’aristocrazia cittadina, la Repubblica Ambrosiana su cui Francesco Sforza, rivendicando il diritto derivante dal matrimonio con Bianca Maria, ebbe il sopravvento insediandosi a Milano nel 1450 (fino al 1466). A Francesco Sforza, Macchiavelli fa riferimento nel Principe quale esempio di buon governo.
7) Anche Belisario, generale bizantino al servizio di Giustiniano, per penetrare a Napoli, nel 536, aveva utilizzato l’acquedotto.
8) Si oppose al Concilio di Basilea (1431) indetto dal suo predecessore Martino V, perché non lo riteneva in linea con la sua visione. Il Concilio si rifiutò di sciogliersi ed, a seguito di una mediazione, lo stesso fu riconosciuto dal papa come “ecumenico” (1433). La fondazione di una Repubblica a Roma spinse il Papa a trasferirsi a Firenze. Ma la lotta con i padri conciliari di Basilea continuò ed il Papa ricorse alla scomunica contro di loro che, in risposta, elessero un Antipapa, poco accettato. Eugenio IV indisse un Concilio a Ferrara (1439, poi trasferito a Milano) e, dopo l’investitura accordata ad Alfonzo, avendo sottratto l’ultimo importante sostenitore del concilio di Basilea, poté rientrare a Roma.
9) I Francesi, con Renato d’Angiò, non avevano ancora rinunciato alle loro pretese sul regno di Napoli.
10) A Napoli, che divenne il centro politico dell’impero aragonese, vi pose la sua residenza ed identificava il regno come “Sicilia al di qua dello stretto” per differenziarlo dalla “Sicilia al di la dello stretto”.
11) Fu introdotto l’allevamento delle pecore”merinos” in Sicilia ed in Puglia con destinazione a pascolo del Tavoliere pugliese e confermata la specializzazione frumentaria della Sicilia.
12) Condotti da Maometto II mettono fine all’Impero Romano di Oriente che, separatosi dalla parte occidentale dopo la morte di Teodosio (395), era stato il baluardo cristiano contro le minacce dell’Islam.
13) Tra essi l’umanista e filologo Antonuio Beccatelli (Panormita) e l’insigne pittore Antonello da Messina. Il primo fu creatore a Napoli della Accademia Porticus Antoniana e ricevette da Alfonso V la residenza Zisa di Palermo. Antonello da Messina divenne il simbolo del ‘400 per la sua pittura che integra varie esperienze (particolarmente la fiamminga) italianizzandole con una tecnica in cui i particolari sono minuziosamente descritti. Fra le sue opere si possono citare: S. Girolamo nello studio, Salvator mundi ed Autoritratto (Londra), Crocefissione e Pala di S:Cssiano (Bucarest), S.Sebastiano (Dresda), due Pietà (Venezia e Madrid), Vergine Annunziata (Palermo), Ritratto di uomo (Cefalù) ecc.
14) Nelle file della nobiltà il partito angioino costituiva la parte più anarchica e turbolenta.
15) Ludovico Sforza “il Moro” ambiva ad assumere il potere a Milano ai danni del nipote di cui era reggente, Gian Galeazzo, genero di Alfonso che aveva sposato la figlia Isabella, madre di Ferrandino. Ludovico, per consolidare la sua posizione nel Ducato milanese, strinse rapporti con Carlo VIII di cui ambiva a ricevere sostegno.
16) Era desideroso di riconquistare il regno che fu degli angioini in quanto riteneva di vantare un lontano diritto per via della nonna paterna Maria d’Angiò (1404-63). Già nel 1486, a seguito della congiura e liquidazione dei baroni, Innocenzo VIII aveva invitato il re di Francia, prospettandogli la conquista del regno meridionale, a scendere in Italia per punire l’Aragonese.
17) Piero dei Medici accettò, senza discutere le richieste del re francese di consegnarli, fino alla conquista del regno di Napoli, le roccaforti di Pietrasanta, Sarzana, Pisa e Livorno oltre ad un prestito in denaro.
18) Il figlio del Papa, Goffredo Borgia aveva sposato Sancia, figlia naturale di Alfonso II.
19) Il susseguirsi delle guerre dinastiche non aveva consentito a nessun sovrano di Napoli di procedere ad un contenimento del potere baronale. In provincia esso, con il susseguirsi delle contese, aveva mercanteggiato il suo appoggio acquisendo compensi territoriali e concessioni giuridiche. Nella capitale si trovava una nobiltà che, giuridicamente colta, costituiva i ranghi della burocrazia ed era in grado di assumere una funzione moderatrice tra monarchia e classi popolari ma si isolò rifiutando ogni forma di collaborazione.
20) Già al momento della preparazione diplomatica della spedizione francese, gli Stati italiani si erano mostrati tiepidi nei riguardi dell’impresa rivolta contro il Regno di Napoli. Ludovico il Moro che al momento della preparazione dell’impresa di Carlo VIII, temeva per la sua reggenza, consapevole che in Francia fuoriusciti milanesi tramavano contro di lui, ora, con la morte di Gian Galeazzo si era liberato da ogni timore, avendo ricevuto l’investitura del Ducato dall’imperatore Massimiliano d’Asburgo.
21) Ferdinando II “il cattolico” (1452-1416) fu re di Sicilia (1468), di Aragona (1479) di Napoli (1503) ed, avendo sposato (1668) l’infanta di Castiglia, figlia di Giovanni II, Isabella (1451-1504) che, alla morte del fratellastro Enrico IV (1474) aveva ereditato la Castiglia, unificò di fatto le due corone (Castiglia ed Aragona), pur sispettando tradizioni e singoli istituti. Alla morte di Isabella, le due corone furono unificate ufficialmente dando vita al regno di Spagna. Ferdinando ed Isabella completarono la riconquista, avviata nel XIII sec. e conclusa (1492) con cacciata degli arabi dal Regno di Granada, operarono l’espulsione degli ebrei (1492), la conquista del Rossiglione e della Navarra, oltre a dare avvio ai viaggi oceanici (Colombo). Isabella lasciò la corona di Castiglia alla figlia Giovanna la Pazza che sposò Filippo “il bello” di Borgogna (1496), figlio di Massimiliano I (nota 20), da cui nacque Carlo V (1500).
22) Massimiliano I d’Asburgo, imperatore (1493-1519), al pari di Ferdinando II, mal sopportava un inserimento francese in Italia. Egli legò, con una fortunata politica matrimoniale, gli Asburgo ai re cattolici di Castiglia ed Aragona (nota 21).
23) Rifacendosi ai diritti ereditari della nonna Valentina Visconti, dopo aver patteggiato il consenso di Venezia e del Papa, intraprese una spedizione in Italia per la conquista del Ducato di Milano (1500) con la capitolazione di Ludovico il Moro, catturato a Novara. Il Ducato di Milano perse l’indipendenza e resterà sotto dominazione straniera per 360 anni.
24) Egli subì l’imperio accettando, quale contropartita, la contea francese del Maine da tramandare (1504) ai suoi eredi.
25) Tra i Vicerè più significativi del tempo di Alfonso si ricordano. Antonio Cardona, Nicolò Castagna, Nicolò Speciale, Ruggero Paruta e con Giovanni II: Raimondo Moncada, Giovanni Cardona, ecc.
26) Istituzione dipendente da Ferdinando d’Aragona e da Isabella di Castiglia, autorizzata, con bolla pontificia nel 1478 in Spagna, per combattere l’eresia. Si rivolse prima contro Musulmani ed Ebrei, quindi contro i protestanti ed ogni forma di devianza rispetto al Cattolicesimo. La sua autorità fu estesa, all’epoca dell’inquisitore Torquemada a tutti i Territori spagnoli. Napoli si oppose. Fu abolita solo nel 1834.
27) Nel 1492, in analogia a quanto si verificava in Spagna (nota 24), furono espulsi gli ebrei che rappresentavano circa il 10% della popolazione e che, con le loro attività, prestatori di denaro, orefici, tessitori contribuivano all’economia dell’isola. Precedentemente erano stati limitati nelle loro attività ma erano riusciti a comprarsi favori contribuendo a finanziare la cacciata dei musulmani dalla Spagna.

Nel prossimo capitolo:
"GLI ASBURGO DI SPAGNA NEL MERIDIONE D'ITALIA" > >


di Franco Savelli

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