109 bis. 7. LA CONTESA

Il meridione d’Italia Borbone di fine ‘700 (* 1)
Parte I : Riv. Francese - La nascita della Repubblica Partenopea


I Francesi a Napoli attendati al Largo delle Pigne,
e al Largo del Palazzo Reale (oggi p. Plebiscito) viene innalzato l'albero della Libertà

 

di Franco Savelli

Sommario
- Regno di Napoli della prima reggenza di Ferdinando IV; Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, il ministro Tanucci ed i successori Della Sambuca e Caracciolo. L’ammiraglio Acton.
- Illuminismo ed azione riformatrice, riflessi sull’amministrazione del Regno di Napoli .
- Rivoluzione francese: il malessere e l’insurrezione, abbattimento della monarchia, il regime del terrore e la reazione, il Direttorio. Riflessi sulle vicende europee, la prima grande alleanza antifrancese.
- L’offensiva Napoleonica e riflessi sugli stati Italiani : la Repubblica Romana.
- La Repubblica Partenopea: i francesi invadono il regno di Napoli, la fuga di Ferdinando a Palermo, il vicario Francesco Pignatelli, i Lazzari e la difesa di Napoli, il generale Championnet e la nascita della Repubblica, il governo provvisorio. Il generale Macdonald sostituisce Championnet.

Il regno di Napoli nella prima reggenza di Ferdinando IV
- Gli eventi politici

Quando Carlo di Borbone nel 1759 lasciò Napoli per imbarcarsi con la famiglia sulla fregata Fenice che doveva condurlo in Spagna per insediarsi su quel trono, il terzo figlio Ferdinando, di otto anni, cui aveva ceduto i Regni di Napoli e di Sicilia (riconosciuto come Regno delle due Sicilie) era l’unico, tra la generale commozione, ad essere contento di restare. Egli assunse il nome di Ferdinando IV di Napoli (III di Sicilia) e, con qualche interruzione, rimarrà al potere fino al 1825, per uno dei più lunghi regni della storia. Fino alla maggiore età fu coadiuvato da un consiglio di reggenza presieduto dal Principe di San Nicandro ma di fatto gestito dal ministro Bernardo Tanucci (nota 20) che mantenne le redini dello stato proseguendo la politica di riforme avviata con Carlo di Borbone.

Bernardo Tanucci (1698-1783) restò nel consiglio di Reggenza fino al 1767, allorché ricoprì il ruolo di primo ministro fino al 1776, trovandosi a dover fronteggiare opposizioni fierissime alla sua azione di governo e dovendo sostenere battaglie estenuanti coronate più da sconfitte che da successi. Il Tanucci completamente assorbito dagli affari di stato trascurò l’iniziazione al governo del giovane re, presumibilmente per non crearsi intralci nella sua azione riformatrice. Forse volutamente, secondo alcune testimonianze, il ché finì con il rivelarsi un errore, non potendo contare sull’apporto del re allorché gli affari di stato vennero poi completamente gestiti dalla regina.
Pertanto Ferdinando, pur dotato di ingegno ma lontano dall’esercizio del potere, affidato alla modesta e gretta personalità del principe di San Nicandro, crebbe rozzo, ignorante e volgare, esprimendosi nella sola espressione dialettale, mai dedito alla lettura o alla scrittura, disinteressato agli affari di stato, assorbito dalle baldorie e dalle bizzarrie (2).

Col passare degli anni crescevano forza, ignoranza ed il suo gusto incivile e plebeo tale da far pratica da pescivendolo. Rivelava talenti e millanterie di un barbaro apprezzate dal popolo, senza che eventi familiari o pubblici potessero coinvolgerlo e senza mai voler partecipare alle vicende politiche. Il ché potrebbe persino ritenersi un merito, non avendo, così, intralciato il movimento riformatore di quel periodo.

Nel 1768, sposò la figlia dell’arciduchessa Maria Teresa d’Austria e dell’imperatore Francesco I di Lorena, Maria Carolina d’Asburgo-Lorena di sedici anni (3).
Carolina frivola e lasciva, ma colta e regale, autoritaria, volitiva ed intrigante, manifestò fin dal suo arrivo il progetto, che perseguì con impegno ed alterigia, di sottrarre il regno di Napoli all’influenza spagnola per spostarlo nell’orbita austriaca.
Alla realizzazione di tale progetto, il consapevole Tanucci, autoritario e burbero, fedele al re Carlo III di Spagna a cui doveva la sua ascesa politica, rappresentava un ostacolo.
Appena nato il principe ereditario Francesco (1777), Maria Carolina iniziò ad occuparsi degli affari e, secondo quanto stabilito dal contratto di nozze, pretese di entrare a far parte del Consiglio di Stato, causando dapprima una riduzione di potere e quindi la sostituzione del Tanucci (1777). Tale rimozione, abbinata all’interesse della regina rivolto più a svincolare il regno dalla tutela della Spagna che da quella della Santa Sede (4), attenuò il riformismo legislativo che il Tanucci aveva avviato.

A sostituire Tanucci fu chiamato, dall’ambasciata di Vienna, il marchese della Sambuca, il quale diversamente dalle attese di Maria Carolina si mantenne fedele all’alleanza con la Spagna ed in contatto con Carlo III il quale cercò di intervenire sul figlio Ferdinando. Le sue missive però o vennero intercettate o sortirono un effetto del tutto irrilevante. Anche il ministro La Sambuca, costantemente avversato, riuscì comunque ad attuare provvedimenti in campo finanziario (v. seguito) ed a favore dell’Università, perché Carolina, ritenendolo riferimento della corrente filospagnola e nel tentativo di emarginare anche questa, tentò il discredito, invano, ma riuscì comunque nell’allontanamento (1784).
A questo contribuì anche l’opera dell’ammiraglio John Acton (5), uno scozzese al servizio del granducato di Toscana, che ella aveva avuto in prestito dal fratello Pietro Leopoldo II, granduca di Toscana, per affidargli il compito di riorganizzare esercito e marina. Pur non essendo riuscito a migliorare l’esercito che rimase disorganizzato ed inefficiente, Acton riuscì invece a creare una grande marina che rientrava nel progetto di fare di Napoli una potenza capace di contrastare, per conto degli Asburgo ed in appoggio agli inglesi, il predominio spagnolo e francese del Mediterraneo.

Attuando il progetto ed entrato nei favori di Carolina, assunse la carica di consigliere, favorendo lo sganciamento dello Stato dalla Spagna e l’alleanza con Austria ed Inghilterra, a cui contribuì in misura non marginale la visita a Napoli dei fratelli Pietro Leopoldo e Giuseppe (nota 3). I legami con l’Austria furono ulteriormente consolidati dai matrimoni tra gli eredi Borbone di Napoli e gli Asburgo-Lorena d’Austria (nota 2).

A sostituire La Sambuca fu richiamato dalla Sicilia il viceré Domenico Caracciolo che, nel tentativo di limitare il potere dell’aristocrazia fu sostenuto sia da Carolina che dal ministro Acton che avevano compreso come la nobiltà siciliana rappresentasse una minaccia per la Monarchia.
Caracciolo (la cui attività vicereale in Sicilia sarà dettagliata nella II parte), vecchio ed osteggiato, benché combattivo, nel breve periodo in cui ebbe modo di operare (1786-89) poté far poco ed il suo progetto di catasto per riformare il sistema tributario, fallì per i troppi interessi coinvolti, ma riuscì ad attuare una parziale liberalizzazione del commercio ed abolire (1788) l’omaggio della chinea (6).
Con la scomparsa del Caracciolo, il potere si accentrò formalmente nelle mani di Acton e la politica delle riforme che, malgrado l’allontanamento del Tanucci e grazie agli sforzi dei suoi successori, non si era completamente allentata, si arrestò. A ciò contribuì anche il dilagare degli eventi rivoluzionari francesi che, particolarmente con il vento innovatore dei suoi esiti, investì il regno di Napoli con la costituzione della Repubblica Partenopea (1799). Conseguentemente a questo evento mutò l’animo aperto alle innovazioni dei sovrani che assunse un carattere antigiacobino (contrario al rinnovamento).

 

- Illuminismo ed azione riformatrice

Muovendo dal pensiero filosofico dell’empirismo (7) inglese, il movimento culturale illuminista ebbe vasta diffusione soprattutto in Francia ma anche in Italia. In Francia ha improntato il pensiero filosofico di Montesqieau, Voltere e Russeau e dettato i criteri ispiratori per la compilazione dell’Encyclopedie di Diderot e d’Alambert che si erano avvalsi di diversi collaboratori. L’opera a carattere realistico ebbe il merito di illustrare in maniera accessibile tutto il sapere umano dell’epoca, rompendo i vincoli che lo asservivano agli interessi del potere politico, religioso ed economico. Essa perseguiva la rivalutazione della scienza e della tecnica che avrebbero incentivato il progresso tecnologico ed economico consentendo l’ordine nuovo, cioè la sostituzione della vecchia aristocrazia feudale e parassitaria con i nuovi ceti imprenditoriali. I gesuiti, prescindendo dall’insieme dell’opera che mirava a raggiungere tutti i ceti e dare spessore alla loro informazione e voce alle loro aspirazioni, ne furono aspri e puntigliosi critici, rilevando omissioni, negligenze, semplicistiche argomentazioni.

Le nuove concezioni espresse dal movimento illuministico, fondato sulla capacità della ragione di fornire spiegazioni alle cose del mondo e di risolvere i problemi di natura sociale e politica, promuoveva la rinascita della cultura. Esso si opponeva alle preesistenti concezioni che, enfatizzate dal gesto, dalla parola, dalla teatralità dell’età barocca ed ancorate alle tenebre della superstizione, venivano definite oscurantiste. Le nuove idee promossero il risveglio dello spirito critico che, incidendo profondamente nella vita della società, sollecitò la volontà collettiva ad individuare i problemi della società del tempo facendo nascere una forza politica capace di organizzare l’opposizione al vecchio regime.
L’illuminismo si è caratterizzato quindi in senso progressista, promuovendo una severa analisi critica di ogni forma di autoritarismo, scagliandosi in particolare contro l’assolutismo monarchico, l’aristocrazia feudale e la chiesa e favorendo nuovi indirizzi nelle discipline di storia, economia, biologia. In ambito storico cercò di combattere la visione della storia come risultato della sola attività di sovrani ed eserciti e di liberare il campo da ogni ipotesi provvidenzialista di stampo religioso. Lo stato doveva quindi limitarsi a garantire la libertà, la
proprietà e la vita dei cittadini senza entrare nei processi produttivi e consentire che l’economia fosse governata dalla logica della ragione che avrebbe potuto consentire a più ampi strati popolari di partecipare alla distribuzione della ricchezza (8).

La Chiesa, legata alle vecchie concezioni, nel constatare via via il contrarsi di privilegi e posizioni di potere, tuonò contro uomini di pensiero e di governo che di questo furono ritenuti responsabili ma, pur dovendo registrare un progressivo distacco dalla fede tradizionale nelle classi più colte, fu sorretta dalla persistenza nelle masse di credenze e comportamenti tradizionali. Del resto all’illuminismo ed a coloro che ne colsero e seguirono i principi ispiratori non si deve attribuire l’etichetta di irreligiosità ed ancor meno di anticristianità in quanto fra chi ha mostrato ostilità verso le strutture ecclesiastiche vi sono i devotissimi Carlo III di Spagna e Maria Teresa d’Austria.

Tra i riformisti napoletani, accanto a personaggi caratterizzati da anticlericalismo laico come Ferdinando Galiani, vi sono altri come Tanucci ed Antonio Genovesi che, benché di sincera e fervente fede cattolica, non mostrarono indecisioni nel perseguire gli antichi e radicati privilegi della Chiesa e del Papato che, anziché mostrare consapevolezza e sensibilità, assunse atteggiamenti vittimistici e di autocommiserazione.

In Italia si rivelarono poco aperti al nuovo modello di pensiero il regno di Sardegna, lo Stato della Chiesa e Venezia, mentre i maggiori centri del movimento si rivelarono Milano (ad opera di Alessandro e Piero Verri e Cesare Beccaria), Firenze (ad opera dei granduchi Giuseppe e Pietro Leopoldo, nota 3) e Napoli.


- L’azione rinnovatrice nel Regno di Napoli

La Napoli della seconda metà del settecento era divenuta una grande capitale con circa mezzo milione di individui (9) ma si viveva come in una casbah orientale senza servizi e con le vie inondate da popolino in movimento alla ricerca di sussistenza per la giornata. Una grossa aliquota era rappresentata da domestici non pagati ma mantenuti e reclutati in massa dai nobili il cui rango era associato al numero della servitù in livrea che esibivano. Questo popolino distinto con il termine di lazzaroni (nota 53) rappresentava la più formidabile canaglia, da secoli ammansita con farina, forca e festini. Il Clero che rappresentava meno del tre per cento della popolazione assorbiva il terzo del reddito nazionale ed il patrimonio strappato ai peccatori in punto di morte ed esente da tasse non smetteva di crescere. Il ceto medio, rappresentato da personale impiegatizio, medici, notai, avvocati, mancava di una borghesia imprenditoriale perché mancavano le industrie.

La Napoli di questo periodo vide una splendida fioritura intellettuale promossa dal professore di economia politica Antonio Genovesi (1713-69), promotore del movimento illuministico con Lezioni di commercio, ossia di economia civile (1754) che avviò concreti mutamenti economici, politici e sociali ed ispirò la polemica contro la cultura teologizzante, retorica e formalista del tempo. Alle sue idee si rifecero numerosi allievi fra cui emersero Ferdinando Galiani (1728-87) con Della moneta sulla ragione degli scambi collegata alla rarità ed importanza del bene, Gaetano Filangeri (1752-88) con Scienza della legislazione, una delle opere più rappresentative della nuova cultura europea, Giuseppe Maria Galanti (1743-1806) che con Descrizione delle due Sicilie fornì un quadro critico dei residui feudali del regno.

Mentre a Napoli si sviluppava il movimento innovatore, in Sicilia le personalità intellettualmente più innovative di quel periodo si videro costretti a lasciare l’isola e quelli che rimasero furono costretti ad adeguarsi al sistema vigente nella speranza di un inserimento in posti di responsabilità dell’amministrazione. La maggioranza degli intellettuali rimasti era costituita da ecclesiastici tra cui spiccano l’abate Paolo Balsamo (11) esperto di agraria ed economia politica, il pedagogo Giovanni Agostino de Cosmi cui il vicerè Caramanico affidò l’addestramento degli insegnanti e lo storico Giovanni Evangelista Di Blasi.

La politica riformatrice nel regno di Napoli, sostenuta e teorizzata dallo storico Pietro Giannone (12), avviata da Carlo di Borbone e continuata dal ministro Bernardo Tanucci, operò nel settore fiscale e nel settore giudiziario e, pur se vennero elaborate lucide proposte di rinnovamento, la loro attuazione stentò, realizzandosi in maniera frammentaria.

- L’azione di rinnovamento fiscale prevedeva la tassazione di tutte le proprietà del clero e dell’aristocrazia, da secoli intoccabili, e l’abbattimento dei privilegi ecclesiastici, contro cui l’azione si mostrò meno esitante.
Coll’intento di “affrancare l’impero dal sacerdozio e assoggettare all’impero i sacerdoti del regno” furono emanate una serie di norme che riguardavano l’autonomia delle Chiese locali, dichiarando nulla qualsiasi bolla papale non autorizzata dal re. Il progetto complessivo di leggi mirava a proibire ai vescovi di occuparsi dell’istruzione pubblica, a ridurre il numero dei monasteri (13) e degli ecclesiastici che non dovevano superare il cinque per mille della popolazione. Inoltre vietava un secondo prete in famiglia e l’ordinazione a preti e diaconi di soggetti privi di patrimonio; aboliva il tribunale dell’Inquisizione e quello della Nunziatura; aboliva le manomorte (14); affrettava l’espulsione dei gesuiti (22 novembre 1767) (15) che possedevano il monopolio dell’istruzione (e come tali erano sgraditi ai progressisti), ne confiscava i beni, suscitando curiosità e soddisfazione in molti, frati e chierici compresi, dispiacere negli ipocriti ed indifferenza nell’inconsapevole re. Ugualmente vennero confiscati i beni lasciati alla morte di vescovi ed abati ed utilizzati a fondare ospizi, convitti e scuole (16) .
Con l’espulsione dei gesuiti sorse il problema dell’istruzione a cui si provvide selezionando, con pubblici concorsi, gli insegnanti che venivano salariati dalle comunità mentre i vescovi potevano dirigere i seminari sotto l’autorità dei re. L’università che era decaduta durante il periodo del vicereame fu riavviata da Carlo di Borbone e poi rilanciata con l’apporto dei migliori intellettuali del tempo attratti da stipendi più elevati e migliori prospettive. Lo stessa progetto vietò alla Chiesa l’acquisizione di nuovi patrimoni attraverso i testamenti dell’anima (17) nei cui lasciti succedevano invece gli eredi legittimi ed, in mancanza di questi, la comunità. Con le terre confiscate si cercò di mettere in opera il programma del Genovesi (“accrescere il numero dei proprietari”), creando un ceto di coltivatori diretti
indipendenti i cui risultati furono tutt’altro che trascurabili in Sicilia, dove però l’applicazione delle altre misure sopra citate non diedero risultati corrispondenti alle attese e risultarono certo meno efficaci di quelle attuate altrove.

- L’attività di riforma giudiziaria fu efficace ed in tale settore va registrato un altro successo del ministro che, intendendo frenare gli arbitri, introdusse l’obbligo di motivare le sentenze e di attenersi esclusivamente alla legge, conferendo un duro colpo all’indipendenza della orgogliosa magistratura napoletana (18). Furono anche regolati i matrimoni, facendo venir meno abitudini radicate come le promesse davanti all’altare.

Il Tanucci non riuscì però ad attuare interventi risolutivi nel settore finanziario e, benché sostenuto con forza dal movimento che auspicava l’urgenza di riforme di carattere economico (19), rare furono le occasioni in cui si concretizzò una fattiva collaborazione con i riformatori. Inoltre il limite del Tanucci era rappresentato dalla sua scarsa cultura economica che gli fece commettere errori a cui però cercò subito di porre rimedio (20).
Nacque il Supremo Magistrato del Commercio che cercò di dare avvio agli scambi con nazioni d’oltre mare (Sardegna, Genova, Russia) e favorire lo sviluppo di industrie di trasformazione ma l’azione venne limitata dalla mancanza di capitali e spirito imprenditoriale. Attaccò i monopoli ma non riuscì ad eliminare la camorra che aveva i propri protettori anche vicino al re.

Nel 1763 una terribile carestia seguita da forme epidemiche investì il regno di Napoli rivelando brutalmente gli antichi problemi rappresentati dalla fragilità dell’economia, dal prevalere degli interessi di gruppo su quelli collettivi. Lo stato di crisi face inoltre emergere come, nell’approvvigionamento della capitale, gli amministratori cittadini ne approfittassero avidamente. Il Tanucci cercò di correre ai ripari avviando procedure che, nell’amministrazione della capitale, consentissero di abolire gli abusi. Della rapacità dei baroni di difendere i privilegi di classe egli era perfettamente consapevole ed espresse ripetutamente severe condanne senza riuscire a realizzare interventi risolutivi essendosi questi limitati a favorire le comunità che intendevano sottrarsi alla giurisdizione feudale e passare al demanio regio o a devolvere alla corona, evitando di metterli in vendita, i feudi rimasti senza eredi.

L’azione riformatrice intrapresa contro clero ed aristocrazia fu fortemente contrastata e, dovendo fronteggiare opposizioni aspre e fierissime, invano attese il sostegno del sovrano a cui le categorie interessate, facendo ricorso a tutte le malizie e sotterfugi di cui potevano disporre, arrivavano anche attraverso il confessionale. Il Tanucci dovette quindi scendere a compromesso ed annacquare il suo programma laico .

Il successore, La Sambuca, a parte la posizione in politica estera cui si è fatto cenno in precedenza, istituì un Consiglio di Finanza (1782) di cui fecero parte validi economisti tra cui l’abate Ferdinando Galiani (v. prima) e favorì il popolamento delle isole deserte di Ustica, Ventotene, Tremiti e Lampedusa con iniziale sostentamento e la concessione di terre ed attrezzi per agricoltura e pesca.
In quel periodo (5 febbraio 1783) si verificò in Calabria, sul versante occidentale del comprensorio fra le Serre e l’Aspromonte (Piana di Gioia) e fino a Reggio e Messina, un terremoto
di tali proporzioni da essere ritenuto fra i più dirompenti della storia e provocando forse centomila morti. Una seconda scossa si verificò il 28 marzo coinvolgendo la parte centrale della Calabria. Furono distrutti interi paesi (Cittanova, Oppido, Seminara, ecc.), intere montagne si spaccarono e pareti rocciose precipitarono a valle, numerosissimi corsi d’acqua furono trasformati in laghi ed acquitrini.

L’intervento del governo fu più energico e tempestivo che nelle passate occasioni, inviando ad organizzare i soccorsi il principe Francesco Pignatelli che si insediò a Monteleone (l’attuale Vibo Valentia) potendo contare su una serie di leggi speciali che diedero avvio alle opere di ricostruzione .
Del breve periodo di governo di Domenico Caracciolo si è detto all’inizio.
Un altro tentativo di riforma fu messo in atto, subito dopo la rivoluzione francese con Iohn Acton allorché (1792) fu decretata la suddivisione dei demani comunali che sarebbe dovuta andare a beneficio dei contadini privi o senza terra ma il provvedimento non fu messo in pratica, anzi proseguì il movimento di usurpazione delle terre pubbliche da parte dei proprietari terrieri senza che il governo riuscisse a bloccare ed orientare il sistema.


( per approfondimenti vedi le pagine "La Rivoluzione Francese" )


Rivoluzione francese e riflessi sulle vicende europee
- Il malessere e l’insurrezione

Considerata la ricaduta che questo evento ha avuto sui destini dell’Europa e dell’Italia dell’800, vengono sintetizzati le fasi attraverso cui evolse la ribellione.
Benché le riforme sostenute dagli ideali che l’illuminismo aveva diffuso nelle nazioni avessero fornito, in alcune di esse, risultati incisivi, non riuscirono tuttavia ad impedire che alcune monarchie venissero coinvolte nelle problematiche derivanti dal loro gestione fallimentare. Esse, volte al riordino della pubblica amministrazione, talvolta vennero ostacolate da circostanze occasionali (carestie) che misero in crisi le istituzioni.

In Francia la fase critica cominciò con il fallimento delle riforme proposte dal ministro Turgot ed avversate da nobiltà e clero che ne imposero al re l’allontanamento. L’aristocrazia ambiva ad assumere il controllo dello stato per bloccare le riforme e perseguire un maggiore sfruttamento dei privilegi e ripristinare i diritti feudali sui contadini. Il malessere di questi come quello delle altre classi lavoratrici, si era aggravato con la profonda crisi finanziaria che, in parte riferibile alla partecipazione alla guerra di indipendenza americana, poteva essere risolta con una radicale riforma dell’ordinamento fiscale. Cosa che, per legge, poteva essere fatta solo dagli Stati Generali che da centosettantacinque anni non venivano convocati e per la cui convocazione era necessario venissero eletti i rappresentanti. Sorsero pertanto i problemi inerenti alla composizione delle tre componenti gli Stati (nobiltà, clero, terzo stato) e di come si dovesse votare, se per “componente” o per “testa”. Il primo fu risolto con l’ampliamento dei membri rappresentanti la borghesia e la classe lavoratrice, afferenti del Terzo Stato, ad un numero superiore a quello complessivo delle componenti nobiltà e clero (22).

Alla riunione di Versailles delle componenti gli Stati Generali, non essendosi pervenuti ad un accordo sul problema del voto a testa, il Terzo Stato, conscio di rappresentare la stragrande maggioranza della nazione, si staccò proclamandosi assemblea nazionale. Luigi XVI tentò di opporsi, ma l’appoggio fornito al Terzo Stato da una parte degli eletti nelle fila del basso clero e di una parte di nobili lo costrinse ad approvare l’Assemblea nazionale (27 giugno 1789) ed a trasformarla, con l’apporto di nobiltà e clero, in Assemblea costituente la cui attività avrebbe fatto crollare il sistema assolutistico che egli voleva proteggere. L’ammassamento di truppe a Versailles fece temere una reazione a cui il popolo (guidato da Desmoulins) rispose impadronendosi di armi ammassate all’Hotel des Invalides con cui assaltò la fortezza carcere della Bastille (14 luglio) e liberò artigiani e salariati che vi erano rinchiusi. Quindi i rivoltosi insediarono in municipio un sindaco, un comitato cittadino ed istituita, sotto il comando del nobile illuminato marchese de La Fayette (24), la guardia nazionale.

Queste scelte segnano il collegamento fra le masse popolari e i dirigenti rivoluzionari che, mai realizzato prima, diventò modello della rivoluzione moderna ed indusse la necessità di creare nuove forme di organizzazione, circoli politici o clubs (Giacobini, Cordiglieri, Foglianti), atti a collegare gruppi dirigenti e movimento popolare, dove si coltivavano le idee più radicali (25).

La protesta si propagò nelle province dove si sollevò il malcontento contadino che, volendo prevenire iniziative di ritorsioni e contando sulla solidarietà di buona parte dell’esercito, si trasformò in rivolta facendo crollare l’organizzazione feudale e l’apparato statale. L’Assemblea nazionale si rese conto che spegnere la sommossa avrebbe potuto aprire la strada alla restaurazione per cui ritenne più praticabile l’abolizione dei diritti “feudali” e “reali” che si riferivano rispettivamente alle “persone” ed alla “terra” ed approvare la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino che sanciva la libertà della persona, l’uguaglianza di fronte alla legge, la sovranità popolare, l’esproprio e la vendita dei beni ecclesiastici e l’abolizione degli ordini religiosi (26).

 

- L’abbattimento della monarchia

Al rifiuto di Luigi XVI di approvare i decreti di abolizione dei diritti feudali e la Dichiarazione dei diritti vi fu una sollevazione popolare che, all’interno del movimento rivoluzionario, provocò una differenziazione di posizioni fra moderati che si riferivano a La Fayette, e la parte più popolare del movimento (sanculotti) che guardavano alle posizioni repubblicane di Robespierre. L’assemblea costituente emanò una Costituzione (1791) secondo cui il potere esecutivo del Re (27) era subordinato alla volontà della nazione attraverso i rappresentanti nell’Assemblea legislativa che, eletta per due anni , aveva potere di legiferare e controllare i ministri nominati dal re e la loro politica. Al momento dell’insediamento dell’Assemblea legislativa, eletta sulla base della nuova costituzione si delinearono tre raggruppamenti: a destra i monarchici costituzionali, al centro i deputati indipendenti dal mutevole orientamento politico (palude) ed a sinistra (girondini) (29).

Il clima politico era di nuovo divenuto pesante per il radicalizzarsi delle posizioni e per l’atteggiamento ambiguo del re (30) che manteneva rapporti con le fazioni avverse e che si fece convincere dai girondini (31) a lanciare un ultimatum ai principi tedeschi perché impedissero l’organizzazione di forze antirivoluzionarie promosse dai fuoriusciti francesi.
Il 20 aprile 1792 viene dichiarata guerra all’Austria e da questo momento le vicende rivoluzionarie francesi si mescolano con il destino delle nazioni europee.

- Il regime di terrore e la reazione

Dapprima, le operazioni militari non favorevoli alla Francia indussero la richiesta di scioglimento della guardia nazionale, ritenuta non affidabile ed il rifiuto del re provocò il risentimento popolare e l’invasione delle Tuileries (20 giugno), residenza del re che venne oltraggiato. Quindi un incauto proclama (25 luglio) del comandante delle truppe austriache, duca di Brunswick, intimava ai francesi, pena rappresaglie e distruzione di Parigi, la sottomissione al re. La reazione non si fece attendere ed il palazzo reale venne di nuovo invaso (10 agosto) ed il re ed i familiari imprigionati. La notizia che le truppe austriache cingevano d’assedio Verdun rese necessaria una mobilitazione la quale, d’altro canto, fece nascere il timore che l’impiego delle forze popolari al fronte potesse dar avvio ad una reazione restauratrice all’interno.
Emerse pertanto l’opportunità di costituire tribunali popolari per l’eliminazione degli oppositori mediante esecuzioni sommarie. E’ il regime del terrore che conduce all’abolizione della monarchia ed alla condanna a morte del re, di cui Robespierre fu implacabile accusatore, ed alla sua esecuzione (gennaio 1793) mediante ghigliottina (32).


L’esecuzione del re aveva creato un clima di contrapposizione e di guerra civile. Dopo la creazione di un Comitato di salute pubblica (33), nell’agosto 1793, Parigi è scossa da una insurrezione che, guidata da Danton e Robespierre, impose l’insediamento di una municipalità rivoluzionaria, Comune, controllata dai giacobini, lo scioglimento dell’Assemblea legislativa con il ripudio della Costituzione e la convocazione di una Nuova Assemblea Costituente, Convenzione (34) che fece emergere la contrapposizione tra giacobini (montagnardi) ed i rappresentanti della palude (35).
La Convenzione decretò unanimemente la decadenza della monarchia, proclamò una ed indivisibile la nuova repubblica ed approvò un nuovo testo costituzionale preceduto dalla dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino.

Nell’estate del 1793 il timore delle armate straniere che premevano ai confini causò all’interno un clima di guerra civile che portò all’assassinio di Marat ed alla formazione di un Comitato di salute pubblica nella cui composizione entrarono sia estremisti che moderati. Questo organismo fu dominato da Robespierre che fece arrestare e ghigliottinare tutti gli oppositori (regime di terrore). Con le armate francesi che erano riuscite a contenere la pressione sui confini e passare al contrattacco, si allentò il timore dell’invasione e si concretizzò, in seno alla Convenzione, una opposizione a Robespierre, guidata da Lazare Carnet (1753-1823) che portò alla fine del regime di terrore ed all’arresto ed esecuzione senza processo di Robespierre (27-28 luglio 1794, reazione termidoriana (36).

 

- Il Direttorio

La fine del regime del terrore non restò senza conseguenze che, anzi, come in tutte le guerre civili, avviò un lungo periodo di vendette sommarie in cui, accanto alla reazione antigiacobina, prese forza quella antirivoluzionaria sostenuta dai nostalgici monarchici e dal clero. Il timore che questa fazione prevalesse coinvolse anche le forze avverse ai giacobini e portò all’approvazione di una nuova carta costituzionale (la terza dall’inizio del movimento rivoluzionario), Costituzione dell’anno III (settembre 1795) che, non differenziandosi dalla precedente nell’affermazione dei principi, fu redatta sulla base di una rigida separazione dei poteri. Il governo fu affidato ad un Direttorio di cinque membri, guidato da Paul Barras (1755-1829), da cui dipendevano sei ministri. Il Direttorio cercò di mantenersi in equilibrio tra pressione popolare che ambiva a raggiungere l’effettiva eguaglianza fra cittadini e tentativi di offensiva aristocratica, contro cui, dopo le elezioni dell’aprile 1797, dovette intervenire con l’esercito per salvare la repubblica.

- La grande alleanza antifrancese

La rivoluzione francese aveva suscitato consenso tra gli intellettuali, simpatia fra i popoli che rivendicavano regimi meno oppressivi e, nei governanti, sentimenti differenziati a seconda del rapporto che avevano con la Francia.
Il re di Sardegna, Vittorio Amedeo III, sentendone gli echi nella sua Savoia, intuì subito quale pericolo rappresentassero gli eventi francesi e la stessa sensazione ebbero l’imperatore d’Austria, Pietro Leopoldo (nota 3) ed il re di Prussia che, già nell’aprile 1792, si erano mossi in difesa di Luigi XVI. Le altre nazioni europee, paralizzate da contrastanti interessi, tardarono ad assumere una chiara posizione, ma, allorché subentrò il timore di un espansionismo francese che avrebbe potuto esportare gli orrori di cui i rivoluzionari si erano macchiati, già dal 1793, avevano avviato i contatti per promuovere la prima Grande alleanza antifrancese organizzata dall’Inghilterra ed a cui aderirono, oltre ad Austria e Prussia già scese in campo, Spagna, Russia, le nazioni italiane dei regni di Sardegna e di Napoli, Granducato di Toscana e Stato della Chiesa. Rimase neutrale la repubblica di Venezia.

 

- L’offensiva Napoleonica

Delle due armate francesi impegnate in azioni di guerra la più importante operava al confine del Reno coll’intento non solo di difendere le frontiere ma anche di intaccare l’impero asburgico, l’altra, meno consistente, operava nel sud al confine con il Piemonte. Dopo le iniziali sconfitte, ambedue le armate avevano ripreso vigore passando al contrattacco ed acquisendo diversi territori in Belgio e la Renania con quella del nord e Savoia e contea di Nizza con quella del sud. Nel momento in cui Napoleone Bonaparte (37), in sostituzione di Scherer, assunse il comando dell’armata del sud, questa, riorganizzata al punto di diventare la più equipaggiata, fu lanciata nell’aprile 1796 in una offensiva che conseguì in pochi mesi tali successi da fare assumere importanza prevalente al fronte italiano.
Napoleone, dopo aver costretto il re di Sardegna Vittorio Amedeo III ad arrendersi ed indotto gli austriaci a ritirarsi dalla Lombardia per asserragliarsi a Mantova, entrava trionfalmente a Milano (15 maggio 1796). Una ulteriore controffensiva con direzione Vienna, costrinse gli Austriaci alla pace di Campoformio (38). Questa favorì la nascita della Repubblica Cisalpina (giugno 1797) che ingloba la Repubblica Cispadana (dicembre 1796, comprendente l’Emilia, Ducato di Parma escluso) e la Repubblica Traspadana (luglio 1797, ex ducato di Milano).

Nel 1798 le truppe napoleoniche proseguirono verso il meridione d’Italia, facendo crollare, con l’apporto di agitazioni interne, lo Stato della Chiesa ed il Regno di Napoli in cui nacquero, rispettivamente la Repubblica Romana (febbraio 1798) e della Repubblica Partenopea (gennaio 1799). Infatti alle notizie degli avvenimenti rivoluzionari francesi, in molti ambienti e circoli italiani (tra cui le logge massoniche), particolarmente in quelli che avevano assorbito la cultura illuministica, si formarono gruppi di simpatizzanti che assunsero il nome di patrioti o giacobini (39). In questi circoli si cominciò a discutere dei principali problemi sociali e politici, coltivando la prospettiva della unificazione politica del paese e diffondendola attraverso attività pubblicistica in cui collaborarono personalità che ebbero un ruolo nelle agitazioni italiane dei successivi decenni (40).


- Napoleone in Italia e riflessi sugli stati italiani


Gli echi della rivoluzione francese ed in particolare la sorte di quella monarchia ebbero riflessi nel regno di Napoli e di Sicilia. Essendosi ormai concretizzato l’allontanamento del regno dalla Spagna e l’alleanza con l’Austria, in quella fase, su pressione della regina Maria Carolina d’Asburgo, sorella di Maria Antonietta di Francia, Ferdinando IV indirizza la politica in senso chiaramente antifrancese ed antigiacobino. Il regno aderì alla prima coalizione antifrancese e, nel timore di una diffusione delle idee rivoluzionare, avviò una iniziale attività di controllo delle personalità sospette di idee giacobine.


Già nel 1791 Ferdinando e Carolina, di ritorno da Vienna dove si erano recati per l’incoronazione di Leopoldo, cercarono di organizzare una confederazione antifrancese di stati italiani ma, non trovando la idonea sensibilità al problema, rimandarono il progetto a tempi più opportuni (41).
Nel frattempo diedero avvio al rafforzamento delle strutture di guerra e delle milizie mentre il clero diffondeva l’odio verso la Francia divenuta repubblica, il cui ambasciatore Mackau non veniva riconosciuto da Ferdinando. Questo rifiuto causò l’arrivo nel porto di Napoli di quattordici vascelli della flotta francese comandati dall’ammiraglio La Touche che chiedeva, pena il cannoneggiamento della città, il riconoscimento dell’ambasciatore e la neutralità nelle guerre in atto. Il re, pressato dalla regina e dai consiglieri timorosi per la presenza giacobina nel regno, benché le strutture di difesa della città fossero preponderanti ed atti a contenere la minacciata offesa, accettò le condizioni.

L’umiliante imposizione face nascere nel re risentimento, avversione ed una segreta voglia di persecuzione nei confronti degli elementi filofrancesi. L’adesione alla prima coalizione antifrancese (1793) da parte del regno di Napoli, timoroso di una reazione francese, avvenne in maniera diplomaticamente non palese. Tuttavia il primo atto palese di guerra fu la partecipazione, accanto ai sardi ed alle altre potenze dell’alleanza all’assedio della fortezza di Tolone (settembre 1793) la cui artiglieria era comandata dal giovane tenente colonnello Bonaparte.

Le necessità per preparare la guerra comportava il reperimento di risorse che, gravando sulla popolazione, causavano fame e povertà, disaggi aggravati da un terremoto (12 giugno 1794) e dall’eruzione del Vesuvio che coinvolse i centri di Resina e Torre del Greco provocando l’evacuazione delle popolazioni residenti e la sistemazione in accampamenti. D’altro canto non si registrava difficoltà nell’arruolamento di giovani che, pur inesperti e non addestrati all’uso delle armi, mostravano l’animo e l’entusiasmo di chi va a difendere una libertà acquisita piuttosto che una signoria oppressiva.

Nel 1796, quattro reggimenti napoletani affiancavano in Lombardia l’esercito austriaco che, comandato dal generale Beaulieu, cercava di contenere l’avanzata napoleonica mentre la flotta napoletana guidata dal capitano di fregata Francesco Caracciolo, accanto a quella inglese, al largo di Savona, tentava di sbarrare la via a quella francese che, proveniente da Tolone, trasportava truppe in Romagna.
A seguito delle battaglie vinte da Napoleone, venne meno la solidarietà fra le nazioni che avevano aderito alla prima grande alleanza antifrancese e sia il re sardo-piemontese Vittorio Amedeo III che quello di Napoli, Ferdinando IV (42) furono indotti all’armistizio ed a ritirarsi dalla coalizione. Il primo, con l’armistizio di Cherasco (aprile 1796) consentiva il passaggio delle truppe francesi sul territorio piemontese e si impegnava a garantirne i rifornimenti. Il secondo, con l’armistizio di Brescia (giugno 1796), si impegnò a ritirare dalla contesa sia l’esercito che la flotta.

Questi accordi, malgrado atteggiamenti e manovre ambigue di Ferdinando, peraltro noti ai francesi (43) i quali tuttavia erano maggiormente interessati ad un alleggerimento sul fronte meridionale per poter meglio indirizzare il loro potenziale contro l’Austria, furono perfezionati in ottobre a Parigi. Dove, con la conferma della neutralità del regno di Napoli, la Francia si impegnava a non assecondare moti rivoluzionari nel meridione d’Italia.
Anche lo Stato Vaticano, che da Napoleone aveva subito l’occupazione di Loreto ed Ancona, quale ritorsione per l’assassinio del rappresentante francese a Roma, Hugo di Basseville, e si era visto imporre l’armistizio di Bologna (1796), concluse la Pace di Tolentino (febbraio 1797) che prevedeva la cessione ai francesi delle Legazioni (44) e la fortezza di Ancona.

Nel dicembre 1797 un gruppo di papalini inseguì alcuni patrioti rifugiatisi nell’ambasciata di Francia dove venne aggredito il generale Duphot (che in seguito alle ferite riportate morì) e l’ambasciatore Giuseppe Bonaparte, fratello del generale. Poiché il tumulto non scemava, i francesi decisero di abbandonare Roma per organizzare le forze e, nel gennaio 1798, il generale francese Berthier, partito da Ancona per assediarla, ricevette alle porte di Roma una delegazione che lo invitava ad entrare in città per stabilire un nuovo ordine in cui venissero riconosciuti diritti sovrani al popolo.
Nasce la Repubblica Romana.


L'albero della libertà e la proclamazione della Repubblica Romana in Campidoglio - 15 febbraio 1798

 

Nel febbraio 1798, Papa Pio VI fu costretto a lasciare Roma (45).

Il generale Berthier inviò a Napoli un emissario con una serie di richieste tra cui l’asilo per i profughi dello Stato Vaticano, il congedo sia dell’ambasciatore inglese che del ministro Acton e la richiesta per il re che, divenendo vassallo della Repubblica Romana, avrebbe dovuto continuare a pagare il tributo annuo (la chinea, (6). La regina Carolina che manteneva le redini dello stato e che era particolarmente animosa contro i francesi (46) fece respingere le richieste ed il Direttorio, per gli stessi motivi sopra rivelati (impegni militari su altri fronti), preferì evitare una rottura con un accordo di facciata.
Il re di Napoli era comunque allarmato non solo per la presenza dei francesi in uno Stato confinante (lo Stato Vaticano) ma anche per la comparsa in Sicilia della flotta veneziana, ora al servizio della Francia. Cercò di tutelarsi con una serie di iniziative che consistettero nell’invio di un nutrito esercito a difendere i confini abruzzesi e la Terra di Lavoro (47), nella partecipazione alla seconda coalizione antifrancese con Austria, Inghilterra, Russia e Turchia (48) e nel reprimere a Napoli ogni sospetto di simpatia filofrancese. In questo clima, i servizi di sicurezza napoletani, ispirati dal
ministro Acton e guidati dagli inquisitori Castelcicala e Vanni, riempirono le prigioni a tal punto da indurre il re a sollecitare la Giunta di Stato a processare gli imprigionati. Di questi, i sopravvissuti furono rimessi in libertà per mancanza di prove concrete ma le prigioni svuotate furono riempite con nuovi sospettati (49).

In questo clima di repressione, la notizia dell’arrivo di Napoleone in Egitto e della sconfitta della flotta francese nella battaglia navale di Abukir in cui il naviglio francese veniva in parte distrutto e in parte catturato, allontanava i timori di uno sbarco francese in Sicilia. Da Abukir (50) la flotta inglese, con le navi francesi catturate, giunse a Napoli accolta festosamente dalla coppia reale e dall’ambasciatore inglese Hamilton. L’ospitalità concessa alla flotta inglese veniva a ledere gli accordi (Parigi, ottobre 1796) stipulati con la Francia. La qualcosa veniva giustificata, presso l’ambasciatore francese Garat (51), col timore di un bombardamento contro la città in caso di rifiuto, mentre nulla di plausibile si trovò per giustificare l’accoglienza festosa.

Nel settembre 1798 a Napoli si era dato avvio ad una leva forzata in quanto i ministri Acton e Castelcicala concordavano con la regina e con il generale Mack, giunto da Vienna, sulla opportunità di attaccare i Francesi nello Stato della Chiesa. A tal fine era stato approntato un esercito di cinquantamila soldati, inesperti e non addestrati, schierati in buona parte sul fronte d’Abruzzo ed un contingente dislocato a Gaeta.

Il 22 novembre, Ferdinando IV rilevando i mutamenti politici che aveva subito l’Italia a seguito della campagna di Napoleone, direttamente toccato dall’occupazione di Malta, da sempre feudo del re di Sicilia, e sensibilizzato dall’estromissione del Pontefice, proclama la decisione di invadere lo Stato Vaticano al fine di restituirlo al legittimo sovrano. Rivolse contestualmente un appello alla milizia francese per non contrastare l’esercito napoletano che avanzerebbe al solo fine di ripristinare la legittimità. La parte centrale delle milizie napoletane, complessivamente tre volte più numerose di quelle francesi, marciavano verso Roma guidate dal generale Mack mentre da Gaeta salpava per Livorno un altro contingente di seimila uomini che, dimenticato, non entrò mai in contesa. Il 29 novembre le truppe napoletane arrivarono a Roma, da cui i francesi si erano ritirati nei giorni precedenti lasciando un piccolo presidio in Castel Sant’Angelo, mentre la plebe sfogava i suoi odi in gravi disordini.

In Abruzzo le ali dello schieramento napoletano, non collegate, affrontando i francesi guidati dal generale Duhesme a parità di forze venivano ripetutamente sconfitte e, subite gravi perdite, si davano alla fuga lasciando sul campo numerosi morti e pezzi d’artiglieria. Altre imprese tentate dai napoletani e spalleggiate estemporaneamente dal popolo non ebbero maggior successo e Ferdinando dovette rientrare precipitosamente a Caserta mentre il generale Mack intimava la ritirata generale. L’ultimo contingente napoletano sgomberò Roma il 12 dicembre, lasciando numerosi prigionieri e vettovaglie alle truppe francesi che, guidate dal generale Championnet e divise in cinque colonne, si preparavano ad incalzare l’esercito napoletano invadendo il regno di Napoli.


La Repubblica Partenopea
- I Francesi a Napoli

Ferdinando IV, costatando che i francesi, pur impegnati in Piemonte e Lombardia, stavano sostenendo il contingente in marcia verso il meridione, si appellò al popolo incitandolo a difendere la monarchia e la Santa Chiesa e ricevette una risposta il cui valore ed ardimento stupì non solo i francesi ma gli stessi napoletani. Ma tali risposte, non opportunamente organizzate ed efficacemente guidate, pur se potevano rallentare l’avanzata dei francesi, già intralciati da fortezze e asperità del territorio, non bastarono a mutare una situazione la cui criticità faceva vacillare la corona e l’intera corte.
Mentre la regina era sopraffatta dai rimorsi, Acton e Castelcicala continuavano nelle loro trame, i consiglieri non riuscivano a trattenere la loro disperazione, il generale Mack, incapace di trarre profitto dall’appoggio popolare e temendo per le sue fortune, sollecitava il re a mettersi in salvo.

L’ansia era al culmine quando un episodio contribuì a far precipitare le cose: il re aveva inviato a Nelson un corriere fidato, Antonio Ferreri, il quale, scambiato dal popolo per giacobino, fu trucidato e portato al re perché constatasse la fedeltà del suo popolo. A quel punto il re, al colmo della confusione, decise di fuggire in Sicilia con la famiglia, portando con se il tesoro della corona ed alcuni consiglieri e ministri. Lasciò a Napoli, quale suo vicario, il principe Francesco Pignatelli.
La nave Vanguardia ammiraglia di Nelson che trasportava la famiglia reale era scortata da una flotta fra cui si trovava il vascello dell’ammiraglio napoletano Francesco Caracciolo (52).
La flotta, lasciato il porto il 21 dicembre 1798 restò dapprima ferma in rada per mancanza di vento, quando iniziò la traversata fu colta da una tempesta tanto furiosa che abbatté un albero della nave ammiraglia. Il re sofferente ed impaurito rimproverava alla moglie ed al ministro Acton la responsabilità delle scelte che avevano causato quegli eventi.
La famiglia reale giunse a Palermo il 25 dicembre, ricevendo una accoglienza che, inizialmente fredda, riprese calore alla vista di un re stanco ed addolorato.

A Napoli i giacobini che avevano seguito tutte le recenti vicende studiavano la maniera di far precipitare ancor più la crisi della monarchia e tramavano per agevolare le scelte dei francesi facendo giungere informazioni al generale Championnet.
Il Vicario Pignatelli, proveniente da nobiltà incolta ed allevato alle bassezze della reggia, non aveva le qualità per gestire una situazione di tale crisi. I rappresentanti della città, ritenendo decaduta per fuga la monarchia di Napoli, erano incerti se ordinarsi a repubblica o istituire un governo di aristocratici o altre eventualità (53) ed intanto pretendevano dal vicario di assumere essi stessi il potere regio mentre il popolo si divideva nel sostegno agli uni o all’altro.

Mentre i francesi si predisponevano ad attaccare Capua, il Vicario intavolava trattative con Championnet per concordare (12 gennaio 1799) una tregua a fronte di un versamento ai francesi, entro lo stesso mese, di due milioni di ducati e la concessione di alcuni capisaldi. La notizia indignò il popolo che, all’arrivo dei commissari francesi che dovevano riscuotere il denaro (54), si sollevò in un tumulto, aprì le carceri liberando seimila detenuti, in gran parte ladri, disarmò la milizia civica e si abbandonò a violenze e rapine.
Il vicario provvedette a far si che i commissari francesi abbandonassero di nascosto la città.

La parte di popolo più fiera e combattiva, i Lazzari (55), divenuta padrone della città individuò i loro comandanti nel generale Girolamo Pignatelli principe di Moliterno ed in Lucio Caracciolo duca di Roccaromana che chiesero al vicario di avere il controllo delle roccaforti (i castelli Nuovo, S. Elmo, del Carmine e dell’Uovo) e di rassegnare in loro mani il potere. Il vicario incapace di controllare la situazione abbandonò il campo mettendosi al riparo su una nave che lo portò in Sicilia, dove, appena giunto fu imprigionato per ordine di re Ferdinando. Il generale Mark a sua volta si era consegnato a Championnet che gli aveva concesso l’autorizzazione di rientrare in Austria, ma giunto in Lombardia fu intercettato ed imprigionato dai francesi.

Il generale Pignatelli dopo aver assunto provvedimenti di ordinaria amministrazione mise in atto l’iniziativa di cercare una pace onorevole con i francesi, ricevendo dal generale Championnet (18 gennaio) un risentito rilievo “Voi parlate ai francesi come vincitore ai vinti” e l’avvertimento che, essendo stati disattesi i termini della tregua pattuita con il vicario, l’indomani avrebbe marciato verso la città. L’iniziativa di Pignatelli non fu condivisa dai Lazzari i quali lo abbandonarono e nominarono loro capo Michele il Pazzo (19 gennaio) predisponendosi fuori città a sbarrare la strada alle tre colonne francesi che avanzavano verso Napoli. I patrioti napoletani su cui pesava il pericolo di strage, segretamente sostenuti da Pignatelli e Caracciolo e contando su altre connivenze, erano riusciti ad impadronirsi, senza lotta, di Castel S.Elmo, il forte strategicamente decisivo per la sua posizione dominante e di ciò fecero pervenire informazione a Championnet.

Il 21 gennaio tre colonne francesi ben organizzate e guidate dai generali Duhesme, Kellerman e Dufresse (56) si scontrarono con l’accanita resistenza del Lazzari che si batterono eroicamente per tre giorni contrastando, con audacia ed eroismo, ogni tratto dell’avanzata francese (57) .
La sensazione che i francesi, nelle loro azioni, fossero favoriti da indicazioni ricevute dall’interno fa incrudelire i Lazzari che si abbandonarono a sommarie vendette, incendiando le case dei simpatizzanti giacobini e massacrando i sospettati in una azione di guerra civile ancor più rabbiosa di quella contro i francesi. Il giorno 23 gennaio si verificano gli ultimi scontri disordinati in cui i francesi riuscirono a conquistare tutte le fortezze e catturare Michele il Pazzo mentre il Palazzo Reale era in preda al saccheggio.

Il generale Championnet, abile ed astuto conoscitore delle cose si rivolse al popolo napoletano invitandolo a desistere da una guerra dissennata ed assicurandolo che i francesi avrebbero portato pace, sicurezza, miglior governo, rispetto per la religione cristiana e devozione a S. Gennaro. Il Generale fu applaudito e, da buon psicologo, alla richiesta di Michele il Pazzo (58) di assicurare una guardia d’onore per S. Gennaro, inviò due compagnie di granatieri a presidio della cattedrale.
I Lazzari superstiti, orgogliosi della loro parte, rientrarono ancora armati nei loro quartieri, interrogandosi sulla ingloriosa fuga del re e sui benefici che il nuovo regime prometteva. Poi delusi del regime imposto dai francesi e risentiti dalle offese arrecate al loro sentimento durante la loro presenza, risponderanno, da li a pochi mesi, all’appello del Cardinale Ruffo per restaurare la monarchia.

 

- La nascita della repubblica

Il 24 gennaio 1799 fu istituto un Governo provvisorio diviso in sei comitati e composto da 25 cittadini (59) che, scelti personalmente da Championnet, affidarono la presidenza al matematico e filosofo Carlo Laubert (60) e la segreteria al francese Iullien. Il giorno successivo i poteri istituzionali furono completati con l’istituzione della Municipalità composta da venti repubblicani. Dopo le cerimonie di insediamento e l’omaggio a S.Gennaro con il relativo rito della liquefazione del sangue, la Repubblica Partenopea (61) iniziò ad emanare decreti e delibere che dovevano preventivamente ricevere il placet di Championnet.

Ma gli ideali alla base della rivoluzione francese non erano esportabili, diverso il popolo ed i sentimenti che erano stati acquisiti nei secoli precedenti. Diversa la situazione di un re francese che era stato giustiziato ed i suoi sostenitori scomparsi o fuggiti rispetto a quella di Napoli in cui il re regnava tuttora nella vicina Sicilia ed i suoi sostenitori, baronia e clero, impauriti di quanto era successo in Francia, erano sparsi ed attivi ovunque. Anche i tempi di passaggio tra due opposti regimi, da assolutistico a repubblica, erano stati diversi. A Napoli era avvenuto in pochi giorni mentre in Francia il concetto di eguaglianza (62) che proviene dal livello di civiltà acquisito e dalla ragione era maturato con diversi passaggi nel corso di tre anni.

Il Comitato legislativo, emanazione del Governo, su proposta da Mario Pagano e su modello francese, promulgò una Costituzione non particolarmente innovativa. E se da un lato prevedeva l’abolizione dei titoli nobiliari, proclamava la libertà di stampa ed istituiva altri cambiamenti di minor rilevanza (nomi di quartieri e monumenti, adottato il calendario rivoluzionario) dall’altro, inspiegabilmente, non rendeva forti le attribuzioni del potere giudiziario ed amministrativo e prevedeva la revoca dei parlamenti comunali che, inutili in regime assolutistico, diventano, in regime repubblicano, cardini di una società libera.

Il Governo provvide quindi ad ordinare la finanza reperendo fondi tra i debitori della precedente amministrazione, istituendo una cassa di soccorso per i poveri ed abolendo la gabella sul pesce e sul grano la quale produsse effetti contraddittori. Si promisero premi a chi denunciava cospirazioni e fu istituita una Commissione rivoluzionaria con facoltà di giudicare per direttissima i reati contro lo Stato. In mezzo alle difficoltà in cui si dibatteva il governo provvisorio giunse, da parte del generale Championnet, l’imposizione di una taglia di guerra di diciassette milioni e mezzo di ducati (63) che si abbatté sui dipartimenti e sulle comunità. Avendo avuto possibilità di pagare anche con preziosi, in quell’occasione le comunità si spogliarono degli ultimi segni di ricchezza (ornamenti, amuleti, fregi di devozione) rendendone ancor più penose le condizioni e facendo nascere nei sostenitori repubblicani sospetti e timori sulla presenza francese.

La situazione si aggravò ulteriormente per il manifestarsi delle conseguenze dello scarso raccolto dell’anno precedente (64), per la chiusura di molte industrie operata per aumentare la tensione nel popolo e per l’arrivo del commissario politico Faypoult che, a nome della Francia avrebbe incamerato, quali imposte di guerra, tutti i beni della repubblica (65).
Championnet, temendo l’impatto che la confisca avrebbe provocato sul popolo, impedì l’esecuzione del decreto facendosi perdonare precedenti asprezze. Il Direttorio sostituì Championnet (66) con il generale Macdonald che dichiarò Napoli terra di conquista al cui seguito vi era anche Faypoult per l’applicazione del decreto.

Mentre i patrioti si impegnavano a difendere la libertà e l’indipendenza della Repubblica il popolo rimaneva disilluso rispetto alle iniziali attese ed, avendo inoltre notato la tracotanza della presenza francese che non rispettava la sua sensibilità, cominciò ad alimentare spontaneamente, nelle varie regioni, un movimento di guerriglia composto da sostenitori del re (realisti) che i francesi definirono brigantaggio (67).

Nello stesso giorno (24 gennaio) in cui a Napoli si insediava il nuovo governo, a Palermo, Ferdinando IV nominava Vicario il Cardinale Fabrizio Ruffo, affidandogli il compito di portare la libertà nelle province del regno invase dai francesi.

IL SEGUITO "LA FINE DELLA REPUBBLICA PARTENOPEA"
IN UNA PROSSIMA PUNTATA

Note

1) Con il segno di * si rimanda al capitolo “Il meridione d’Italia conteso da Savoia, Asburgo e Borbone a margine delle guerre dinastiche europee “, stesso sito.
2) Nel periodo di regno di Ferdinando furono solo portate a termine le opere avviate dal padre Carlo. Di nuovo fu costruito il Teatro dell’Opera Buffa S. Ferdinando, perfettamente in linea con il suo committente.
3) Ferdinando avrebbe dovuto sposare Maria Giuseppina ma, a seguito della sua morte, sposò la sorella Maria Carolina, sorella dei futuri imperatori Giuseppe II e Leopoldo II e sorella della regina di Francia Maria Antonietta. Maria Carolina ebbe 18 figli, 10 dei quali morirono giovani. Il figlio Francesco, a seguito della morte prematura del primogenito Carlo Tito, divenne principe ereditario e sposò (1796) l’arciduchessa d’Austria Maria Clementina. Le figlie femmine, Maria Teresa e Maria Luisa sposarono rispettivamente l’imperatore Francesco II (in seconde nozze) ed il granduca di Toscana Ferdinando III della famiglia Asburgo-Lorena, Maria Cristina sposò il re di Sardegna Carlo Felice, Maria Amelia il re dei francesi Luigi Filippo, Maria Antonietta il re di Spagna Ferdinando VII.
4) Diversamente dalle scelte che stavano attundo i fratelli Giuseppe II e Pietro Leopoldo.
Giuseppe II fu associato al trono d’Austria dalla madre Maria Teresa, nel 1765 (morte del padre Francesco I) e da solo, dal 1780 (morte della madre) al 1790. Operò affinché fossero prerogativa dello Stato, non del Papa, i poteri sul clero nazionale ed, allo stesso modo di Federico II di Prussia, incontrò il favore dei pensatori del tempo che li definirono despota illuminato, cioè sovrani che ricorrendo al loro assoluto potere attuarono riforme in grado di creare un ordine nuovo.
Pietro Leopoldo, come granduca di Toscana (1765-1790), successe al padre Francesco I, allorché questo divenne imperatore e, come imperatore, successe al fratello Giuseppe, fino al 1792. Ad egli subentrò il figlio Francesco II (1792-1806). Operò per l’indipendenza del Granducato da Vienna e diede una impostazione riformatrice di stampo illuministico a giustizia, economia e rapporti col mondo ecclesiastico. Leopoldo, nell’occasione della visita a Napoli alla sorella (vedi seguito), ebbe modo di conoscere il cognato Ferdinando e di farne una impietosa e realistica descrizione alla madre Maria Teresa.
5) Acton, al servizio della marina francese, aveva affiancato lo zio che comandava quella toscana. Nella sua lunga solidarietà con Maria Carolina diede adito a sospetti fra cui quella della morte del viceré di Sicilia, principe di Caramanico, ex amante di Carolina. All’interno fu fautore di una politica di conservazione e di repressione verso gli oppositori. Nel 1798 con i francesi alle porte fu tra i primi ad abbandonare Napoli per riparare in Sicilia. Alla caduta della Repubblica Napoletana fu solerte ad organizzare una sanguinaria repressione. Col ritorno dei Francesi, nel 1806, si rifugiò definitivamente in Sicilia.
6) La chinea (dal francese haquenée : cavallo da sella per donne) simboleggia il cavallo che, assieme ad un tributo in denaro, il re di Napoli, a seguito degli accordi intervenuti tra Carlo d’Angiò e il Papa Clemente IV (1265), presentava al Papa, alla vigilia di S. Pietro, in segno di vassallaggio. La cerimonia ebbe cadenza triennale fino al 1472 ed annuale fino al 1788, allorché venne mantenuto, fino al 1855, il solo riconoscimento del censo, consegnato dall’ambasciatore. L’abolizione già decretata nel 1776, era stata successivamente revocata.
7) L’empirismo è un atteggiamento di pensiero che fa derivare dall’esperienza ogni conoscenza. Dalla scuola dei sofisti greci e degli scettici, in età moderna Ruggero Bacone pose le basi della cultura empirica affermatasi in Inghilterra con G. Locke e D. Hume. I sofisti ritenevano che il valore di un ragionamento sta nella sua forza persuasiva ed, in questo, era di importanza centrale la padronanza del linguaggio che poteva essere acquisita attraverso le tecniche della retorica (nata verso la metà del V sec.a.C. a Siracusa, riguarda la tecnica del parlare e dello scrivere con efficacia persuasiva) e della dialettica (arte della discussione e del dialogo). Gli scettici negavano la possibilità di pervenire alla vera conoscenza.
8) Concetto espresso in Riflessioni sulla formazione e distribuzione della ricchezza di A.R.J. Turgot (1727-81) che aveva collaborato alla Enciclopedie. Le sue idee gli consentirono di divenire ministro delle finanze nella Francia di Luigi XVI dove introdusse una politica riformista che cominciò col ridurre i privilegi dell’aristocrazia ed una fiscalità basata sulla capacità produttiva. Molte altre iniziative intese a vitalizzare l’economia furono ostacolate da cattivi raccolti (1774), provocando mancanza di generi di prima necessità e rivolte che ne consigliarono l’allontanamento. “Potessi anch’io lasciare il mio posto!” fu l’amaro commento di Luigi XVI nel ricevere le dimissioni di Turgot. A Turgot seguirono altri ministri Necker, Colonne e Brienne anch’essi incapaci di risolvere la crisi.
9) Nel periodo 1670-1795 la popolazione del regno era raddoppiata passando da 3.500.000 a 7.000.000 di abitanti.
10) L’architetto Juvara ed il compositore Alessandro Scarlatti vissero e morirono all’estero.
11) Paolo Balsamo dopo aver appreso all’estero le più recenti tecniche agricole ritornò in Sicilia e su incarico del vicerè Caramanico sperimentò nuove tecniche di irrigazione e rotazione delle colture. Il canonico Giovanni Gambini invece si trasferì a Milano dove rimase e tradusse il Codice napoleonico.
12) Pietro Giannone (1676-1748) (* nota 1) giurista, storico e teologo pubblicò la Istoria civile del regno di Napoli in cui criticò il curialismo ed il potere temporale della Chiesa. Altra sua opera il Triregno (uomini, Gesù, papi).
13) Ne furono soppressi due, ricettacoli di malviventi in Calabria, quattro in Basilicata ed altrettanti in Puglia, tre in Abruzzo e ventotto in Sicilia, destinando i beni alla comunità.
14) Il tribunale della Nunziatura giudicava in appello le cause che riguardavano gli ecclesiastici. Le manomorte erano i beni ecclesiastici che, non trasmettendosi per successione, non venivano soggette ad imposizioni fiscali.
15) A seguito di quanto era già avvenuto in Portogallo col ministro Pombal che li aveva spediti in blocco a Civitavecchia quale dono per il Papa (1758); nella Francia di Luigi XV (1763) che, incalzato dalla pubblica opinione, ne ordinò la confisca dei beni; nella Spagna di Carlo III (1767) che ne ordinò l’espulsione; nel ducato di Parma dove si decretò l’espulsione del 1768. Ed analogamente alla Francia che, in risposta alla protesta del Papa Clemente XIII (1758-69) espressa con la bolla Apostolicum pascendi, si annetté Avignone, Tanucci fece ugualmente con Benevento e Pontecorvo. A queste località, appartenenti allo Stato pontificio, vennero confermati privilegi ed antiche franchigie, anche quelli risalenti a re Ruggero il normanno. Clemente XIV, nel 1773, cedendo alle pressioni di Francia e Spagna, con il Dominus ac Redemptor noster decretò la soppressione dell’ordine. Qualche mese dopo il Papa morì a seguito di una misteriosa malattia le cui cause non furono mai accertate.
16) Nel qual caso l’ostacolo maggiore era rappresentato dalla mancanza di insegnanti preparati.
17) Lasciti a favore delle anime del Purgatorio e formulazioni analoghe.
18) Su cui Gaetano Filangeri scrisse Riflessioni sulla legge del 23 settembre 1774.
19) Giuseppe Maria Galanti, avendo ricevuto incarico di realizzare una indagine sulle condizioni del Regno, tracciò, nella Nuova descrizione storica e geografica delle due Sicilie, un quadro impressionante di arretratezza e miseria.
20) Pietro Colletta, storico contemporaneo (1775-1831) circoscrive l’attività del Tanucci a soli atti avversi al Papa ed alla feudalità, descrivendolo “gretto d’animo …… ignorante di economia politica, di finanza di amministrazione, avido di potere, …. più amante del re che dello Stato …. La buona fama gli derivò … sopra tutto dalla lunga pace del regno, benigna velatrice degli errori dei governanti”. Tanucci, professore di diritto pubblico all’ateneo di Pisa quando Carlo di Borbone ne era il duca, fu indubbiamente di larghe vedute, instancabile e di provata onestà. Ininterrottamente al potere dal 1735 e le lettere scritte ad amici e collaboratori sono la testimonianza della sua tenace volontà riformatrice e della sua amarezza di fronte alla impossibilità di realizzare i suoi programmi. Il 18 luglio 1767 scriveva a Ferdinando Galiani (v. sopra) “….vorrei poter distruggere tutto quello che mi può mostrare ai posteri ….. la mia esistenza essendo stata né utile, né piacevole, né necessaria …. Predicare posso, fare non posso..”. Tanucci, riformatore illuminato, si immergeva nel lavoro quale rimedio alla sua ipocondria, facendo sentire ai napoletani il suo pugno ma non facendo vedere il suo volto. Abbandonato il potere si ritirò in campagna e morì nel 1783.
21) Tra queste: oltre alla purificazione ambientale, installazione di baracche, ricostruzione dei centri abitati, prosciugamento dei laghi formatisi, contenimento delle frane, fu operata, analogamente a quanto accadde nel Portogallo di Pombal per il terremoto di Lisbona del 1755, la requisizione dei monasteri e di tutti gli enti ecclesiastici, parte dei quali fu messa in vendita per la ricostruzione e per fornire terra ai contadini nullatenenti All’inizio del 1784 l’imperatore Giuseppe II era venuto a Napoli e visitò la zona terremotata. Benché egli gradisse una visita in forma privata, ricevette feste ed onori e da Ferdinando IV fu accompagnato in un lungo viaggio, fino all’aprile 1785, che costò un milione di ducati, quanti ne sarebbero bastati per i risarcire per intero i danni del terremoto.
22) Il Terzo stato venne ad essere rappresentato da 584 rappresentanti, 241 per il clero e 270 per la nobiltà.
23) Luigi XVI (1754-1793), mite ma debole ed incapace, aveva sposato l’ardiduchessa d’Austria Maria Antonietta, intrigante e boriosa, figlia di Maria Teresa (nota 3 e 4). Dopo l’esecuzione del re, Maria Antonietta fu imprigionata, processata e giustiziata nell’ottobre 1793, affrontando il patibolo con dignità e stile al punto da chiedere scusa al boia che aveva involontariamente urtato. Il figlio Luigi Carlo (Luigi XVII) rimase in carcere dove morì all’età di 10 anni. La figlia maggiore Maria Teresa Carlotta fu utilizzata per riscattare prigionieri francesi in Germania.
24) Il generale, marchese de La Fayette (1757-1834) aveva acquisito popolarità avendo combattuto nella rivoluzione americana. Nel corso dell’agosto 1792, si consegnò agli austriaci e proclamò l’intenzione di marciare su Parigi per reprimere il movimento giacobino.
25) Il club degli amici della costituzione si riuniva nel convento di S.Giacomo, da cui il nome Giacobini di cui facevano parte Robespierre (1758-94) e Marat (1743-93). Tra il club degli amici dei diritti dell’uomo che si riunivano nei convento dei Francescani (cordeliers; Cordiglieri) militavano Danton (1759-94) e Desmoulins (1760-94). In questo periodo sorsero numerosi centri di riunione, mezzi di propaganda, simboli (coccarda tricolore ed il berretto frigio, associati a libertà e repubblica), canzoni (la marsigliese) ed i giornali politici crebbero in maniera esponenziale. Dalla scissione dei giacobini moderati (1791) nasce il club dei Foglianti (dal nome dei monaci cistercensi nel cui convento ebbe luogo la riunione).
26) Questa misura, suggerita da impellenti esigenze finanziarie, aprì un conflitto col Papato e la Francia, per ritorsione alle proteste, abolì la sovranità del Papa su Avignone. Papa Pio VI (1775-1799) inizialmente non intervenne, quindi, nell’aprile del 1791, esplicitò la sua condanna che causò la rottura dei rapporti con La Francia. Napoleone Bonaparte gli impose il riconoscimento della Repubblica Francese e, con la proclamazione della Repubblica Romana (1798) lo fece condurre prigioniero prima in Toscana e poi in Francia dove morì.
27) Luigi XVI, dopo la morte del suo consigliere, il conte Mirabeau, personaggio di dubbia moralità ma di grande intelligenza, aveva tentato la fuga ma catturato a Varennes, era stato sospeso dai suoi poteri e reintegrato al solo fine di firmare la Costituzione.
28) L’ assemblea legislativa era composta da 745 deputati che erano eletti attraverso un sistema basato sul censo: un terzo della popolazione maggiorenne più povera era esclusa dal diritto di voto. I quattro milioni di cittadini che pagavano una tassa annua equivalente a tre giornate lavorative, designavano, fra quelli che pagavano una imposta pari a dieci giornate, gli elettori i quali sceglievano i deputati tra coloro che pagavano una tassa superiore a 50 livree.
29) Il nome Girondini deriva dal prevalere dei deputai del dipartimento della Gironda. Il loro riferimento esterno erano i club dei giacobini, così per i foglianti erano i monarchici costituzionali di destra.
30) Il re che viveva segregato con la famiglia, nel timore di avvelenamenti, si alimentava con cibi poveri ma sicuri. Aveva inviato messaggi segreti in Austria e Prussia perché facessero intervenire l’esercito a liberarlo.
31) Il re e dei girondini tuttavia cullavano opposti intendi : il primo sperava in una guerra in cui, nell’eventualità di una Francia sconfitta, sarebbe stato restaurato il suo potere; i secondi puntavano al rafforzamento dello spirito rivoluzionario, certi che la guerra avrebbe esportato la rivoluzione, diffuso la libertà e portato alla emarginazione dei fuoriusciti.
32) La ghigliottina è uno strumento di morte ideata per accelerare le esecuzioni.
33) Guidato da Danton che fece sorgere dei comitati di vigilanza rivoluzionaria ed un tribunale eccezionale.
34) Eletta con suffragio universale maschile.
35) I giacobini furono chiamati montagnardi perché occupavano i posti in alto dell’assemblea; i rappresentanti indipendenti vennero definiti palude perché sceglievano di schierarsi a seconda delle occasioni.
35) Termidoro è, nel calendario repubblicano in vigore dal settembre 1792 al dicembre 1805, il periodo che va dal 19 luglio al 17 agosto.
36) Napoleone Bonaparte era nato ad Aiaccio nel 1769, anno successivo alla cessione della Corsica da parte della repubblica di Genova alla Francia. La sua famiglia apparteneva alla piccola nobiltà corsica. Frequentò l’accademia militare e si distinse negli anni della rivoluzione come capitano d’artiglieria liberando Tolone dagli Inglesi. Nominato generale di brigata e sospettato di legami giacobini, fu riabilitato da Barras che gli affidò la repressione di una insurrezione contro il Direttorio. Divenne quindi generale dell’armata che combatteva sul fronte italiano (aprile 1796) condusse una campagna fulminea (vittorie di Cairo Montenotte, Millesimo, Dego, Mondovì, Lodi ecc contro le truppe austro-sarde) che segnò l’inizio della sua ascesa.
38) Sottoscritta il 17 ottobre del 1796, riconobbe ai Francesi la Lombardia ed i territori occupati in Belgio e Renania. In cambio l’Austria fu autorizzata ad annettersi la repubblica di Venezia che, estranea alla contesa, perdette così la sua secolare indipendenza. Dopo la firma del trattato di Pace con cui la Francia ebbe riconosciute frontiere più ampie e sicure, Napoleone andò a Parigi per ricevere le lodi (non gli onori) da parte del Direttorio che lo definì “uomo della provvidenza”.
39) Il termine giacobino, in Italia assunse una connotazione diversa da quella francese di sostenitore di una democrazia radicale, identificandosi piuttosto come sostenitore di sentimenti repubblicani, altrimenti definito patriota.
40) A Napoli la figura più importante fu quella di Mario Pagano (1748-1799) autore dei Saggi Politici ed ispiratore ideale e politico del movimento repubblicano e del progetto di Costituzione della Repubblica Partenopea. Accanto a lui emersero il letterato Mons. Francesco Conforti, Eleonora de Fonseca Pimentel che diresse il Monitore Napoletano e Vincenzo Russo che fu il rappresentante più significativo delle tenenze radicali. Tutti furono giustiziati nella reazione susseguente alla caduta della Repubblica Partenopea.
41) Su iniziativa del re di Sardegna, timoroso degli eventi che si svolgevano alla frontiera piemontese, fu proposta una Lega Italiana antifrancese che impedisse l’invasione dei territori italiani. Tutti aderirono eccetto Venezia e la Lombardia asburgica, essendo l’Austria più sospettosa di una Italia unita che di una Francia sconvolta.
42) Il Papa, riluttante all’armistizio, restava in guerra con Napoleone che, sorretto dalle nuove repubbliche italiane, decise di occupare territori dello Stato pontificio, parte delle Marche, Perugia e Foligno.
43) Essendo stato informato dell’arrivo in Italia di un esercito austriaco, Ferdinando, malgrado l’armistizio, inviò alla frontiera un esercito pronto per un intervento di sostegno.
44) Le legazioni comprendevano le province di Ferrara, Bologna, Ravenna e Forlì.
45) Al Generale Berthier che gli chiese di riconoscere la Repubblica Romana, Pio VI rispose “la sovranità mi viene da Dio e non mi è consentito rinunciarvi”. Pio VI fu imprigionato e trasferito a Siena, quindi a Firenze, Bologna, poi in Francia a Dijon, quindi nella fortezza di Valence dove morì.
46) La regina di Francia giustiziata, Maria Antonietta, era sua sorella (nota 23).
47) Dal nome originario di Liburia, designa il territorio circostante Aversa.
48) L’accordo con l’Austria (Vienna, maggio 1798) prevedeva il pattugliamento dell’Adriatico di navi napoletane; quello con la Russia (Pietroburgo, novembre 1798) prevedeva l’invio di una flotta russa a difesa della Sicilia e di battaglioni a sostegno delle truppe napoletane; quello con l’Inghilterra (Londra, dicembre 1798) impegnava quest’ultima a mantenere nel Mediterraneo una flotta superiore a quella francese; l’accordo con la Turchia prevedeva l’invio di truppe a sostegno di quelle napoletane.
49) Per l’indignazione sollevata, il ministro Acton fu, solo formalmente, allontanato da incarichi di Stato; gli inquisitori vennero romossi ed il Castelcicala, divenuto ministro della Giustizia, assicurò ricchi stipendi al collega Vanni.
50) In quell’occasione il giovane comandante Nelson, dalle spiccate capacità offensive (veniva definito un predatore nato) riusciva ad infliggere una sconfitta bruciante alla flotta francese, stranamente ancorata in rada dopo aver sbarcato truppe e vettovaglie. La stessa flotta precedentemente, passando da Malta, aveva abbattuto il secolare governo dei Cavalieri di Malta e sottratto il loro tesoro. Da Abukir alcune navi francesi riuscirono a sottrarsi all’attacco inglese riparandosi a Malta, Trapani e Girgenti accolti con ostilità dalla folla.
51) L’ambasciatore Garat era lo stesso cittadino Garat che aveva pronunciato la sentenza di morte per Luigi XVI, cognato di Carolina, motivo per cui egli, non gradito a Napoli, fu opportunamente sostituito.
52) Francesco Caracciolo (1752-1799) era capo della flotta napoletana dal 1781. In occasione della traversata che conduceva il re a Palermo, il Nelson ebbe modo di ammirare ed invidiare il vascello di Caracciolo che procedeva sicuro nella tempesta. Dopo la proclamazione della Repubblica Partenopea, ritornò a Napoli accolto con entusiasmo e nominato capo della marina repubblicana con cui combatte contro gli inglesi. Restaurata la monarchia fu processato ed impiccato ad un albero della nave di Nelson.
53) Tra cui anche quella di ricevere dalla Spagna l’indicazione di un nuovo re della famiglia Borbone.
54) Il denaro non era stato approntato perché tutto era scomparso dai banchi e dalle Chiese.
55) I Lazzaroni o Lazzari rappresentano il popolo anarchico e ribelle di Napoli legato al re ed a S. Gennaro. Al tempo della rivolta di Masaniello (1643), vengono identificati come tali dalla altera nobiltà spagnola che li definisce lazaros (laceri). Amano visceralmente la loro città che, nelle occasioni più drammatiche della sua storia (nelle tre giornate di Napoli nel 1943, contrastarono eroicamente l’esercito tedesco) la difesero con armi inadeguate, disprezzando il pericolo e morendo a migliaia. La loro forza consiste dall’essere al di fuori di ogni schema sociale, vivere alla giornata, pericolosamente e giocosamente, tanto che dal termine lazzaro deriva lazzo/scherzo.
56) Un quarto contingente di riserva, comandato da Broussier, entrerà in azione successivamente. In molte situazioni di quei giorni convulsi di lotta risulterà determinante la capacità tattica del giovane generale Kellerman le cui qualità strategiche emergeranno anche nella battaglia di Marengo dell’anno successivo, allorché con un attacco improvviso muterà le sorti di una battaglia già compromessa e di cui Napoleone si assunse merito per intero.
57) Un ufficiale francese che li invitò alla resa venne trucidato. Il generale Championnet ne riconobbe il valore “ Il lazzaroni, questi uomini meravigliosi ……… sono degli eroi che si battono, comandati da capi intrepidi, ….. Il forte S.Elmo li fulmina, la terribile baionetta li squarcia, ripiegano con ordine, poi ritornano alla carica, avanzano con audacia e spesso guadagnano terreno ....” . I Lazzari, negli scontri con i francesi, riportarono circa duemila morti, a fronte dei mille francesi.
58) Michele il Pazzo si era offerto di pacificare i lazzaroni e successivamente, benché analfabeta, fu nominato segretario di Championnet e poi capitano dell’esercito francese. Nei mesi successivi allorché si apprese che era stato pagato dai francesi, Michele il Pazzo fu trucidato dagli stessi Lazzari.
59) Tra cui Mario Pagano (nota 40) e Girolamo Pignatelli.
60) Un ex chierico dell’ordine degli Scolopi che, rifugiatosi in Francia e rientrato al seguito dell’esercito francese, in aprile fuggirà con la cassa della Repubblica.
61) Essa non fu riconosciuta da nessuna potenza europea, Francia compresa. Una deputazione inviata in Francia, nel mese di febbraio, non fu neppure ricevuta dal Direttorio.
62) Lo storico Pietro Torretta rileva . “ A Napoli mancavano le persuasioni di libertà, peggio della eguaglianza …... le persone soggette all’imperio dei dominatori e dei baroni, agli abusi del processo inquisitorio, alla potenza dei delatori e delle spie, alle leve arbitrarie per la milizia ed alle angarie della feudalità. Non libere le arti né i mestieri, né le industrie, qualunque volontà impedita. Il solo segno di libertà rimaneva nei parlamenti popolari per la scelta degli ufficiali del municipio: libertà sola e sterile perché tra infinite servitù”.
63) Alla delegazione che cercò di far ritirare l’imposizione, il generale, parafrasando Brenno rispose “sventure ai vinti”. A questi il componente la delegazione, Gabriele Monthoné, dopo aver rilevato che, senza l’apporto dei patrioti (preferivano così essere definiti per evitare quello di giacobini che richiamava il regime di terrore) che avevano conquistato i castelli, i francesi non sarebbero entrati in città, disse “…esci, per farne prova, dalle mura e ritorna se puoi. Quando sarai tornato imporrai taglia di guerra….”
64) La Sicilia rifiutava i rifornimenti e le navi di frumento in partenza dagli approdi in Puglia e Calabria erano intercettate dai navigli siciliani ed inglesi.
65) Tra cui : i beni della corona, i palazzi e le regge, il demanio, la zecca, i boschi di caccia, banchi, feudi, la fabbrica di porcellana la tesoreria, castelli, fortezze, industrie, miniere, musei, biblioteche, ecc. divennero beni di proprietà della Francia.
66) Il generale Championnet, arrestato, processato e discolpato fu reintegrato ma dopo poco morì in circostanze non chiare.
67) Ugualmente i Savoia definirono il movimento di opposizione manifestatosi dopo l’unificazione d’Italia.


segue:

"LA FINE DELLA REPUBBLICA PARTENOPEA" > >


di Franco Savelli

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