-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

18. LA LEGA ELLENICA - MORTE DI FILIPPO

LA NUOVA SITUAZIONE INTERNAZIONALE - LA ROTTURA TRA FILIPPO ED ATENE (342-340) - LA SPEDIZIONE SUL DANUBIO (340-339) - L'AFFARE DI ANFISSA (339) - L'ALLEANZA TEBANO ATENIESE (FINE 339) - LA BATTAGLIA DI CHERONEA (Settembre 338) - LA PACE CON ATENE E LA SPEDIZIONE NEL PELOPONNESO (338-337) - LA LEGA ELLENICA E LA CROCIATA CONTRO I PERSIANI (337) - CONTRASTI TRA FILIPPO E ALESSANDRO - L'INIZIO DELLA GUERRA PERSIANA (337) - L'AFFARE DI PISSODARO - L'ASSASSINIO DI FILIPPO (Estate 336)

 


LA NUOVA SITUAZIONE
Artaserse, come abbiamo visto nel precedente capitolo, vinse l'Egitto quasi senza colpo ferire, ma non fu moderato nello sfruttare il successo. I Persiani non avevano mai avuto un grande feeling con L'Egitto e lo dimostrarono anche stavolta. Le mura delle città vennero rase al suolo e i templi subirono un grave taglieggiamento, essendo spogliati dei propri arredi che recuperarono solo pagando cospicui riscatti.. Artaserse II pugnalò di sua mano il toro Apis mettendo al suo posto un asino. Gli Egiziani per il momento morsero il freno, ma all'arrivo di Alessandro lo accolsero come liberatore.
Per il momento la Persia era in auge. La riconquista dell'Egitto e della Fenicia costituivano un colpo durissimo per i progetti di Filippo. Ora le risorse di quei ricchissimi paesi erano al servizio del Gran Re. Il re macedone, in attesa di un momento maggiormente propizio, decise di simulare amicizia e negoziò un trattato di pace e alleanza con Artaserse. Non poté opporsi alla partenza di Memnone e Artabazo dalla sua corte. Era successo che il gran Re, non solo aveva ricompensato Mentore con 100 talenti per i servizi da lui resi in Egitto, ma gli aveva assegnato il comando della flotta dell'Egeo, e, grazie ai suoi buoni uffici, aveva perdonato i due esuli alla corte di Filippo, reintegrandoli nelle loro funzioni. Anche se le rivolte erano state tutte domate, rimanevano da sistemare alcuni tirannelli, resisi indipendenti, approfittando della confusione dei decenni precedenti. nel 341 fu la volta di Ermia di Atarneo, ricordato per avere fondato un’accademia di stile platonico ad Asso nella Troade, in cui soggiornarono Aristotele, Callistene e Teofrasto.
Mentore riuscì ad ottenere un abboccamento con lui, facendogli balenare la possibilità del perdono da parte del Gran Re. Arrestato a tradimento Ermia, Mentore si impadronì del suo sigillo che usò per assicurarsi la sottomissioni delle città del suo piccolo regno. Il tiranno finì la sua esistenza su una croce, e Aristotele, che era stato anche suo genero, onorò la sua memoria addirittura con un peana. Per il resto, prese anche lui la via della Macedonia dove fu accolto da Filippo che gli diede l'incarico di precettore per il figlio Alessandro. Mentore, dopo essersi impadronito di Atarneo e di tutto il regno di Ermia, proseguì la conquista della sponda Asiatica dell’Ellesponto e del mar di Marmara. Nel mezzo di questi successi il rodio morì, lasciando il comando a suo fratello Memnone, che si legò ancora di più ai Persiani, prendendo in moglie Barsine figlia di Artabazo.


LA ROTTURA TRA FILIPPO ED ATENE 342 - 340


Nella politica di Filippo si era creata una situazione di impasse. La Persia intorno al 342 era più forte che mai, e Atene stava recuperando molte posizioni. I fautori Macedoni di Filippo nella capitale dell'Attica erano stati messi da parte subito dopo la conclusione della pace: Filocrate era andato in esilio ed era stato condannato a morte in contumacia per corruzione. Eschine si salvò a stento da un procedimento analogo. Gli Ateniesi avevano proseguito la loro politica di colonizzazione negli stretti, inviando nuovi cleruchi; una politica che doveva portarli in rotta di collisione con Filippo, che ormai convergeva nella stessa zona. Per lui il controllo degli stretti era indispensabile per sbarcare un esercito in Asia, mentre agli Ateniesi assicuravano i necessari rifornimenti di grano. una convivenza pacifica tra Atene e la Macedonia in quella regione era impensabile. Intorno al 342 i rimasugli del regno trace vennero inglobati da Filippo il cui dominio si estendeva ora fin quasi al mar di Marmara e davanti a Bisanzio. Gli mancava ancora un approdo al mare. Di tutte le città del Chersoneso, soltanto Cardia era sua alleata, ed era stata l'unica città della zona a rifiutare l'invio di coloni attici. La città si appellò anzi a Filippo che le mandò una guarnigione Macedone.
Lo stratego ateniese della zona, un certo Diopite, anche lui un energico capo mercenario, saccheggiò i territori Traci di Filippo, per rappresaglia, e anche per pagare i suoi soldati, giacché gli Ateniesi al solito lesinavano i denari. Inevitabilmente, all'inizio del 341, Filippo mandò una lettera di protesta, reclamando la testa di Diopite. A quel punto Demostene reintervenne nel dibattito con un’idea nuova e realmente pericolosa per Filippo. Dapprima con l'orazione "Sui fatti del Chersoneso" convinse l'assemblea a lasciare Diopite dov'era e a garantirgli rinforzi. Nella successiva orazione detta "Terza Filippica" lanciò la proposta di una lega panellenica, guidata da Atene ovviamente, ma i cui membri potevano aderirvi senza pagarvi alcun tributo, come invece era stato fatto nelle precedenti leghe. In breve questa politica diede i suoi frutti. Molte città si sentivano minacciate da Filippo e aderirono alla lega. Corinto, Megara e gli Achei nel Peloponneso, gli Acarnani sull'altra sponda del Golfo di Corinto, tutti gli Euboici guidati da quello stesso Callia di Calcide che aveva guidato la rivolta contro Atene nel 348, nonché Bisanzio sugli stretti, stipularono o ricucirono un'alleanza con Atene.
Filippo sembrava avere perso l'iniziativa. Come spesso accadeva quando la diplomazia non gli dava alcuna soddisfazione, decise di fare un'azione di forza. Una flotta macedone entrò nella Propontide (Mar di Marmara) seguita dall'esercito macedone in pieno assetto da guerra (si era nella primavera del 341). Filippo attaccò per prima la città libera di Perinto sulla costa Settentrionale della Propontide, vicino a Bisanzio. L'assedio si rivelò molto difficile anche per un esercito dotato di ottimi genieri e macchine d'assedio come quello del Macedone. 30000 uomini assaltavano quotidianamente la città, che resistette validamente. Gli Ateniesi non intervennero, ma qualcun altro non stette a guardare. Bisanzio innanzi tutto, che si vedeva minacciata dall'avanzata di Filippo, mandò uomini e viveri di rinforzo. Artaserse III, senza agire in via ufficiale scrisse ai satrapi costieri di aiutare la città, e questi inviarono mercenari e denaro.
L'assedio stava consumando le forze Macedoni senza costrutto, e si profilava anzi un grave scacco militare. Filippo allora, cercando di approfittare del fatto che i Bizantini avevano mandato i loro uomini migliori a difendere Perinto, tentò un colpo di mano contro la città del Bosforo, la cui presa avrebbe d'un colpo cancellato la cattiva impressione fatta dalla mancata conquista di Perinto. Ma l'azione fallì perché già a quell'epoca Bisanzio era una fortezza formidabile, difendibile anche da un numero limitato di uomini. Ancora una volta gli Ateniesi non denunciarono apertamente il trattato, ma si misero a sostenere Bisanzio grazie ai rifornimenti delle loro flotte mercantili. Gli Ateniesi avevano in quella zona una flotta militare agli ordini di Carete ed una mercantile di 230 navi che doveva portare il grano del mar Nero in città. La flotta macedone nell'autunno del 340 fece una vera e propria imboscata a questo naviglio mercantile, mal custodito da Carete, e se ne impadronì. Questo attentato in tempo di pace e la prospettiva di passare un inverno senza le scorte di pane produssero un'inevitabile reazione di collera in Atene che dichiarò guerra a Filippo.

RITIRATA DI FILIPPO. LA SPEDIZIONE SUL DANUBIO 340-339

L'atto di pirateria era giustificato dal fatto che il suo esercito, bloccato da oltre un anno in assedi infruttuosi mancava di denaro e di pane, ma portò la situazione strategica per i Macedoni ad essere quasi insostenibile. Se l'esercito era relativamente al sicuro, la preziosa flotta macedone era bloccata a nord del Bosforo, da quella Ateniese, molto superiore di numero, e rischiava di essere spazzata via. L'inefficace Carete fu sostituito da Focione, un comandante esperto di guerra, particolarmente pericoloso; nuove flotte, provenienti da Chio, Cos e Rodi si aggiungevano a quella Ateniese a sostenere Bisanzio. Filippo riuscì in qualche modo a far passare di soppiatto la propria flotta tra le maglie di quelle degli avversarli e a farla uscire indenne dagli stretti. Rimaneva il problema dell'inespugnabilità di Bisanzio. Il Macedone, alla ricerca di nuovi campi d'azione e possibili alleati, era entrato in contatto con le tribù scite che vivevano a nord della Tracia. Il Re di questi popoli, Atea, aveva chiesto aiuto a Filippo contro altre tribù barbare ,che vivevano nel delta del Danubio, nell'odierna Dobrugia. Secondo il racconto di Giustino, il Re degli Sciti aveva promesso addirittura di cedergli il regno alla sua morte, qualora lo avesse aiutato contro gli Istriani. Ma quando il Re di questo popolo morì, liberandolo dal pericolo, Atea rimandò indietro il contingente macedone che era venuto ad aiutarlo, senza nemmeno pagargli le spese.
Filippo a quel punto gli chiese di contribuire con uomini e denaro all'assedio di Bisanzio, ricevendo un ironico rifiuto. Dato che gli Sciti erano poveri Atea preferiva non dargli niente piuttosto che fare una brutta figura cedendogli beni di poco valore. Filippo aveva così trovato un onorevole pretesto per districarsi dal vicolo cieco della guerra contro Bisanzio e rivolgersi contro il barbaro. In quel periodo fu firmata la pace con la città dello stretto e una tregua con Atene. La spedizione che si apprestava a fare non si presentava affatto semplice perché l'avrebbe portato molto lontano dalla Macedonia. la base di partenza, la Tracia, era un territorio infido, da poco conquistato e che poteva essere tenuto solo da un comandante di assoluta fiducia. In questo periodo si decise per una mossa molto rischiosa e sorprendente.
Invece di rivolgersi ai suoi generali, richiamò il figlio ALESSANDRO, che in quel periodo stava studiando con Aristotele e gli diede un qualche migliaio di uomini, per guardargli le retrovie mentre si accingeva alla campagna. Poi attaccò gli Sciti di Atea, vincendoli in battaglia. Più che oro e argento, la spedizione fruttç schiavi e cavalli. Tuttavia, Filippo prese per la via del ritorno una strada che passava per il territorio dei Triballi, una popolazione che viveva intorno al fiume Naisso. Questi barbari, che non erano mai stati sottomessi dai Macedoni, pretendevano che Filippo si pagasse il transito per il loro territorio con parte del bottino. Filippo non accettò e i Triballi gli tesero imboscate lungo la strada. Di conseguenza l'esercito macedone patì molte perdite e perse quasi tutto il bottino. Se poteva essere di consolazione per il Re, Alessandro si era distinto in Tracia occidentale, sottomettendo una tribù ribelle e fondando una città a cui diede il proprio nome: Alessandropoli. Ma mancava, e ormai da due anni, un successo risolutivo.
L'AFFARE DI ANFISSA (PRIMAVERA-AUTUNNO 339)
Respinto nella regione degli stretti, Filippo aveva bisogno di rialzare il proprio prestigio ed influenza, in declino un po’ ovunque. A partire dal 344 Demostene, con la sua politica di alleanze, aveva fatto recuperare parecchie posizioni agli Ateniesi: aveva sottratto a Filippo gli Acarnani, e fatto rientrare l'Eubea nell’orbita ateniese. Ma questi risultati da soli non bastavano a creare una lega militarmente competitiva con la potenza macedone. Perciò l’oratore ateniese cercava di attirare la potente Tebe dalla propria parte. I Tebani erano stati l'anima della guerra contro i Focesi nei periodi in cui Filippo era stato assente, e schieravano l'esercito più forte e disciplinato dopo quello macedone. Filippo perseguiva lo scopo opposto: cercare di tenere divise Tebe e Atene per poter agire separatamente contro le due città. Nella riunione del Consiglio Anfizionico della primavera del 339, essendo Pilagori, cioè inviati al consiglio da parte di Atene, Eschine e Midia, due notori filomacedoni, ci fu scambio di accuse di sacrilegio tra i delegati della città locrese di Anfissa e gli Ateniesi. I primi accusarono i secondi di avere dedicato degli scudi d'oro nel tempio di Delfi prima della sua riconsacrazione, mentre Eschine replicò con energia, che i Locresi coltivavano il suolo sacro di Cirra, e ricavavano dazi illeciti dal porto.
Secondo la sua descrizione della scena, non fece altro che mostrare agli Anfizioni (da Delfi il porto di Cirra e i suoi dintorni sono perfettamente visibili) le proficue attività dei Locresi, intenti a commerciare, coltivare e raccogliere dazi, ed essi decisero seduta stante di deliberare sulla condanna dei sacrileghi. Scoppiarono gravi incidenti tra Locresi di Anfissa e membri dell’Anfizionia, da causare l’interruzione del consiglio. Secondo le regole dell’anfizionia sarebbe dovuto convocare quello successivo in autunno, ma i delegati anfizionici indissero una seduta straordinaria per l'estate (Giugno -Luglio) del 339. Quando Eschine ritornò in Attica, ottenne l'approvazione della sua politica, nonostante le rimostranze di Demostene. Ad Atene si sospettava che i Locresi fossero stati sobillati dai Tebani, perché formalmente erano loro alleati, o almeno lo erano stati durante la guerra sacra. Non sembrava quindi una manovra di Filippo. Eppure tutta la storia sembra un incidente creato ad arte dal Re, per poter intervenire. Secondo il racconto di Demostene " Filippo cerca (e guardate con che bravura!) di far scoppiare una guerra in cui, grazie al subbiglio creatosi nel consiglio, fossero coinvolti tutti gli Anfizioni: subito, supponeva, avrebbero infatti avuto bisogno di lui per risolverla".

Molto probabilmente anche Eschine era consapevolmente parte del piano. L'oratore Ateniese non aveva mai fatto mistero della sua simpatia per Filippo e la sua avversione (come moltissimi altri Ateniesi) per i Tebani. Probabilmente avrà tentato di deviare Filippo contro Tebe, con la scusa di una campagna contro Anfissa. Difatti era certo che la città locrese non sarebbe stata abbandonata dall'alleato. Rimane probabile anche l’ipotesi che Eschine fosse stato semplicemente corrotto dal macedone, come pure i delegati d’Anfissa che avevano creato l'incidente.
Nell’orazione “Per la Corona” Demostene addirittura nega che i Locresi abbiano formalmente intentato alcunché contro Atene, e afferma che Eschine abbia inventato la presunta accusa dei Locresi. In ogni modo Demostene riuscì a convincere gli Ateniesi a non mandare nessun rappresentante alla riunione straordinaria del Consiglio Anfizionico dell'estate, che condannò i Locresi e organizzò una spedizione militare contro di loro. L’esempio ateniese fu imitato dai Tebani che, ovviamente, non se la sentivano di condannare una città loro alleata. Avendo capito da chi aveva tirato le fila dell’intrigo, fecero una spedizione al nord occupando il fortino di Nicea che sorvegliava le Termopili. Filippo non avrebbe potuto passare di lì. La prima spedizione militare contro Anfissa, organizzata dai soli Anfizioni, fu quasi una burla. Un tale Cottifo fu nominato comandante di uno sparuto contingente di truppe, che non fu assolutamente in grado di cacciare i Locresi dal territorio di Cirra. Come era inevitabile, alla successiva riunione del consiglio, si deliberò di chiamare Filippo a risolvere la faccenda. Il Macedone non aspettava altro. L'inazione forzata era finita.


L'ALLEANZA TEBANO ATENIESE (FINE 339)


Dal momento che i Tebani custodivano le Termopili, Filippo cercò una strada alternativa. A quanto pare si mise d’accordo proprio con i Focesi, le sue vecchie vittime. In cambio di una riduzione delle sanzioni che avevano ricevuto, e della ricostruzione delle loro città, avrebbero acconsentito al passaggio per i loro territori. E difatti, secondo le parole sarcastiche di Demostene, Filippo fece tanti saluti ad Anfissa e andò ad occupare Elatea, una fortezza Focese ai confini con la Beozia. Le Termopili erano state strategicamente aggirate, e la Beozia era ora sotto la minaccia macedone. Filippo approfittò della sua posizione di forza, per avviare trattative con i Tebani. Qui, tuttavia, subì uno scacco. Dopo che fu loro annunciato il colpo di mano di Elatea, gli Ateniesi, passato l’iniziale sgomento, finalmente diedero mano libera a Demostene, che prese subito delle misure sagge. Dietro suo suggerimento un corpo di opliti e di cavalieri fu mandato ad Eleusi, alla frontiera con la Beozia. Poi si fece mandare come ambasciatore direttamente a Tebe per negoziare un'alleanza, insieme con altri nove ambasciatori. Anche in questo ebbe successo.
Di fronte alle proposte di Filippo e dei Tessali che promettevano di lasciare ai Tebani i proventi del saccheggio delle campagne dell'Attica, Demostene propose un'alleanza difensiva, il riconoscimento della supremazia tebana in Beozia, la rinuncia da parte di Atene della città di Oropo, al confine tra la Beozia e l'Attica, da sempre oggetto di contesa. Per la guerra imminente, a Tebe sarebbe stato lasciato il comando delle forze terrestri, mentre Atene avrebbe ricevuto quello delle forze navali. Le spese di guerra avrebbero gravato per un terzo su Tebe e per due terzi ad Atene. Purtroppo non si conosce il nome dei Tebani che guidavano la città a quell'epoca, ma si deve riconoscere che il loro coraggio di non piegarsi di fronte a Filippo fu pari alla lungimiranza di Demostene. L'alleanza, che superava un pluridecennale conflitto, fu presto stipulata, e le due città fecero fronte comune contro Filippo. Grazie ai fondi Ateniesi, e, probabilmente, grazie anche a qualche sussidio del gran Re, fu arruolato anche un corpo di mercenari al comando dell'Ateniese Carete e del Tebano Prosseno, e mandato a proteggere la città di Anfissa.


LA BATTAGLIA DI CHERONEA (Settembre 338)


Due eserciti dunque sbarravano il passo a Filippo: quello dei mercenari, schierato a difesa di Anfissa, e quello principale, formato sia dai contingenti maggiori, Tebani e Ateniesi, che da quelli minori, forniti da alleati di Atene. Essi erano: Megara, Eubea, Acarnania, Acaia, Corinto, Leucade e Corcira. Filippo poteva contare sui soli alleati Tessali, mentre le altre popolazioni greche rimasero neutrali. L’esercito alleato aveva preso posizione presso il passo di Paropotamioi, a protezione della pianura bagnata dal fiume Cefiso. Durante l'inverno Filippo per due volte tentò di forzare le posizioni degli alleati, ma senza successo. Si era prodotta una nuova situazione di stallo, da cui il Re macedone si tolse d'impaccio con uno dei suoi trucchi preferiti. Fece in modo che una lettera da lui spedita ad Antipatro, in cui scriveva di essere costretto a levare il campo per ritornare in Tracia e sedarvi una rivolta, cadesse nelle mani di Carete e Prosseno, i quali ingoiarono l'esca e allentarono la sorveglianza al passo.
Pertanto, quando Filippo li attaccò di sorpresa, vennero irrimediabilmente sconfitti. Anfissa, che era stata il pretesto della guerra, fu conquistata da Filippo e duramente punita per il suo presunto atto sacrilego. Seguì un’altra pausa nelle operazioni, con un ulteriore inconcludente scambio di ambascerie. Una battaglia generale, con tutti i rischi che comportava era l'unica via d'uscita. Filippo, entrò a Delfi, prese Naupatto e marciò verso la piana del Cefiso, aggirando da Ovest, le posizioni tenute dagli alleati a Paropotamioi. Questi si ritirarono a in una posizione più a sud est, presso la città di Cheronea.
Il terreno scelto dai Tebani e Ateniesi per la battaglia, pur appoggiandosi ad un fiume, non era completamente piano. I Tebani, comandati da Teagene si attestarono all'ala destra, accanto al fiume. Il centro era occupato da contingenti degli alleati minori degli Ateniesi, e l'ala sinistra era tenuta dagli Ateniesi stessi, al comando di Carete, Stratocle e Lisicle. La loro linea si snodava su un terreno collinoso, che si appoggiava alla dorsale, che limitava a sud-ovest la pianura del Cefiso. Filippo, quando arrivò sul campo, dovette constatare subito le difficoltà del terreno su cui gli era offerto lo scontro. Con il fiume e il terreno accidentato a protezione delle ali, l'esercito avversario non aveva da temere aggiramenti. Filippo aveva più cavalieri, grazie agli alleati Tessali, ma un numero inferiore di fanti. E questa si prospettava come una battaglia di fanteria. Non sappiamo molto su questo scontro, ma sembra che il re macedone divise il comando dell'esercito tra lui e il figlio Alessandro. Questi doveva attaccare i Tebani, mentre Filippo si sarebbe occupato degli Ateniesi. Certamente i Macedoni avevano tutto il vantaggio di un comando unificato, mentre tra gli alleati venne a mancare una coordinazione negli sforzi.
Così, mentre da un lato Alessandro attaccava a fondo i suoi opponenti, Filippo simulò una ritirata, verso le colline, inducendo gli Ateniesi a inseguirlo. Lo stratego Stratocle si lasciò scappare l'incitamento a incalzare i Macedoni, perché la battaglia era ormai vinta. Invece non si era nemmeno iniziato!. Alessandro spinse irresistibilmente indietro i Tebani con l'urto della falange. Il loro corpo d'elite, chiamato "battaglione sacro", fondato ai gloriosi giorni di Epaminonda, si fece massacrare sul posto senza cedere. Ma alla fine i Tebani furono messi in fuga. Poi toccò agli Ateniesi, che avevano col loro slancio perso il contatto sia con la propria ala destra che col centro. Attaccati da Filippo e presi in mezzo dagli altri contingenti macedoni, subirono una gravissima disfatta con 1000 caduti e ben 2000 prigionieri. Il centro Greco ebbe la sua parte di guai, e certi contingenti, come quello acheo, furono crudelmente decimati.
L'orrore di una battaglia non dispone mai gli animi alla comprensione e misericordia, tanto meno quello di Filippo. Dopo la battaglia questi si prese una colossale sbronza e andò a schernire i prigionieri Ateniesi, finche da uno di loro, Demade, fu ricondotto alla ragione con un assennato discorso. " O Re, la storia ti ha assegnato il ruolo di Agamennone e non ti vergogni a recitare la parte di Tersite?" L'opera in cui aveva speso vent'anni, migliaia di uomini, potere e denaro a volontà, era stata messa in forse da Demostene, un semplice cittadino, dotato di mezzi nemmeno lontanamente paragonabili ai suoi, e che non aveva neppure ricoperto incarichi di rilievo nella città. Con la sua abilità oratoria e carisma riuscì a unire popoli in perenne disputa tra loro e a ridare ad Atene quel ruolo guida che aveva ricoperto nei momenti gloriosi seguiti alla fine delle guerre Persiane. Diede l'esempio di quali miracoli è capace una singola mente in cui si accompagnino lucidità di pensiero e nobiltà di intenti.


LA PACE CON ATENE E LA SPEDIZIONE NEL PELOPONNESO 338-337


Gli Ateniesi non tardarono ad avere notizie del macello di Cheronea. I cittadini si prepararono alla difesa estrema. Furono richiamati in servizio tutti i riservisti fino a 60 anni. L'oratore Iperide, propose di dare la libertà agli schiavi e la cittadinanza agli Ateniesi qualora avessero combattuto contro Filippo. Degli strateghi Ateniesi era a quanto pare sopravvissuto il solo Lisicle, che accusato dall'oratore Licurgo di imperizia e codardia, fu condannato a morte. Intanto, il giorno successivo alla battaglia, il Macedone entrò a Tebe. Alla città fu imposto di condannare a morte gli avversari di Filippo e di ospitare una guarnigione macedone nella rocca Cadmea. Filippo tuttavia non invase l'Attica. Rilasciò Demade che si fece latore di proposte di pace, che vennero accettate, dando quindi il suo nome all’infausta pace.
Atene perdeva tutte le proprie posizioni nel Chersoneso, consentendo così a Filippo di avere uno sbocco nel Mar di Marmara, dovette sciogliere la Lega navale ed accettare di entrare in quella egemonizzata dai Macedoni. I numerosi prigionieri di guerra furono tuttavia restituiti senza riscatto e persino la città di Oropo, già appartenuta ai Tebani, fu restituita agli Ateniesi. Anche i corpi dei defunti fecero ritorno ad Atene sotto la scorta di Alessandro il figlio di Filippo. Formalmente riconoscenti della generosità del trattamento ricevuto, gli Ateniesi onorarono Filippo con una statua nell'Agorà, mentre ad Alessandro fu concessa la cittadinanza ateniese.
Una volta pacificata la Grecia centrale, Filippo doveva assicurarsi l’adesione del Peloponneso. A parte Achei e Corinzi nessuno degli stati principali di quella regione aveva partecipato alla battaglia, nell'uno e nell'altro schieramento. Essi erano infatti impegnati in una faida annosa che vedeva coinvolti, da un lato gli Spartani, e dall'altro gli Arcadi, gli Argivi e i Messeni. Filippo non aveva mai ricevuto un atto di vera ostilità da parte degli Spartani, nemmeno quando aveva mandato un corpo di mercenari in aiuto dei loro avversari, ma si risolse volentieri a fare una spedizione contro di loro, quando i rappresentanti degli altri tre stati lo chiamarono in aiuto. L'esercito Macedone, rinforzato dai contingenti dei nuovi alleati, devastò in lungo e in largo la Laconia, bruciando il porto di Gizio, e sottraendo agli Spartani tutti i territori di confine contesi con Tegea, Megalopoli, Argo e Messene. Gli Spartani si rifiutarono di arrendersi: rimasero chiusi in città, pronti a resistere all'assedio; ma Filippo non aveva l'intenzione di perdere tempo ad assediare per mesi la capitale della Laconia. Con la sua dimostrazione di forza, poteva pretendere che gli altri stati del Peloponneso aderissero formalmente alla Lega che aveva intenzione di formare. La conquista di Sparta non era importante per Filippo, anche se l'ostilità e l'indipendenza di questa città avrebbe creato in seguito seri problemi ai Macedoni.
LA LEGA ELLENICA E LA CROCIATA CONTRO I PERSIANI (337)
Ora che ogni opposizione in terra greca era venuta a cessare, che tutte le città si trovavano alleate o soggette ai Macedoni, che il fondamentale sbocco al mare era stato raggiunto e che Atene bene o male aveva intenzione di collaborare, la Persia diventava un obiettivo raggiungibile. Il regno di Artaserse II Ochos, glorioso, seppure macchiato di delitti e di atti di crudeltà, era giunto al termine nello stesso periodo in cui si combatteva la battaglia di Cheronea, grazie all’eunuco Bagoa che avvelenò il proprio sovrano. Bagoa mise sul trono Arsete figlio di Ocho, che non fu più che un fantoccio nelle sue mani. Non poteva essere scelto un momento peggiore per cambiare un sovrano energico e determinato con un giovinetto inesperto di affari del regno e succube dell'eunuco.
Di ritorno dalla campagna peloponnesiaca, Filippo convocò a Corinto i rappresentanti di tutte le città Greche. Nei suoi progetti una nuova Lega panellenica doveva sorgere, avendo lui come egemone. Tutti gli stati eccetto Sparta, mandarono delegazioni. Innanzi tutto fu proclamata una pace generale: koinè eirene secondo la dizione Greca. Tutte le faide, dispute di confine, rivendicazioni, lotte di fazioni all'interno delle poleis, dovevano cessare secondo lo status quo. In secondo luogo, veniva fondato un sinedrio permanente della lega, a cui ogni stato mandava un numero di delegati, proporzionale agli uomini che poteva mettere in campo in caso di guerra. Filippo non era un membro della Lega (nel senso che non vi mandava propri delegati), ma era il comandante supremo della Lega stessa, così come risultava essere il comandante supremo della Lega Tessala. In tal modo, mente tutte le beghe amministrative e giudiziarie del nuovo organismo erano a carico del Sinedrio, Filippo poteva assumere i poteri esecutivi e militari. Lo scopo dichiarato della Lega era la guerra contro il nemico Persiano. I motivi non mancavano: la vendetta contro la invasione di Serse e la spoliazione e distruzione dei Templi avvenuta centocinquanta anni prima era considerata da qualsiasi greco una ragione perfettamente legittima per vendicarsi. Inoltre, a ben vedere una guerra contro i Persiani non aveva bisogno di giustificazioni, in quanto barbari ed inferiori, per cui era perfettamente legittimo conquistare i loro beni.
Tali concetti andavano per la maggiore anche presso oratori e filosofi quali Isocrate e Aristotele. I propugnatori dei diritti umani sono una minoranza ai nostri tempi, quindi non ci si deve stupire che mancassero affatto in quell'epoca. Altre ragioni che potevano indurre i Greci ad attaccare la Persia, era il maggiore peso economico e minaccia per i commercianti Greci che i Fenici avrebbero ora acquistato all'interno dell'impero persiano, anche se sarebbero occorsi parecchi anni perché la Fenicia si riprendesse dalle devastazioni di Artaserse III. Infine c'era il naturale desiderio di impadronirsi semplicemente dell'oro, dei tessuti preziosi, dei terreni fertili dei Persiani, la stessa brama di ricchezze che pervadeva i conquistadores Spagnoli quando attaccarono gli imperi aztechi e Incas. Moltissimi Greci erano ridotti in stato d'indigenza, dalle continue guerre e lotte di fazione all'interno delle poleis, o dal semplice fatto che in una regione povera come la Grecia non era possibile ricavare di che vivere per una popolazione ormai troppo numerosa. Al di là delle apparenze, c’era dunque un consenso generale per la spedizione in Persia. Filippo non aveva da temere che i greci non lo avrebbero seguito. A minare la sua sicurezza e il suo ruolo egemonico furono dei problemi sorti all’interno della sua corte e famiglia.
FILIPPO E LA SUA FAMIGLIA
Filippo, o per capriccio o per ragion di stato, aveva avuto parecchie mogli. Sembra che la prima fosse una certa Fila, proveniente dall'aristocrazia dell'Elimiotide, sposata nel 359, che gli diede un figlio di cui si sa quasi nulla. Un anno dopo sposò Audata, figlia del Re degli Illiri che gli diede una bambina, di nome Cinane. Il matrimonio con Olimpiade sembra che fosse dovuto sia a motivi politici e sentimentali. Filippo si era invaghito di lei, allora una fanciulla, al santuario di Samotracia, in cui entrambi si erano fatti iniziare ai misteri. Olimpiade era figlia di Neottolemo, Re dell'Epiro, morto quando lei era ancora in una bambina. Il suo tutore legale era Aribba, che era succeduto al fratello neottolemo e aveva preso Olimpiade e il fratello di lei Alessandro sotto la sua protezione.
Aribba accondiscese volentieri al matrimonio col potente Re di Macedonia, ma non ebbe molto da rallegrarsi di ciò, perché più avanti nel 342, Filippo, non si sa con quale pretesto, lo cacciò dal trono, lo costrinse ad andare in esilio e lo sostituì proprio con Alessandro fratello di Olimpiade. Dalla sposa epirota Filippo due figli: Alessandro e Cleopatra. Tuttavia il Re Macedone si stufò ben presto di lei. Dedita ai culti Dionisiaci, Olimpiade venne sorpresa spesso a guidare cortei di baccanti in Tracia, e a fare altri riti magiche non proprio graditi alla corte macedone. Filippo dovette rassegnarsi a vedere il talamo nuziale invaso da serpenti, con cui la consorte si divertiva a giacere.
La vita di Filippo si popolò di altre donne, come Filinna, una danzatrice di Larissa, che le diede un altro maschio, Arrideo. Quest'ultimo però non solo era di umile origine da parte di madre, ma era pure demente, quindi non dava ombra ad Alessandro. Anche un'altra amante, Nicesipoli di Ferete, gli diede soltanto una figlia, Tessalonice.


CONTRASTI TRA FILIPPO E ALESSANDRO


Olimpiade si era rivelata sempre più intrattabile come sposa ed era stata ripudiata da Filippo già nel 339. Nonostante ciò, Alessandro era ancora l'unico maschio di rilievo nella famiglia, e il probabile candidato alla successione. Purtuttavia Filippo cominciava a diffidare di questo figlio bastardo, di sangue epirota, e, dopo Cheronea, diede a vedere che intendeva avere discendenza interamente Macedone. Nel 337 si invaghì e sposò Cleopatra, nipote di Attalo, uno dei nobili più in vista del regno. Che cosa comportasse questo atto è ben descritto nella memorabile scena descritta da Plutarco.
Ma i turbamenti sorti a palazzo, a causa dei vari matrimoni e amori di Filippo e di lì propagatisi a tutto il regno, furono causa di frequenti e gravi dispute tra padre e figlio; e Olimpiade, donna di animo aspro, geloso e vendicativo, le aggravava aizzando Alessandro contro il padre. La più clamorosa di tutte fu provocata però da Attalo in occasione delle nozze di Filippo con Cleopatra, una fanciulla che il Re impalmò benchè fosse ormai fuori d'età per amarla. Attalo era zio della sposa, e durante il brindisi, ubriaco fradicio, invitò i Macedoni a chiedere agli dèi che dall'unione di Filippo con Cleopatra nascesse loro un erede legittimo al trono. Alessandro, irritato da una frase tanto sfacciata gridò: <<Dunque io, o lurida canaglia, secondo te sarei un bastardo?>>, e così dicendo gli tirò una grossa coppa. Filippo si alzò in piedi e si lanciò verso il figlio con la spada sguainata, ma per buona fortuna di entrambi, un po' a causa dell'ira che lo accecava, un po' a causa del troppo vino che aveva bevuto, inciampò e cadde.
Alessandro ne approfittò per schernirlo: << Eppure questi, o signori, è il re che si preparava a passare dall'Epiro in Asia: ed è caduto a terra passando da un divano all'altro>>. Dopo tanto oltraggio, causato per altro dal vino, Alessandro portò via Olimpiade e la sistemò nell'Epiro; anch'egli si tenne lontano da Filippo, in Illiria.
L'INIZIO DELLA GUERRA PERSIANA (337)- L'AFFARE DI PISSODARO
Filippo si trovava coinvolto in un grave dissidio famigliare, proprio nel momento in cui si apprestava a partire per l'Asia. La presenza di Alessandro tra gli Illiri era particolarmente grave, in quanto questo popolo poteva essere facilmente sollevato in rivolta. A fare da paciere pensò Demarato di Corinto, amico di entrambi, che riuscì nell'impresa di richiamare Alessandro e di portarlo ad una riconciliazione formale col Re. Attalo, motivo di discordia, non si trovava più a corte, perché era partito per l'Asia Minore. Guidava, insieme a Parmenione un corpo d'invasione di 10000 Macedoni, che si spinse lungo le coste dell'Asia fin quasi a Magnesia sul Meandro. Cizico ed Efeso accolsero i Macedoni senza resistenza, e i satrapi parevano paralizzati. In verità il Regno di Arsite stava declinando nella violenza e nell'anarchia. Bagoa, per assicurarsi il favore del sovrano aveva fatto uccidere tutti i fratelli e fratellastri del sovrano, figli di Artaserse III. Tuttavia, ben presto sorsero contrasti tra il debole sovrano e l'onnipotente eunuco, contrasti che finirono con l'avvelenamento di Arsite e lo sterminio di tutti i suoi figli.
La linea diretta degli Achemenidi era ormai estinta grazie a Bagoa. Questi, non potendo regnare di persona, offrì la corona ad un certo Dario, un pronipote di Artaserse II e secondo cugino di Artaserse III. Del suo precedente curriculum si poteva soltanto dire che era si era distinto per valore in guerra contro i Cardusi, una popolazione barbara della Media, e che conosceva quindi l'arte militare. Ma non c'era modo di dimostrare quanto valesse finchè rimase nell’ombra di Bagoa. Più o meno al tempo della sua salita al trono Dario dovette affrontare , oltre all'invasione macedone anche una ennesima ribellione dell'Egitto sotto un tale Khababasha che si fece addirittura proclamare faraone. La situazione era di nuovo estremamente confusa per i Persiani e alcuni satrapi asiatici pensarono ovviamente di tornare all'autonomia. Pissodaro di Caria, essendo ormai giunto alla conclusione che Filippo fosse l'uomo forte con cui trattare, offrì in sposa sua figlia Ada ad Arrideo, figlio di Filippo. Mentre erano in corso queste trattative si intromise Alessandro. Consigliato dai suoi amici, quali Tolemeo, Nearco, Arpalo ed Erigio, mandò l'attore di teatro Tessalo a convincere il satrapo che gli conveniva prendere come genero Alessandro piuttosto che un bastardo per di più demente come Arrideo.
Pissodaro, ovviamente fu assai felice della soluzione, ma non così Filippo quando lo venne a sapere. Non furono presi provvedimenti contro il figlio, ma i suoi amici furono immediatamente esiliati. Alessandro pareva ormai avere perduto il suo favore, e si attendeva la nascita di un erede legittimo. Tuttavia questo non arrivò. Cleopatra aveva generato una figlia, di nome Europa, il che rendeva evidente a Filippo che per il momento poteva contare per la successione sul solo Alessandro.


L'ASSASSINIO DI FILIPPO (Estate 336)


Filippo era ormai in procinto di partire per l'Oriente, per una campagna che sarebbe potuta durare anni, e i problemi interni costituivano una minaccia che qualunque astuto avversario avrebbe potuto sfruttare. Il Re sentì fortemente il desiderio di appianare i dissidi con Olimpiade e fare si che il fratello di lei, Alessandro d'Epiro fosse ancora più legato a lui. Cosa poteva essere più opportuno di un matrimonio dinastico? La figlia di Filippo e Olimpiade, Cleopatra, sarebbe andata in sposa ad Alessandro d'Epiro, un matrimonio tra zio e nipote, che per la morale dell'epoca non faceva molto scandalo. Secondo Diodoro Siculo, il matrimonio, che doveva avere luogo ad Ege, l’originaria capitale macedone, doveva essere un evento per tutta la Grecia. Degli agoni musicali, sacrifici agli Dei e banchetti, accompagnarono le cerimonie, che durarono più giorni intorno al Luglio del 336.
Tutta la nobiltà locale, eccetto Parmenione ed Attalo, che comandavano l'esercito in Asia, partecipava alla cerimonia. Filippo voleva chiaramente mostrare a tutti quanto la Macedonia, a partire dalla famiglia, per finire con la nobiltà e l'esercito, fosse unita sotto di lui e quanto la sua posizione fosse protetta dalle divinità Greche. Per gli agoni teatrali fece portare in teatro le statue dei dodici principali Dei e una statua che raffigurava se stesso, a fianco di quelle della divinità: una implicita divinizzazione? Secondo il racconto di Diodoro, la folla aveva già riempito il teatro e si aspettava soltanto lui per dare inizio agli agoni. Filippo avanzò vestito di bianco, tenendo le guardie del corpo a distanza, per dimostrare che non era un tiranno che aveva bisogno di guardarsi alle spalle, ma un sovrano nel pieno dei suoi poteri e legittimazione, investito dalla protezione divina e circondato dalla benevolenza dei sudditi.
Ma uno di essi, un certo Pausania, sua guardia del corpo, che fino a quel momento si era confuso tra gli spettatori tenendo una spada celtica nascosta sotto il vestito, si precipitò verso di lui e lo passò da parte a parte, lasciandolo steso davanti al portone del teatro. Non perse tempo a correre verso un cavallo che doveva consentirgli la fuga, ma fu raggiunto da altre tre guardie del corpo, Leonnato, Perdicca e Attalo di Stinfea, e ucciso sul colpo prima che potesse salvarsi. In tal modo fu però chiusa la bocca all'assassino, e non si seppe mai con certezza se aveva agito di propria iniziativa o se fosse parte di un complotto. Pausania in passato era stato offeso nel suo onore da Attalo e non aveva ricevuto la necessaria riparazione da Filippo. Il motivo poteva essere considerato sufficiente per attentare alla vita del sovrano in un gesto senza apparente speranza? Naturalmente non bastava per molti. La presunta offesa non riparata da Filippo era avvenuta ben otto anni prima della vendetta: nel 344. Si parlava di un complotto del clan dei Lincestidi a favore di uno di costoro: Alessandro. Questi fu uno dei primi a salutare Re Alessandro figlio di Filippo, ma fu tenuto poi sempre in sospetto alla corte macedone.
Si parlò di assassini assoldati dal Re di Persia. Motivazione però troppo comoda, dato che consentì poi ad Alessandro di usarla come motivo di vendetta nei confronti del Gran Re, e di sollevare la corte macedone da sospetti. Infine la principale indiziata era Olimpiade, accusata di avere aizzato i vecchi rancori di Pausania per spingerlo all'omicidio e di avergli perfino preparato la fuga. Le successive vendette che lei intraprese sulla rivale Cleopatra, e il ruolo di regina che riuscì a riprendere sotto il regno di Alessandro giustificano i peggiori sospetti. Nemmeno Alessandro andò esente da sospetti, ma non ci fu mai una sola prova che lo riconducesse a Pausania. Per il momento gli unici a guadagnare da questo gesto furono i Persiani. La Macedonia precipitò in un periodo di grave confusione, e tutti i popoli ad essa soggetti, sia che fossero barbari o Greci, pensarono che fosse venuto il momento di scuotere il giogo.
Per essere giudicato FILIPPO e la sua opera bisogna tenere conto del risultato. Se dal punto di vista macedone aveva procurato per lo meno ricchezza e potenza al suo regno e sicuramente aveva migliorato lo standard di vita dei suoi concittadini, la sua opera all'estero, costruita con astuzia e violenza, si basava unicamente sulla sua abilità. Non aveva dato alcuna base solida alle sue conquiste. Tanto i Tessali, che i delegati di Corinto erano legati a lui come persona, non al popolo Macedone. E al di là delle persone che parteggiavano per lui perché da lui corrotte, non aveva raccolto altro che odio.
A parte pochi pensatori come Isocrate, nessuno vedeva in lui l'unificatore e il pacificatore della Grecia, ma solo un tiranno opportunista che pensava solo alla conquista di vasti territori e risorse, per il proprio arricchimento e quello dei suoi amici nobili.
L'ideale panellenico e di crociata contro i barbari non era altro che uno slogan privo di valore per un rapinatore privo di scrupoli, un conquistador.


Ci attende ora il periodo della "grandezza" di suo figlio ALESSANDRO...

 

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