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25. L'ELLENISMO - ALL'ORIZZONTE L'IMPERO ROMANO

i dintorni di Roma nei tempi antichi



ELLENISMO è una designazione moderna (dovuta a Johann Gustav Droysen) di quel periodo della civiltà greca che va dalla morte di Alessandro Magno (323 a.C. e per questo detto anche "alessandrinismo") fino alla battaglia di Azio (31 a.C. - scontro di Ottaviano e Antonio, che segna, la fine della storia degli Stati ellenistici e getta le basi dell'Impero Romano dopo la Repubblica).
Il termine derivato dal verbo ellenizo (= parlare il greco e fare il greco), vuole sottolineare il carattere riflesso delle manifestazioni spirituali e artistiche di questo intero periodo in cui si espresse la civiltà "ellenica", in Oriente come in Occidente.
Alessandro il Grande di Macedonia era elleno ed è stato fondatore dell'ellenismo. Egli estese l'incivilimento ellenico al di là dei confini entro i quali si era fino ai suoi tempi mantenuto, egli assoggettò alla sua influenza l'Asia e l'Egitto, e gettò le basi di quel connubio fra lo spirito ellenico ed orientale che noi chiamiamo ellenismo. Se vogliamo essere precisi, la parola «ellenismo» è stata creata dagli stessi Greci, ma non fu da essi adoperata nel senso in cui noi la usiamo da due generazioni a questa parte. Tornò ad usarla il già citato Droysen, in contrapposizione alla civiltà ellenica dei tempi antichi e la sua storia dell'ellenismo fissò durevolmente il senso particolare del termine. Questa diversa denominazione non sta affatto ad indicare soltanto una differenza di tempi, ma sopra tutto una diversità di natura e di carattere dell'incivilimento.
Per quanto stretti siano stati i nessi dell'originaria civiltà greca con l'Oriente (territori Mesopotamici ecc.) tuttavia essa se ne era venuta sempre più nettamente staccando nel corso dei secoli ed aveva battuto un'altra strada. Il mondo greco dei tempi classici poi entrò addirittura in lotta con l'Oriente, e prima di fronte ai Lidi, in seguito di fronte ai Persiani, così le città greche della costa dell'Asia Minore, e dopo di esse quelle della madre-patria si trovarono a dover combattere per difendersi da una dominazione che per loro era straniera.

Che gli Stati del continente greco sarebbero riusciti a salvaguardare la propria libertà contro la strapotenza persiana era quanto mai una cosa inverosimile. Ma bisogna che l'uomo ardisca tentare ciò che sembra impossibile per operare il possibile. E difatti con uno sforzo inaudito, mettendo a contributo tutte le loro energie, i Greci salvarono la loro indipendenza e respinsero l'urto da due lati nello stesso tempo, da Oriente e da Occidente, in Sicilia l'attacco dei Fenici, i Cartaginesi, a Salamina l'assalto di Serse.
L'impossibile era riuscito ad ottenersi soltanto in grazia dell'olocausto coraggioso di tutte le forze, ed in quella lotta i Greci si abituarono ad impegnare a questo modo, occorrendo, tutta l'energia di cui eran capaci; e questo era indispensabile se si voleva tener lontano per l'avvenire il pericolo che per il momento era stato evitato. Non soltanto nella guerra, ma in tutti i campi della vita umana, nella vita pubblica e nell'attività economica, nelle arti e nelle scienze, essi ora esplicarono quell'energia che si era trasformata per loro in una seconda natura con l'incessante uso fattone nelle angustie della guerra persiana; così avviene che dopo questa guerra nel breve spazio di pochi decenni i contributi del genio nazionale greco si affollano in tale quantità che ancora oggi suscitano stupore ed ammirazione. Ma già nel corso della guerra persiana era sorta una rivalità fra Sparta ed Atene che ebbe per conseguenza una nuova avanzata dell'Oriente.

Nè la lega delica degli Atenesi, nè la lega peloponnesiaca degli Spartani riuscì a conquistare l'egemonia sull'Ellade e una dualità pacifica si rivelò inattuabile. Il conflitto divampò e siccome le forze dei due gruppi di Stati si bilanciavano, la vittoria nella guerra del Peloponneso dipese dal vedere chi avrebbe potuto spendere l'ultimo denaro, mettere in campo l'ultimo uomo, allestire l'ultima nave. E chi decise alla fine fu la Persia; Atene non fu vinta dalla forza di Sparta, ma dall'oro persiano.
La pace del 386 eleva il re persiano a padrone degli Stati greci; cento anni dopo la giornata di Salamina la diplomazia persiana è strapotente anche nella madre-patria ellenica. L'opera di eliminazione dell'influenza persiana e quella di rinnovare la guerra contro la Persia non furono intraprese se non dai re macedoni.

Una delle poche generalizzazioni che la scienza storica riconosce per vere è quella che i popoli e le razze si avvicendano nell'egemonia della vita politica. Una vita che crei storia costa nervi, costa forze; i popoli si stancano come gli uomini. Ed erano stanchi egualmente così gli Spartani come gli Ateniesi; i Beoti, dopo la riunione della regione beota sotto l'egemonia di Tebe, erano venuti temporaneamente in auge in grazia del genio personale di Epaminonda; ma anche le vedute politiche di quest'uomo non andarono al di là dello Stato cittadino, mentre la polis greca era un organismo esaurito.

Questa forma di aggregazione statale nel IV secolo a. C. possedeva ancora abbastanza forza per impedire le manifestazioni di vitalità degli altri Stati, ma aveva perduto ogni capacità di rendimento positivo. Ed allora alle forze delle stirpi e degli Stati greci logorate dalla storia venne a contrapporsi la fresca vigoria del popolo macedone, dello Stato unitario nazionale macedone e della monarchia macedone.

Ben distinto dai Traci e dagli Illiri e legato per origine e lingua da strettissimi vincoli di parentela con le stirpi greche, il popolo macedone rimase estraneo tuttavia a quello svolgimento storico per il quale attraverso la colonizzazione le razze elleniche acquistarono la coscienza della loro unità e che pose capo alla formazione della nazione ellenica. I Greci dell'epoca classica, pur riconoscendo di stirpe ellenica la famiglia reale macedone, consideravano inferiore a sé il popolo macedone; e quando poi i Macedoni assunsero l'egemonia sui Greci, si ritennero a loro volta superiori agli Elleni. Ma, ciò malgrado, non è meno vero che nei Macedoni furono gli Elleni ad assoggettare a sè l'impero persiano.
La giornata di Cheronea non significa la caduta della Grecia, ma invece è il preludio di uno dei suoi massimi trionfi. La spada macedone guidò gli Elleni, prima alla guerra nazionale contro i Persiani e poi alla penetrazione pacifica nell'Asia anteriore e nell'Egitto.

E di fatto l'influenza greca in Oriente si esplicò ora in una misura mai vista prima. Sono greci i principi che imperano in Babilonia, nella Battriana e nell'India, sul Nilo; è in un certo senso una storia di carattere unitario quella che ora si svolge nell'immenso spazio dal mare Adriatico e dalle Sirti sino all'Indo, dal Danubio sino alle cateratte del Nilo ed all'Oceano del Sud.
Benchè l'unità della monarchia d'Alessandro non sia riuscita a mantenersi a lungo, tuttavia i vari regni che si costituirono nel suo seno vennero a formare un sistema unitario di Stati; ed in tutti questi Stati prevalsero gli interessi dei dominatori greco-macedoni, si impose la nazionalità ellenica.

Il Greco era stato sempre un buon mercante, superiore sotto questo riguardo persino al Fenicio. Quali prospettive si aprirono pertanto ora al commercio di Alessandria, di Rodi e di Seleucia! Quali sbocchi gli si schiusero nell'Egitto e sull'Eufrate! Fin dall'India le merci tramite gli Arabi affluirono in Egitto e per le strade carovaniere costeggiando i fiumi iranici arrivarono al Caspio ed al Mar Nero. Dall'Asia orientale, dalla Cina, il traffico si estese sino a toccar l'Occidente.
Anche nella vita pubblica gli Elleni cercano e trovano ovunque posto per spiegare la propria attività. Comincia l'ellenizzazione anche dell'interno dell'Asia Minore, essa si propaga alle città della Siria. Alessandro aveva voluto incamminare l'Oriente ed il mondo greco ad una fusione, ed essa fu effettivamente raggiunta. In parte ciò avvenne per la via efficacissima dei matrimoni, ma soprattutto in grazia dell'influenza intellettuale esercitata dall'Oriente sul mondo greco, ma anche da questo sull'Oriente. Da quest'opera di fecondazione spirituale sbocciò la cultura dell'ellenismo.
L'importanza che questa cultura ha nella storia dell'umanità ci si manifesta ogni giorno più chiara, e nel tempo stesso emerge in maniera più evidente che la base della nostra civiltà non é l'incivilimento ellenico puro, ma l'ellenismo. La civiltà orientale pura, la cultura greca pura, ci impongono, ci entusiasmano; ma come sentiamo estranei a noi i profeti dell'antico Israele, così avviene fino ad un certo punto anche per Eschilo e per Pindaro.
Nell'età dell'ellenismo invece é già nato l'uomo moderno. Se varchiamo i secoli del Medio-Evo, cui siamo ricollegati più da lontano, e risaliamo all'antichità, noi vi troviamo già l'uomo moderno, nei tempi dell'impero romano, nei tempi succeduti ad Alessandro. Lo spirito di queste epoche ci riesce perfettamente intelligibile perché omogeneo al nostro.
La storia del secolo decimonono é un prodotto della politica dell'equilibrio europeo; ora, da quando la monarchia di Alessandro si spezzò in tanti Stati particolari, la politica delle monarchie ellenistiche mirò nella sostanza appunto ad impedire che alcuno di essi acquistasse una potenza dominante ed a mantenere invece un certo equilibrio fra la Macedonia, l'Egitto e il regno d'Asia.
Per il suo colorito altrettanto moderno fa pensare alla nostra epoca, che assiste al sorgere di una politica imperialista, quel processo per cui la politica ellenistica rimase sopraffatta da quella dell'impero universale romano.
E noi non possiamo che augurarci che gli Stati d'Europa comprendano oggi il loro comune interesse e sappiano difendere la loro posizione meglio di quanto abbiano saputo fare gli Stati ellenistici di fronte al sorgente impero universale romano dei paesi mediterranei.
Il Greco dell'età succeduta ad Alessandro era politicamente spassionato e chiaroveggente, altrettanto quanto l'odierno Europeo d'Occidente; Polibio (200 ca. 120 ca. a.C. - Ostaggio a Pidna (168) fu consegnato ai Romani e visse a Roma per sedici anni), nella sua storia, diretta a far conoscere ai Greci il processo di formazione del dominio mondiale dei Romani (dal 264 ai primi e dal 220 sino al 146 a. C. ai secondi), non si fa la minima illusione sulle reali condizioni dell'Oriente greco di fronte a Roma in fatto di potenza; egli é disilluso fino nel fondo dell'anima, egli conosce perfettamente la forza dei Romani e l'impotenza degli Stati ellenistici, come sa bene le cause dell'uno e dell'altro fenomeno.
L'unica illusione cui si abbandonò questo nobile Acheo (era nato a Megalopoli) vissuto poi nella società più elevata di Roma, fu la credenza nell'intima armonia dei tre poteri fondamentali della costituzione romana, quelli del senato, dei magistrati e dei comizi; ed anche quest'unica illusione doveva cadergli nei giorni dei tumulti graccani.
Questo realismo che considera spassionatamente gli uomini e le situazioni ci si presenta non solo nella politica e nella letteratura storica dell'ellenismo, ma anche in altri campi della vita intellettuale. Nell'arte specialmente i bassorilievi ellenistici fanno una impressione assolutamente moderna per la riproduzione realistica del vero; e certi ritratti ellenistici, malgrado la loro indubbia genuinità, sono stati creduti delle falsificazioni da critici affrettati a causa della loro fattura moderna. Subire l'influenza delle cose quali sono e non far delle cose lo specchio di sé stessi é conforme all'indole del tempo e favorisce l'osservazione, la sua veridicità e fedeltà; ciò torna a vantaggio delle scienze naturali che dalla speculazione filosofica, caratteristica dei loro inizi, si volgono al metodo empirico.
L'intensificazione dei commerci favorisce l'incremento delle cognizioni geografiche ed allarga gli orizzonti; l'arricchita conoscenza della terra esige una nuova opera di fissazione cartografica; ed è appunto allora (prima del 200 a. C.) che in Alessandria Eratostene coniò per primo la parola geografia, intendendo con essa il disegno cartografico. Il già noto metodo di determinare la lunghezza della circonferenza terrestre acquista una base più sicura con la precisione della misurazione ed approssima già il risultato alla verità. L'astronomia prende le mosse dalle osservazioni, ma non si ferma affatto a queste e procede alla formulazione di grandi ipotesi esplicative.

Il sistema copernicano al suo apparire fu caratterizzato come un grande errore pitagorico, e questa designazione è falsa soltanto per metà, in quanto cioè parla di errore; invece il nesso tra il sistema di Copernico e la concezione pitagorica, la quale con inaudito ardimento osò per la prima smuovere la terra dalla sua posizione di centro dell'universo, é incontrastabile ed incontrastata. Ed é nell'età ellenistica che fu concepita quell'idea che costituiva come un anello di passaggio dal sistema pitagorico al sistema copernicano; Aristarco di Samo e Seleuco di Babilonia posero le prime basi del sistema eliocentrico con la sua teoria del movimento della terra attorno al sole.
Vero è che ciò avvenne per un momento soltanto, per ritornare poco dopo sui propri passi; ma quale fu la causa del regresso? Alcuni fenomeni del movimento dei pianeti parvero trovare una spiegazione migliore in una ipotesi di Apollonio di Perga, che prendeva a punto di partenza la posizione della sfera terrestre nel centro dell'universo, e tale ipotesi quindi da un lato ritornò al punto stesso in cui si era prima di Aristarco e dall'altro servì di base al sistema tolemaico.
Quello perciò che noi consideriamo e dobbiamo considerare un regresso, era intanto un progresso nel senso che vi si seguiva il metodo della osservazione dei fenomeni e della loro spiegazione. Ed é notevole in ogni caso che i due sistemi astronomici che avvicendandosi l'un l'altro dominarono il Medio-Evo e l'epoca moderna, il sistema tolemaico ed il copernicano, ebbero dall'ellenismo la prima delineazione.
E' il primo fondamento.

Anche la filologia degli Alessandrini é empiristica; il commento di Omero, di Aristarco di Samotrace risente in parte, per il tramite di Eratostene, l'influenza del grande realista Aristotele.
Seleuco di Babilonia ci manifesta già l'influenza dell'Oriente, dell'astrologia babilonese. Ma ben altrimenti l'Oriente esercita la sua influenza nel campo importantissimo, fondamentale, della scienza. Nella filosofia dell'ellenismo la stoa acquista sempre maggiore importanza, e non è puro caso che il suo fondatore Zenone fosse originario di una città fenicia di Cipro.
Ed il più influente stoico del primo secolo a. C., Posidonio di Rodi, era originario di Apamea nella Siria.
In contrapposizione all'accennato razionalismo spregiudicato di alcune sfere sociali, rileviamo in questo campo, dove l'Oriente esercita la sua influenza sullo spirito greco, lo spuntare e propagarsi di un elemento irrazionale; così la tendenza all'irrazionale e al trascendentale si introduce nella filosofia dell'ellenismo. In seguito questo carattere spicca sempre più forte in grazia del connubio tra la filosofia e la religione.

Ma non il solo spirito greco é plasmato dall'Oriente; l'Oriente stesso subisce l'influenza del mondo greco. Il babilonese Berosso e l'egiziano Manetone vogliono far conoscere ai Greci la storia della loro patria, essi attingono sì alle tradizioni nazionali ma si servono della lingua greca e della forma letteraria dei Greci.
Ma assai più profonda é l'influenza dello spirito greco in un altro campo; la speculazione filosofica greca invade le religioni orientali e genera in Oriente una speculazione religiosa, una gnosi pagana. Alla ben nota gnosi cristiana ha preceduto in Oriente una gnosi pagana che comincia a svelarsi ai nostri occhi in modo sempre più chiaro.
Peraltro le religioni orientali nella loro sostanza non furono all'inizio toccate dall'ellenismo; anzi furono invece esse ad esercitare una sempre maggiore influenza sugli Elleni. E così arriviamo ai tempi della fusione delle religioni, e possiamo scorgere i progressi del sincretismo ( = fusione di teorie filosofiche o di dottrine religiose diverse).

Nelle religioni sincretistiche il fattore che le informa, che vi è preponderante, é l'Oriente; la differenza e l'antitesi della concezione che sta loro a base rispetto alla concezione greca dei tempi classici sono innegabili. Il pensiero ellenico classico non mette in diretta antitesi fra loro dio ed il mondo, il corpo e l'anima, lo spirito e la carne, ma anzi concepisce i due elementi siccome fusi in strettissima armonia, e per quanto sia altamente pregiato lo spirito, pure l'idea del disprezzo del corpo è del tutto estranea ai Greci. In contrapposizione a questa armonia l'Oriente accentua già per tempo l'antitesi dei due elementi, statuisce invece un dualismo, e questo la vince ora anche sul pensiero greco.
Dio ed il mondo, dio e la natura vengono nettamente separati, ed ancor dopo due millenni il Goethe ci si mostra schiettamente elleno per il fatto che a lui dio si rivelò esser natura. Altrettanto di sapore ellenico é in Goethe lo apprezzamento al pieno del corpo sano e assistito dalla bellezza accanto all'anima ed all'intelletto. L'Oriente invece abbassò il mondo, la natura ed il corpo sino a concepire un pieno disprezzo del corpo, e questo modo di vedere orientale ora guadagna terreno anche fra gli Elleni.

Esso fu espresso in forma superlativa nel terzo secolo d.C. dal neoplatonico greco Plotino, che fiorì in Roma, ma era originario dell'Egitto; la sua biografia comincia con le parole: «Il filosofo Plotino sembrò vergognarsi di dover abitare in un corpo». E non solo si fa poca stima della natura e del corpo, ma persino si trasportano nel campo delle relazioni fra la natura e lo spirito le antitesi morali, e il mondo sensibile delle cose corporali è riguardato come il principio del male.
Con questo abbassamento del mondo e del corpo va in parallelo una sublimazione ed una esaltazione dello spirito e del concetto della divinità. Nelle idee dell'ebreo alessandrino Filone (20 a.C. 50 d.C.) noi troviamo già accoppiate la religione orientale e la filosofia greca, e la sapienza degli Elleni soggiace sempre più all'Oriente nelle dottrine neopitagoriche e, soprattutto e da ultimo, nel neoplatonismo. Per quanto forte spicchi nella fondamentale sistemazione del neoplatonismo fatta da Plotino l'interesse scientifico, pure non è meno vero che anche il suo sistema cerca già di attuare una unificazione della scienza e della religione, in cui gli interessi religiosi hanno la preponderanza.
E nelle religioni orientali verso gli ultimi tempi della Repubblica romana e nei primi secoli dell'impero spunta e si afferma sempre più un nuovo elemento, che ha le sue radici nella convinzione della soggezione della natura e del corpo a peccare, l'aspirazione cioè alla purificazione, alla espiazione e al riscatto. La religione di Iside esercita una grandissima e vasta influenza molto al di là dei confini dell'Egitto. Dall'Asia minore si diffondono nel mondo antico così i culti di Ati e della madre degli dei frigia, come quello del dio persiano del sole, Mitra.
Divinità solari semitiche provenienti dalla Siria si uniscono al dio persiano nel diffusissimo culto del sole dominante sul cadere dell'antichità. Dopo la battaglia notturna di Bedriaco, i soldati di Vespasiano salutarono all'uso siriaco il sole nascente. E dalle ardenti pianure della Mesopotamia sino alle spiagge nebbiose delle isole britanniche emigrò con il guerriero romano il dio persiano.
Nell'ultima fase del paganesimo sincretistico i grandi culti dei misteri fanno connubio con la filosofia e cercano in essa una giustificazione teoretica. Giamblico e l'imperatore Giuliano, questo neoplatonico coronato, innestano i concetti neoplatonici nei misteri del re Helios, di Mitra, e della madre degli dei frigia. Quest'ultima forma efficace di religiosità pagana doveva servire a contrapporsi al vittorioso avanzare del Cristianesimo; il re Elios dell'imperatore
Giuliano mirava a sorpassare il «figlio di dio» e la madre degli dei frigia a soverchiare Maria.
Spesso ancora oggi si colloca nel quarto secolo, nel periodo che va da Costantino a Teodosio, la fine della religione antica. In realtà questa comincia molto prima, comincia con il sincretismo. Questo sincretismo influì sul mondo ellenico e su Roma; per quanto diverse tra di loro, la religione greca e la romana furono entrambe sostituite da esso, ambedue caddero, prima parzialmente dinanzi al sincretismo pagano ed alla fine totalmente insieme con lo stesso sincretismo dinanzi alla religione universale dell'avvenire.
(di tutto questo parleremo ancora a suo tempo, nelle pagine su Roma)
Quest'epoca dell'ellenismo fu infatti capace della più grande opera compiuta dall'umanità, giacché quest'opera non è né greca, né orientale, l'una e l'altra, è ellenistica, é un avvenimento della storia universale, la fondazione del cristianesimo.
Nato in seno ad un popolo tendente all'isolamento, il Cristianesimo abbandona invece assai per tempo questa attitudine e procede lottando ed alleandosi coi popoli dell'impero romano. Esso mette le radici dappertutto, nelle grandi metropoli e nelle province, e vi si acclimata sempre più profondamente; nella sua figura storica esso non contempla esclusivamente il regno che non é di questo mondo, ma cerca invece di penetrare e disciplinare anche le cose terrene. E' stato con ragione osservato che il cristianesimo é internamente più affine alle religioni sincretistiche che all'antichità ellenica, e la storia scientifica delle religioni, pur apprezzando la funzione storica avuta dal Cristianesimo, sa indicare più di una corrente di idee che ricollega il sincretismo al Cristianesimo.

Anche l'antica arte cristiana serba il retaggio delle epoche precedenti e si serve di figure, forme e motivi già esistenti; il tipo della madonna col bambino ricorda in maniera sorprendente il gruppo di Iside e di Arpocrate. Il Cristianesimo si assimila la cultura del tempo, specialmente a datare dall'età dei grandi alessandrini, da Clemente (verso il 200) e da Origene, ed un uomo della competenza e del valore di Adolfo Harnack ha messo in luce i nessi che corrono fra le dottrine cristiane e la filosofia ellenistica.
Nella lotta con le religioni del sincretismo il Cristianesimo si rivelò il più forte; già prima dei tempi di Diocleziano la sua vittoria era da prevedersi, e a datare da Costantino essa fu palese. La reazione dell'imperatore Giuliano non valse a mutare lo stato delle cose, benché nel suo tentativo di schiacciare il Cristianesimo col sincretismo egli avesse inteso appropriarsi del cristianesimo quell'elemento che in esso non era ellenistico, ma romano: l'organizzazione della Chiesa, la quale a sua volta era imitata dall'ordinamento dell'impero e che l'imperatore si propose a modello della chiesa pagana dà lui progettata.
Se da quanto si é detto appare l'importanza e l'efficacia grande delle correnti intellettuali e religiose dell'età ellenistica, che nell'epoca imperiale romana si diffondono per tutto l'impero, conquistano completamente le province orientali e per il tramite della cultura romana imbevuta di ellenismo influenzano anche l'Occidente, l'età stessa ha uno spiccato rilievo per i tempi nostri anche per un'altra ragione. Agli studi storici del secolo decimonono nel campo dell'antichità classica hanno recato la maggior parte dei nuovi materiali le iscrizioni latine e greche; solo in grazia del colossale Corpus inscriptionum latinarum del Mommsen é stato possibile fare una vera storia dell'impero romano.

Compiti analoghi a quelli offerti al secolo precedente dalle iscrizioni, pongono dinanzi al nuovo secolo i papiri egiziani. Le sabbie dell'Egitto si sono dischiuse e ci hanno rivelato una nuova Pompei; un intero paese, l'Egitto dei Tolemei e degli imperatori romani si offre ai nostri sguardi nelle istituzioni della sua amministrazione ed in tutte le pratiche della vita giornaliera. Quei papiri si son conservati in tutti i luoghi dove l'inondazione del Nilo non é arrivata e dove l'acqua non ha distrutto il papiro: si sono conservati sotto forma di vecchie carte, fra gli oggetti sepolti coi morti, ed anche le mummie di coccodrilli sacri sono ravvolte in grandi papiri. Molte migliaia di papiri sono già venute alla luce, e molte migliaia ancora ne verranno; e occorrerà la collaborazione di moltissimi per sfruttare pienamente questo ricco materiale.
Quando ciò sarà fatto - lo si può dir sin da ora - l'Egitto greco e romano ci diverrà noto nella sua vita giornaliera più di qualsiasi altro paese e popolo dell'antichità. La pianta del papiro cresce nell'Egitto medesimo e con essa si fabbricava sul luogo il papiro; naturalmente vi era più a buon mercato che altrove. Ma per quanto poco costasse, il fisco e i privati per molte cose preferivano un materiale su cui scrivere che era assai più a buon mercato, perché non costava nulla; gli ostraca, i cocci delle stoviglie rotte. Su questi ostraca sono soprattutto scritte le quietanze dei pagamenti delle tasse, scritte con mano affrettata, e che per trascuratezza sembrano proprio le affrettate quietanze dei nostri uffici postali affollati di pubblico. Ma tali quietanze ci permettono di farci un'idea del sistema tributario egiziano così ampio e completo che costituirebbe la delizia di qualsiasi consigliere di conti.
Vero é che esse ci fanno scorgere altrettanto bene un'altra cosa; la grave oppressione che, come in tutti i tempi, così anche allora pesava sul fellah egiziano, e non soltanto su di esso. A che segno sapesse arrivare l'arte fiscale nel tassar tutto è cosa che fa rimaner stupefatti; senza dubbio avrebbe sottoposto a tassa l'aria se avesse avuto un mezzo per misurarla. Noi ci vediamo dinanzi un popolo angariato, la cui pazienza peraltro di tollerare l'oppressione era anche maggiore dell'oppressione medesima.
Può darsi che in Oriente le cose non siano andate meglio anche per altri popoli, ma nella gioia per le molte nuove informazioni che affluiscono a noi non dobbiamo lasciarci trascinare a generalizzazioni in qualsiasi senso. Quanto infinitamente migliore era la condizione del popolo delle città elleniche e quella dei liberi agricoltori della campagna romana! Ma i papiri ci hanno rivelato le grandi doti dell'ellenismo in un campo della vita pubblica dove meno ce lo saremmo aspettato; da essi cioè emergono chiare le attitudini giuridiche di quest'epoca.
I Romani hanno nome del popolo classico della giurisprudenza e conserveranno anche, crediamo, questa fama, ma anni fa già la scoperta della legge di Gortina ha fatto apparire sotto una luce ben diversa circa l'attitudine dei Greci per il diritto. E la copia dei papiri ci porge ora la visione concreta del diritto greco dell'età ellenistica. Dal suo esame possiamo scorgere che questo diritto greco ha avuto sulla formulazione e sulla struttura del diritto romano dell'epoca imperiale una influenza che prima non si poteva sospettare.
In quest'epoca, in misura sempre maggiore a datare dal terzo secolo, dal tempo della concessione del diritto di cittadinanza ai provinciali, fatta dall'imperatore Severo Antonino soprannominato Caracalla, si compie una recezione del diritto greco nel diritto romano; in seguito a tale recezione anche la codificazione dell'imperatore Giustiniano ha subìto la influenza del diritto greco, ellenistico. Ed il diritto romano ha esercitato la sua influenza sino all'età presente, esso fu diritto vigente nei così detti paesi di diritto comune nella forma di diritto delle Pandette costituitasi in seguito alla recezione del XVI secolo, e si conservò per lo meno come diritto sussidiario nei paesi retti da codici di diritto privato; né ha perduto anche oggi la sua efficacia; é nota la grande influenza che esso ha avuta sul codice civile germanico.
Più di cinquanta anni fa il Mommsen osservava che la massima parte di ciò che dell'antichità si é conservato vivo sino ai giorni nostri, deriva dall'epoca imperiale romana: ed oggi noi dobbiamo riconoscere l'influenza dell'ellenismo sull'età imperiale. La cultura dell'ellenismo si è perfezionata nell'epoca imperiale, lo spirito ellenistico è vivo ancor oggi nel Cristianesimo e nel diritto romano. E con Copernico e Galilei il sistema moderno dell'universo è ritornato all'ellenismo.
Nella storia di Roma che seguirà, accenneremo al primo secolo della cultura ellenistica, quando lo spirito nazionale Latino fu trasformato dall'influenza dello spirito greco e dall'assorbimento della cultura greca.
Ora dobbiamo ritornare alle vicende politiche, che però d'ora in avanti iniziano ad essere anche queste principalmente romane.
Ma prima di queste vicende politiche e culturali dobbiamo fare un breve accenno ai popoli italici, e quindi all'origine della nazione latino-romana.
I POPOLI E LE STIRPI ITALICHE (E LA LATINO-ROMANA) > >

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