-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------


di Friedrich Engels


di: Giandomenico Ponticelli

1 ) IL LAVORO E L’ORIGINE DELL’UOMO
....................... IL PASSAGGIO DALLA SCIMMIA ALL'UOMO
....................... LA NASCITA DELLA CACCIA
2) COME ERANO I NOSTRI PRIMI ANTENATI
3) GLI UOMINI CHE RUBARONO IL FUOCO AGLI DEI
4) EVOLUZIONE e STORIA
5) IL MODELLO EVOLUTIVO
6) L’INTEPRETAZIONE DELLA STORIA DEGLI ANTICHI
7) IL RUOLO RIVOLUZIONARIO DEL LAVORO ..............................................NELL'EVOLUZIONE UMANA
............................................. IL DARWINISMO SOCIALE
............................................. RAZZISMO E SCIENZA
8) L'EVOLUZIONISMO E LA SCELTA SESSUALE
9) IL SIGNIFICATO DELL'ARTE RUPESTRE NEL
.....................................................PALEOLITICO SUPERIORE

Dagli studi sull'evoluzionismo
di: Giandomenico Ponticelli

"Storiologia" ringrazia

 

1) IL LAVORO E L’ORIGINE DELL’UOMO
John E. Pfeiffer, nello scritto The emergence of Man (La nascita dell'uomo), dimostrò che nel passaggio evolutivo dalla scimmia all’uomo, lo sviluppo delle articolazioni precedette lo sviluppo del pensiero. Più precisamente, nel graduale adattamento alla vita sugli alberi, le scimmie prima di conseguire un aumento dell'encefalo, specializzarono le articolazioni superiori ed in particolare le mani.

Circa cento anni prima, Friedrich Engels, nello scritto, rimasto purtroppo incompleto, "Parte avuta dal lavoro nel processo di umanizzazione della scimmia", era arrivato alle medesime conclusioni. Per Engels, lo sviluppo del lavoro e della manualità, e conseguentemente della caccia, avevano prodotto un considerevole aumento del cervello umano.

L'evoluzione umana, conseguita per stadi, aveva avuto quattro momenti fondamentali.**** La prima fase, consistette nello sviluppo della stazione eretta. Questa fase si rilevò indispensabile, perchè liberando gli arti superiori dalla locomozione, favorì il secondo stadio dell'evoluzione dell'uomo, la specializzazione delle mani, in cui gli arti superiori si organizzarono come gli organi del lavoro.
Entrambi queste modifiche, furono responsabili di un'ulteriore serie di cambiamenti nell'organismo umano, (ad es. lo sviluppo delle corde vocali), che costituirono la base per un ulteriore salto organizzativo dell'umanità, l'ultimo in termini evolutivi, in cui si realizzarono le prime forme di organizzazione sociale e lo sviluppo del linguaggio.

La prima parte dell'evoluzione umana, ed in particolare Il rapporto tra stazione eretta, bipedismo e sviluppo umano verrà sviluppato più avanti nello scritto "Dalla scimmia all'uomo".
Analizzeremo nel dettaglio il secondo aspetto, la concezione del lavoro secondo Marx ed Engels, ed i contributi di Amedeo Bordiga, Alan Woods e Ted Grant.
1.1 - Il lavoro e l'origine dell'uomo


Marx, nella III sezione del primo libro del Capitale, diede una prima definizione di "lavoro" umano:
«Per forza-lavoro o capacità di lavoro intendiamo l'insieme delle attitudini fisiche e intellettuali che esistono nella corporeità, ossia nella personalità vivente d'un uomo, e che egli mette in movimento ogni volta che produce valori d'uso di qualsiasi genere» (Marx, 1867).
Marx, Nella IV sezione del primo libro del Capitale, diede un'ulteriore definizione di "lavoro" ed il suo rapporto tra uomo, natura:

«In primo luogo il lavoro è un processo che si svolge fra l'uomo e la natura, nel quale l'uomo, per mezzo della propria azione, media, regola e controlla il ricambio organico fra se stesso e la natura: contrappone se stesso, quale una fra le potenze della natura, alla materialità della natura. Egli mette in moto le forze naturali appartenenti alla sua corporeità, braccia e gambe, mani e testa, per appropriarsi dei materiali della natura in forma usabile per la propria vita» (Marx, 1867).

Il lavoro, secondo Marx, è l'insieme di tutte le azioni utili all'uomo per interagire con la natura. L'umanità, a differenza degli altri esseri viventi , diventa una "potenza della natura", perchè attraverso la sua azione sul mondo naturale è in grado di modificare a suo vantaggio le proprie condizioni di vita.

Allo stesso modo, la natura condiziona l'evoluzione umana, favorendo cambiamenti fisici e culturali. Marx, osservando che: «Operando mediante tale moto sulla natura fuori di sè e cambiandola, egli cambia allo stesso tempo la natura sua propria», individua una legge che appartiene a tutto il mondo animale, e non soltanto all'uomo. La differenza, sta che gli uomini sono dotati di una marcia in più.

Noi siamo capaci di programmare progetti sul lungo periodo, di elaborarli, e di condizionare la nostra volonta nell'esecuzione di azioni precise. «Non che egli effettui soltanto un cambiamento di forma dell'elemento naturale; egli realizza nell'elemento naturale, allo stesso tempo, il proprio scopo, da lui ben conosciuto, che determina come legge il modo del suo operare, e al quale deve subordinare la sua volontà». L'uomo manifesta, in maniera non accidentale, una "volontà conforme allo scopo" per tutta la durata del lavoro (Marx, 1867).

Friedrich Engels, approfondì la relazione esistente tra uomo, lavoro e natura, cercando di approfondirne l'origine paleontologica, dando una base storico-empirica agli studi del Capitale di Karl Marx.

Il "lavoro" di Engels, "...è la fonte di ogni ricchezza…accanto alla natura, che offre al lavoro la materia grigia che esso trasforma in ricchezza" (Engels, 1876).

Engels riuscì ad elaborare una legge generale, senza che nessuna delle grandi scoperte nel campo della paleontologia, fosse stata ancora realizzata. Oggi sappiamo, ad es. che gli Homo ergaster, a differenza delle altre specie, erano dediti alla caccia, costruivano arnesi di pietra e sapevano usare il fuoco, senza avere un cervello particolarmente sviluppato. Questa è una conferma postuma a quanto ipotizzava Engels, quando affermava che lo sviluppo culturale e fisico dell'uomo, (coincidente con il passaggio dalla forma Australopithecus a quella Homo Habilis), si ebbe attraverso il progressivo sviluppo delle tecniche di lavorazione, dello sviluppo della mano e della sua articolazione, e non del suo cervello.

Avvenne così che il lavoro creò lo stesso uomo (Engels, 1876). Engels, come nota Amedeo Bordiga, si pone agli antipodi della concezione "cerebrale" ed "idealista" dell'evoluzione umana. Nella sua concezione "materialista" e "dialettica", «l'uomo non è definito da testa, coscienza e spirito, ma dalla facoltà specifica e sociale di produrre gli strumenti di produzione al fine di trasformare la natura e piegarla ai suoi bisogni» (Bordiga, 1973).

La più grande conferma alle teorie engelsiane avvenne negli anni '70 del secolo scorso, quando vennero scoperti i resti fossili di Australopithecus e di Homo Habilis. Queste due specie, nonostante avessero una capacità cranica di poco differente, dimostrarono di avere capacità tecniche molto diverse. Mentre i primi avevano capacità identiche a quelle delle scimmie, gli Homo habilis erano abbastanza abili da costruire arnesi di pietra, anche se molto rudumentali, conosciuti come coppers di Olduvai. Il ritrovamento di utensili di pietra accanto a fossili umani dimostrarono che "la tecnica [Il lavoro] è una caratterristica specifica umana che ha giocato un ruolo decisivo come agente dell'evoluzione" (Bordiga, 1973).

1.2 - Le articolazioni ed i mutamenti ambientali

Se potessimo mettere una scimmia, un "selvaggio" ed un uomo moderno. Scopriremmo che questi tre primati hanno molte caratteristiche fisiologiche comuni. Tuttavia, gli homo sapiens sapiens dimostrano di avere una grande capacità di articolazione degli arti superiori. La vera differenza tra gli uomini e le scimmie, consiste nella diffente capacità di usare le mani. L’uomo, come osserva Engels, anche il più selvaggio, riesce ad utilizzare le mani in un'infinità di modi differenti (Engels, 1876). L'abisso creato tra l'uomo e gli altri primati fu determinato dall'adattamento a nicchie ecologiche differenti. Mentre le scimmie si specializzarono in una comoda vita sugli alberi, gli ominidi si riadattarono alla vita nella savana e in ambienti silvicoli più aperti, di fatto più avventurosa. Tutte le articolazioni subirono un lento riadattamento, dovuto alla nuove sollecitazioni a cui vennero costantemente sottoposti. Lo sviluppo del cervello fu una conseguenza dell'eleborazione di nuove attività.

"La mano non è quindi soltanto l’organo del lavoro: è anche il suo prodotto" (Engels, 1876).

La specializzazione degli arti superiori, venne preceduta dallo sviluppo la stazione eretta e del bipedismo, entrambi conseguenza dell'adattamento agli spazi aperti. In questo processo, lo svantaggio di essere più lento si trasformo nel vantaggio "difensivo" di vedere molto più lontano. Quando gli arti superiori vennero liberati dalla locomozione, la loro specializzazione fu possibile. Tutte le attività dell'uomo migliorarono: la raccolta del cibo, l’utilizzo di strumenti, i rapporti sociali. Come anche Pfeiffer, disse "il miglioramento della presa precede il miglioramento del pensiero" (Pfeiffer, 1971).

Curiosamente, l'uomo, insieme alla specializzazione degli arti superiori, sviluppò anche l'utilizzo preferenziale di una mano rispetto ad un'altra. Oggi, il 90% degli uomini e delle donne utilizzano la mano destra mentre negli altri primati vi è assoluta parità. Secondo Alan Woods e Ted Grant, questà particalorità umana è in relazione lo sviluppo del linguaggio. Coloro che usano la mano destra, hanno le funzioni celebrali localizzate nell’emisfero cerebrale opposto. In questo emisfero si trovano anche i centri responsabili del linguaggio, mentre l’emisfero destro è specializzato nelle capacità connesse allo spazio.
**** Secondo i due autori, un ulteriore traccia della relazione tra linguaggio e manualità, si può riscontrare nello sviluppo iniziale del sistema nervoso del bambino, in cui le aree connesse all’uso dei strumenti e del linguaggio sono unite alla nascita, e si separano soltanto dopo i due anni di vita. "il linguaggio e l’abilità manuale si sviluppano insieme a questa evoluzione si riproduce nello sviluppo odierno dei bambini" (Woods e Grant, 1997).

1.3 - Lo sviluppo del cervello

Dall' homo habilis agli uomini di Cromagnon «l'evoluzione della specie umana basata sul bipidismo appare come la risultante e il contraccolpo degli effetti del lavoro sulla morfologia del cranio e la capacità encefalica, con la sparizione progressiva della prominenza sopraorbitale, l'apertura del ventaglio corticale e l'affinamento della corteccia - modificazioni che a loro volta reagiscono dialetticamente sulle possibilità tecniche della specie» (Bordiga, 1973).

La struttura del cervello degli ominidi, come ribadisce Bardiga, è dunque "in stretto rapporto con l'esercizio della tecnica [lavoro]", cioè con il grado tecnologico raggiunto dalle specie. In particolare, la porzione del cervello che si è sviluppata sotto gli stimoli dell'attività umana è la regione fronto-temporo-parietale media che, già con i primi ominidi, ha subito il continuo aumento della superficie della corteccia cerebrale (Bordiga, 1973).

"L'evoluzione della tecnica [lavoro] e quella, parallela della struttura del cervello, sono concepibili soltanto all'interno di uno stesso processo dialettico che si svolge in questo modo: il lavoro si ripercuote sulla funzione cerebrale, la quale, affinandosi, dà luogo a una tecnicità più elaborata e complessa che comporta una vita di relazioni più ricca, causa a sua volta di una nuova differenziazzione dell'encefalo, e cosi via, fino al raggiungimento dell'attuale profilo d'equilibrio cerebrale medio" (Bordiga, 1973).

Bibliografia
Bordiga A., Come Monod distruggerebbe... la dialettica. Parte II; I criteri distintivi umani e il ruolo avuto dal lavoto nel processo di trasformazione della scimmia in uomo. In Programme Communiste - n° 58 del 1973*****
Diamond J., Armi, acciaio e malattie. Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni. Einaudi editore, 1998 (*12)
Engels F., Parte avuta dal lavoro nel processo di umanizzazione della scimmia. ** Probabilmente del 1876
Engels F., Lecter of Engels to Pyotr Lavrov In London. London, Nov. 12-17, 1875. Online Version: Marx/Engels Internet Archive (marxists.org) 2000. (*8)
Fedele F., (a cura di), Aspetti dell'evoluzione umana. Guida editori, 1985 (*11)
Giusti F., La scimmia e il cacciatore. Interpretazioni, modelli e complessità nell'evoluzione umana. Donzelli editore, 1994 (*6)
Lewontin R. C., Biologia come ideologia. La dottrina del DNA. Bollati Boringhieri editore s.r.l.,1993 (*10)
Marx K., Il capitale. Critica all'economia politica.* Editori Riuniti, II ristampa dell'edizione anastatica del 1989. Vol.1 (Ed. orig. 1867)
Marx K. e Engels F., Dialettica della natura, Opere complete, Libro XXV. Editori Riuniti. (*9)
Morris D., La scimmia nuda. Studio zoologico sull'animale uomo. XV edizione Tascabili Bompiani marzo 2002 (*7)
Pfeiffer J. E., La nascita dell'uomo***. Arnoldo Mondadori editore, 1971.
Woods A. e Grant T., La rivolta della ragione. Filosofia marxista e scienza moderna.**** A C Editoriale coop arl, luglio 1997

IL PASSAGGIO DALLA SCIMMIA ALL'UOMO


2.0 - Breve premessa
Passeggiare per i vicoli di Napoli qualche volta può portare a qualche gradita sorpresa. Infatti tra le tante stradine che si incrociano senza un ordine preciso, si nascondono delle piccole librerie in cui molto spesso si possono comprare a poco prezzo dei libri molto interessanti e alcuni di questi, con il tempo, sono diventati la base dei miei studi. Questo è il caso di "The Emergence of Man" di John E. Pfeiffer, pubblicato in America nel 1969 e tradotto in italiano nel 1971 con il titolo "La nascita dell’uomo". Dalle pagine ingiallite di questo vecchio libro emerge l’analisi concreta dell’evoluzione dalle scimmie agli uomini.

"Nell'evoluzione la pressione è sempre presente: la vita non si immobilizza mai, ma tende continuamente a mutare, a sviluppare nuove forme adattate a nuove e più varie condizioni" (Pfeiffer, 1971).
2.1 - L'evoluzione delle scimmie
I principali artefici dell'evoluzione sono due: le mutazioni casuali e la selezione naturale. I geni contenuti nei cromosomi sono i responsabili della trasmissione delle caratteristiche particolari di ogni specie dai progenitori ai propri figli. In questo modo si salvaguardano le distinzioni tra le specie.
Questo meccanismo rende la realtà statica, "conservatrice", avversa ad ogni cambiamento. Ma questo meccanismo non è perfetto. Ogni tanto si inceppa. Nella trascrizione delle informazioni genetiche si verifica qualche errore di copiatura, questo può portare a variazioni insignificanti oppure costituire la base per dare inizio ad un'altra varietà della specie.

Questi errori sono chiamati mutazioni e sono assolutamente casuali. Su tutte le specie interviene l'azione della natura che elimina quelle meno adatte all'ambiete costituito. "Le possibilità di sopravvivere dipendono dall’avere i geni giusti al momento giusto" (ibidem). Una combinazione puramente casuale di fattori può determinare la sopravvivenza di un individuo o della sua specie. Per gli uomini, il discorso è diverso, non dipende soltanto dai suoi geni come negli altri animali. Alla trasmissione dei geni, nel tempo si è aggiunta anche la trasmissione della conoscenza accumulata da una generazione all'altra. "L’evoluzione culturale è giunta a predominare sull’evoluzione genetica...la tradizione cominciò a prevalere sulle forze genetiche divenendo la maggior determinante del comportamento umano" (ibidem).

Questa particolarità prettamente umana ha reso gli uomini maggiormente immuni ai meccanismi di selezione della natura. Ma l'uomo non si è fermato a questo. Con lo sviluppo della tecnologia e del linguaggio è stato possibile modificare la natura stessa, anche se spesso in modo maldestro.
" L'evoluzione è un intricatissimo sistema di adattamenti e riadattamenti" (ibidem): piuttosto che ridisegnare completamente le strutture che compongono un organismo, come vedremo più avanti, vi è una continua opera di adattamento alle condizioni che vanno determinandosi di volta in volta.

La storia dell'evoluzione dell'uomo così come quella degli altri mammiferi, incomincia con il declino dei grandi rettili che avevano dominato ogni angolo della terra fino a quel momento. L'arma segreta di questi animali si dimostrò essere il sistema circolatorio sanguigno che riusciva a tenere la temperatura del corpo più stabile, in modo da farli sopravvivere e farli muovere liberamente entro una gamma di temperature molto più ampia di quella dei rettili, sia di giorno che di notte.
I cambiamenti climatici, il clima più freddo e arido, si combinarono con l'aumento delle specie vegetali, degli insetti e di funghi patogeni diffusori di malattie. Molto probabilmente queste furono le cause della denatalità nei grandi rettili. Con la scomparsa dei dinosauri, i mammiferi ebbero la possibilità di diffondersi ovunque e soprattutto aumentò la loro varietà. Gli antenati delle proscimmie ebbero come competitori i piccoli roditori. Questi si fecero un'accanita concorrenza sia sugli alberi che sul terreno. Alcune specie di proscimmie si adattarono a vivere al suolo dove in un primo momento proliferarono ma alla fine si estinsero. Quelle che scelsero la vita sugli alberi ebbero maggiore fortuna ma non riuscendo ad eliminare i loro diretti concorrenti, furono costretti a dividerne lo spazio.

Con il diffondersi delle foreste anche le piccole proscimmie si diffusero ovunque. L'uomo è nato nelle foreste e quindi ogni componente del suo organismo si è formato per rispondere alle esigenze della vita in questi luoghi. Più precisamente "... le loro strutture di base, il cervello, gli organi di senso, gli arti e gli organi riproduttivi si svilupparono nelle foreste. Il corso degli eventi successivi rese necessarie in genere modifiche e rielaborazioni di quelle strutture , piuttosto che strutture completamente nuove" (ibidem).

Rispetto ai volatili, i mammiferi che scelsero la vita tra gli alberi o sulla terra svilupparono corpi più grandi e cervelli più complessi. Questo perché a differenza degli uccelli che insieme ad una corporatura piccola e molto leggera associarono un comportamento routinario, le specie arboricole potevano evolversi con cervelli abbastanza grandi da permettere loro una notevole attività di apprendimento ed inoltre le dimensioni erano tali da contenere i tessuti celebrali in grado di generare uno sviluppato potere visivo e una buona coordinazione sensoriale e muscolare. La vita sugli alberi, con i suoi cambiamenti di condizione, bruschi ed imprevedibili, generò "una nuova e permanente insicurezza o incertezza" (ibidem). In questo modo si sviluppò una notevole capacità di decisione e di apprendimento. I secondi necessari per intraprendere una scelta, favorirono gli individui in grado di prendere decisioni rapide. La conseguenza era che, quelli che avevano meno incidenti, vivevano più a lungo.

L'azione combinata delle mutazioni casuali e della selezione naturale, determinò un graduale adattamento delle prime proscimmie al loro habitat. Secondo Pfeiffer tale cambiamento fu dovuto ad una serie di "micromutazioni successive", avutesi nel corso di numerose generazioni (ibidem). Esse svilupparono nelle articolazioni degli arti, un meccanismo prensile in grado di aumentare l'agilità di locomozione tra i rami. Agli artigli si sostituirono le unghie appiattite, le dita si allungarono ed il pollice divenne opponibile per una presa anulare attorno ai rami. Per saltare da un ramo all'atro, era necessario avere una vista migliore: gli occhi diventarono più grandi e si spostarono in avanti, al centro della faccia, conseguentemente anche il muso si accorciò. Con queste modifiche, le proscimmie potevano vedere meglio, anche di notte, e soprattutto, molto più lontano. Anche il cervello subì dei cambiamenti, vi fu una notevole espansione della membrana esterna del cervello, la corteccia celebrale, che aveva cominciato a svilupparsi già con i primi mammiferi. Quest'organo è il responsabile dell'analisi dei messaggi inviati dagli organi dei sensi e invia gli impulsi che regolano il comportamento del sistema muscolare. Le proscimmie avevano un cervello molto piccolo ma la corteccia cerebrale si era espansa su tutta la sua superficie. Due zone in particolare si erano sviluppate: una più antica, situata verso la fronte, che analizzava gli impulsi olfattivi. Un'altra parte del cervello sviluppata più di recente, si trovava sul retro del cervello e coordinava le informazioni visive (ibidem).

Fu così che: "il miglioramento della presa precedette il miglioramento del pensiero", prima si svilupparono i muscoli e i sensi, come la vista e l’olfatto, successivamente si sviluppano i nervi al loro servizio (ibidem).
Circa 35 milioni di anni fa' i cercopitechi e le scimmie antropoide riuscirono ad avere il sopravvento sulle proscimmie. In 5 milioni di anni le scimmie si erano gradualmente diffuse in tutte le foreste, sviluppando le basi per una nuova visione del mondo.

"Ogni mutamento rientrava in un complesso di mutamenti correlati, in un modello evolutivo in via di formazione..." (ibidem). Mentre l'olfatto perdette parte della sua importanza si svilupparono gli altri sensi. Anche in questo caso vi furono una serie di cambiamenti importanti: il nervo olfattivo, che porta i messaggi dal naso al cervello, diminuì di diametro; il muso si accorciò ulteriormente e i baffi tattili andarono perduti; nelle mani le cellule e le fibre nervose aumentarono sviluppando il tatto e le dita diventarono più agili in modo da potersi procurare più facilmente il cibo o raccogliere più facilmente gli oggetti. Le scimmie incominciarono ad utilizzare gli oggetti prima degli uomini (ibidem). Questo cambiamento fu possibile soltanto grazie allo sviluppo della visione frontale, indispensabile per avere una percezione tridimensionale della realtà. Diversamente, le specie che hanno gli occhi posizionati ai lati della testa, percepiscono una realtà piatta, bidimensionale. In tale condizione è difficile individuare gli oggetti inerti sullo sfondo o che si muovono frontalmente verso l'osservatore.

Anche la visione a colori venne ereditata dalle scimmie antropoidi e i cercopitechi. I loro organi visivi riuscivano a fornire una percezione della realtà abbastanza completa. Tutte le attività diventavano più semplici: la ricerca del cibo, in primo luogo; la difesa dei predatori; la locomozione tra gli alberi. Uno stimolo forte ebbe anche la memoria, visto che è molto più semplice distinguere gli oggetti in base al colore e non soltanto in base alla forma. Il cervello si sviluppò in seguito a questi cambiamenti: la corteccia subì una forte espansione, acquistando dimensioni doppie o forse triple rispetto a quelle originali. Le nuove aree si sovrapposero ai vecchi centri celebrali dell'olfatto, mentre altre aree subirono delle modifiche. Una sottile striscia della corteccia celebrale, posta sul lato destro, si sviluppò per controllare le dita della mano sinistra ed una striscia identica sul lato sinistro per controllare le dita dell'altra mano (ibidem).

Come negli altri casi "il grado di differenziazione sulla mappa della corteccia dipende dallo stadio evolutivo raggiunto dalla specie" (ibidem). Mentre le proscimmie muovevano le dita tutte insieme, le scimmie, trenta milioni di anni fà, svilupparono una maggiore articolazione della mano, ed in più, potevano utilizzare il pollice e l'indice come un pinza per raccogliere i piccoli insetti o i semi. La loro mappa corticale venne modificata sviluppando cinque diverse aree per ogni dito. La specializzazione delle aree della corteccia celebrale aumentò fortemente visto che doveva controllare singolarmente il movimento di molte parti del corpo come braccia, polsi, piedi e dita annesse, ecc. Anche la pelle si arricchiva di un numero sempre maggiore di cellule nervose destinate a registrare sempre più sensazioni tattili. Anche il cervelletto, collocato alla base del cervello nella parte posteriore del cranio, subì delle modifiche. Questo organo ormai coordinava l'equilibrio e le tensioni di più di 150 coppie di muscoli antagonisti (ibidem).

Il cervello uscì fortemente specializzato per servire alle esigenze di una nuova specie di animali. Si arricchì di numerose strutture utili per coordinare con estrema rapidità il movimento dei muscoli impegnati in complesse manovre legate alla locomozione sugli alberi. Queste strutture normalmente possono ricevere ordini dalla corteccia celebrale ma possono essere capaci anche di operazioni automatiche. Fu"uno speciale e altamente dinamico adattamento alle foreste" (ibidem).
Le scimmie antropomorfe svilupparono un adattamento particolare al mondo delle foreste, ed un tipo diverso di organizzazione biologica. La differenza più marcata dalle altre scimmie consiste nell'aver elaborato un modo diverso di usare i rami per procurarsi il cibo, che solitamente, pendono all'estremità dei rami. La struttura degli arti è tale da permettergli di rimanere appesi ai rami, in modo da potere raggiungerne l'estremità per raccogliere il cibo. Distribuendo il suo peso su tre rami, utilizzando due piedi e una mano, riesce ad avere una maggiore stabilità. Il più abile acrobata è il gibbone, (nella foto) che ha ridotto fortemente la sua taglia per aumentare la sua agilità, anche rispetto a molti cercopitechi (ibidem).

Non tutte le scimmie antropomorfe hanno scelto questa strada. Alcune specie sono arrivate ad un compromesso evolutivo fra il peso del corpo e l'abilità acrobatica. Uno dei vantaggi di avere una corporatura più robusta è di scoraggiare gli aggressori: nessun predatore attacca il gorilla. Ma vi è un'altra spiegazione. L'aumento di statura fu un meccanismo di difesa verso le altre specie di primati che si stavano diffondendo più rapidamente. Fu quindi una conseguenza della lotta per l'autodifesa contro gli altri primati. Una prova importante a suffragio di questa tesi è che in Asia dove i cercopitechi sono poco numerosi gli antropodi conservano una corporatura minuta.
I grandi primati godevano di un maggiore grado di libertà, per procurarsi il cibo si muovevano in spazi più vasti e passavano più tempo sul terreno, per procurarsi il sostentamento necessario potevano percorrere anche 40 - 50 km (ibidem).

In conseguenza di questa nuova gamma di esperienze si svilupparono nuove fibre e nuovi gangli nervosi, come espressione celebrale di nuove possibilità. Si svilupparono soprattutto la corteccia cervicale ed il sistema attraverso i quali passano tutti gli impulsi nervosi degli organi di senso verso i muscoli.
Nelle proscimmie la corteccia era formata da uno strato piatto e grigio, steso quasi completamente sulla superficie del cervello. Negli antropodi la corteccia si riempie di solchi. Questo perché la crescente necessità di tessuti celebrali, dovuta ad una maggiore varietà di movimenti e crescente coordinazione fra l'occhio e la mano, entrava in conflitto con la possibilità di aumentare ulteriormente il volume del cranio. Si formarono lunghi solchi che penetrarono nella materia bianca sottostante. Questo processo è presente anche nei cercopitechi, ma con una differenza: mentre per gli antropodi il 25 - 30 % della corteccia si trova nei solchi, nei cercopitechi è soltanto il 7 %.
Vi è un ultima osservazione da fare, insieme alle altre capacità si sviluppa una caratteristica molto umana, la capacità di inibizione, ossia di non fare le cose. Caratteristica che è alla base del ragionamento e dell'apprendimento (ibidem).

Bibliografia

Bordiga A., Come Monod distruggerebbe... la dialettica. Parte II; I criteri distintivi umani e il ruolo avuto dal lavoto nel processo di trasformazione della scimmia in uomo. In Programme Communiste - n° 58 del 1973
Diamond J., Armi, acciaio e malattie. Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni. Einaudi editore, 1998
Engels F., Parte avuta dal lavoro nel processo di umanizzazione della scimmia. Probabilmente del 1876
Engels F., Lecter of Engels to Pyotr Lavrov In London. London, Nov. 12-17, 1875. Online Version: Marx/Engels Internet Archive (marxists.org) 2000.
Fedele F., (a cura di), Aspetti dell'evoluzione umana. Guida editori, 1985
Giusti F., La scimmia e il cacciatore. Interpretazioni, modelli e complessità nell'evoluzione umana. Donzelli editore, 1994
Lewontin R. C., Biologia come ideologia. La dottrina del DNA. Bollati Boringhieri editore s.r.l.,1993
Marx K., Il capitale. Critica all'economia politica. Editori Riuniti, II ristampa dell'edizione anastatica del 1989. Vol.1 (Ed. orig. 1867)
Marx K. e Engels F., Dialettica della natura, Opere complete, Libro XXV. Editori Riuniti.
Morris D., La scimmia nuda. Studio zoologico sull'animale uomo. XV edizione Tascabili Bompiani marzo 2002
Pfeiffer J. E., La nascita dell'uomo. Arnoldo Mondadori editore, 1971.
Woods A. e Grant T., La rivolta della ragione. Filosofia marxista e scienza moderna. A C Editoriale coop arl, luglio 1997

LA NASCITA DELLA CACCIA

3.1 - L'uomo e la caccia

Lo sviluppo della tecnica e la specializzazione degli arti aumentarono il margine di controllo dell’uomo sulla natura. Gli uomini, partendo dagli Homo Ergaster, passarono dall'essere prede a predatori. Gli individui di ogni gruppo familiare diventarono più collaborativi, soprattutto in riguardo al reperimento del cibo, e meno individualisti, ad esempio favorendo un consumo sociale del cibo procurato. La caccia, nella sua forma più avanzata, diventò un azione di gruppo molto elaborata, che rese necessaria la comunicazione e lo sviluppo del linguaggio. "Il bisogno sviluppò l’organo ad esso necessario: le corde vocali" (Engels, 1876). Il lavoro ed il linguaggio insieme, favorirono un ulteriore crescita del cervello, che passò dai 600-650 cc. degli Homo habilis, ai 800-850 cc. degli Homo ergaster ed i 1000 cc. degli Homo erectus. Raggiungendo, quasi, le dimensioni del cervello dell'uomo moderno.

Questo sviluppo, come abbiamo già visto, venne scaturito da una serie di fattori: la stazione eretta, la specializzazione degli arti inferiori, lo sviluppo della comunicazione e del linguaggio, la propensione dell'uomo alla caccia e molti altri aspetti che abbiamo già analizzato precedentemente (Ponticelli, 2004).
Il contributo maggiore venne dato probabilmente dalla caccia e dalle modifiche all'organizzazione sociale del gruppo che tale pratica determinò. Una conferma di tale balzo si ha, proprio, dal confronto del volume del cervello dei diversi ominidi. Il cranio degli ominidi quasi raddoppiò durante lo sviluppo della tecniche della caccia, passando da meno di 600 cc degli Australopithecus agli oltre 1000 cc degli Homo erectus.

"La caccia riplasmò il cervello, arricchendo l'esperienza e premiando in modo particolare la capacità di apprendimento" (Pfeiffer, 1971).

Gli Homo erectus, gli inventori dei bifacciali, si muovevano in gruppi molto piccoli e cacciavano animali di piccola taglia. La loro organizzazione sociale, costituita da piccoli nuclei familiari che integravano caccia e raccolta, anche se era molto semplice, era comunque molto più complessa di quella degli Homo habilis, costituita da branchi molto competitivi e principalmente necrofili (Ponticelli, 2004).

3.2 - Lo sviluppo delle società dei cacciatori - raccoglitrici

Le società umane subirono un notevole sviluppo nel paleolitico medio, quando si svilupparono le tecniche per cacciare gli animali di grossa taglia. Tracce importanti dei meccanismi messi in opera per la caccia al mammut furono scoperti in Spagna a Torralba ed Ambrona, mentre a Nizza, in Francia, furono trovati i resti di alcune nelle loro abitazioni (Pfeiffer, 1971).

John E. Pfeiffer sottolinea l'importanza di questo processo, definendolo fondamentale per l'evoluzione culturale dell'uomo: "se il vitto di carne si fosse sempre limitato alla selvaggina minuta, il corso dell'evoluzione umana sarebbe stato assai meno spettacolare, e sarebbe rimasto piuttosto nella tradizione dell'evoluzione per mutamenti generici piuttosto che per mutamenti culturali" (ibidem).

La disponibilità di erbivori di grossa taglia nella savana, circa 23 mila chili per kmq, ne favorì la loro caccia. Queste grandi riserve di carne stimolarono i progressi tecnici nella costruzione degli utensili nuovi, come i percussori, e dell'organizzazione della caccia vissuta come pratica sociale. Gli uomini attraverso di essi avevano un occasione per sfidare se stessi e la natura, "vi era nella caccia un eccitamento, una sfida che trovarono rispondenza nei primi ominidi, i quali inoltre dovettero ben presto apprezzare il vantaggio economico di cacciare grossi animali invece che selvaggina minuta" (ibidem).

La crescente richiesta di risorse alimentari allargò progressivamente gli orizzonti dei primi ominidi, ampliandone il raggio d'azione. Come è noto, i cercopitechi vivono tutta la loro vita in un'area grande soltanto 1 kmq. I gorilla, che possiedono una corporatura maggiore, vivono in un territorio molto più largo, compreso tra i 40 e i 50 kmq. Gli uomini avevano bisogno di spazi molto più grandi, paragonabili a quello di altre specie cacciatrici, come i lupi e cani selvatici, che si muovono su una superficie che varia da 1300 a 4000 kmq (un quadrato di circa 35 o 55 km di lato) (ibidem).

Le nuove dimensioni del territorio, portarono gli uomini ad approfondirne la conoscenza, fin nei minimi particolari. I boscimani dell'Africa meridionale, per esempio, conoscono perfettamente le abitudini di vita di più di cinquanta specie di animali differenti. Sono in grado di riconoscere anche impronte di zoccoli, ed altri segnali, poco visibili. Riconoscono le zone che formano il loro territorio di gruppo, anche se non sono segnate da alcun confine (ibidem). Anche se non sanno leggere e scrivere, "imparano e ricordano".
I cambiamenti generati dallo sviluppo della caccia grossa permisero all'uomo di sviluppare "cultura e tradizione", fattori sempre più determinanti nell'evoluzione umana a discapito delle mutazioni genetiche e dalla selezione naturale. La conseguenza fu, che il volume del cervello aumentò perché stimolato dalla necessità di una maggiore capacità mnemonica, di un numero di unità memoriali maggiori (ibidem).

3.3 - I mnemoni di Young

John Young, della University College di Londra, definisce queste unità (mnemoni): un circuito elettrico naturale, che nel caso del octopus, comprende... "una mezza dozzina di cellule celebrali collegate e destinate a immagazzinare ricordi elementari di cose passate. L'elemento principale di un mnemone è una cellula classificatrice, che riceve impulsi elettrici nervosi da un organo di senso e ha due fibre che trasmettono impulsi ai muscoli. Gli impulsi trasmessi attraverso una delle due fibre fanno avanzare l'animale verso l'oggetto, mentre l'altra fibra trasmette solo messaggi di «ritirata». In altre parole, le fibre rappresentano l'espressione anatomica di schemi comportamentali alternativi...Così a livello di base la memoria comprende l'inibizione di una fra due possibili alternative" (ibidem).

Il mnemone, secondo John E. Pfeiffer, deve essere considerato come l'elemento primario di tutti i sistemi mnemonici, compreso quello dei primi cacciatori. L'evoluzione favorì la sopravvivenza dei gruppi umani in cui vi erano individui capaci di ricordare di più, cioè con un numero maggiore di mnemoni. D'altronde, nel comportamento umano, come nel mnemone, esiste un rapporto molto stretto tra memoria ed autocontrollo. Non è forse una caratteristica umana la capacità di inibire un comportamento non desiderato? La capacità di sapersi frenare è il frutto dell'esperienza umana, della capacità di fare progetti per il futuro e della capacità di ricordare.

Ndr. Anche il libero arbitrio ricordiamoci, è un'esperienza !!


E' stato JOHN C. ECCLES (neuroscienziato, Premio Nobel sulla trasmissione sinaptica crebrale - suo uno dei più straordinari volumi "The understanding of the brain") a iniziare lo studio del cervello. Con lui è nata la neuroscienza. Eccles ha trattato alcuni problemi come i meccanismi centrali della trasmissione sinaptica, la connessione cervello-mente, il libero arbitrio, l'evoluzione culturale e l'autocoscienza. Ha discusso e analizzato i meccanismi che portano alla differenziazione, che guidano geneticamente o nel corso dell'apprendimento i collegamenti tra neuroni, con il problema connesso della possibile base neurale della memoria. Ha trattato la nascita e la conduzione degli impulsi nervosi, cioe' come i nostri neuroni comunicano; i meccanismi, come avviene il passaggio dell'eccitamento da una cellula all'altra a livello periferico.
Ha scoperto la trasmissione sinaptica a livello centrale, nei due aspetti contrapposti: eccitamento e inibizione: l'apertura e chiusura delle membrane e la trasmissione chimica e poi elettrica attraverso gli assoni del messaggio verso i neuroni.
Nel suo volume, troviamo spiegata e illustrata, la nascita, la trasmissione e la codificazione delle informazioni sotto forma di segnali elettrici scaturiti dai quanti di energia ionica del sodio che provocano la differenza di potenziale elettrico tra le due membrane delle sinapsi (che scopre essere fra i -30 mV a membrana chiusa e a +70 mV aperta). In sostanza scopre il meccanismo ionico dell'impulso nervoso e i meccanismi ionici dell'inibizione pre e postsinaptica. Infine, lui e Sperry, accertano che la sede di quella che chiamiamo coscienza, nulla altro e' che la comparazione delle informazioni residenti contemporaneamente nei due emisferi in continua sinergia fra di loro con i messaggi-eco del passato (entrambe le due masse hanno anche un'area arcaica) e i messaggi del presente (quelli intellettuali, recentemente acquisiti nella piu' giovane neocorteccia).
Ma lo stupefacente è dove ci parla della separazione dei due emisferi cerebrali dominante e non dominante. Ci illustra e completa nei minimi dettagli, la prima ricerca sperimentale di Sperry: infatti questo scienziato dopo aver tagliato in due il corpo calloso che unisce i due cervelli, quello dominante da quello non dominante, scopre che i due cervelli sono speculari, ma uno è la sede delle informazioni che vogliamo tenere appartate (mondo 1), l'altro invece (mondo 2) è quello che reagisce subito dando risposte immediate agli stimoli della realta' che lo circonda.
Sperry ha gia' compiuto questa eclatante operazione su 20 soggetti umani affetti di crisi epilettiche (lo scontro fra le informazioni dei due emisferi che provocano i conflitti, le inibizioni, la libido, i traumi psichici, le follie) e ha ottenuto un risultato spettacolare, la separazione ha eliminato le crisi, significa che una parte del cervello non entra in conflitto con quell'altra parte che inibisce o condiziona le risposte dopo averle movimentate e comparate. Insomma Sperry accerta che la sede di quella che chiamiamo coscienza, nulla altro e' che la comparazione delle informazioni residenti contemporaneamente nei due emisferi in continua sinergia fra di loro con i messaggi-eco del passato (entrambe le due masse hanno anche un'area arcaica) e i messaggi del presente (quelli intellettuali, recentemente acquisiti nella piu' giovane neocorteccia)
I due cervelli vagliano insomma le informazioni per darci una risposta ottimale. Risposta scaturita da un centro di informazioni arcaiche situate nell'ipotalamo (cervello primordiale - che controlla le funzioni vegetative ma è anche implicato negli stati d'animo - è questo centro a produrre la serotonina) assieme a quelle scaturite dalla neocorteccia (di origine intellettuale, piu' recente) che subito dopo la nascita ha iniziato ad accumulare altre esperienze, e che molte volte, soprattutto le seconde, entrano in conflitto per inibire quelle arcaiche legate spesso alla conservazione della specie. Quindi sempre condizionate le risposte dai conflitti di esperienze recenti o remote, e nelle quali le seconde agiscono spesso prepotentemente sulle prime se queste non sono state consolidate da informazioni introdotte criticamente, cioè costruite pezzo per pezzo.
Infatti si impongono le arcaiche se i messaggi introdotti sono prefabbricati da altri, quelli che - ancora oggi - spesso assediano e superano impunemente la fortezza del nostro cervello non vigilante perche' siamo distratti e occupati a far altro, ad esempio mangiamo e guardiamo uno spot pubblicitario in Tv.
Non basta infatti dire che è bello fare il paracadutista e buttarsi giù da un aereo, bisogna prepararsi a inibire certe spinte primordiali, altrimenti è un disastro emotivo.Es. -Buttarsi da un aereo la prima volta, si ha sempre paura; il cervello arcaico, l'istinto primordiale della conservazione domina, sa che il salto nel vuoto significa morte, e anche se abbiamo nella neocorteccia l'informazione (per noi teorica) che abbiamo sulle spalle il paracadute, il messaggio "proibitivo" non cessa di dominare.
Solo dopo il primo lancio e dopo aver inibito queste spinte (se ne siamo capaci - perchè alcuni sono infatti negati a ricacciare dentro questa dominanza dell'informazione primordiale), il primo salto nel vuoto diventa una nuova esperienza capace di bloccare il messaggio antico che ci spinge a non saltare. Poi la "coscienza" prende atto con uno o piu' salti che non vi e' pericolo, e solo allora l'informazione recente riesce a dominare su quella dell'ipotalamo arcaica, e ci permette con disinvoltura di saltare anche da diecimila metri con il sorriso sulle labbra e senza tante esitazioni. Ma per alcuni fare il primo lancio non è una cosa semplice a dirsi. Alcuni sono negati a farlo.
Il redattore di queste righe, ha riportato questo esempio perchè è stato istruttore di paracadutismo, e ha potuto osservare quali sono i comportamenti di certi uomini che si credevano coraggiosi. Anche quelli che volevano fare i paracadutisti (una grande forza di volontà, quindi pur sempre derivante da una decisione intellettuale, dettata dall'emulazione, imitazione, autostima ecc.) non potevano fare i paracadutisti! (troppo prepotenti i messaggi negativi provenienti dalle arcaiche cellule per questa nuova esperienza). E a spingere nel vuoto una persona in queste situazioni di conflitto, si rischia di troncare traumaticamente le connessioni fra cervello primordiale e quello recente della neocorteccia. Avviene un cortocircuito, e si rischia un trauma psichico. Si crea una dissociazione della realtà culturale (derivante da qualche migliaio di anni) perchè a dominare rimane prepotentemente soltanto quella arcaica.
Ed essendo stato l'Autore anche istruttore di roccia, ha notato che le stesse esperienze avvengono su chi è negato ad arrampicarsi su una parete a strapiombo. La vertigine e' legata agli stessi meccanismi di sopra. Inutile insistere. Non esiste corda di sicurezza che sblocchi un acrofobo (chi ha paura del vuoto). Ad alcuni il panico arriva a metà strada, nei punti cruciali e s'incrodano in parete, e non si muovono più. Bisogna legarli e portarli via di peso.
Nella civilta' moderna esistono ancora soggetti che provano angoscia nell'attraversare una piazza vuota (agorafobi), hanno l'atavico terrore di essere assaliti da una fiera nella primordiale savana. Si attenua la fobia solo se sono in gruppo (col branco) come fanno ancora alcuni animali nella savana (gli uomini pure, in piazza in gruppo sono perfino spavaldi, se poi gridano, l'aggressività è doppia, tripla)
Ritorniamo a Eccles che concluderà il libro, senza lasciarsi andare a una disputa filosofica su un tema fin troppo discusso: il Libero Arbitrio. "Tutto cio' che ho da dire e' che il libero arbitrio e' un fatto di esperienza. E' qualcosa che ciascuno di noi prova. Nessuno avrebbe immaginato che il libero arbitrio esistesse se non ne avesse fatto esperienza, con il che intendo la capacita' di effettuare delle azioni che sono state si' architettate dal pensiero, o almeno tentate di effettuarle, ma senza subire grandi conflitti con le esperienze arcaiche precedenti. Non e' infatti sufficiente dire "ti manca la volonta'", occorre un patrimonio genetico che abbia gia' potenzialmente la "volontà". Quindi il campo si restringe a piccole scelte, non certo a quelle "biologiche" primordiali.
E queste piccole scelte avvengono solo nelle ultime informazioni depositate nella neocorteccia fin dal primo giorno che vediamo la luce e sentiamo dei rumori. Soprattutto se di queste informazioni attenzionali ne abbiamo avute tante, tali da crearci una logica razionale nell'usarle. Sono sufficienti pero' alla nascita due lesioni, una nella trasmissione elettrica degli assoni dell'udito e una negli assoni della vista, e non si forma nei neuroni nessuna connessione dendritica e sinaptica che sono poi quelle che vanno a costruire con tante ramificazione i depositi di informazioni, e reciprocamente poi operano comparazioni associando le stesse, creando le nostre decisioni, e formano la nostra cultura, il nostro agire, il vissuto e la rappresentazione del mondo. Se persistono le due lesioni sopra accennate, tutto rimane tabula rasa. Vuoto!. Infatti un individuo sordo e cieco dalla nascita non ha nessun contatto con il mondo, non ha una personalita', non ha una presa di coscienza della coscienza, non ha quindi una autocoscienza, perche' non puo' ascoltare ne' vedere. Non potra' mai comunicare col mondo o ricevere un segnale da esso, ne' potra' mai crearsi una rappresentazione del mondo come volonta' perche' non ha "nessuna volontà". E' un vegetale! Non ha infatti ramificazione nei neuroni della neocorteccia, ma solo quelle del vecchio cervello arcaico con le semplici funzioni primarie tipiche di un essere biologico.
In sostanza un uomo potrà iniziare a pensare solo se ha molti scambi di informazioni; da solo non lo può fare. Anche se esiste, lui non lo sa, nè potrà mai saperlo, nè sa che vive dentro un universo, nè sa che esiste una cultura, la musica, l'arte, una religione, e quindi... anche il libero arbitrio.
Purtroppo ci sono poi alcuni che nascono e hanno udito e vista perfetta, ciononostante le utilizzano poco e si fanno guidare dagli altri. Fanno così anche le pecore, ruminano e mangiano l'erba che gli "consiglia" un qualsiasi mandriano, e il suo cane che abbaia.
Ricordiamoci che chi ha più informazioni è meno vulnerabile.
Forse aveva ragione il grande Nietzsche, quando
osservando gli uomini si espresse anche lui in questo chiarissimo modo "La selezione spazza via sempre il più debole, e negli umani il più debole é lui! l'uomo ignorante!".
(Franco Gonzato)

Continuiamo con Ponticelli...
"Gli eventi della vita quotidiana eliminavano senza pietà gli individui che avevano una capacità di imparare e di ricordare inferiore alla media. La caccia richiede pazienza, richiede di saper aspettare la preda vicino alle pozze d'acqua dove va ad abbeverarsi...e aspettare dopo l'uccisione, per non divorare tutta la carne sul posto ma conservare la maggior parte per gli altri, che attendono al campo base. L'uomo è l'unico primate che regolarmente divida il cibo" (ibidem).

La considerevole crescita del cervello, che da solo consuma il 20 % dell'energia prodotta dall'organismo, verificatasi nell'uomo non sarebbe stata possibile senza il consumo di carne. La carne, il cui consumo era nato casualmente, con il suo contenuto di calorie, proteine e grassi fornì una serie di sostanze importantissime per l’organismo umano. Gli antenati dell'uomo vennero trasformati, fisicamente, psicologicamente e socialmente dalle attività che elaborarono per procurarsi questo nuovo cibo. "Rispondendo a un semplice bisogno essi crearono nuove condizioni, un nuovo ambiente dovuto in parte alla mano dell'uomo, e tutto un complesso di bisogni" (ibidem).

Alcune parti del cervello si svilupparono di più di altre. "Dovette provocare un aumento nelle capacità dei circuiti integrati del cervello, centri che aiutano ad analizzare l'incessante flusso di messaggi provenienti dagli organi di senso, e a far scattare l'azione appropriata in base a tali analisi" (ibidem). Le aree frontali della corteccia, legate alla capacità di progettare, subirono una maggiore espansione.

3.4 - La nascita e la crescita degli esseri umani

La crescita delle dimensioni della testa dei neonati avrebbe richiesto un allargamento notevole del bacino femminile, ma le pressioni evolutive che avevano spinto l'umanità verso il bipedismo, non permisero che nella donna si sviluppassero delle anche troppo larghe che le impedissero la mobilità. Infatti, anche se il bacino ideale per la corsa è quello maschile, le donne conservarono comunque un elevato grado di mobilità. Ma i bambini che nascevano prematuri, (la mortalità tra i bambini con un peso inferiore ai due chili e mezzo, è circa tre volte più alta che nei bambini nati a termine), avevano minori probabilità di sopravvivenza: "più presto un individuo nasce, minori sono le sue probabilità di sopravvivere".*** L'evoluzione umana si è diretta verso una soluzione di compromesso, facendo nascere i neonati con un cervello, abbastanza grande per consentire la sopravvivenza, ma non ancora sviluppato completamente (Woods e Grant, 1997; Pfeiffer, 1971).
Una scimmia appena nata ha una testa che è i 3/4 del volume di un adulto, negli Homo erectus questo rapporto è di 1/4. Negli uomini la maggior parte della crescita del cervello avviene dopo la nascita. La conseguenza di questo ritardo è il prolungamento dello stato di infanzia. Molti mammiferi sono capaci di provvedere a se stessi a pochi mesi dalla nascita, altri come le scimmie cercopitecidi dipendono dalla loro madre per circa un anno, mentre gli antropodi per due o tre anni. L'infanzia degli Homo erectus durava circa quattro o cinque anni, mentre negli uomini moderni questo periodo, in cui i bambino è completamente dipendente dagli adulti, è il più lungo di tutti, circa 6-8 anni.

Il neonato, che nella maggior parte dei casi fa parte di un parto singolo, diviene così un centro d'interesse come individuo, potendo ricevere più attenzioni e più cure. Nella riproduzione umana la quantità si trasforma in qualità. Come dice Campbell "L'evoluzione ha selezionato nell'uomo un processo riproduttivo che gli consente di mantenere i suoi vantaggi in un ambiente ostile non con la produzione di massa, ma con la protezione prenatale e le cure postnatali" (Pfeiffer, 1971).

L'infanzia prolungata è parte di un processo evolutivo più amplio che ha portato anche all'allungamento dell'adolescenza e della vita stessa; Il rallentamento della crescita favorirono un apprendimento maggiore, indispensabile per assimilare le tecniche e le regole complesse della società (Engels,1876). Il gruppo ed in particolare la famiglia, diventarono il nucleo attorno alla quale i giovani crescevano ed apprendevano, e dove probabilmente nacque il linguaggio (Pfeiffer, 1971).

Alan Woods e Ted Grant, sostengono che i primi uomini ad elaborare un linguaggio furono gli homo habilis (Woods e Grant, 1997). A sostegno di questa tesi ci sono una serie di caratteristiche del cranio, indispensabili per lo sviluppo della parola. Gli Homo habilis avevano la faccia piatta e la base del cranio corta e ripiegata, che secondo Francesca Giusti, erano le caratteristiche necessarie affinché si sviluppassero le capacità di linguaggio ed il rimodellamento della gola ed il riposizionamento della laringe in basso (Giusti, 1994). Per John E. Pfeiffer Il linguaggio venne elaborato durante il periodo di transizione fra la caccia alla selvaggina minuta e la caccia grossa, quando la vita degli uomini stava allungandosi. É probabile che esista un legame, tra la lenta maturazione degli uomini e l'acquisizione della capacità di linguaggio: "Un fanciullo docile e un adulto esperto dovevano essere un'efficiente combinazione per l'instaurarsi di comunicazioni sociali, almeno in tempi preistorici" (Pfeiffer). L'Homo ergaster aveva elaborato quelle strutture sociali complesse, originate dalla nascita della caccia, indispensabili per lo sviluppo della parola.

3.5 - Il dimorfismo sessuale

La formazione di gruppi stabili non conflittuali all'interno di famiglie o di tribù ha come indicatore il dimorfismo sessuale, la differenze di dimensioni tra i maschi e le femmine. Nei primati strutturati in gruppi guidati da un maschio dominante questa differenza è molto marcata. Nel caso degli Australopitecus Afarensis, troviamo un dimorfismo sessuale abbastanza accentuato, probabilmente la loro organizzazione sociale era basata sulla competizione tra maschi, come per molti primati. Gli scimpanzé sono gli unici primati, insieme all'uomo, in cui tra maschi e femmine vi è soltanto una differenza del 15 ­ 20%, ed infatti è riscontrabile un organizzazione sociale che diverge dalle altre scimmie (Ponticelli, 2004).
In queste ultime, come nel caso dei babbuini della savana, i maschi lasciano il gruppo originario appena raggiunta la maturità sessuale, migrando in altri gruppi dove entrano in competizione con gli altri maschi. La competizione tra maschi, secondo il principio selettivo "il più forte si accoppia", fa aumentare la mole dei maschi, mentre la dimensione delle femmine rimane stabile. Gli scimpanzé maschi, contrariamente a quanto fanno le altre specie, restano nel gruppo originario mentre le femmine emigrano. I maschi di scimpanzé sono più collaborativi e la dimostrazione più evidente è nella crescita più contenuta dei maschi rispetto alle femmine. A partire dagli Homo habilis, e maggiormente negli Homo ergaster, il dimorfismo sessuale si riduce rispecchiando certamente un cambiamento intervenuto nell’organizzazione sociale.

3.6 - La sessualità

I rapporti familiari vennero modificati dalla nuova organizzazione sociale determinata dalla caccia, in particolare il rapporto tra gli uomini e le donne divenne più stretto, tendendo probabilmente verso relazioni monogamiche. Il motivo principale fu che con il prolungamento dell'infanzia, ed il prolungamento del periodo della dipendenza degli figli dalla madre, questa veniva ridotta per lunghi periodi all'immobilità. Inevitabilmente le donne dipendevano a loro volta dal proprio compagno. "Quanto più lungamente e intensamente un piccolo ha bisogno della madre, tanto più lungamente e intensamente la madre ha bisogno di un maschio adulto di cui si possa fidare" (Pfeiffer, 1971).
Lo sviluppo della caccia rese necessario la formazione di legami più forti tra maschio e femmina. La tesi dei cacciatori monogamici è sostenuta da Desmond Morris che fa risalire innamoramento e fedeltà, tendenza diffusa in molti animali ad esclusione dei primati, allo sviluppo delle società di cacciatori. "Le femmine rimanevano legate e fedeli ai loro maschi mentre questi erano lontani a caccia e le gravi rivalità sessuali tra maschi diminuirono, agevolando così lo sviluppo dello spirito di collaborazione. Cacciando insieme con successo, sia il maschi più debole che quello più forte dovevano fare la loro parte" (Morris, 2002).

Un'agevolazione alla costituzione di rapporti stabili, fu la scomparsa dell'estro sessuale. Molti mammiferi durante l'ovulazione, o poco dopo, entrano in estro (calore) anche se stanno allattando ancora la prole. Durante questo periodo le cure parentali sono sospese. Questo comportamento "sconsiderato" da parte della donna sarebbe estremamente rischioso per la vita dei sui figli, che come abbiamo visto, hanno bisogno di molte attenzioni. La selezione naturale operò a salvaguardia della prole già nelle scimmie cercopitecidi e antropoidi. In queste specie l'estro sessuale si interrompe durante l'ultima fase della gravidanza e la prima fase dell'allattamento. Nella donna, questo processo evolutivo si completò circa un milione o mezzo milione di anni fa quando si formarono le bande di cacciatori-raccoglitori del genere Homo Ergaster-Erectus, in cui si ebbe la scomparsa dell'estro e comparsa dell'orgasmo femminile.
La donne diventarono ricettive sessualmente in ogni momento, riuscendo a porre un limite all'aggressività dell'uomo. La comparsa dell'orgasmo femminile contribuì ad accrescere l'interesse per l'altro sesso, generando nella donna delle spinte monopolizzatrici e contrapposte alle tendenze associazioniste di soli maschi. Il cambiamento del comportamento femminile, contribuirono a legare più stabilmente il maschio al gruppo madre-figlio, creando le premesse per la nascita della famiglia:"Erano queste le prime fasi della preistoria dell'amore, almeno dell'amore in senso umano" (Pfeiffer,1971).

In queste società venne a crearsi una divisione del lavoro tra gli uomini "cacciatori" e le donne "raccoglitrici", diversità che tendeva a rimarcare maggiormente le differenze sessuali. I rituali propiziatori per la caccia e le assenze prolungate dall'accampamento, lontano da altre femmine, portò alla formazione di associazioni per soli uomini. Ugualmente, all'interno del villaggio, le donne costituiscono le loro associazioni femminili, creando le basi per le società matriarcali che si sviluppavano nel paleolitico superiore (ibidem). La scelta sessuale "cosciente" e la formazione di associazioni maschili o femminile determino la nascita di pratiche omosessuali e lesbiche."In un ambiente di forze potenzialmente distruttici il problema evolutivo era quello di creare una struttura sociale sicura e stabile, un tipo del tutto nuovo di società, forte e flessibile abbastanza da includere associazioni fra maschio e femmina non meno che associazioni fra soli maschi", o sole femmine (ibidem).

"Il cambiamento dei modelli di comportamento sessuale portò con sè nuovi ordini di complessità sociale, nuove cose da imparare e ricordare, nuove inibizioni e proibizioni" (ibidem). I cacciatori e le raccoglitrici svilupparono tabù incestuali, sistemi e regole anticoncezionali, riuscendo a stabilire un controllo demografico. La procreazione, come nei cacciatori-raccoglitrici contemporanei, veniva rinviata attraverso l'istituzione di cerimonie e pratiche rituali, in modo che l'uomo avesse il tempo di imparare a cacciare ed a provvedere a se stesso ed alla sua famiglia. La nascita del tabù dell'incesto, aveva uno scopo in più, quello di eliminare le gelosie e le rivalità che potevano nascere all'interno della famiglia. Queste restrizioni riducevano i conflitti sia all'interno della famiglia, che al suo esterno, attraverso le unioni esogamiche (ibidem).

3.7 - Collaborazione ed Organizzazione

La caratteristica più importante dell'uomo, come osserva Pfeiffer, è la sua attitudine alla collaborazione con altri suoi simili, diversamente dagli altri primati riesce a controllare la sua aggressività ed a trarne benefici in termini evolutivi, quindi paragonare semplicemente gli uomini agli altri animali può essere pericoloso (ibidem). Le teorie Darviniane, sintetizzate nella formula "Struggle for life"; non trovano nessuna conferma nella organizzazione sociale degli uomini, neanche nelle epoche più remote. F. Engels aveva già notato i limiti delle teorie social-evoluzioniste in una lettera scritta a Pyotr Lavrov del 17 novembre 1875: "Of the Darwinian doctrine I accept the theory of evolution , but Darwin's method of proof (struggle for life, natural selection) I consider only a first, provisional, imperfect expression of a newly discovered fact [una nuova scienza in formazione]" (Engels, 1875).

Nella dialettica della Natura, leggiamo:"Fino a Darwin, coloro che sono attualmente suoi seguaci mettevano appunto in evidenza l'armonico coordinamento del lavoro nel mondo organico: come il regno vegetale offre agli animali cibo e ossigeno, e questi ultimi alle piante letame e ammoniaca e acido carbonico. Appena le teorie di Darwin vennero accettate, le stesse persone videro ovunque e soltanto lotta. Tutt'e due le concezioni giuste entro certi limiti, ma tutt'e due ugualmente unilaterali e limitate" (Marx e Engels, ...).

"The interaction of bodies in nature — inanimate as well as animate — includes both harmony and collision, struggle and cooperation [L'interazione dei corpi nella natura - inanimati quanto quelli animati - include contemporaneamente armonia e collisione, lotta e cooperazione.]" (Engels, 1875).

"Tutta la teoria della lotta per l'esistenza è semplicemente il trasferimento dalla società al mondo organico della teoria hobbesiana del bellum omnium contra omnes, e della teoria della concorrenza dell'economia borghese, come pure della teoria di Malthus sulla popolazione" (Marx e Engels, ...).

Mentre le idee di Darwin, riassunte nel concetto: "struggle of life", essendo una trasposizione degli ideali ottocenteschi della borghesia europea in ascesa, senza nessun fondamento scientifico, riscuotevano grande successo. Le tesi Engels sintetizzate nel concetto di "struggle and cooperation", vennero presto dimenticate.

Richard C. Lewontin condivide in pieno le osservazioni di Engels. "Quel che fece Darwin fu di prendere l'economia politica dell'inizio del secolo XIX e di espanderla fino a includere tutta l'economia naturale" (Lewontin, 1993). In particolare "Con il cambiamento dell'organizzazione sociale indotto dallo sviluppo del capitalismo industriale, comparve una concezione completamente nuova della società, in cui l'individuo era fondamentale e indipendente...La società viene a questo punto pensata come la conseguenza, e non la causa, della proprietà dell'individuo. Sono gli individui che fanno le società". Per questo tipo di società si formò una nuova visione "riduzionista" della natura (ibidem).

Le doti collaborative degli uomini si tradussero nell'elevato grado di complessità della sua organizzazione sociale. Anche gli altri primati possono essere altamente organizzati, ma questi sono in grado di esprimerla soltanto all'interno del gruppo, il loro sistema sociale è generalmente chiuso, non riescono ad esportare all'esterno la loro organizzazione. Le diverse bande di scimpanzé o di gibboni tendono ad ignorarsi, o a combattersi. L'uomo è l'unico primate che riesce a costituire "organizzazioni di organizzazioni", unioni tribali e confederazioni (Pfeiffer, 1971). Alcuni aspetti di questa apertura all'esterno, furono i matrimoni esogamici e lo sviluppo della caccia grossa.

Secondo Washburn, il territorio di caccia di ogni tribù venne definito in base ad accordi con le bande vicine, perché le discussioni per i confini, oltre a disturbare la caccia, disperdevano le energie dei cacciatori. Gli scambi matrimoniali tra gruppi vicini contribuì ad instaurare relazioni amichevoli, attraverso la diffusione dei legami di sangue su una vasta area (ibidem).

Un salto considerevole nell'organizzazione degli uomini venne fatto quando questi scoprirono che era possibile controllare il fuoco, e che il suo impiego poteva essere molto vantaggioso. L'utilizzo del fuoco, permise all'umanità di compiere il primo grande passo verso la comprensione delle leggi della natura, e dall'emancipazione da essa. I vantaggi acquisiti riguardavano sia miglioramenti della vita nelle dimore che nelle tecniche di caccia.

All'interno delle caverne e nelle capanne vennero create zone di sonno, calde e luminose di notte, in cui era possibile difendersi dai grossi predatori. La fobia del fuoco degli animali venne utilizzata all'interno delle strategie di caccia, in cui venne impiegato per spingere gli animali in una trappola, come si faceva nel paleolitico medio nella valle di Torralba. L'uso delle fiamme nella fabbricazione di lance e giavellotti rese questi strumenti più duri ed efficaci.

"Quanto più l’uomo si allontanava dalla pianta, tanto più si elevava anche al disopra della bestia" (Engels, 1876).

Come dice Pfeiffer, avvicinandosi alle conclusioni di F. Engels: "Con la pratica della caccia l'uomo primitivo si trovò sempre più staccato dal resto del regno animale... La caccia spalancò un abisso fra l'uomo e le altre specie, creando effettivamente due mondi là dove prima ce n'era uno solo...L'uso di mangiar carne condusse, impercettibilmente, a tecniche di caccia sempre più elaborate e gradualmente trasformo l'uomo. In lui per la prima volta la cultura e la tradizione divennero sempre più responsabili dei mutamenti che una volta erano provocati quasi esclusivamente da mutazioni genetiche e dalla selezione naturale" (Pfeiffer, 1971).

Si pensa che l'uso di cuocere le vivande risalga a circa 80 mila anni fa. Prima di allora, i denti utili per macinare e frantumare tendono a rimanere grandi. Ma l'usanza di cuocere il cibo può aver contribuito a rimodellare i contorni del volto umano. "I cibi più morbidi sollecitano meno la mascella e i muscoli mascellari, che divennero più piccoli insieme ai molari. Questo a sua volta si ripercosse sul disegno dell'intera faccia: le grosse e prominenti sporgenze ossee sopraorbitali, e altre spesse protuberanze ossee, sostegno dei potenti muscoli mascellari, si ridussero di molto quando il volume dei muscoli diminuì. Il cranio divenne più sottile, favorendo un'espansione della calotta cranica che doveva ospitare un cervello di maggior volume" (ibidem).

Per Alan Woods e Ted Grant, la modifica delle relazioni sociali è in relazione con il consumo di carne, l'organizzazione della caccia e l’aumento del volume del cervello (Wood e Grant, 1997). Quest’ultimo consuma il 20% dell’energia prodotta dall’organismo, nonostante costituisca soltanto il 2% del peso totale. A sostenere incremento dell'encefalo, come conferma anche Francesca Giusti, vi fu il passaggio all'alimentazione carnea (Giusti, 1994). La carne con il suo contenuto di calorie, proteine e grassi fornì una serie di sostanze importantissime per l’organismo umano, soprattutto per il rinnovamento dei tessuti (Engels, 1876). Inoltre, tale alimentazione, e la sua cottura, accorciò i tempi di digestione e i processi vegetativi. In definitiva, la carne "portò all’acquisto di tempo, di sostanze e di energia" (ibidem).

Insieme ai cambiamenti fisici si verificarono nuovi stimoli alla vita di gruppo. Gli uomini potevano passare più tempo nelle loro dimore attorno al focolare, mangiando insieme agli altri membri del gruppo oppure passando il tempo a chiacchierare. Le ore dopo il tramonto, di relativo riposo, potevano essere impiegate per progettare le attività sempre più complesse del giorno successivo. Questa nuova complessità richiedeva l'evoluzione di più elaborati e raffinati mezzi di comunicazione. "Il linguaggio, la forma più umana dell'umano comportamento, deve aver preso un enorme impulso quando la caccia si sviluppò e i focolari ardevano allegri dopo il tramonto" (Pfeiffer, 1971).

Il focolare, luogo di incontro giornaliero del gruppo, dove si consumava il cibo frutto dell'organizzazione sociale e della caccia, fu probabilmente il posto dove si sviluppo il linguaggio umano. L’uomo elaborò una forma di comunicazione straordinariamente complessa, riuscendo a dare ad ogni cosa un significato specifico. Questo perché, l’uomo riuscì ad articolare suoni più complessi grazie all’uso delle consonanti, possibile soltanto con lo sviluppo della stazione eretta (Wood e Grant, 1997).
Con il bipedismo, l'uomo sviluppo una serie di modifiche che riguardarono la testa. La sua posizione rispetto al corpo cambiò, diventando anch'essa eretta ed allineandosi con la spina dorsale. La mandibola subì un ridimensionamento. La posizione della lingua cambiò, invece di essere situata completamente all’interno della bocca, una parte di essa si posizionò all’interno della gola andando a formare la parte posteriore del tratta orofaringeo. La mobilità della lingua consentì la modulazione della cavità orifaringea. "La forma dell’apparato vocale e la capacità fisica di combinare vocali e consonanti sono i presupposti fisici del linguaggio umano, ma niente di più. Solo lo sviluppo della mano, connesso inscindibilmente con il lavoro e la necessità di sviluppare una società altamente cooperativa, ha reso possibili l’aumento delle dimensioni cerebrali e del linguaggio" (ibidem).

Il fuoco, come vedremo più avanti, ebbe un ruolo centrale nelle prime esperienze mistico-religiose dell'uomo. Nascono nel Paleolitico inferiore, nei più remoti meandri delle caverne, i primi dipinti o graffiti di animali all'interno di scene di caccia.

Da una serie di circostanze che si verificarono contemporaneamente modificarono la vita degli uomini attraverso la nascita della caccia, del linguaggio, dell'arte e di relazioni familiari complesse. Favorendo, piuttosto che un processo lento e graduale, un balzo rivoluzionario (ibidem).

"La materia diventa cosciente di sé. L’inizio della storia si sostituisce all’evoluzione inconsapevole" (ibidem).


Bibliografia
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2) COME ERANO I NOSTRI PRIMI ANTENATI

Dagli studi sull'evoluzionismo di Friedrich Engels Part. III
Di: Giandomenico Ponticelli (Versione del Maggio 2004)

Come erano i primi antenati dell'uomo? avevano un comportamento umano o avevano abitudini simili a quelle degli altri primati? Ancora oggi non è facile rispondere a domande come queste. I ritrovamenti, ancora troppo frammentari e sporadici, non riescono a fornire prove definitive nell'uno o nell'altro senso. I progressi nello studio del DNA, a differenza di ciò che pensano alcuni, gli scienziati a caccia del "gene dell'intelligenza", non potranno mai fornire indicazioni qualitative sul comportamento di animali o persone. Tuttavia, sia nel campo della peleontologia che nella genetica sono stati fatti passi importanti, i cui sviluppi porteranno ad una definitiva risoluzione di questi problemi.

Il cambiamento di habitat che si verificò, comportò un adattamento o un riadattamento al nuovo ambiente da parte dei primati. L'abbassameto della temperatura causò il graduale ridimensionamento della foresta tropicale. Luoghi come Sterkfontein e Makapansgat, diventarono dei grandi spazi aperti interrotti lungo i fiumi da foreste a "galleria". Questi posti diventarono il laboratorio in cui sperimentare nuovi comportamenti e dove presero corpo nuove forme di vita. Forze questa conformazione del territorio favorì nei primi ominidi il bipedismo. Stare eretti metre si passava da una galleria all'altra forse rappresentò un vantaggio. Aumentò la collaborazione tra gli individui della stessa famiglia ma allo stesso tempo i rapporti di vicinato divennero più conflittuali (Biondi e Rickards, 2001).
Alan Woods e Ted Grant sostengono che la competione tra bande fu la maggiore responsabile della composizione di nuove specie di primati, tra cui vi erano anche gli ominidi (Woods e Grant, 1997):

"La separazione di queste tre branche (scimpanzé, ominidi e gorilla -nda) si verificò a causa delle pressioni ambientali nell'Africa orientali: un forte impoverimento della foresta, causato dalla riduzione delle piogge e dal clima in generale più secco. Questa fu probabilmente la forza motrice che ha portato alla separazione delle tre specie di protoscimmie. Finora esse avevano vissuto sugli alberi. Ora avevano tre possibilità:

1) Una parte di esse rimaneva nella foresta. Queste dovevano essere le più capaci di estrarre cibo da risorse sempre più limitate. La riduzione della foresta deve aver severamente ridotto il loro numero.
2) Un altro gruppo, costretto a spostarsi ai margini della foresta, con un numero minore di alberi e di fonti di cibo, fu alla fine obbligato ad allargare il proprio campo d'azione per la raccolta del cibo, spostandosi sul terreno, pur tenendosi vicino agli alberi per proteggersi. Questo gruppo è rappresentato dai moderni scimpanzé.
3) Un terzo gruppo, probabilmente costituito dalla parte più debole e meno abile, fu costretto ad un'intensa competizione per le scarse fonti di cibo e a un trasferimento fuori dalla foresta. Dovettero così non solo spostarsi sul terreno, ma coprire lunghe distanze per trovare il cibo necessario alla loro sopravvivenza. Essi si trovarono a sviluppare interamente un nuovo modo di vivere, radicalmente diverso da quello degli altri primati.
In Asia le pressioni ambientali causate dai cambiamenti climatici portarono gruppi di scimmie ai margini della foresta. Da esse si svilupparono i moderni babbuini" (ibidem).
I più antichi progenitori avevano un aspetto molto simile agli scimpanzé moderni, e probabilmente lo erano anche nel comportamento. Tuttavia è emersa una differenza. Un particolare, apparentemente, di poco conto, fornito da una branca della paleontologia sviluppata di recente, specializzata nello studio dei denti. Dall'analisi comparata dei canini di Ardipithecus ramidus (ARA-VP, Siti 1, 6 e 7) con quelli di altri primati viene dimostrato che i primi avevano dimensioni minori (Arsuaga, 2001). Questo particolare dimostra una modifica dell'apparato masticatorio, che permetteva un alimentazione differenziata.

L'Australopithecus anamensis, è la specie scoperta da Meave Leakey in Kenia. Tra i fossili ritrovati vi è un gran numero di denti. Anche in questo caso il loro esame ha portato a conclusioni interessanti, soprattutto per quanto riguarda i molari. Questi, erano più grandi rispetto a quelli di Ardipithecus ramidis ed inoltre lo smalto di cui erano costituiti era più resistente (ibidem). Allo stesso tempo, lo studio di alcune ossa ritrovate, in particolare una tibia (KP 29281) ritrovata quasi intera, lascia pensare che questi ominidi potevano essere in grado di camminare su due arti. Per il resto erano simili agli altri primati. Oggi, per queste caratteristiche contrastanti, si è portati a pensare che questa specie rappresenti soltanto un livello di sviluppo intermedio tra i primati e l'uomo. Più in generale, tra queste due specie vi sono soltanto 200 mila anni di differenza, molti scienziati si chiedono se un lasso di tempo così breve sia sufficiente per un cambiamento anatomico così importante. L'interrogativo rimane, perché l'evoluzione non avanza a ritmo costante: a volte procede molto rapidamente e altre volte sembra fermarsi (ibidem).

Un importantissimo passo in avanti venne fatto quando nel 1974 vennero scoperti in Etiopia i resti di Lucy (AL 288-1, 3.2 milioni di anni), l'Afarensis di Donald Johanson. Lo stato di conservazione di questi fossili era veramente eccezionale. Erano sfuggiti alla distruzione del tempo più del 40 % delle ossa dello scheletro. Lucy era una femmina di 25 anni vissuta in Africa centrale 3 milioni di anni fa. Era alta poco più di un metro e pesava solo 28 kg. Il suo compagno probabilmente era alto 1,35 metri e pesava circa 45 kg.

I ritrovamenti fossili dimostrarono che vi era una significatica differenza di statura tra i due sessi; Tra i maschi e le femmine di Afar vi era una rapporto di 1,5, nei gorilla questo rapporto è 1,6. Per gli scimpanzé e gli uomini i valori sono rispettivamente 1,3 e 1,2 (ibidem). Questi dati ci consentono di fare delle considerazioni molto importanti ull'organizzazione sociale di questa specie, perché il dimorfismo sessuale è un indice di un'altissima competizione tra i maschi. Probabilmante vi era un unico maschio dominante e diverse femmine che passavano le loro giornate tra ambienti silvicoli e la savana. Molti specialisti sono concordi sul ritenere gli ominidi di Afar bipedi, sono una conferma i ritrovamenti fossili e le orme ritrovate a Laetoli. Non tutti i paleontologi sono daccordo sulle capacità degli Australopithecus Afarensis.

Le incertezze nascono dallo studio delle caratteristiche degli arti superiori di questa specie, in particolare, le braccia che erano molto lunghe li rendeva degli abili arrampicatori. Anche il cinto pelvico non era come quello umano. La forma della pelvi è importante per garantire una completa stazione eretta. In molte scimmie non antropomorfe che si muovono per "salti" o su quattro zampe è piuttosto allungata, mentre nelle scimmie antropomorfe è più corta e disposta in senso medio laterale, anche l'ala iliaca aumenta la sua superficie e si dispone ventralmente. Nell'uomo il bacino si accorcia ulteriore, mentre l'ala iliaca, aumentata di superficie, si incurva verso il basso. Nell'Australopithecus afarensis, sebbene il cinto pelvico sembra essere simile a quello umano, l'ala iliaca ha una forma intermedia, senza la sua caratteristica rotazione verso il basso.

Un altra specie preumana sembra delle caratteristiche simili a quelle dell'Australopithecus Afarensis, si tratta dell'Australopithecus africanus, originario dell'Africa meridionale. In particalare, i suoi grandi molari dimostrerebbero il loro adattamento ad ambienti silvicoli attigui alla savana, in cui fu possibile ampliare la dieta alimentare (più in basso nel testo). Diversi paleontologi sostengono, in base ai ritrovamenti effettuati, che anche questa specie era bipede. Alcuni però dubitano che Africanus potesse essere un discendente degli afarensis, perchè il ginocchio era più primitivo. Berger, sostiene che il bipedismo in africa si originò ben due volte. La prima volta in Africa orientale e coinvolgendo gli afarensis ed altre specie non ancora indentificate. Questo gruppo si estinse e si evolvette in un'altra forma, i parantropi.
Successivamente, il bipedismo si riprodusse ancora a Sterkfontein e dintorni. In quei luoghi la deforestazione ebbe tempi più lunghi, per cui gli ominidi della zona conservarono la capacità di muoversi sugli alberi molto più a lungo ripetto agli australopiteci orientali. Questo dimostrerebbe come mai l'Africanus avesse il ginocchio più primitivo.
I vantaggi del bipedismo
La postura eretta, da sola non rappresenta alcun vantaggio per la specie umana, anzi la corsa su due zampe rappresenta uno svantaggio per la riduzione della velocità che ne consegue. Ma se a questa vi associamo anche la visione binoculare, caratteristica delle scimmie più grandi, allora i vantaggi aumentano notevolmente. Guardare più lontano in un ambiente praticamente uniforme per una preda è importantissimo! altrettanti vantaggi sono la visione tridimensionale, che permette di valutare meglio le distanze e la distinzione dei colori. Tutte queste caratteristiche associate hanno permesso un poderoso sviluppo delle capacità di coordinazione degli arti superiori e la loro specializzazione nel lavoro (Ponticelli, 2004).

L'intensificazione dell'attività umana ha generato un aumento consistente del volume del cervello e con esso anche il peso. Anche in questo caso il bipedismo ha rappresentato un vantaggio, perché il peso della testa può essere ripartito su tutto il corpo e soprattutto sulla colonna vertebrale che con le sue due curvature particolari garantisce maggiore elasticità e stabilità. Diversamente, negli altri primati la testa è sospesa in avanti quindi è impossibile che si verifichi un ulteriore aumento di peso, inquanto da soli i muscoli del collo non sarebbero ingrato di sorreggerla.
Il volume del cranio di "Lucy" era probabilmente di 500 cc., questo valore può essere assunto come medio rispetto agli altri crani ritrovati. Un scimpanzé in media ha un cranio di 400 cc. mentre un uomo 1350 cc.
Dimensioni di poco superiori a quelle degli altri primati posso far pendere la bilancia verso un comportamento non "umano", ma volumi simili non debbano per forza realizzare intelligenze identiche. S. J. Gould nel libro "Intelligenza e pregiudizio" analizza a fondo tutte le pseudo-convinzioni scientifiche in riguardo alle dimensioni del cervello. Mentre queste sono in rapporto con le dimensioni corporee, l'età e i lunghi periodi di malattia, non vi è nessuna relazione con l'intelligenza o con l'indole criminale delle persone. Tutti gli studi realizzati nell'ottocento dimostrarono soltanto che criminali ed assassini potevano avere cervelli più grandi di premi Nobel e scienziati di primo piano (..., ..). L'intelligenza dipende dalla complessità del sistema nervoso non dal volume del cervello. La maggior parte dei paleontologi resta comunque dell'idea che questi ominidi non avessero grandi capacità intellettuali ad eccezione della specializzazione degli arti.

Per capire quanto erano intelligenti i primi uomini bisogna scoprire cosa erano capaci di fare di diverso rispetto agli altri primati. I primi ritrovamenti archeologici riguardanti strumenti litici di natura antropica risalgono a 1,5 milioni di anni fa (altre fonti parlano di 2,5 milioni di anni) e sono costituiti da pietre scheggiate in modo molto grossolano. In quell'epoca vivevano già nel continente africano gli Homo habilis mentre gli Australopithecus si erano già estinti. Questi manufatti servivano a spezzare le ossa di animali già morti o a scarnificarli. Gli Homo Habilis, così come le iene, erano degli spazzini. Diversamente, Gli Australopithecus essendo vegetariani (più avanti nel testo) non avevano alcun bisogno di arnesi di pietra, se non per quelle attività in cui anche le scimmie si sono specializzate: Rompere le noci o cacciare gli insetti. Per queste attività non vi era bisogno di una fabbricazione ad hoc, ma bastavano le cose che capitavano sottomano.

Il primo studioso che si interessò a queste tematiche, fu l'immortale Charles Darwin. Nell'Origine dell'uomo, pubblicato nel 1871 (vedi l'intera opera su questo stesso sito) dedica un intero capitolo a questo argomento. Darwin riporta diversi esempi in cui il comportamento animale è caratterizzato dall'uso di arnesi per raggiungere uno scopo. Sono particolarmente interessanti gli esempi di alcuni gruppi di scimmie, in cui si distinguono per la loro particolare "umanità":

"lo scimpanzé allo stato naturale schiaccia un frutto indigeno, una sorta di noce, con un sasso. Rengger insegnò molto facilmente ad una scimmia americana a spaccare così le noci di cocco, e in seguito l'animale adoperò quel sistema per rompere ogni sorta di noci, come pure le scatole; essa toglieva anche la pellicola del frutto, dal sapore sgradevole. Un'altra scimmia aveva imparato a sollevare il coperchio di una scatola con un bastoncino e poi adoperava il bastoncino come leva per muovere i corpi pesanti…in questi casi i sassi e i bastoncini erano usati come utensili…" (Darwin, 1871).

Darwin non si limita a citare il comportamento di scimmie allevate in cattività, in cui la trasmissione da parte dell'uomo di determinate esperienze altera il naturale corso dell'apprendimento. Darwin, cita anche le prime testimonianze raccolte dagli osservatori inglesi in Abissinia, che hanno per oggetto una delle poche specie di scimmie adattate alla vita nella savana. I babbuini gelada, che vengono sorpresi a fare uso di sassi come strumento di attacco e di difesa nei confronti di un'altra specie di primati le amadriadi. Dall'incontro dei due gruppi nasce una battaglia in cui vengono fatti rotolare dei sassi giù da una collina contro gli avversari che innervositi rispondono con grida prima di lanciarsi all'attacco. Un altro episodio vede coinvolto il duca di Coburgo Gotha e con una pattuglia inglese contro un esercito di babbuini entrati in contatto nel passo di Mensa in Abissinia. I babbuini alla vista dei soldati inglesi fanno rotolare anche questa volta giù dall'altura dei massi. Riuscendo a mettere in fuga gli inglesi (ibidem).

Rimane da chiedersi quanto questi gesti siano intenzionali o istintivi! Gli ultimi studi tendono a confermare questa prima ipotesi. Sono perfettamente coscienti di ciò che fanno. Pare che alcuni di loro riescono perfino a distinguere la loro immagine allo specchio, soltanto che per la limitatezze dei loro bisogni non hanno bisogno di fare grandi cose.

"D'altro canto è importante sottolineare che in condizioni naturali gli scimpanzé non si trovano in situazioni nelle quali è necessario disporre di uno strumento affilato, per cui le abilità (mentali e anatomiche) adatte a crearlo non sono state favorite dalla selezione naturale"
(Arsuaga, 2001).

Lo stesso discorso va fatto per gli ominidi, che avevano esigenze molto semplici e non molti dissimili dagli altri primati. Anche se i resti fossili dimostrano una maggiore specializzazione degli arti rispetto alle scimmie, questa specializzazione non scaturì nessun effetto sostanziale. Fino a quando, in conseguenza di importanti cambiamenti climatici, non arrivarono gli homo Habilis.
L'organizzazione sociale
Tutti gli animali che vivono in gruppo hanno almeno tre ambiti in cui manifestano un comportamento sociale: la pulizia del corpo, il sostentamento e la difesa. In molti mammiferi che non hanno la piena mobilità degli arti, ed una limitata capacità di utilizzo di alcune parti del corpo come la bocca. Si è sviluppata una spiccata tendenza alla collaborazione, anche in questo caso C. Darwin è un precursore, in quanto descrive nelle sue opere parecchie di queste situazioni. Come i cavalli e le vacche che si mordicchiano e si leccano in ogni punto ove sentono prurito o pizzicore, oppure il caso delle scimmie che si liberano dai parassiti a vicenda (Darwin, 1871). Oggi a questi esempio ormai banali si sono aggiunti le ultime ricerche sui "piccoli" suricati del continente africano e sui castori americani.
In alcuni casi la cooperazione si ha anche nella ricerca del cibo, come per i lupi che cacciano in branchi e si spartiscono le prede o come evidenzia ancora C. Darwin, i babbuini che rovesciano i sassi troppo pesanti insieme per cercare insetti da mangiare (Darwin, 1871).
L'aspetto più importante però è: l'organizzazione difensiva del branco e la cooperazione dei diversi elementi per sfuggire ai predatori. Ogni specie animale ha acquisito una tecnica differente, a secondo delle capacità intellettuali e della forza che i singoli individui riescono ad esprimere. I conigli ad esempio battono fortemente le zampe posteriori per terra, le pecore e i camosci invece battono le zampe anteriori e mandano un fischio. Molti uccelli e parecchi mammiferi utilizzano una tecnica molto semplice ma che, a differenza delle altre, presuppone una suddivisione dei compiti all'interno dei branco. Alcuni di essi a rotazione stanno di guardia mentre gli altri animali provvedono a cercare il cibo per tutta la comunità.

Nei primati è il capo branco - il più forte - a ricoprire il ruolo della sentinella questi fa da sentinella e manda grida che esprimono il pericolo o la sicurezza. Ancora una volta sono significativi gli esempi che C. Darwin cita riguardanti branchi di scimmie nativi dell'Abissinia. Nel primo caso in un branco di babbuini attaccati da cani selvaggi ai piedi di una valle, alcuni elementi che si erano già messi in salvo manifestano sentimenti di solidarietà verso chi era ancora in pericolo accorrendo in loro aiuto emettendo urla spaventose in modo da spaventare gli attaccanti, ed uno di questi si distinse perché si lanciò tra il branco di cani per salvare un piccolo di sei mesi intrappolato su una prominenza rocciosa.

Il secondo episodio, riguarda un giovane cercopiteco che quando viene attaccato da un'aquila, accorrono in suo aiuto i compagni che attaccarono l'aquila e le strapparono le penne (ibidem).
Esempi molto semplici che fanno capire come anche negli animali sia forte il sentimento di solidarietà verso i propri simili al punto di mettere a repentaglio la propria vita.

I preumani che sicuramente non erano inferiori agli altri primati, erano anche loro dotati di un certo grado di organizzazione sociale. In ogni gruppo vi era sicuramente un maschio dominante, come è evidente dal dimorfismo sessuale caratteristico di queste specie e diverse femmine.
Diversamente, gli scimpanzé hanno una struttura sociale molto più complessa che si chiama "Poliandrica promiscua". Mentre per le altre specie le femmine restano unite ed i maschi migrano verso altri gruppi, sono scimpanzé maschi a restare uniti mentre le femmine si allontanano. Questa abitudine sociale serve a formare un gruppo coeso e cooperativo, per questo motivo il rapporto tra le dimensioni tra maschi e le femmine e simile a quello dell'uomo.

Il sociologo Johan Goudsblom, nel libro "Fuoco e civiltà" avanza un ipotesi accattivante sulle scimmie. Secondo il suo giudizio anche i primati, ed in particolare gli scimpanzé, manifestano le potenzialità per utilizzare il fuoco (Goudsblom, 1996).

"Presentano una configurazione sociale, mentale e fisica notevolmente prossima a quella richiesta per l'uso attivo del fuoco…vi sono dati che lasciano pensare che gli scimpanzé siano in grado di mantenere un fuoco per un certo periodo di tempo. Se così stanno le cose, e plausibile che l'australopithecus e gli altri primati ora estinti si siano evoluti in questa direzione " (ibidem).
Per Jane Goodall, importante primatologa inglese che ha convissuto per molti anni con altri primati in cattività, gli uomini non sono gli unici ad avere la capacità di pensare o di amare.

"…Il pensiero razionale non è una prerogativa solo umana. E che non siamo i soli a provare una vasta gamma di emozioni, come tristezza, depressione, paura, gioia, meraviglia. Gli scimpanzé sono capaci di dimostrare pietà e amore, purtroppo, possono anche rilevarsi aggressivi e crudeli coi loro simili, come noi uomini" (National Geographic, Aprile 2003)

Questo renderebbe tutti primati "unici" nel loro genere. Se questa ipotesi si rivelasse vera, renderebbe i preumani un po' più vicini agli uomini, ma il cammino evolutivo verso l'uomo, in questo stadio, è ancora molto lungo. Visto che i primi "veri uomini", gli Homo Sapiens arriveranno diversi milioni di anni dopo. Una scoperta recente in Sud Africa darebbe consistenza a questa ipotesi. Un équipe di paleontologi ha scoperto in Sud Africa alcuni resti fossili di 4 milioni di anni che sembrano essere stati oggetto di una sepoltura (vedi articolo). Dimostrerebbe che anche i preumani erano in grado di provare sentimenti per i propri defunti.

J. Goudsblom fornisce un ulteriore ipotesi che vede in relazione il possesso delle capacità di accendere il fuoco e la competizione, nel senso darviniano della "battle of life", delle varie specie di primati. Secondo la sua opinione il possesso del fuoco potrebbe essere stato un fattore discriminante, che ha favorito una specie anziché un'altra.

"I conflitti per la selezione e i processi di formazione del monopolio, che sono stati osservati all'interno delle società umane, potrebbero essersi verificati, in uno stadio molto antico, anche tra gruppi di ominidi e gli altri animali. Il controllo esclusivo del fuoco da parte degli umani, in altre parole, potrebbe essere visto come il risultato di lotte tra le specie, paragonabili alle guerre all'interno della specie da cui, in uno stadio molto più avanzato della storia, scaturì il monopolio da parte dello stato, della violenza organizzata e della tassazione…alla lunga, nessun gruppo di umani rimasti privi del fuoco sopravvisse e lo stadio di transizione nel quale alcuni gruppi possedevano e altri non possedevano il fuoco giunse al termine. Il controllo del fuoco era diventato, com'è tuttora, un attributo esclusivo e universale delle società umane"
(Goudsblom, 1996).
Appendice - L'alimentazione dei preumani
Gli alimenti che ingeriamo provano delle micro abrasioni che sono correlate al tipo di alimentazione che pratichiamo. I consumatori di carne presenteranno striature sullo smalto verticali, mentre i denti dei vegetariani presentano striature sia orizzontali che verticali (Renfrew e Bahn, 1995). I denti dei preumani sottoposti all'analisi al microscopio dimostrano che non mangiavano carne, se escludiamo quella degli insetti.

Il pasto degli Australopithecus ramidus era costituito da frutti, germogli, fusti teneri e foglie fresche (Arsuaga, 2001).
Gli Autralopithecus anamensis, che come abbiamo già visto erano dotati di molari più grandi, molti risultavano fortemente usurati da una masticazione prolungata, questo significava che questi preumani avevano ampliato la loro dieta, comprendendo in essa anche semi e frutta secca (ibidem). Ma l'usura dei denti era tale, che a contribuire a questo stato, si pensa abbiano contribuito anche delle particelle minerali particolarmente abrasive. Queste ultime sarebbero entrate in contatto con il cibo perché forse veniva conservato in fosse (ibidem). É importante sottolineare che mentre l'alimentazione degli A. ramidus era tipica di un ambiente tropicale, Australopithecus anamensis si era già adattato a boschi più asciutti. Questo perché il suo habitat era cambiato diventando più secco (ibidem).
Anche L'Austalopithecus Africanus dimostra di avere dei molari più grandi rispetto ai suoi antenati. La sua alimentazione richiedeva una masticazione molto prolungata, basata su prodotti vegetali molto duri (ibidem). Una ricerca di Matt Sponheimer e Julia Lee-Thorp condotta sugli isotopi del carbonio ha dato un contributo interessante. La domanda a cui si voleva rispondere era: i preumani si nutrivano con vegetali provenienti dai boschi oppure o dai pascoli aperti. In Africa le erbe dei pascoli contengono più carbonio pesante rispetto alle altre. Le analisi sullo smalto dei denti hanno dimostrato che gli australipitechi avevano meno carbonio pesante di antilopi ed altri animali adattati alla savana, ma ne avevano di più rispetto agli animali residenti nei boschi.

Questi Australopitechi, provenienti da Makapansgat, una località situata nei pressi di Pietersburg, a nord-est di Johannesburg, si nutrivano probabilmente anche di radici e di erba proveniente dalla savana, oppure mangiavano insetti che facevano uso di quelle erbe o che addirittura uccidessero animali da latte o si nutrissero di carogne (ibidem). Molti pensavano che gli Australophitecus potessero essere carnivori, avvalorando la loro ipotesi con la scoperta nella grotta di Swartkrons in Sudafrica dei resti fossili di 130 esemplari di ominidi associarti a scheletri di altri animali sia erbivori che carnivori.
Gia nel 1925, Wilfred Eitzman, paleontologo dilettante spedì a Dart dei resti fossili di animali provenienti dalle grotte calcaree dalla valle di Makapangsgat. Dart notando che molte ossa erano annerite pensò che fossero state bruciate intenzionalmente, e che quindi quei fossili così fremmentati erano i resti di un pasto. "Makapansgat doveva essere stato il teatro d'azione di cacciatori molto abili e talmente avanzati culturalmente da saper cuocere la carne dei loro pasti" (Biondi e Rickards, 2001). Questa ipotesi, però, si rilevò falsa. La colorazione scura dei fossili era dovuta al manganese presente nel terreno.

Nel 1948 Dart durante i lavori di scavo si imbatte nella grotta di Swartkrons, ai nuovi diede il nome di Australopithecus promemetheus, (successivamente africanus). Secondo Dart Prometheus era in grado di usare attrezzi ricavati dalle ossa, dai denti e dalle corna degli animali e chiamò questa cultura, "cultura osteodontocheratica" (ibidem). Ma uno studio eseguito in seguito da C. K. Brain riuscì a dimostrare che in realtà i resti di Africanus si trovavano nella tana di un leopardo. Egli vi riuscì, comparando i fori presenti sul cranio di uno degli esemplari ritrovati con l'impronta dentaria della mascella di un leopardo (Renfrew e Bahn, 1995).


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Siti internet
www.talkorigins.com

3) GLI UOMINI CHE RUBARONO IL FUOCO AGLI DEI

2.0 - La nascita del genere umano
Intorno ai 1.8 milioni di anni si incominciò a diffondere in alcune zone dell'africa centro-meridionale una nuova specie, fisicamente abbastanza simile alle precedenti ma con un cervello più grande, gli homo habilis. Successivamente a questa prima specie, se ne aggiunsero almeno altre due, gli homo ergaster e gli homo erectus, in grado di maneggiare il fuoco, di costriure dei bellissimi strumenti di pietra e di cacciare.
Rispetto alle specie precedenti essi avevano una volta cranica più ampia rispetto alla faccia, necessaria per accogliere l'aumento dell'encefalo. La loro faccia era piatta e la base del cranio era corta e ripiegata. Queste nuove caratteristiche, apparentemente secondarie, hanno invece grande importanza, perchè sono in relazione con lo sviluppo delle capacità di linguaggio dovute al rimodellamento della gola ed al riposizionamento della laringe in basso (Giusti, 1994).
La nuova struttura della faccia presentava, un naso prominente costituito da superfici ossee erette intorno alla cavità nasale, la mascella inferiore più sottile ed allineata verticalmente alla mascella superiore oppure con un mento sporgente, i denti rimpiccioliti (Giusti, 1994).
Lo scheletro postcraniale, che soprattutto nelle specie più recenti era molto più leggero e con muscoli ed ossa ridotti rispetto agli altri primati, era in grado di supportare una locomozione di tipo umano (Giusti, 1994).

Un altro cambiamento si ebbe nel cambiamento dei ritmi di sviluppo, che si era allungati per far fronte all'allungamento dei tempi di formazione del cervello, poco sviluppato alla nascita. Tutte le fasi che scandiscono la vita degli individui subirono un prolungamento, l'infanzia, la maturità sessuale e l'invecchiamento. Non tutte le specie ebbero un simile sviluppo "ma probabilmente si tratta di una tendenza evolutiva recente legata sia alla necessità di sviluppo di un cervello di grandi dimensioni sia alla comparsa della cultura e del linguaggio che richiedono una lunga fase di apprendimento" (Giusti, 1994).

Gli studi eseguiti sui denti di molti esemplari fossili esaminati confermano tale ipotesi. In particolare ci sono le analisi sulla struttura interna ed esterna dello smalto dentario (Beynon e Dean, 1988), gli studi dei ritmi di eruzione dentaria (ad es. i tempi di comparsa di alcuni denti come il primo molare), gli studi sulle micro usure dello smalto dentario (Moggi Cecchi, 1993). Negli Australopithecus i ritmi di sviluppo sono rapidi come per le altre scimmie antropomorfe. Negli Ominidi successivi invece il ritmo di sviluppo è più lento (Giusti, 1994).

2.1 - l'Homo Habilis
Quando Luis Leakey scopri i primi resti fossili di questa specie, rinvenne accanto dei strumenti litici molto rozzi. Il paleontologo suppose che quegli utensili fossero opera della specie rinvenuta, e per questo motivo acquisirono il nome di "habilis".
Gli Homo habilis, rispetto agli altri ominidi, avevano una cranio più grande (tra i 500 e gli 800 cc.) erano più alti e le loro ossa erano più sottili. La volta cranica era priva di creste ossee sporgenti, più tondeggiante e la fronte era più sviluppata. L'arcata dentaria, tendente ad assumere la sua definitiva configurazione ellittico-allungata , era formata da incisivi e canini più grandi e premolari e molari più piccoli, diversamente dagli Australopithecus.

La loro alimentazione, in buona parte costituita da alimenti vegetali, era stata arricchita con un maggiore consumo di carne, frutto di caccie occasionali di piccoli mammiferi oppure di mammiferi uccisi da altri animali. L'apporto di carne nella dieta degli homo habilis fu comunque determinante per la crescita del cervello. Già Engels ad altri avevano intuito questo rapporto, confermato anche da Francesca Giusti: "In ogni caso, il consumo di carne potrebbe essere stato causa ed effetto dell'eumentato volume cerebrale" (Giusti, 1994).

2.2 - I coppers di Olduvai

"Le innovazioni morfologiche che abbiamo preso in esame sinora sono il prodotto dell'evoluzione, un risultato del gioco tra mutazione e ricombinazione da un lato e della selezione naturale dall'altro. Ma ora la novità discende dalla mente, e per questo può essere considerata la prima invenzione: la pietra tagliata" (Arsuaga, 2001).
L'homo Habilis fu il primo "quasi umano" in grado di costruire degli strumenti litici, anche se molto rozzi. I primi manufatti sono stati trovati a Gona in Etiopia e risalgono a 2,5 milioni di anni fa. Altri manufatti simili sono stati ritrovati ad Olduvai in Tanzania e per questo detti "Olduviani" o Modo tecnico 1.

I coppers avevano una forma molto semplice, costituiti da ciottoli fratturati (nucleo) e da schegge di lavorazione. Il loro processo di lavorazione era molto semplice, questi fili taglienti venivano realizzati spaccando una pietra contro un'altra più grande e lavorando i frammenti rozzamente. Le schegge di scarto della lavorazione se erano affilate, potevano avere anch’esse una qualche utilità. Questi possono essere definiti dei "strumenti biologici", in quanto, "potenziavano o prolungavano la morfologia dell'individuo" (Arsuaga, 2001). Cioè, costituivano la risposta di una mente "quasi umana" alle pressioni esercitate dalla selezione naturale e dal nuovo ambiente in cui l'homo Habilis si stava adattando. Era inoltre, il frutto di un riadattamento dovuto alla tendenza dei canini a rimpicciolirsi, già evidente nei Ardepithecus ramidus.
Nonostante sia importante, l'avvento della tecnologia nella vita degli ominidi non e stato "...l'espressione di un salto cognitivo così straordinario come si è ipotizzato" (Arsuaga, 2001). Il costruttore non aveva in mente un progetto specifico o una forma da raggiungere ma soltanto l'obiettivo di avere un bordo affilato. "La sua comparsa nell'evoluzione umana rappresenta un passo più importante dal punto di vista ecologico e sociale che nel campo cognitivo" (Arsuaga, 2001).
Esistono però alcuni elementi che lasciano pensare il contrario. Alcuni esperti hanno riscontrato una caratteristica comune in tutte le pietre olduviane, dimostrazione del tentativo, anche se elementare, di dare una forma a questi oggetti. Su questi resti, datati 1,5 milioni di anni, venivano realizzate dei "bulbi di percussione", necessari per favorirne l’impugnatura. É stato osservato, che in nessun caso eventi naturali, come le fratture provocate da cambiamenti climatici o da caduta, riescono a realizzare delle forme simili (Renfrew e Bahn, 1995). In alcuni casi è stato dimostrato che in assenza delle materia grezza in loco, questa veniva trasportata anche per lunghe distanze. Forse gli utensili facevano parte del corredo di ogni "spazzino".
Questi arnesi che servivano per scarnificare, spezzare e frantumare le ossa o per ricavare le pelli, fornirono la tecnologia indispensabile per l'ampliamento della dieta, con l’inserimento al suo interno della carne cruda.
"Gli strumenti di pietra rappresentano davvero la chiave, o una delle chiavi, per aprire una nuova dispensa" (Arsuaga, 2001).

2.3 - Ipotesi sull'organizzazione sociale

Nel lungo arco di tempo che ha visto l'evoluzione degli uomini in Habilis e successivamente in Ergaster, vi è un profondo cambiamento dell'organizzazione sociale. Inizialmente, quando i pre-umani vivevano ancora in prossimità di ambienti silvicoli, i gruppi sociali erano costituiti da un unico maschio dominante ed un certo numero di femmine stanziali. Gli altri maschi migravano presso altri gruppi, in piccole unità oppure individualmente.
Il progressivo adattamento alle pianure modificò la struttura originale. I maschi rimanevano molto più allungo all'interno del gruppo, mentre alla migrazione individuale si sostituì una migrazione collettiva. Queste bande di pre-umani, composte da uomini e donne, anche se ancora vegetariani, erano sicuramente dedite alla caccia di piccoli mammiferi o alla ricerca di carcasse di animali, espletando il ruolo di "spazzini". Anche se non erano in grado di cacciare, ne tantomeno di accendere un fuoco, la loro attività, unita alla capacità di costruire strumenti di pietra, richiedeva comunque una grande capacità di cooperazione. Gli effetti che ne scaturirono, furono almeno due: si verificò un ulteriore aumento del volume del cervello e in conseguenza l'aumento del tempo di apprendimento dei più giovani.

Probabilmente, essendo gli homo habilis per necessità "collaborativi", si provvedette all'eliminazione delle dispute sessuali, si assunse un modello simile a quello degli Scinpanzè o dei bonobo. In cui la vecchia struttura sociale del "maschio dominante", venne trasformanta in un'altra in cui le femmine venivano condivise da tutti i maschi, oppure in alternativa, da essi ripartite per formare nuclei familiari "fissi", formati da 5 - 8 elementi. Questo tipo di organizzazione sembra essere confermato dalla paleontologia, che se si escudono KNM-ER 1813 e KNM-ER 1470 appartenenti, quasi certamente, ad un'altra specie, i resti fossili di homo habilis non sembrano evidenziare un marcato dimorfismo sessuale.

3.0 - L'inizio del genere umano

Per gli antichi Greci gli uomini riuscirono ad acquisire la conoscenza in un modo del tutto particolare. Fu il Titano Prometeo che rubò una scintilla dalla fucina di Vulcano donandola agli uomini. Attraverso il mito viene simbolicamente rappresentato il processo in cui gli uomini riuscirono a sviluppare la conoscenza dei fenomeni naturali e ad emanciparsi. Quest’unica azione sintetizza un lungo processo, in cui gli uomini sono riusciti gradualmente a comprendere numerosi fenomeni naturali, ed in alcuni casi a controllarli.
Questa logica pre-scentifica, attribuisce un origine magico-divina ai fenomeni naturali. Proprio questo modo di vedere la realtà, dà vita ai culti animistici o politeistici, in quanto la religione offre un modo di interagire con una natura incompresa attraverso l’intermediazione divina.
Nella mentalità degli antichi lo sviluppo della conoscenza negli uomini non può far altro che irritare le divinità e per questo motivo l’azione di Prometeo ha suscitato la rabbia di Zeus. Il dio dell’Olimpo, privato del potere di intermediazione che rendeva suoi succubi gli uomini, si scagliò contro di essi, gravandoli delle conseguenze negative che l‘acquisizione diretta della conoscenza comporta.
Prometeo dovrà pagare in modo atroce la sua azione. Incatenato ad una roccia, venne trafitto da una lama da Efesto. Il sangue che sgorgava dalla ferita richiamò un aquila che ne divorava di giorno il fegato, che gli ricresceva ogni notte, rendendo perpetuo il suo dolore.
Gli uomini che nel mito acquistano l’intelligenza grazie ad una scintilla piovuta dal cielo, nella realtà, hanno acquisito la conoscenza della natura attraverso il tempo. L’osservazione dei fenomeni e i vari tentativi di riproduzione o di controllo di essi, ha fatto si che in alcuni casi si arrivasse ad un risultato.
Ma il fuoco rappresenta qualcosa di più di una semplice metafora e quando entra a far parte del patrimonio tecnico umano, una serie di cambiamenti fondamentali si produssero nelle abitudini degli uomini: aumentarono le loro capacità di riscaldarsi e di conseguenza, con la possibilità di spostarsi in luoghi più freddi, ampliarono la loro dieta e la resero più genuina. Inoltre fu possibile difendersi meglio dagli altri predatori.

3.0 - Le nuove specie
Le nuove specie di ominidi erano caratterizzate dall'accrescimento della capacità cranica (quasi mai superiore ai 900 cc), dalla fronte bassa delimitata in basso da arcate sopraciliari massicce e sporgenti (i tori sopraorbitali). "L'intero massiccio facciale [era] spinto in avanti rispetto al cranio ripresentando un accentuato prognatismo, mentre la robusta mandibola, priva di mento, tende[va] a portarsi col suo margine antero-inferiore all'indietro" (Giusti, 1994). Questi ominidi avevano Il naso sviluppato esternamente, come negli esseri umani moderni, acquisendo il vantaggio evolutivo di conservare l'umidità del corpo durante l'intensa attività fisica. Questa caratteristica in relazione alle ossa dello scheletro molto robuste, potrebbe indicare dei periodi di un'intenso esercizio muscolare (Giusti, 1994).
Queste specie ebbero un'ampia diffusione. La maggioranza degli scienziati tendono a considerare i resti asiatici e quelli africani un'unica specie. Tuttavia, i fossili africani presentano alcune differenze rispetto agli erectus, i loro crani sono sotenuti da creste ossee più consistenti e le ossa del cranio sono più spesse. Secondo alcuni scienziati i fossili africani rappresentano una specie più primitiva, gli Homo ergaster.
3.1 - Homo ergaster
I resti fossili più importanti di Ergaster sono principalmente due. Tutti e due sono stati scoperti in Kenia, tra il 1975 e il 1984. Il secondo, scoperto nei pressi del Lago Turkana, è composto da uno scheletro di un bambino di circa 10 anni, (KNM-ER 3733 e KNM-WT 15000). Tali resti risalgono ad un periodo compreso tra gli 1,8 e i 1,6 milioni di anni fa, mentre altri fossili dello stesso periodo sono stati attribuiti ad Homo Erectus (OH 9 e OH 12). L'Homo Ergaster visse probabilmente tra i due milioni di anni ed un milione di anni. Si stabilì in molte zone del continente africano, comprese tra L'africa orientale ed il Sud Africa (Arsuaga, 2001). Forse condivise alcuni di questi luoghi con altre specie, come l'Homo Habilis, che 1,8 milioni di anni fa era ancora presente presso la Gola di Olduvai.
La sua corporatura, dimensioni e proporzioni, era simile alla nostra, mentre la distanza dagli australopiteci e gli altri homo era abbastanza marcata. "Turkana boy" (KNM-WT 15000), lo scheletro di un bambino di 10 anni è la prova più importante. La corporatura di questo bambino corrispondeva a quella di un ragazzo moderno più grande di 1 o 2 anni (più in basso nel testo). Il volume encefalico dell'Homo ergaster era maggiore che negli altri ominidi, che in alcuni casi meglio conservati è: 804 cc, 850 cc e 900 cc (Arsuaga, 2001). in termini relativi questo risultato va ridimensionato. Il cervello dell'Homo ergaster cresce in proporzione al corpo, quindi non si verifica nessun progresso significativo rispetto all'Homo habilis. Tuttavia, si verificò un notevole balzo in avanti delle capacità cognitive (Arsuaga, 2001). Secondo alcuni questo cambiamento fu maggiore nei maschi che nelle femmine, soprattutto in riguardo al senso dell'orientamento, alla capacità di ricordare luoghi o la posizione degli oggetti.
3.2 - Homo erectus
Nel 1891, nel giacimento di Trinil dell’isola di Giava, Eugène Dubois scoprì una calotta cranica, insieme ad un molare e un femore. Dalle conoscenze fino ad allora accumulate egli desunse che si trattava di un uomo scimmia per cui il nome che gli diede fu di Pithecanthropus Erectus.
Oggi noi sappiamo che si trattava di un ominide di molto superiore al genere Australopitecus: era il più umano degli ominidi, i quali circa 1 - 1,5 milioni di anni fa si stabilì in Asia, il suo nome è Homo Erectus.
La capacità cranica di questa specie è di poco superiore a quella degli Homo Ergaster, cioè varia dagli 813 cc e i 1059 cc.
I manufatti prodotti da questi uomini sono molto semplici, sembra che non conoscessero la tecnica acheuleana, come è emerso anche dai ritrovamenti fatti in Cina, dove tra i numerosi manufatti litici emersi non vi è presenza di bifacciali.
Nel 2000 sono emersi una serie di fossili litici nella Cina meridionale, datati tra i 700.000 e gli 800.000 anni fa, che, pur non essendo bifacciali, i due scopritori, Huang Weiwen e Rick Potts, propongono di assegnarli al modo tecnico acheuleano.
Tra le cause di questa mancata evoluzione tecnica vi può essere un impedimenti oggettivo, come la mancanza di materiale utile per la costruzione di questi attrezzi o l’impossibilità della trasmissione di questa conoscenza da una generazione all’altra per un motivo a noi sconosciuto.
Un'altra tesi più accattivante è che la colonizzazione dell’Asia è antecedente alla scoperta delle asce a mano avvenuta in Africa e che i i colonizzatori rimasero isolati dai loro cugini africani.
Negli ultimi anni sono stati fatti dei ritrovamenti importanti, che confermano tale ipotesi, perché anticipano di alcune centinaia di migliaia di anni la colonizzazione dell’Asia. Il più importante è un teschio riprovato nel 2001 a Dmanisi in Georgia, risalente a 1,8 milioni di anni fa. Con un volume di 600 cc. è il fossile più antico ritrovato fuori dall’Africa. I suoi tratti somatici sembrano essere comuni a quelli degli homo Ergaster Africani. Altri fossili sono stati trovati in Cina e a Giava, alcuni dei quali sono molto antichi come un cranio infantile senza faccia, risalente a 1,8 milioni di anni e alcuni resti incompleti e deformati, provenienti dall’area di Sangiran di 1,6 milioni di anni.
3.3 - L'organizzazione sociale e il ruolo della donna
L'Homo ergaster presentava caratteristiche intellettive molto prossime a quelle umane. Questo incredibile balzo in avanti è testimoniato dalle loro incredibili capacità artistiche. Erano gli autori dei bifacciali (Modo tecnico 2), che con la loro forma perfetta sono delle opere d'arte.
Inoltre, furono in grado di colonizzare molte zone dell'Africa centro-meridionale, grazie ad un efficace organizzazione sociale ed alla conoscenza delle tecniche di utilizzo del fuoco. In quell'epoca l'Homo ergaster era diventato cacciatore di piccoli erbivori e l'organizzazione del gruppo era già definita in base al sesso. Gli uomini si specializzarono nella caccia. Le donne nella raccolta di vegetali e nel governo del focolare domestico (oikos greco), nell'educazione dei figli piccoli.
All'interno di questa società il ruolo dei due sessi era paritario. Le donne aveva importanti responsabilità che potevano rilevarsi determinanti per la sopravvivenza del gruppo. Il sesso "debole" riusciva a procurare il cibo quotidianamente, anche quando la caccia si rilevava infruttuosa. Probabilmente, è tutta al femminile, l'invenzione delle tecniche per accendere il fuoco e per governarlo. Di cui si hanno traccia già a partire da 1,5 milioni di anni (Renfrew e Bahn, 1995).
All'educazione dei figli partecipavano entrambi i genitori. La donna accudiva tutti i bambini piccoli, maschi e femmine, successivamente i maschi si staccavano dalla madre per accompagnare il padre durante la caccia, ed incominciare una seconda fase dell'apprendimento. Il ruolo dell'insegnamento crebbe di importanza, e l'apprendimento si ripartì in un arco di tempo più lungo. La maturità sessuale arrivava molto più tardi, mentre l'intervallo tra un parto e l'altro aumentava.
Ma vediamo meglio il primo punto, il periodo dello sviluppo. Negli uomini l'adolescenza dura di più rispetto agli altri primati. In questo frangente i fanciulli, mentre imparano a relazionarsi con gli altri ed a vivere in società, dipendono per l'alimentazione e le cure, dagli individui adulti. Per tutti gli ominidi precedenti all'Homo ergaster questo periodo era di 12-13 anni, come per gli scimpanzé, negli uomini questo periodo termina intorno ai 20 anni. Gli scimpanzé femmina hanno la prima gravidanza a 13 anni, questo significa che la maturità sessuale coincide con la fine dello sviluppo osseo. Similmente, in alcune società umane, gli Ache del Paraguay e i Dobe Kung della Namibia, la prima gravidanza si verifica a 16 anni nella prima e 18 nella seconda; età assai prossime alla fine dello sviluppo (Arsuaga, 2001).

Esiste una relazione tra le dimensioni del cervello e la durata del ciclo vitale. "Per questo, la durata dell'infanzia, dell'adolescenza e della vita complessiva di uno scimpanzé è doppia rispetto alle fasi equivalenti della vita di un macaco, il cui cervello è approssimativamente la quarta parte. Per il motivo identico, il nostro ciclo vitale è molto più lungo di quello di uno scimpanzé: la nostra longevità è legata al nostro grande cervello" (Arsuaga, 2001).

Gli Homo ergaster avevano un cervello grande la metà di un cervello umano, quindi il loro ciclo vitale è esattamente a metà strada tra gli scimpanzé e gli Homo sapiens sapiens; 15 anni. Dopo i 3 anni il cervello di tutti i primati è circa 3/4 della grandezza definitiva, nel periodo successivo incomincia la sua fase di programmazione (Arsuaga, 2001).

3.4 - L'alimentazione
L'alimentazione ha un ruolo fondamentale nello sviluppo del cervello, un organo molto dispendioso in termini energetici. Il cervello umano consuma il 20 % dell'energia disponibile, mentre il suo peso incide soltanto del 2 % rispetto al corpo. Il cervello di uno scimpanzé brucia solo 9 % dell'energia assimilata.
"Di conseguenza, se, nel passaggio da una specie alla specie discendente, si verifica un aumento del peso del cervello, ciò significa, probabilmente, che tale incremento era molto importante, nonostante l'enorme costo energetico". Il ruolo che gli uomini che si sono costruiti all'interno di questa società è frutto del lavoro, e dell'organizzazione sociale (Engels, 1876; Ponticelli, 2003 - 2004).

Il combustibile che ha permesso tutto ciò è il cibo, soprattutto la carne che una volta cotta diventa anche più salubre. Un ruolo di primo piano è conferito alle proteine. Nelle varie epoche storiche la quantità di proteine assunte ha determinato il benessere della specie. Un indicatore eccellente è l'altezza media di ogni generazione. Quindi, nelle società di cacciatori - raccoglitori del bacino mediterraneo di 30.000 anni fa, che beneficiavano di una dieta molto ricca di proteine e calorie, l'altezza media era di 1,78 cm. Nella stessa area geografica, gli agricoltori di 5.000 anni fa che si alimentavano essenzialmente con i cereali non superarono i 160 cm di altezza.

Similmente negli ultimi cinquant'anni la statura media della popolazione italiana è aumentata di 15 cm, proprio grazie all'aumento del consumo della carne conseguente al boom economico degli anni '50 e '60 (Le scienze, N° 90).

Per lo stesso motivo il "ragazzo di Turkana", grande mangiatore di carne, all'età di 9-10 anni dimostrava di avere la corporatura di un bambino moderno di 11 o 12 anni. La sua altezza era di 1,60 m, da adulto avrebbe raggiunto 1,85 m. Questo ritrovamento è sorprendente perché dimostra che questi pre-umani potevano essere più grossi di noi.

Con lo sviluppo delle tecniche per accendere il fuoco, un altro alimento venne aggiunto alla dieta dei pre-umani: il pesce che è gradevole e si può mangiare soltanto se lo si cuoce.

L’uomo è stato il fautore di una evoluzione tecnologica, che è stata l'epilogo di un evoluzione biologica caratterizzata da una serie di acquisizioni progressive (stazione eretta, visione bifocale, diversificazione delle funzioni degli arti, crescita del cervello, ecc.).
Le capacità, da una parte, di costruire arnesi di pietra e dall'altra di maneggiare il fuoco rese l'uomo in grado di distinguersi nettamente dalle altre specie di primati. Se è vero che molti animali utilizzano degli oggetti per conseguire azioni, anche complesse, in nessuno altro animale, eccetto l'uomo, si manifesta la capacità di ideare un oggetto che oltre ad essere funzionale ad uno scopo, corrisponde anche ad un ideale di bellezza. Le capacità tecniche degli Homo ergaster dimostravano la loro attitudine a soddisfare queste due caratteristiche nella costruzione dei loro manufatti, i bifacciali.


I primi strumenti acheuleani, o Modo tecnico 2, risalgono a 1,6 milioni di anni orsono. Si tratta di utensili intagliati su entrambe le facce con perfezione e simmetria evidenti. Questi variavano in funzione dello scopo: asce di pietra, arnesi atti a fendere e picconi.
In essi: "si riconosce la ricerca deliberata, vale a dire consapevole, di strumenti con una forma predeterminata, che in precedenza esistevano soltanto nella mente dell'autore" (Arsuaga, 2001). Belli come sculture moderne, dimostrano di essere anche funzionali agli scopi per cui vennero costruiti.

Alcuni di questi bifacciali sono stati trovati in associazione con una mandibola di Homo ergaster nel giacimento di Conso in Etiopia.

Ma "l'invenzione e la diffusione del Modo tecnico 2 non rappresentano un mutamento biologico in direzione di un'intelligenza maggiore", perchè i fossili più antichi di Homo ergaster sono stati scoperti in associazione con il Modo tecnico 1 (Arsuaga 2001). Anche se "...una nuova tecnologia non presupponga necessariamente la comparsa di una nuova specie, tuttavia è certo che un'industria molto complessa non è compatibile con una mente molto semplice" (Arsuaga, 2001).

Successivamente allo sviluppo di tecniche artistiche complesse si sviluppa la capacità di maneggiare Il fuoco. Il suo utilizzo costituisce un passo importante per l'uomo, perchè è la prova evidente dell'esorcizzazione della paura verso i fenomeni naturali, come la combustione, di difficile comprensione per gli uomini primitivi.
Darwin individua un rapporto stretto tra queste due forme di progresso: "spaccando le selci, osserva pure J. Lubbock, saranno uscite delle scintille, e arrotandole si sarà svolto calore: così possono essere stati originati i due più comuni metodi per ottenere il fuoco. La natura del fuoco doveva essere stata notata nelle regioni vulcaniche dove alle volte la lava scorre in mezzo alle foreste" (Darwin, 1871).
L'utilizzo del fuoco fu una scoperta molto successiva rispetto al Modo tecnico 2, e non si hanno prove certe che gli Homo ergaster avessero questa capacità. Recentemente è emersa una prova che a favore di questi ultimi. Dagli scavi nella grotta di Swartkrans in Sudafrica è emerso il primo focolare, datato circa 1,5 milioni di anni fa (Renfrew e Bahn, 1995). Forse questi focalari venivano impiegati per la cottura del cibo, sicuramente venivano impiegati per riscaldarsi e per difendersi dall'attacco di altri animali predatori.

Questi uomini furono colonizzatori di nuovi territori in Africa, luoghi molto più freddi che, come fa notare Engels, senza l'ausilio del fuoco non sarebbe stato possibile sopravvivere (Engels, 1876).

Seguendo le rive dei fiumi e le coste dei mari, gli Homo Ergaster completarono l’occupazione dell’Africa e colonizzarono l’Asia meridionale circa un milione di anni fa (Homo Erectus), e l’Europa tra i 500.000 e gli 800.000 anni fa (Homo antecessor).

Bibliografia
Arsuaga J. L., I primi pensatori e il mondo perduto di Neandertal, Feltrinelli editore, 2001*
Giusti F., La scimmia e il cacciatore. Interpretazioni, modelli e complessità nell'evoluzione umana, Donzelli editore, 1994.
Darwin C., L'origine dell'uomo e la scelta sessuale, Rizzoli editore, 1997 (ed. orig. 1871).
Engels F., Parte avuta dal lavoro nel processo di umanizzazione della scimmia, 1876.
Ponticelli G., Il Lavoro e l’origine Dell’Uomo. Gli studi sull'evoluzionismo di Friedrich Engels, Aprile - Maggio 2004.
Ponticelli G., Il Passaggio Dalla Scimmia All'Uomo. Gli studi sull'evoluzionismo di Friedrich Engels, Part. II, 2003.
Ponticelli G., La Nascita Della Caccia. Gli studi sull'evoluzionismo di Friedrich Engels, Part. III, Maggio 2004.
Renfrew C. e Bahn P., Archeologia. Teoria metodi pratica, Zanichelli editore, 1995 **
Periodici e giornali
KATES R. W., Il futuro della vita sulla Terra, LE SCIENZE n°90, 1996


I Discendenti

Per molti anni si è dibattuto sulla possibilità che questi uomini fossero riusciti a tramandare nella progenie moderna i loro geni, così come hanno fatto gli homo Sapiens, questa disputa è rimasta aperta fin quando si è potuto dimostrare attraverso lo studio del Dna mitocondriale che i neandertalliani si sono estinti circa 30.000 anni fa.
Da un articolo di Patricia Kahn e Ann Gibbons del 10 luglio del 1997 emerge il risultato delle ricerche di due equipe di scienziati, Matthias Krings e Svante Paabo per l’università di Monaco e Anne Stone e Mark stoneking della Pennsylvania State University impegnati nello studio del DNA degli uomini di Neanderthal, in cui si attesta che questi non sono gli antenati degli uomini moderni. La sequenza del DNA è distinta da tutte quelle conosciute degli umani e delle scimmie.
«neandertal Dna sequence is distinct from all thse know for humans and chips».

La scoperta si basa sullo studio del DNA contenuto nei mitocondri, si trasmette soltanto per linea materna ed è molto più piccolo rispetto al DNA del nucleo cellulare (circa 1%).
«La sequenza del mtDNA proveniente dal materiale del Neanderthal include 360 coppiette di basi azotate.
Poiché il mtDNA è stato sequenzato completamente, la sequenza neandertaliana è stata confrontata con la sequenza corrispondente dell’uomo attuale.
Tra le due sequenze si sono trovate 27 differenze.
Di queste 27 differenze 24 erano transizioni dovute alla sostituzione di una base pirimidinica (C o T) o di una base purinica (A o G). Altre due differenze erano dovute ad una transversione e cioè ad una sostituzione di una purina con una pirimidina. Infine c’era una inserzione di un residuo di adenosina».
(Massimiliano Marinelli)

Comparando il DNA mitocondriale dei Neanderthal con 2051 sequenze umane e 59 sequenze di scimpanzé è emerso che tra tutte le sequenze umane analizzate esistono soltanto 8 punti differenti mentre tra le due specie di Homo Sapiens esistono ben 25.6 punti di differenze. Tra gli uomini e le scimmie ci sono ben 55 punti di differenza.

 


4) EVOLUZIONE e STORIA

Esiste un filo conduttore che lega l’esperienza umana allo spazio geografico, dai suoi albori ad oggi?

Se il prodotto di questa osmosi indissolubile e continua esiste, si chiama “Storia”.

Ne consegue che quest’ultima deve essere accettata come una scienza, in quanto l’indagine delle forme socio-economiche, che il governo dell’uomo assume sull’ambiente che lo circonda, porterà inevitabilmente allo studio delle forze produttive che in esso è in grado di esprimere. Conseguentemente, tutti i processi storici sono desumibili dallo sviluppo delle forze produttive.
Come gli scienziati che indagano sulla forma della materia o che scrutano l’universo, i teorici marxisti indagano proprio sul rapporto di causa ed effetto tra l’azione umana e la retro azione della natura e ne astraggono quindi le leggi generali.
Engels nell’Anti During scrive:

“l’idea che i drammoni politici siano l’elemento decisivo della storia è antica quanto la stessa storiografia ed è la causa principale del fatto che tanto poco ci sia stato conservato di ciò che riguarda realmente lo sviluppo dei popoli, che si compie silenziosamente nello sfondo di questa scena rumorosa”

“i principi non sono il punto di partenza dell’indagine, ma invece il risultato finale, non vengono applicati alla natura e alla storia dell’uomo, ma invece vengono astratti da esse, non già la natura è il regno dell’uomo si conformano ai principi, ma i principi, in tanto sono giusti, in quanto si accordano con la natura e con la storia”.
In questo senso il Marxismo può essere inteso come una bussola utile ad orientarsi nel mondo, perché comprendendo la genesi storica, che è alle spalle del presente, se ne può comprendere la struttura di esso.
Allungando lo sguardo alle origini della storia e ripercorrendola a ritroso, si intravedono quelle che sono le tendenze generali che hanno caratterizzato in maniera particolare ed unica le varie fasi del divenire storico. In ogni fase precedente maturano le condizioni oggettive per le fasi successive condizionando così il corso della storia.

Trosky dice:

“l’uomo in quanto individuo è il prodotto e non il creatore dell’ambiente. La vita quotidiana, cioè condizioni e abitudini, evolve alle spalle dell’uomo”.

Per capire la storia degli uomini e le numerose conflittualità nate in seno ad essa è necessario sciogliere un nodo fondamentale, capire in che modo l’uomo si è emancipato ed in quali forme dal dominio della natura. Comprendere le varie fasi dello sviluppo tecnologico che lo ha permesso, significa per Marx

“ indagare il primo luogo in che modo il mezzo di lavoro viene trasformato da strumento in macchina, oppure in che modo la macchina si distingue dallo strumento del lavoro artigiano”.
Marx, il Capitale

"Nessuna produzione è possibile senza uno strumento di produzione, non foss’altro questo strumento che la mano; nessuna produzione è possibile senza lavoro passato, accumulato, non foss'altro questo lavoro che l'abilità assommata e concentrata nella mano del selvaggio mediante l'esercizio ripetuto.
Marx, Lineamenti di economia politica
Ogni produzione è un’appropriazione della natura da parte dell’individuo, entro e mediante una determinata forma di società".
Marx, Lineamenti di economia politica

Lo sviluppo progressivo dei mezzi di produzione ha portato a diversi gradi di sviluppo economico. Il gradino più basso è costituito secondo Frirtz M. Heichelheim dall’economia dei cacciatori e delle raccoglitrici del Paleolitico recente. Tra il mesolitico ed il neolitico con lo sviluppo dell’agricoltura e dell’allevamento si sviluppa l’industria “domestica rurale”. Successivamente si ebbero lo sviluppo dell’artigianato, della manifattura e dell’industria vera e propria.

Nella società dei cacciatori e delle raccoglitrici del paleolitico, gli uomini e le donne fabbricavano da soli i pochi strumenti di cui avevano bisogno nella loro attività giornaliera. L’uomo esercitava scarsa influenza sul ciclo produttivo, la sua unica azione svolta era quella di selezionare involontariamente la qualità delle piante di cui si nutriva. L’uomo seguendo il “gusto” raccoglieva i frutti migliori e successivamente li portava nel luogo dove viveva insieme alla sua famiglia.
All’interno di questi accampamenti esistevano dei luoghi specifici dove venivano accantonati i rifiuti e gli escrementi umani. Proprio questi posti offrivano un terreno fertile per la crescita delle qualità di vegetali nati dai semi di scarto degli uomini. Questi vegetali, grazie alla mediazione umana, incrociandosi davano origine a frutti sempre più grandi e saporiti.
Attraverso quest’azione costante nel tempo, le diverse generazioni di uomini sono riuscite a modificare a proprio vantaggio la natura e ad accumulare le conoscenze che migliaia di anni dopo hanno dato origine all’agricoltura.
L’azione generata dall’interazione dell’uomo con la natura è doppia. Esiste infatti anche la selezione che la natura stessa esercita sull’uomo, influenzandone le caratteristiche.

“L’ambiente influenzò notevolmente razze, individui singoli, insediamenti, civiltà e migrazioni di tribù, non esistendo in pratica alcuna difesa contro di esso”
Fritz M. Heichelheim, Storia economica del mondo antico

Fu proprio grazie all’azione della natura ed ai cambiamenti climatici, che l’Homo Sapiens ebbe il sopravvento sulle altre specie di ominidi e a dare vita alle società dei cacciatori e delle raccoglitrici. In queste società molto semplici, l’uomo non aveva molti strumenti di lavoro, fatta eccezione di pochi strumenti di pietra o di legno. Vista la bassissima produttività del lavoro, i gruppi erano formati da pochissime persone che si spostavano continuamente su lunghe distanze. In questi gruppi vi era una certa divisione delle mansioni da svolgere, in base al sesso e all’età. Alle donne spettava il compito di raccogliere piante commestibili, gli uomini invece praticavano la caccia e la pesca.

Il ruolo della donna in questa società poteva diventare più importante di quello dell’uomo, perché mentre l’esito della caccia poteva essere incerto, la raccolta dei vegetali assicurava sempre il sostentamento al gruppo. Inoltre, Heichelheim sostiene che alla donna andavano imputate: una maggiore dimestichezza con il fuoco, l’invenzione di un metodo per accendere il fuoco, ed infine l’invenzione delle tecniche per la coltivazione delle piante attraverso il sotterramento di semi o pezzetti di vegetali.

Heichelheim attribuisce alla donna un ruolo essenziale per lo sviluppo dell’umanità, e in una certa epoca può essere stato addirittura determinante. Di fronte ad una possibile scomparsa degli animali di grossa taglia e ad un ridimensionamento dell’importanza della caccia, la donna avrebbe potuto rafforzare la sua posizione all’interno della famiglia, favorendo uno sviluppo matrilineare delle tribù del neolitico.
È importante sottolineare a sostegno di questa tesi che a partire dal neolitico nelle società basate sull’agricoltura sono numerosi i culti di divinità femminili, come quello di Iside, Isthar, Cerere, Demetra, Aveta, Latonia, Gea. Le tracce più antiche risalgono a ventimila anni fa, riguardano il ritrovamento di un frammento su cui è incisa una figura femminile demoninata “venere di Laussel” in Francia. Dal sito archeologico di Catal Huyuk in Turchia proviene una dea madre risalente al 6.000 a.C. invece al 4.000 a.C. risale una delle veneri ritrovate a Malta.

“la donna apprese infine il metodo corretto della piantagione e della coltivazione, rafforzando la propria superiorità economica sull’uomo.”
Fritz M. Heichelheim, Storia economica del mondo antico

Questo vantaggio relativo della donna sull’uomo, nel lungo periodo si ridusse. L’uomo imparò a coltivare la terra e alla donna spettarono nuove mansioni.
Quando la produzione agricola permise il sostentamento di uomini non dediti all’agricoltura, alcuni di essi si specializzano nella trasformazione e produzione di beni non di prima necessità. Nasce quindi l’artigianato. Successivamente, quando le merci incominciavano a valicare le frontiere nazionali e la produzione di plusvalore diventa più importante della produzione delle merci, diventa necessario ridurre i tempi di produzione ed aumentarne il volume complessivo.
Si sviluppa così la manifattura, in cui vige una divisione dei compiti tra i vari lavoratori. Con l’avvento della macchina nella produzione, ha inizio l’ultimo stadio, quello dell’industria vera e propria.
Affermare l’importanza che ha avuto l’utilizzo degli strumenti di tipo artigianale e successivamente delle macchine, vuol dire confermare il dominio che ha assunto gradualmente l’economia sull’evoluzione delle forme sociali. Ne segue quindi che tutte le lotte in seno all’umanità, sono battaglie per il controllo delle forze produttive e per il monopolio delle nuove tecnologie.

“La tecnologia e la scienza non sono un frutto inevitabile di una legge di natura; esse determinano e sono determinate dall’ordine sociale dato… lo sviluppo tecnologico non è una collezione di oggetti che sarebbero stati comunque inventati, è invece la storia degli uomini che con la scienza e la tecnologia lottano contro la natura per dominarla, ma al tempo stesso entrano tra di loro in rapporti sociali conflittuali di classe, dai quali sono dominati”.

Sviluppo tecnologico ed interazione uomo - ambiente sono gli elementi che caratterizzano il progresso umano. L’uomo attraverso la pratica è riuscito a modificare il suo rapporto con la natura. Le condizioni determinate da esso sono state la base di partenza per nuove innovazioni tecnologiche. L’uomo diversamente dalle altre specie animali è riuscito ad elevare progressivamente la quantità di risorse di cui poter disporre: l’alimentazione carnea, il fuoco, l’abitazione, l’agricoltura, la forza animale, gli attrezzi e le macchine.

L’organismo umano come una macchina, consuma energia che deve essere reintrodotta dall’esterno. Giornalmente un uomo consuma circa 2500 calorie ricavate dall’ambiente attraverso i prodotti della natura. La parte più consistente viene chiamata energia metabolica che equivale a circa i 2/3 del fabbisogno giornaliero, viene utilizzata per il mantenimento di tutte le funzioni vitali. La parte restante costituisce l’energia produttiva, e sono le calorie impiegate in attività extra corporee, come l’attività lavorativa o sportiva, oppure viene trasformata in grasso se non consumata.

Quando il livello tecnologico è molto basso, tutta l’energia produttiva è impiegata nella ricerca del cibo, come per esempio nelle società formate da cacciatori raccoglitori. Un’altra quota consistente viene bruciata per produrre calore necessario a riscaldare il corpo. L’uomo per poter sopravvivere ha imparato col tempo a servirsi di sussidi energetici. I primi ominidi vivevano in zone calde perché potevano disporre di pochissime fonti energetiche. Con il tempo attraverso l’utilizzo di utensili di pietra vi fu un importante aumento dell’energia ricavabile dai vari prodotti della caccia.

La carne andava ad arricchire l’alimentazione e le pelli utilizzate come indumenti o come stuoie. Allo stesso tempo per gli uomini incominciò a decadere l’utilizzo di caverne come riparo notturno, il quale fu sostituito dalla costruzione di capanne. Il cambiamento fu possibile anche grazie all’utilizzo del fuoco, che permetteva l’adattamento nella savana, dove l’escursione termica notturna raggiunge temperature molto basse.
Per tutto il Paleolitico il massimo dell’energia ottenibile, sarà fornito dalla combustione di legname, per un massimo di energia totale disponibile di circa 4000 - 8000 calorie. Soltanto con lo sviluppo dell’agricoltura che iniziò 10 mila anni fa, vi fu un altro aumento dell’energia disponibile, che raggiunge le 10 mila calorie. Questo aumento si ebbe grazie ad un maggiore sfruttamento delle risorse del terreno, con l’elaborazione di tecniche e l’ausilio di strumenti utili per l’impianto e la raccolta sistematica di prodotti naturali.

L’invenzione dell’aratro, e la tecnica del “debbio”, che migliorò la concimazione del terreno, hanno origine in quell’epoca.
Insieme all’agricoltura si sviluppò anche l’allevamento. In questo modo gli uomini poterono usufruire di una forza molto superiore a quella umana, impiegabile, o per il lavoro nei campi o nel trasporto . Alcuni animali sono in grado di esprimere una forza superiore sette volte quella umana. Questi animali sono: il bue, l’asino, il mulo, il cavallo. Altri animali che ebbero un utilizzo limitato, soprattutto nel trasporto, furono: il cammello nei deserti Africani, il lama in America Latina, le renne nell’Europa del nord. L’uso del bue e dell’asino risale circa al 4000 - 3000 ac, mentre il cavallo al 2000 ac. È possibile che l’invenzione della ruota, risalente al 3000 ac, sia legata all’addomesticamento del bue, come primo sistema di trasporto.

C’è però un animale che batte tutti per la sua precocità nell’addomesticamento, il cane. L’addomesticazione di questo animale secondo alcune fonti risale a circa 14 mila anni fa. Il reperto archeologico più importante fu scoperto in Israele, dove in una tomba risalente a 12 mila anni fa, venne trovato insieme ai resti di un uomo anche lo scheletro di un cucciolo di lupo o di cane. Questo atto simbolico è la testimonianza di come già a quell’epoca i canidi svolgevano un ruolo importante nella vita degli uomini.

Le teorie sull’addomesticamento di questi animali sono due. Per alcuni studiosi gli uomini selezionarono fra questi animali quelli più mansueti e modificando anche il loro regime alimentare, formato di avanzi e non più di prede. Per altri invece furono i cani ad auto addomesticarsi adattandosi a mangiare nei depositi di rifiuti degli uomini. In entrambi i casi il nuovo regime alimentare modificò e la selezione esercitata dagli uomini, modificarono la corporatura di questi animali. Il cranio e i denti diventarono più piccoli in relazione al resto del corpo e anche le dimensioni del cervello diminuirono vista la diminuzione di proteine e calorie non più fornite dalla caccia di altri animali.

Non in tutte le parti del mondo fu possibile utilizzare fonti di energia animale. Nell’America settentrionale, per esempio, dove i grandi mammiferi si estinsero ad eccezione dei bisonti, che i nativi non furono mai in grado di addomesticare, i cavalli, cosi come gli altri animali da lavoro, furono importati dagli spagnoli. In Asia l’utilizzo della forza lavoro animale fu tarda, e risale alla dinastia Ming (1368 - 1644), in cui si ebbe un incremento dell’utilizzo degli animali da tiro, soprattutto bufali. L’attività agricola rimase invece prerogativa del lavoro umano.
Anche dove l’utilizzo degli animali fu maggiore, come in Europa, vi furono delle difficoltà. Il problema maggiore fu, in primo luogo che gli animali divennero un concorrente dell’uomo per il consumo del cibo, e che gli animali ne avevano bisogno in quantità superiori a quelle umane. In secondo luogo che l’energia ottenibile dal consumo dei prodotti secondari come la carne ed il latte è minore dell’energia ricavabile dal consumo diretto dei prodotti principali del raccolto.

Se noi coltiviamo mezzo ettaro di terreno con il mais, il ricavato potrebbe nutrire 8 uomini per un anno. Utilizzando lo stesso raccolto per i buoi, i prodotti secondari sarebbero in grado di nutrire un solo uomo per cinque mesi. Questo significa che una caloria animale brucia ben otto calorie vegetali.
Con l’utilizzo combinato dell’agricoltura e dell’allevamento vi fu un notevole aumento della produttività del terreno, che permise l’aumento della popolazione ed una maggiore diversificazione delle attività umane, nell’artigianato e nel commercio. In questo modo, l’utilizzo degli animali divenne importante anche per lo sviluppo del commercio. Fu possibile per gli uomini arrivare più lontano e disporre di quantità superiori di merci. Allo stesso tempo subì grande stimolo la navigazione, che probabilmente era una pratica dell’uomo consolidata già da millenni, soprattutto per le vie fluviali e lungo le coste del Mediterraneo. Non bisogna dimenticare che la colonizzazione dell’Australia avvenne già 50.000 - 40.000 anni fa.

Le invenzioni successive all’8 mila ac. aumentarono di poco la quota energetica pro capite disponibile, anche se le produttività crescevano. Questo significava che le fonti di energia aumentavano meno velocemente dell’incremento demografico.
Lo sfruttamento delle forze della natura, ed in particolare di acqua e vento, è antichissimo: le prime vele sono utilizzate già a partire dal 3000 ac. Il vantaggio fornito dall’utilizzo di queste due fonti è la loro economicità. Lo svantaggio invece è dato dalla scarsa versatilità delle forze della natura e questo ha significato per gli uomini il piegarsi ai suoi tempi.
I primi strumenti azionati dalla forza dell’uomo risalgono al 7000 ac., questi sono la ruota del vasaio, il tornio, il trapano ad arco, il verricello. Con l’invenzione del mulino ad acqua, lo strumento si trasforma in macchina, in quanto alla forza motrice trasmessa dall’esterno dell’azione umana o animale, si sostituisce la forza generata dalla ruota attraverso lo sfruttamento della corrente dei fiumi.

Le prime testimonianze dell’uso di mulini ad acqua risalgono al I secolo ac.
Strabone, nel 63 ac, parla dell’esistenza di un mulino di proprietà di Mitridate, re del Ponto, a Cabira, sulla costa meridionale del Mar nero.
Antripato di Tessalonica, nell’85 ac, in un suo componimento parla in termini più generali di un alleggerimento del lavoro a cui erano state sottoposte le donne, esautorate dalla macinazione del grano, visto l’introduzione dei mulini per quest’attività. .
Un ultima testimonianza che possiamo ricordare è quella di Vitruvio che, nel 25-23 ac, descrive il funzionamento del mulino nel suo De architettura.

Nel 30 ac. i mulini compaiono anche in Cina, mentre in Europa avanzano lentamente, da sud verso nord fino a raggiungere la Francia, la Germania e l’Inghilterra tra il III e il V secolo. Senza mai sostituirsi completamente all’utilizzo di strumenti più elementari come mortai e pestelli, come testimonia anche Plinio il Vecchio, celebre storico che perì durante l’eruzione del Vesuvio nel 79 dc. Nella sua Naturalis historia ( XVIII, 97) scrive che in Italia accanto a pestelli e mortai esistevano ruote idrauliche e mulini.
Una delle prime testimonianze di mulini a vento risale al VII secolo dc, quando il califfo arabo Omar I, fondatore dell’Impero nazionale arabo e conquistatore della Persia nel 636-42, ordinò ad un persiano di costruire un mulino alimentato dal vento. Un’altra testimonianza risale al 950 e riguarda due geografi persiani che ne descrissero il funzionamento.

Ma gli arabi non furono gli inventori di queste macchine, è molto più probabile infatti che ne abbiano appreso il funzionamento dai Cinesi. I mulini a vento si diffusero laddove le condizioni orografiche dei fiumi (pendenza e portata) e quelle climatiche non favorivano o addirittura ostacolavano l’utilizzo dei mulini ad acqua. Lungo le aride coste del Mediterraneo, nei Paesi poveri di rilievi del nord Europa e nelle propaggini fredde più settentrionali.

Dopo una fase di crisi che investi tutta Europa, l’espansione dei mulini ad acqua riprese verso la fine dell’VIII secolo, dove incominciano ad apparire all’interno di numerosi documenti pubblici e privati e nelle leggi alemanne, bavare, saliche e visigote. Altre testimonianze si hanno in Inghilterra (762), in Irlanda, in Turingia e in Boemia, più tardi e nel XII secolo arrivarono in Scozia e Scandinavia ed in Islanda e Polonia nel XIII.
Intorno al mille i mulini si diffusero attraverso la Spagna in tutto il mondo Arabo, prima nell’Africa Settentrionale e poi in Sicilia (Ibn Hawqal, Il libro delle vie e dei reami, pp.14 e 21).
Le testimonianze sulla diffusione dei mulini a vento in Europa partono dal XII secolo e riguardano la presenza di singoli impianti in Inghilterra, in Normandia e in Sicilia. In Inghilterra nel 1200 erano già 56 i mulini a vento, successivamente arrivarono in Olanda, Danimarca e Boemia. Nel trecento si trovano tracce in Polonia e in Svezia, e alla fine del secolo si trovano tracce anche in Spagna e in Portogallo. Nel 1237 esisteva un mulino a vento anche a Siena, nel 1337 c’è ne un altro a Venezia, nel cinquecento i mulini erano numerosi in Sicilia.

Con lo sviluppo della società feudale e dell’economia curtense ad essa collegata, la costruzione di ruote idrauliche riprese intensamente. Gli artefici di questo processo furono i signori feudali e gli abati dei monasteri, che a partire dal IX secolo fecero costruire i mulini all’interno dei loro possedimenti dai contadini, riuscendo alla fine a vincolarli all’utilizzo traendone grandi profitti.
Oltre alla macinazione del grano e alla frangitura delle olive esistevano 40 diversi impieghi dei mulini ad acqua nei procedimenti industriali, tra cui la fabbricazione della carta, della seta, la battitura dei panni di lana e la lavorazione dei metalli.

Uno dei procedimenti più importanti fu la follatura della lana, che fu resa possibile grazie all’invenzione dell’albero a camme, con cui si otteneva la trasformazione del moto rotatorio impartito dal movimento della ruota, in moto alternato. L’albero motore era fornito di tasselli di legno posti ad intervalli regolari che sollevano alternativamente i mazzuoli e li lasciano ricadere in una bacinella in cui erano immersi i panni di lana. La prima testimonianza risale al X secolo (962) in Abruzzo da dove si pensa si sia diffuso in tutta Europa. Altre lavorazioni sfruttarono l’impiego di questo congegno, nel XII secolo nascono i primi mulini per la battitura della canapa, del tannino, per la conciatura delle pelli, per la macinazione del malto utili per la fabbricazione della birra.

Un altro procedimento importante fu la fabbricazione dei metalli, risalente al XI - XII secolo, in cui la ruota veniva utilizzata nella battitura dei metalli incandescenti. Di questo uso se ne ha traccia in Svezia già nel duecento, mentre in Francia, Danimarca, e Germania a partire dal 1010. Nella prima metà del duecento l’energia idraulica fu impiegata anche per azionare i mantici necessari per soffiare l’aria nel forno durante la fusione. Le prime applicazioni si ebbero in Danimarca, nella Stiria e in Italia nella zona del Bresciano. La temperatura nei forni superava i 1250 gradi consentendo in questo modo la fusione del ferro nei forni; Il rendimento di queste fornaci era doppio rispetto agli impianti tradizionali.

La ruota idraulica aveva mediamente un diametro compreso tra 1 e i 3 metri. Molto spesso si trattava di una piccola ruota di quercia, cerchiata in ferro, costituita da 20 o 30 pale. Soltanto nel ‘500 le ruote incominciarono ad avere anche diametri di 10 metri. La potenza espressa mediamente dai mulini equivaleva a circa 3,5 cavalli vapore e soltanto nel settecento si arrivò a 5-7 cavalli vapore. Normalmente ogni ruota alimentava un singolo impianto, ma esistevano alcuni impianti in cui una sola ruota alimentava due o tre tipi diversi di macchine.
In epoca antica le ruote dei mulini erano orizzontali, ma i mulini medioevali erano tutti verticali, invece le ruote orizzontali rimasero soltanto per impianti modesti. L’energia di una ruota orizzontale non supera quella di un cavallo o di un asino; Inoltre, le ruote verticali avevano un rendimento superiore, che aumentava a seconda se erano alimentate dal basso o dall’alto. Un mulino ad acqua aveva un rendimento cinque volte superiore di due mole manuali azionate da uomini, ed era doppio rispetto ad una alimentata da un animale. I mulini più potenti potevano svolgere il lavoro di 40 schiavi.
Anche i mulini a vento subirono una rotazione dell’albero motore che negli antichi mulini persiani era verticale. I mulini medioevali potevano anche ruotare in accordo con i cambiamenti del vento. La potenza dei mulini a vento variava da 5 a 10 cavalli vapore. In Olanda nel seicento un mulino erogava l’energia di 60 kW/h al giorno, cioè l’energia di 100 uomini. Ma nel complesso la potenza dei mulini a vento era pari ad 1/3 o ¼ di quella delle ruote idrauliche, perché erano molto meno numerosi.

Un’altra fonte di energia importante era quella ricavabile dai combustibili minerali, per millenni gli uomini si erano serviti soltanto del legno come combustibile vista l’abbondanza di foreste da cui trarre legna da ardere. A partire dal ‘500 incominciò ad essere più economico utilizzare il carbon fossile, si passò quindi dall’uso di un combustibile organico ad un combustibile minerale (carbon fossile e torba). Il carbon fossile era quasi sconosciuto nel mondo antico, in Europa incominciò ad essere usato alla fine del XII secolo. Nel duecento veniva estratto in Inghilterra, in Scozia, nei Paesi bassi ed in alcune regioni della Francia. Nel XIII secolo il carbon fossile del Northumberland veniva spedito via mare a Londra e nei Paesi Bassi. La torba veniva già usata nel XI secolo, nel XV secolo in alcune regioni urbanizzate e quindi disboscate, come le Fiandre, tant’è che alcuni giacimenti di torba erano già esauriti. Per tutto il seicento e il settecento, il consumo di carbon fossile in Europa rimase modesto ad eccezione di Inghilterra e Paesi bassi Settentrionali che devono il loro sviluppo allo sfruttamento di queste nuove risorse, che erano abbondanti nel nord-est dell’Inghilterra.

Gli usi in attività industriali furono molteplici: nel settore alimentare veniva usato per la lavorazione del sale, per la birra e per lo zucchero; inoltre era usato per la fabbricazione del vetro, della polvere da sparo, del sapone, negli arsenali e per la cottura dei prodotti dell’edilizia. Più complicato fu l’utilizzo del carbon fossile in siderurgia: carbon fossile e torba contengono quantità elevate di zolfo, che unite al minerale danno origine ad un prodotto scadente. Nessun problema invece per l’utilizzo di questi combustibili nelle fucine, quando il metallo è già solido.

L’utilizzo combinato del carbone e della macchina a vapore diedero grande impulso allo sviluppo industriale, ed ai trasporti con l’invenzione dei treni nei primi anni dell’ottocento. Successivamente con il petrolio e l’energia elettrica (che non è fonte di energia primaria ma un vettore delle altre forme di energia), si completa quel processo di sviluppo delle fonti di energia utilizzabili nel novecento, a cui si deve aggiungere l’energia nucleare scoperta nel ventesimo secolo.

Nonostante l’incredibile passo in avanti fatto dall’umanità in tutti questi secoli, per molti di essi fu la forza degli uomini l’unica ad essere utilizzata. Spesso questa forza veniva utilizzata in maniera coatta attraverso il lavoro schiavile, al punto che il 30 - 35% della popolazione era costituita da schiavi, come nel caso della popolazione Ateniese del V secolo ac e della Roma repubblicana. Ancora oggi milioni di proletari Asiatici e Sud americani vivono in condizioni di miseria equivalenti.

5) IL MODELLO EVOLUTIVO
in applicazione al metodo interpretativo


Ogni Era storica è unica e distinta dalle altre, questa sua particolarità è identificata nel modo di produzione. Se noi volessimo utilizzare un linguaggio matematico, potremmo identificare il modo di produzione come una funzione a tre variabili, queste sono: la base economica, la sovrastruttura politico-giuridica e una sovrastruttura ideologica.
All’interno di questo modello la base economica è la più importante, questa è a sua volta dipendente da altri due fattori, le forze produttive ed i rapporti di produzione. Le forze produttive comprendono “l’insieme delle condizioni materiali della produzione”: materie prime, strumenti, macchinari, ecc. i rapporti di produzione comprendono le relazioni che si formano tra i soggetti impiegati nella produzione.

“…la base economica di un modo di produzione può essere definita come la combinazione, secondo due sistemi di rapporti, dei diversi fattori che intervengono nel processo produttivo, forza lavoro e mezzi di produzione - oggetto e mezzi di lavoro…”

(Terray Emmanuel, Il marxismo e le società primitive)

Riassumendo abbiamo una doppia identificazione del modo di produzione. Esso è in primo luogo identificabile nei rapporti tecnici in esso determinati, o più semplicemente nel livello di appropriazione materiale della natura da parte dell’uomo; in secondo luogo, il modo di produzione è identificabile nei rapporti sociali in esso determinati e nel grado di appropriazione sociale del prodotto. Quindi in conclusione, efficacia tecnica ed efficacia sociale (determinata dal ruolo nella produzione dei rapporti sociali) sono in ultima istanza gli elementi che caratterizzano la “storia”.

La storia degli uomini e dunque determinata dallo sviluppo tecnologico che a sua volta è determinato dallo scontro quotidiano con le forze della natura, ma i progressi raggiunti non sono oggetto di una ripartizione ugualitaria tra gli uomini ma sono concentrati nelle mani di alcuni uomini o di alcuni stati.
Questo non è stato sempre vero, perché esisteva un tempo in cui gli uomini vivevano di caccia e di raccolta, ed ancora prima un epoca in cui gli antenati degli uomini vivevano soltanto di vegetali, in queste epoche primordiali esisteva un modello economico fondato sulla ripartizione ugualitaria dei prodotti chiamato “comunismo primitivo”, dove tutti i membri di un nucleo familiare o di una tribù svolgevano le mansioni secondo le proprie capacità ed i prodotti venivano ripartiti secondo i bisogni di ognuno. In un tempo ancora più lontano, prima che l’uomo esistesse, la natura preparava le condizioni necessarie affinché si sviluppasse la vita sulla terra, e da questa gli uomini si emancipassero fino a raggiungere il gradino più alto dell’evoluzione.

L’epoca in cui viene fatta risalire l’origine di ogni cosa è chiamata “Era Arcaica” e risale a 4 miliardi e 700 milioni di anni fa, invece i primi fossili di organismi viventi risalgono soltanto a 2 miliardi di anni fa.
Dopo un miliardo e 430 milioni di anni incomincia l’Era Paleozoica o primaria (570 milioni di anni fa), in cui vegetali, pesci, scorpioni, miriapodi e anfibi abitanti dei mari si adattano alla vita sulla terra ferma (periodo Siluriano o Gotlandiano, compreso tra i 437 e i 395 milioni di anni fa).
Dopo altri 320 milioni di anni c.a. prendono forma le catene montuose, ed i rettili fanno la loro comparsa per la prima volta ( Permiano, 280 - 225 milioni di anni fa).
l’Era Primaria dura 345 milioni di anni, l’era Mesozoica o Secondaria dura 160 milioni di anni ed incomincia da circa 225 milioni di anni fa. In questo periodo si vede lo sviluppo dei grandi rettili o dinosauri fino alla conquista dell’intero habitat terrestre e dopo altri 160 milioni di anni la loro estinzione.

Nel Triassico (225 - 190 milioni di anni fa) quando ancora i dinosauri sono padroni della terra, del cielo e dei mari fanno la loro prima comparsa i mammiferi, esattamente quattro miliardi di anni e mezzo dopo l’inizio dell’era primaria e un miliardo e 700 milioni di anni dopo l’inizio delle prime forme di vita.
Nel Giurassico (190 - 136 milioni di anni fa) si sviluppano gli uccelli e dei primi marsupiali. Nel Cretaceo (136 - 65 milioni di anni fa), si trovano i primi mammiferi placentari con una dentatura di tipo insettivoro.
Dopo i 65 milioni di anni con l’inizio dell’Era Cenozoica o Terziaria, l’ambiente terrestre vede una svolta di fondamentale importanza con la diffusione dei mammiferi in ogni luogo.
* Nell’Eocene, compreso tra i 65 e 37 milioni di anni, caratterizzato da un clima caldo e tropicale, scimmie e proscimmie si diffondono anche in Europa.
* Nell’Oligocene, tra i 37 e i 26 milioni di anni fa, si formano le catene montuose Alpino Himalaiane, ed i Africa compaiono le prime forme più evolute di primati: Parapiteco, Propliopiteco ed Egittopiteco.
* Nel Miocene (26 - 5,2 milioni di anni fa) il clima diventa subtropicale, quindi molto più arido. Si sviluppano nel sottordine delle scimmie (anthropoidea) forme con caratteristiche ominidee: i Driopitecidi euroasiatici, il Proconsul, il Ramapiteco indiano, il Kenyapithecus.
* Nel Pliocene (5,2 - 3,1 milioni di anni) il clima diventa più temperato, la flora diventa più simile a quella attuale e compaiono il Gigantopiteco e l’Oreopiteco.
* Dopo i 3,1 milioni di anni inizia l’Era quaternaria, che è suddivisa nel Pleistocene ( 3,1 milioni di anni b.p. - 10.000 a.c. ) e nel olocene (10.000 a.c. - oggi). Il pleistocene comprende il paleolitico, mentre l’Olocene comprende tutte le epoche successive: Mesolitico, Neolitico e l’età dei metalli fino ai tempi storici nostri.

* Nel paleolitico inferiore (3,1 milioni - 200.000 anni b.p. ) vi è la comparsa dei primi ominidi.
L’Australopiteco, il più conosciuto, è comparso intorno ai 3 milioni di anni, mentre l’Homo Habilis compare intorno ai 2 milioni di anni, quest’ultimo si distingue dalle specie precedenti per il volume del cranio che ha raggiunto i 600 - 700 cc. Era in grado di fabbricarsi degli arnesi e viveva in ambienti riparati come le grotte.
* Dopo i 1,5 milioni di anni compare l’Homo Ergaster in Africa, qualche centinaia di anni dopo arriva in Europa ed in Asia dove evolve separatamente in una nuova specie, l’Homo Erectus. Questi ominidi conoscevano perfettamente il fuoco e sapevano adoperarlo, le tecniche di lavorazione della pietra erano più raffinate, dando origine ai primi bifacciali.

L’affermazione di nuove specie coincide con dei progressi tecnologici sempre più importanti, nel lungo periodo ha favorito un lento passaggio da un economia naturale ad un economia primitiva. La prima basata principalmente sul consumo incosciente di prodotti vegetali forniti dall’ambiente, regolato essenzialmente dalle esigenze primarie del gruppo o del branco. La seconda basata sulla raccolta non più casuale di prodotti vegetali ed in un secondo periodo sul consumo di carne animale e sulla caccia di piccoli animali.
Nel passaggio da uno stadio all’altro si sono sviluppate gradualmente alcune delle caratteristiche umane:

* la visione frontale, sviluppatasi già in alcune scimmie, necessaria per la valutazione delle distanze e per saltare da un ramo all’altro.
* il bipedismo, caratteristica che in alcuni mammiferi come gli orsi o i suricati è temporanea, necessaria nella savana per guardare più lontano.
* l’acquisizione di una maggiore manualità e ad una notevole comprensione dell’ambiente in cui vive.

I cambiamenti delle caratteristiche fisiche sono conseguenza indiretta dell’azione della natura. L’ambiente, modificandosi attraverso le sue variabili, crea sempre nuove situazioni a cui la fauna nel suo insieme si adatta attraverso la “selezione naturale”. Gli elementi che meno si adattano alle nuove condizioni hanno come alternativa trovare un ambiente più consono, quando questa possibilità gli è preclusa soccombono. Gli altri elementi che in principio sono un esigua minoranza se riescono ad adattarsi si moltiplicano, generando dopo alcune generazioni una nuova varietà o addirittura una nuova specie. Il comportamento umano, così come quello animale, di fronte alle avversità della natura manifesta l’antagonismo, chiamato anche istinto per la sopravvivenza, tuttavia in molti casi è più redditiva la cooperazione che l’antagonismo, rendendo l’uomo un “animale sociale”.

Lo studio della genetica ci ha aiutato a risolvere un altro aspetto importante della selezione naturale, quello che riguarda la variabilità delle caratteristiche. Il risultato è stato che il rimescolamento è assolutamente casuale. Riassumendo l’evoluzione umana è dovuta da una parte dal rimescolamento casuale è dall’altro dall’azione dell’ambiente.
L’uomo acquisisce una manualità eccezionale, riuscendo a costruire arnesi di pietra sempre più funzionali, inoltre sviluppava una comprensione dei fenomeni naturali e la capacità di controllarli, come nel caso del fuoco.

* Le due glaciazioni di “Gunz” e di “Mindel” comprese tra i 700 e i 600 mila anni ed i 400 e i 300 mila anni, costituiscono il banco di prova per tutti gli uomini. Le condizioni di vita particolarmente dure dovute ad un abbassamento della temperatura, consentono infatti la sopravvivenza soltanto a quelle specie animali in grado di accumulare le calorie necessarie. Quegli uomini che hanno imparato ad utilizzare il fuoco, che lo sfruttano per riscaldarsi e per cuocere la carne che hanno imparato a procurarsi con la caccia e che sanno costruire capanne, hanno più probabilità di sopravvivenza.
* Durante la terza glaciazione tra i 300 e i 200 mila anni gli uomini hanno ulteriormente affinato le loro capacità, sono in grado di cacciare animali di grossa taglia come orsi e leoni e di utilizzare le loro pelli come rivestimento per le loro capanne, compare una terza tecnica di lavorazione della pietra, chiamata “levalloisiana”, che consiste nel ricavare dalla pietra schegge di forme ovale e con i bordi taglienti.

* Dopo i 100 mila anni con l’inizio il paleolitico medio in Europa si diffondono gli uomini di Neandertal, con il loro avvento si diffuse della cultura del “Musteriano”, che vedeva un impiego di una tecnica diversa che vedeva la realizzazione di schegge tagliate in funzione dei vari usi. Con la glaciazione di Wurm, vi sono segni evidenti di una cultura materiale superiore, in cui si manifestano le prime componenti spirituali, sepolture con offerte di fiori, strumenti e trofei di animali e forse il cannibalismo rituale.

* Dopo i 40.000 mila anni inizia il paleolitico superiore in cui compare in Europa l’Homo Sapiens Sapiens, differente nell’aspetto dei Neandertal, si distingue in due sotto specie i Cro-Magnon e i Combe Capelle.
Si moltiplicano le culture, caratterizzate da numerose tecniche per ricavare strumenti, molto più affilati e taglienti, in oltre si sviluppano tecniche per la lavorazione dell’osso con cui si ottengono arpioni, aghi ed ami. Le sepolture presentano caratteristiche comuni, il defunto è sepolto disteso insieme ad oggetti di uso comune e cosparsi di ocra rossa. Inoltre sono in grado di eseguire pitture rupestri e graffiti, i cui resti sono ancora oggi visibili. Questi uomini vivono in grotte oppure in capanne coperte di pelle all’interno di villaggi stagionali.

* Intorno ai 25.000 anni durante la glaciazione del Wisconsin lo stretto di Bering emerge dalle acque permettendo agli uomini di emigrare nelle Americhe e colonnizzarle.
* Tra i 20.000 e i 18.000 anni maturano nuove tecniche di lavorazione in Francia con i periodi Gravettiano e Perigordiano e successivamente Solutreano in cui vengono costruiti aghi in osso provvisti di cruna e punte peduncolate in grado di esse utilizzate come punte da freccia, in questo modo la caccia si arricchisce di un nuovo strumento l’arco.
* Dopo i 15.000 anni si costituisce un nuove periodo detto “Maddeleniano”, in cui si sviluppa la lavorazione dell’osso e dell’avorio, mentre trova le sua massima espressione l’arte rupestre.
* Intorno ai 12.000 anni in America di differenziano numerose tecniche per la scheggiatura della pietra, che danno vita a numerose culture come Sandia, Clovis, folsom, Cochise e Gipsum Cave.
* Il Mesolitico inizia intorno ai 10.000 anni a.c., si può intendere come un periodo di transizione tra il paleolitico ed il neolitico nel quale il clima è più mite rispetto all’era geologica precedente, dove si trovano ancora società dedite alla caccia e raccolta mentre altre insediate nella mezzaluna fertile incominciano ad addomesticare gli animali e a praticare l’agricoltura. L’arte nel Mesolitico si impoverisce e diventa più rozza, si tratta di ciottoli e schegge di dimensioni ridotte, con su segni dipinti con l’ocra rossa: tale arte e detta “microlitica”.

* A partire da 8.000 anni a.c. inizia il Neolitico, un epoca che potremmo definire di “rottura” per i cambiamenti che vanno consolidandosi nella vita degli uomini, al punto tale da essere definita da molti la “rivoluzione del neolitico”.
Il primo effetto tangibile di questa nuova era è un considerevole aumento della popolazione, con tutti i fenomeni di migrazione connessi, ed un consistente aumento della densità di abitanti per kmq. Grazie all’aumento della popolazione ed all’aumento della specializzazione di ogni uomo, l’attività umana si specializza verso quattro attività fondamentali:
* Nasce l’agricoltura ed i primi animali vengono addomesticati
* Vengono elaborate nuove tecniche di lavorazione della pietra
* Si sviluppa l’arte della lavorazione della ceramica
* Nascono le prime forme di circolazione di beni in forma di “dono”.

I motivi che hanno spinto alcune popolazioni ad abbandonate una vita errante ed una alimentazione basata sulla caccia di animali selvatici ed alla raccolta di vegetali spontanei possono essere molteplici. Bisogna fare una considerazione preliminare, perché abbandonare un sistema di vita consolidato nelle generazioni passate, e che assicura subito il massimo di energia ricavabile dall’ambiente e invece adottare un sistema in cui il tempo trascorso tra l’impiego e lo sfruttamento dell’energia è molto lungo e soprattutto dall’esito incerto.
Sicuramente chi ha incominciato a praticare l’agricoltura vi è stato costretto per l’impoverimento di quelle risorse naturali a cui l’uomo ricorreva più spesso, la scomparsa dei grandi mammiferi può avere influito molto. L’aumento della popolazioni locali o il mutato rapporto con le risorse disponibili, può che ha fatto spostare gradualmente l’interesse degli uomini sull’alimentazione vegetale sviluppando un abitudine alla sedentarietà, necessaria per controllare il proprio lavoro e per far si che altri non se ne approprino.

Come causa principale quindi una crisi di squilibrio, dovuta ad una crescita della popolazione non seguita da un eguale crescita delle risorse umane a disposizione, esistono delle concause che possono aver aiutato questi uomini a cambiare sistema di vita. Prima di tutto che la proporzione tra specie addomesticabili e quelle selvatiche incominciasse a pendere dalla parte delle prime rendendo molto più facile il compito dei coltivatori e soprattutto una maturazione di un progresso tecnologico nell’ambito della raccolta, nelle trasformazione e soprattutto nella conservazione del cibo, la falce, i cesti, i mortai, i pestelli e le mole, i metodi di essiccazione ed i silos risalgono tutti allo stesso periodo, sono posteriore all’11.000 a.c.

L’agricoltura ha preceduto di poche migliaia di anni l’allevamento, nelle prime civiltà che adottarono questi sistemi e sono l’una conseguenza dell’altra. L’addomesticazione di animali selvatici ha come scopo principale non tanto di servire come riserva di grassi a cui poter accedere, ma di aiutare gli uomini nei lavori più faticosi, gli uomini la dove esistevano animali ad assolvere questi compiti, sono riusciti ad addomesticare gli animali. Questi sono prevalentemente mammiferi, il bue in India, il cavallo in Asia, il lama in America Latina, i cani per le regioni nordiche. Altri popoli che non avevano animali adatti, non sono riusciti in questo compito, è il caso degli Indiani americani, che non avevano nessun mammifero di grossa taglia a disposizione, visto che i cavalli su cui spesso sono ritratti furono importati in America dagli Spagnoli.

La forza degli animali e superiore in alcuni casi a sette volte rispetto a quella umana, questo rende possibile aumentare la quota di energia disponibile per ogni uomo a 8000 - 10.000 calorie pro capite, una quantità di forza in più che ha permesso di lavorare la terra più velocemente, con meno fatica e su un volume superiore, gli animali d'altronde devono essere alimentati ed ogni capo di bestiame mangia per molti uomini, questo significa che non era possibile mantenere questi animali senza praticare un agricoltura che ne permettesse il sostentamento.
L’uomo doveva produrre per se, per i suoi familiare e per le bestie che era in grado di mantenere, non solo quando gli uomini incominciarono a raccogliersi stabilmente attorno ai primi villaggi, la maggioranza di loro fu in grado di alimentare una minoranza con le relative famiglie. Questi ultimi non erano più dediti all’agricoltura, ma si specializzarono in altre mansioni, come la stregoneria o l’artigianato, nascono così nuove tecniche di lavorazione della pietra, aumentano i materiali impiegati, i manufatti diventano sempre più particolareggiati o addirittura belli, come nel caso delle ceramiche. Questi manufatti resi unici dalle mani dell’artigiano diventano all’esterno delle tribù merce di scambio con altri popoli, spesso nella forma del dono rituale, che aveva lo scopo di rinsaldare l’amicizia tra due popoli confinanti.

Non in tutte le parti del mondo esistevano le stesse condizioni di partenza, per questo motivo l’agricoltura si diffuse soltanto in poche zone iniziali da dove si diffuse nelle altre successivamente e in tempi differenti. La varietà delle specie vegetali è sorprendente, queste sono più di 200 mila, il problema è che la maggioranza non è adatta ad essere coltivata, purtroppo soltanto poche migliaia sono commestibili e di queste soltanto qualche centinaia sono addomesticate. Da quest’analisi è facile trarre le conseguenze, scoprirono l’agricoltura quei popoli che risiedevano nelle zone dove crescevano le poche piante coltivabili. Oggi la maggioranza della popolazione mondiale si alimenta soltanto con una dozzina di specie vegetali, che costituiscono da sole l’80 % del raccolto annuo terrestre, e tra queste i cereali forniscono da soli più della metà delle calorie consumate dalla popolazione mondiale.
Di questo gruppo fanno parte:

* 5 cereali (grano, mais, riso, orzo e sorgo)
* un legume (la soia)
* 3 tuberi (patata, manioca e patata dolce)
* 2 piante zuccherine (la canna e la barbabietola da zucchero)
* una pianta da frutto (la banana)

Le zone dove queste piante abbondavano erano il Medio Oriente, che fu la prima zona dove si incominciò a coltivare il grano partendo dal suo antenato selvatico, all’incirca nel 8500 ac; la Cina, che qualche centinaio di anni dopo addomestico il riso; i Messicani che a partire dal 3500 ac addomesticarono il mais, i fagioli e la zucca; i Peruviani che nello stesso periodo sulle Ande coltivavano la patata e la manioca. Per ultimi gli indiani degli stati Uniti orientali nel 2500 a.c. incominciarono a coltivare il girasole.
In altre aree la addomesticazione di specie locali spontanee è più incerta ed è forse anticipata dall’introduzione dell’agricoltura da parte di popoli che già la praticavano, queste aree sono: il Sahel, l’Africa equatoriale, l’Etiopia (di cui è originario il caffè) e la Nuova Guinea.

Tutti gli altri popoli che non riuscirono ad adattarsi al nuovo modo di alimentarsi alla lunga vennero cacciati dalla loro terre e sostituiti da popolazioni stanziali che andavano aumentando sempre più di numero.
Tra questi popoli vi erano anche quelli che abitavano l’Europa che vennero cacciati o assoggettati dalle popolazioni arabiche a partire dal 6000 a.c. questi europei coltivando il grano orientale e riuscirono anche ad addomesticare una pianta mediterranea, il papavero, che successivamente venne esportata in oriente. Anche gli indiani a partire dal VII millennio ac incominciarono a coltivare il grano e l’orzo Persiano, gli egiziani a partire dal VI millennio.

Sorgono villaggi di capanne lungo i fiumi in Europa, lungo la valle del Nilo, tra il Tigri e l’Eufrate, nella valle del mediterraneo orientale in Siria. Vengono coltivati il grano e l’orzo utilizzando una zappa, si allevano capre, maiali e pecore. Si afferma il culto della Dea madre, legato alla terra e alla fertilità. Sorgono civiltà fondate sulla divisione del lavoro e sulla specializzazione delle mansioni.
Il periodo interposto tra il neolitico e l’età del bronzo è chiamato Eneolitico, caratterizzato dall’introduzione delle prime tecniche di lavorazione del rame. La lavorazione inizialmente praticata tramite martellatura a freddo, viene successivamente praticata a caldo tramite la fusione. A partire dal 3.500 a.c. si pratica il culto dei morti in grotte artificiali o in camere sepolcrali.
Tra il V ed il IV millennio a.c. si sviluppa una nuova cultura in Europa, questi popoli sono i primi a manifestare la propria ideologia religiosa attraverso delle costruzioni monumentali, a volte anche molto complesse. Le tracce lasciate da questi popoli antichi sono ancora visibili in molte parti in Europa, ma soprattutto nel Regno Unito in Francia ed in Italia (Sardegna e Puglia). Altri segni di questa cultura sono stati trovati in Spagna e nell’Africa del nord. Le costruzioni megalitiche sono monumenti realizzati con grossi blocchi di pietra infissi nel terreno, generalmente divisi in tre categorie:
* il Menhir, costituito da una sono blocco infisso nel terreno in senso verticale.
* gli Stone circles, gruppi di pietre verticali posizionali attorno ad un cerchio.
*i dolmen, due grosse pietre verticali su cui è appoggiata un'altra pietra in senso orizzontale.

Esistono anche altre conformazioni e forme particolari che non sono catalogabili.
La costruzione di questi monumenti era sicuramente impegnativa, per non parlare poi dei problemi del trasporto dei materiali come che nel caso di Stonehenge in cui viene utilizzato materiale reperibile a centinaia di km.

I siti più antichi sono sicuramente in Inghilterra, vi sono almeno 4 siti la cui data di costruzione è anteriore al III millennio ac, tra questi il più antico e Wayland’s Smithy datato tra il 3700 e il 3400 ac. Stonehenge, Maiden Castle e The Rollright Stones sono tutti datati intorno al 3000 ac.
Tra questi il più famoso è Stonehenge costituito all’inizio soltanto da un terrapieno e da alcuni pali infissi nel terreno e pietre verticali, in un secondo momento vennero aggiunte due file di pietre verticali (bluestones) e forma di mezzaluna al centro del sito. L’ultima fase, la più recente (1100 ac), consistette nel inserimento dei triliti.

Si tratta di popolazioni numericamente ristrette, riunite in clan, molto arretrate e senza una scrittura. Questi popoli erano poco dediti al commercio ed all’agricoltura, ed il cui sostentamento era legato alla caccia ed alla pesca.
L’Europa Centro Meridionale, ed il Regno Unito e probabilmente l’Africa del nord procedevano ad un ritmo di sviluppo inferiore rispetto ad un'altra area del mondo costituita dal Medio oriente, forse l’Europa orientale e l’Egitto con tutta i territori che costeggiano il Nilo, tutte terre in cui si praticava l’agricoltura almeno da 5 - 3 mila anni. Questo divario porterà alla formazione di grandi stati in Oriente con grande anticipo rispetto agli Europei.
Nel 3° millennio si svilupparono i grandi stati in medioriente lungo la fascia di terra compresa tra il Tigri, l’Eufrate e le coste del Mediterraneo.
Le forme politiche di queste aggregazioni di uomini sono sostanzialmente due:
In alcune città della Babilonia esistevano alcune comunità di uomini appartenenti ad un medesimo “status”, qui l’egualitarismo che condividevano era manifestato attraverso un assemblea in cui venivano trattati tutti gli affari collettivi, che era presieduta da un funzionario.
La seconda forma politica aveva come centro il tempio o il palazzo e i sudditi erano inquadrati in un ordine gerarchico al cui vertice c’era il sovrano o il sacerdote capo.
Esisteva un sistema di circolazione dei beni organizzato dalle strutture amministrative e soprattutto esisteva una burocrazia di palazzo.

L’economia di questi stati era prevalentemente agricola, quindi le entrate erano costituite dalle decime sui raccolti e dalle rendite costituite dal capitale fondiario di proprietà statale o regia. La produzione artigianale era prerogativa statale, le botteghe erano situate all’interno dei templi e dei palazzi, anche questa garantiva delle entrate unita alle offerte dei re vassalli ed in caso dei templi dalle offerte dei fedeli.
La burocrazia era molto sviluppata, l’amministrazione centrale raccoglieva i generi alimentari che formavano le varie entrate, accantonando una parte nei magazzini e ridistribuendo il resto tra la popolazione. Per tenere in piedi questa organizzazione erano necessari numerosi uomini, che dirigevano, amministravano e controllavano il lavoro, le consegne e i pagamenti. Queste élite oltre a godere di numerosi benefici, erano dipendenti dal palazzo per le razioni di cibo, di olio, di vestiti.
Il numero del personale del palazzo dipendeva dalla grandezza dello stato e dalle dimensioni dei suoi possedimenti, questo si rifletteva anche sull’immagine del sovrano che era ritenuto più potente.

L’accesso agli incarichi di palazzo non era esclusiva di alcuni gruppi, ma dipendeva piuttosto dal talento e dalle azioni personali, il criterio meritocratico garantiva un certo grado di mobilità.
Nei templi invece pesava molto di più la discendenza che influenzavano lo status e la ricchezza.
La forza lavoro era costituita da schiavi o da servi dalla libertà limitata, obbligati a mettere a disposizione tutto il loro tempo o parte di esso e a lavorare per l’autorità centrale.
Lo splendore e il lusso ostentati nel tempio e nel palazzo, richiedevano non soltanto l’importazione di materiali, ma attraevano anche artisti artigiani.
Le donazioni del re, piuttosto che le rendite degli investimenti agricoli e la generosità devota dei fedeli, erano spesso e sopprattutto nell’età tarda, l’unico mezzo a disposizione del tempio per mostrare la ricchezza della divinità.

IL RE

Prima di descrivere le varie realtà, bisogna considerare che la moltitudine di stati succedutesi nel tempo ad una moltitudine di forme politiche differenti e questa variabilità si riscontra anche nei poteri attribuiti ai sovrani ed alle forme di governo che egli riusciva ad imporre. L’altro aspetto importante è la pressione esercitata dalle classi sociali che prendevano forma nel tempo e che influenzavano la politica interna del sovrano.
L’origine divina è la caratteristica più importante che caratterizza il sovrano, ma la percezione da parte del popolo di questa particolarità si concretizza alla fine in una serie di sfumature differenti, in Babilonia da Sargon Di Akkad ad Hammurabi, il nome del re veniva spesso preceduto dal determinativo “dingir” , che significa Dio ed è utilizzato per le divinità. Dai testi di Ur III le statue dei re deceduti ricevevano parte delle offerte nei templi.
Il re Assiro era nel contempo il sommo sacerdote del Dio Assur, e veniva incoronato nuovamente ogni anno, partecipava attivamente o come oggetto a numerosi e complessi rituali.
Il re babilonese era ammesso nella cella di Marduk, una sola volta all’anno e soltanto dopo aver lasciato fuori le sue insegne regali.
Gli anni non venivano contati in Assiria come anni di regno del sovrano, come accadeva in Babilonia, ma col nome di un alto ufficiale che fungeva da eponimo.
La salute del re era considerata essenziale per quella del paese, erano circondati da una moltitudine di indovini e di medici.
Il ruolo del re Mesopotanico in guerra era quello di capo dell’esercito.
Pochissimi re Assiri affidavano un esercito a quel supremo ufficiale militare che era il “turtanu”, che comandava metà dell’intera forza militare.
Tra le responsabilità sociali del re Mesopotamico rientrava la protezione legale dei diseredati.
Con il periodo paleo babilonese scomparve l’usanza di cancellare alcuni debiti, regolare i tassi di interesse, il costo dei servizi essenziali e i prezzi dei prodotti principali.
I contatti con i paesi stranieri in tempo di pace erano ovviamente un privilegio regale.

Il nome del primo re egiziano che riuscì ad unificare le terre del basso e dell’alto Egitto nel 3000 ac è Menes. A questo personaggio mitico si fa risalire Horus Narmer o il suo successore Horus Aha, alcune fonti archeologiche fanno risalire al primo dei due il merito di aver sconfitto in battaglia le popolazioni del delta del Nilo.
Per l’assoggettamento di quest’area furono necessari 150 anni, in cui i popoli delle terre del nord svilupparono il commercio, e le prime forme di scrittura. Con l’aumento della ricchezza e con ascesa di classi dominanti le necropoli, simbolo del potere, diventano più grandi e ricche.

 

L’INTEPRETAZIONE
DELLA STORIA DEGLI ANTICHI
Per uno storico l’interpretazione dei processi si basa necessariamente sullo studio delle fonti, da cui riesce a trarre la base fondamentale per le proprie teorie.

Per uno studio che si svolge nell’ambito dei periodi moderno e contemporaneo, il problema a cui si va sistematicamente incontro e di dover prendere in considerazione una serie considerevole di fonti diverse (letterarie, statistiche, giornalistiche, ecc.). Questo overflow di notizie porta ad una restrizione del campo di ricerca ed a una cernita di quelle fonti che possono essere più autorevoli o comunque più genuine.

Per chi si occupa dell’antico, il problema è diverso, le fonti su cui fare affidamento sono scarse ed avvolte di dubbia interpretazione, è dunque spesso necessario fare affidamento sulle scarse fonti letterarie tramandateci dagli antichi e i frammenti del passato portati alla luce dall’archeologia.

La storia dell’ interpretazione delle fonti antiche è la storia del metodo scientifico che ha preso corpo nel corso dei secoli, nato dall’esigenza di dare coerenza ed unicità all’interpretazione del passato ormai lontano.
I primi a fare i conti col passato, furono i romani, che per primi si posero il problema di comprendere il passato attraverso le spoglie sopravvissute al loro tempo.
Varrone attraverso la sua opera “Antichitates divinae et humanae”, rende quello che fino a quel momento era stato esclusivamente oggetto di puro collezionismo da parte di consoli e generali, la base essenziale di una ricerca storica sistematica, basata sullo studio della lingua, della letteratura e dei costumi.

Dopo i secoli bui del medioevo a partire dal 1500 anche grazie ad una serie di leggi emanate dai pontefici atte a regolare gli scavi dei siti archeologici riprende lo studio dell’antichità combinato tra testimonianze letterarie, archeologiche ed epigrafiche, con preferenza per i testi letterari ed epigrafici.
Erano quindi le testimonianze scritte di Livio, Tacito e Svetonio a prevalere rispetto alle altre fonti in quanto questi godevano di un autorevolezza fondata su un principio ritenuto sempre valido che gli antichi avevano visto con i propri occhi ciò che un uomo del seicento poteva solo immaginare.

Le antichità erano considerate come reliquie sfuggite al tempo, queste spoglie antiche per gli storici cinquecenteschi “non parlavano”, quindi non c’era nessuna necessità di utilizzarli come materiale di studio, questo valeva soprattutto per civiltà come quella Romana o quella Greca, di qui esistevano numerose testimonianze scritte, che andavano a formare una storia canonica.
Qualcosa incomincia a cambiare quando oltre alle già citate civiltà diventano oggetto di studio altre realtà europee, per questi ultimi non esistono fonti letterarie prestigiose, quindi è necessario partire da basi differenti per poterle studiare.

L’antiquaria, che fino ad esso era stato culto estetico dell’antico, acquista un valore fondamentale, diventa il fulcro di una ricerca sistematica, finalizzata alla raccolta e al catalogamento dei resti dell’antico, nel corso del seicento l’antiquaria diventa di prima importanza e dalla metà del secolo questa pratica si generalizza e lo studio delle monete, delle iscrizioni e dei resti archeologici incomincia ad avere un senso storico.
“Si cerca di porre la conoscenza storica su basi più sicure, analizzando a fondo le fonti e attingendo, possibilmente, a testimonianze diverse da quelle offerte dagli storici del passato”.

Sempre nel seicento nasce nuova scuola di pensiero, il pirronismo storico, che rimette in discussione la veridicità assoluta due scuole di pensiero formatesi nel corso del secolo, (una basata sullo studio dei testi e l’altra sullo studio dei frammenti), criticandone il radicalismo, nel 1682 Boyle afferma: “non c’è truffa più grande di quella che può farsi sui monumenti storici”.

Se anche l’interpretazione dei monumenti può essere ingannevole, risulta estremamente difficile che si verifichi il caso in cui una gran mole di materiale si dimostri contraffatto, in quanto la forza di questo metodo interpretativo consiste propri nella quantità superiore di materiale che si ha a disposizione.
Matura la concezione di distinguere le fonti letterarie dalle altre fonti quali i documenti, le iscrizioni, le monete e le statue, dando maggiore rilievo agli atti pubblici, perché riportano una data e sono reperibili in grandi quantità.

Nasce l’idea che è possibile riempire i lati oscuri della storia umana, proprio con quei frammenti che sono sfuggiti al tempo e che ora di dimostrano estremamente utili, la storia non è più statica ma diventa dinamica, in continuo mutamento proprio come le scienze che i quei secoli stanno nascendo.

La ricerche sistematica che va maturando, proprio come una scienza non necessita di essere vincolato al principio di “bona fides” , ma all’empirismo delle tecniche di ricerca.
Nel 1697 Francesco Bianchini pubblica “La istoria universale provata con monumenti e figurata con simboli degli antichi”, provando che “le testimonianze archeologiche sono in pari tempo simbolo e prova degli avvenimenti passati”.
Bianchini era un astronomo, amico di Newton, faceva parte di una cerchia di cultori della storia appartenenti alle categorie professionali vicine alla scienza, questi uomini furono in grado di applicare alla ricerca storica il metodo dell’osservazione diretta, dandogli quindi il rigore di una scienza e dei suoi metodi di ricerca.

Nel 1746 nell’opera di John. Aug. Ernesti “de fide historica recte aestimondo” la comparazione sistematica delle testimonianze letterarie con quelle non letterarie viene accettata come criterio ortodosso.
Il passo successivo fu quello di stabilire norme sicure per l’uso di documenti, iscrizioni e monete riguardo sia all’autenticità sia all’interpretazione.
Nascono nuove discipline come la paleantografia greca, perché “vasi, statue rilievi e gemme parlano un linguaggio molto più difficile” da analizzare.
Partendo da linee generali generatesi nei processi evolutivi della storia dell’uomo, si tratta di identificare attraverso lo studio e l’interpretazione rigorosa delle fonti la struttura sociale che genera la sovrastruttura delle società antiche.

Sulle basi di questo metodo di lavoro nasce la storia dell’arte, ad opera di J. J. Winchelmann (1717 -1768), pittore, scultore e disegnatore.
Winchelmann parlava tedesco, italiano, francese, greco e latino antico, cultore dell’antichità ed autodidatta.
La sua opera più importante è: Storia dell’arte antica, con cui vengono gettate le basi della storia dell’arte antica, ed è il primo a dividere l’età antica periodi:
età arcaica
età del sublime
età del bello
età dell’imitazione
età romana
Riesce nell’opera di collocazione dei vari manufatti nella propria epoca corrispondente, mettendo in ordine le fonti e dandone una lettura filologica, (rapportando le notizie di una fonte al reperto), stabilisce un criterio detto “stilistico” o “das wesen”, a cui fa corrispondere le statue e gli altri manufatti, secondo l’età e la provenienza.
In questo modo da un interpretazione universale a cui tutti possono fare riferimento, partendo semplicemente dallo studio dell’estetica, cioè elencando ciò che di caratteristico hanno gli oggetti in esame.
Con questo criterio Winchelmann riesce ad uscire dalla concezione antiquaria, fondata sull’accorpamento e il catalogamento dei reperti senza darne un interpretazione.
In riguardo all’antiquaria e alla sua fine ecco ciò che dice Momigliano: “l’idea dell’antichitates e scomparsa perché è scomparsa l’idea corrispondente della storia politica fondata sulle fonti letterarie”.

La disciplina stessa che studia l’età antica, l’archeologia, basa i suoi studi sulle testimonianze materiali (abiti, tombe, oggetti d’uso, prodotti artistici).
Le tecniche di ricognizione comprendono la fotografia aerea e indagini subacquee, prospezioni magnetiche, sistemi televisivi, ecc.
In riguardo alla precisione cronologica, per epoche preistoriche viene usata la bioarcheologia, (lettura degli anelli formatisi nei tronchi delle piante), la misurazione al carbonio, le indagini sui pollini.
Per le epoche storiche antiche il metodo principale per la datazione di materiali resta lo scavo stratigrafico.
Tale tecnica consente all’archeologo di ricostruire a ritroso le distinte fasi di un sito, giungendo a definire la cronologia relativa (in rapporto con i vari livelli) e quindi, mediante lo studio dei reperti (ceramiche, vetri, metalli, ossa, ecc.) e il confronto con tutti gli altri tipi di testimonianze, la cronologia assoluta, ciò l’epoca precisa in cui si sono verificati gli eventi a cui risale il contesto studiato.

Il superamento di una concezione parziale dell’archeologia (quale era quella ancorata a curiosità antiquarie e a criteri estetici o teso al mero arricchimento del patrimonio storico artistico), ha portato alla valorizzazione dei manufatti “poveri”, che costituisco la maggiore parte dei reperti archeologici. Lo studio dei frammenti permette di individuare le caratteristiche standardizzate e di risalire ai luoghi di produzione dei manufatti, la dislocazione dei frammenti consente di studiare i movimenti di merci e dei prodotti agricoli (particolarmente indicativi i resti di anfore e di manufatti da mensa). La forma dei contenitori interessa sempre meno come indizio di attitudini di gusto e stili artigianale, ed è piuttosto studiato sotto il profilo tecnologico, ossia in funzione dei prodotti trasportati.

 

7) IL RUOLO RIVOLUZIONARIO
DEL LAVORO NELL'EVOLUZIONE UMANA
* IL DARWINISMO SOCIALE
* RAZZISMO E SCIENZA
Nel Luglio 1997 è stato pubblicato in Italia il libro La rivolta della ragione, filosofia marxista e scienza moderna di Alan Woods e Ted Grant che nel capitolo dodicesimo riprende il testo di Engels parte avuta dal lavoro nel processo di umanizzazione della scimmia. L’analisi dei due autori è volta ad integrare i concetti più importanti espressi da Engels con i contributi dei maggiori scienziati del momento. Questo dimostra la veridicità delle teorie evoluzioniste del padre del materialismo dialettico.

Per brevità non riporterò per intero quest’analisi perché in larga parte convergente con il mio saggio “il lavoro e l’origine dell’uomo”. Discuteremo invece di alcune importanti osservazioni non presenti nel mio testo e trattate in questo capitolo.

La prima osservazione interessante che emerge e come la modifica dell’osso pelvico nella donna dovuto alla statura eretta ha influenzato la nascita dei bambini. Abbiamo già visto come gradualmente il volume del cranio è aumentano, ma la dilatazione pelvica impedisce un aumento eccessivo. Per questo motivo tutti i bambini nascono prematuramente. Questo fenomeno è caratteristico soltanto del genere umano. Alla nascita ha seguito un livello di crescita molto basso, anche questa è una caratteristica umana. La crescita rallentata favorisce in apprendimento maggiore che è necessario per assimilare le tecniche e le regole complesse della nostra società. Naturalmente questo valeva anche per il passato. Il significato di questa affermazione è che la famiglia è un caratteristica della specie umana molto più antica di quello che si può pensare. La famiglia insieme alla produzione di attrezzi, all’inizio di prima divisione del lavoro tra uomini e donne e al linguaggio (anche se primitivo) furono gli elementi che contraddistinsero gli esordi dell’umanità.

Dicono i due autori che tutto ciò non avvenne in base a un processo lento e graduale, ma vi fu un ulteriore balzo rivoluzionario.
Un’altra caratteristica analizzata è la differenze di dimensioni tra i maschi e le femmine dei primati. Per alcune scimmie la differenza è notevole, lo stesso rapporto lo si trova anche per gli Australupitecus Afarensis. La differenza è tale che gli scopritori pensarono a due specie diverse. Per gli scimpanzé il discorso è differente, i maschi non sono più grandi delle femmine del 15 – 20%. È ragionevole pensare che anche nei primi Homo Habilis, o comunque negli Ergaster vi era lo stesso rapporto.

Questa differenza apparentemente centra poco con il discorso che stiamo facendo, ma in realtà questa differenza fisiologica è il risultato dell’azione della natura su una caratteristica importante. L’attaccamento alla famiglia e l’organizzazione sociale. Vediamo perché: nelle altre specie di primati, come i babbuini della savana, i maschi lasciano il gruppo originario appena raggiunta la maturità sessuale essi migrano in altri gruppi entrando in competizione con gli altri maschi. Per questo motivo la mole di questi maschi è aumentata considerevolmente rispetto alle femmine. Gli scimpanzé maschi al contrario restano nel gruppo originario mentre le femmine cambiano gruppo. il “legame genetico” porta ad una maggiore collaborazione e la dimostrazione più evidente è nella crescita più contenuta dei maschi rispetto alle femmine. Lo stesso rapporto tra uomo e donna riscontrato nel genere homo rispecchia certamente un cambiamento intervenuto nell’organizzazione sociale.

Per Alan Woods e Ted Grant questo cambiamento ha una relazione con il consumo di carne e con l’aumento del volume del cervello. Quest’ultimo consuma il 20% dell’energia prodotta dall’organismo, nonostante costituisca soltanto il 2% del peso totale. Questo grande apporto energetico era possibile soltanto con l’alimentazione carnea, dove si trovano già pronte calorie, proteine e grassi.
Il focolare inoltre attraverso la condivisione del cibo avrebbe favorito lo sviluppo del linguaggio, della reciprocità sociale e dell’intelletto.
Anche in merito al linguaggio si fa un discorso interessante. In particolare il linguaggio umano si differisce dalle altre forme per una sua caratteristica particolare. L’uomo riesce a dare un significato specifico a quello che dice. Questo perché l’uomo riesce ad articolare suoni più complessi grazie all’uso delle consonanti.
Anche questo è un prodotto della stazione eretta. In primo luogo perché l’uomo ha bisogno di tenere la testa in posizione eretta e bilanciata in allineamento con la spina dorsale. Anche il ridimensionamento della mandibola umana ha questo scopo. Un'altra differenza riguarda la posizione della lingua che invece di essere situata completamente all’interno della bocca, ha una parte all’interno della gola andando a formare la parte posteriore del tratto orofaringeo. La mobilità della lingua consente la modulazione della cavità orifaringea. “La forma dell’apparato vocale e la capacità fisica di combinare vocali e consonanti sono i presupposti fisici del linguaggio umano, ma niente di più. Solo lo sviluppo della mano, connesso inscindibilmente con il lavoro e la necessità di sviluppare una società altamente cooperativa, ha reso possibili l’aumento delle dimensioni cerebrali e del linguaggio”.

Una traccia remota della relazione tra linguaggio e manualità per alcuni è riscontrabile nello sviluppo iniziale del sistema nervoso del bambino, dove le aree connesse all’uso dei strumenti e del linguaggio sono unite, e soltanto dopo i due anni di vita si separano. “il linguaggio e l’abilità manuale si sviluppano insieme a questa evoluzione si riproduce nello sviluppo odierno dei bambini”. Per le caratteristiche sopra descritte Alan Woods e Ted Grant ipotizzano che sia stato l’homo habilis a parlare.
L’ultima considerazione è sull’utilizzo preferenziale di una mano rispetto ad un'altra. il 90% degli uomini e delle donne utilizzano la mano destre mentre per le scimmie non vi è una preferenza, vi è un utilizzo paritario delle due mani. Anche in questo caso vi è una relazione tra l’uso di una mano e l’abilità manuale e il linguaggio.
Coloro che usano la mano destra, (ed io non sono tra questi), le funzioni celebrali sono localizzate nell’emisfero cerebrale opposto. Nell’emisfero sinistro si trovano anche i centri responsabili del linguaggio, mentre l’emisfero destro è specializzato nelle capacità connesse allo spazio.
* titolo originale del dodicesimo capitolo dell’edizione italiana
del libro “La rivolta della ragione” di Alan Woods e Ted Grant
NB. Le frasi comprese tra le virgolette sono parte del capitolo dodicesimo
del libro “La rivolta della ragione” di Alan Woods e Ted Grant
Note biografiche sugli autori
Alan Woods, laureato in filologia russa all’università del Sussex, Mosca e Sofia.
Militante del partito laburista britannico dall’età di 16 anni.

Ted Grant, militante della gioventù del partito comunista del Sud Africa. Figura principale del Trotskismo in Gran Bretagna e nel mondo. Nel 1983 è stato espulso insieme alla redazione del settimanale militante fondato da lui stesso dal Partito Laburista britannico. Fondatore del WIL (lega operaia internazionale) e del POR (Partito Comunista Internazionale).

 

* IL DARWINISMO SOCIALE
* QUANDO IL RAZZISMO DIVENTA SCIENZA

 

L’idea ottocentesca di evoluzionismo rispecchia perfettamente l’ideologia di quel secolo. La selezione naturale di Darwin diventa la “battle of life”, rispecchiando perfettamente d’idea individualista e “borghese” del più forte che ha la meglio sul più debole. Un principio giusto diventa nelle mani dei padroni una strumento di sopraffazione.
La scienza attraverso questo principio può giustificare il colonialismo, la schiavitù, lo sfruttamento della classe operaia. Mai nella storia dell’uomo la scienza ed il razzismo sono stati così vicini come nel darwinismo sociale. L’evoluzionismo è risultato essere più complesso della visione che si aveva due secoli fa.

L’intervento della natura nel processo evolutivo è molteplice, esistono almeno altri cinque tipi diversi di azioni che intervengono su aspetti diversi della vita quotidiana. Oltre alla competizione tra il cacciatore e la preda tanto cara ai darwinisti sociali, vi sono: l’azione esercitata dal clima, le mutazioni casuali, la selezione sessuale, la selezione alimentare ed il lavoro. Ma in quegli anni in cui la logica di spartizione del mondo partoriva il colonialismo che riduceva milioni di uomini alla schiavitù, era logico che soltanto un aspetto venisse messo in risalto. Fortunatamente, l’assurdità di queste teorie malsane sono venute alla luce ed il darwinismo sociale è diventato materiale per i libri di storia.

I pregiudizi arrivano lontano nel tempo, per questi uomini le dimensioni del cervello umano sarebbero rimaste invariate fin dalla nascita dei primi uomini. Questo ebbe una prima conferma anche dal ritrovamento di Pitdown che successivamente si dimostrò essere un clamoroso falso. I primi antenati dell’uomo era nati in Africa ed avevano un cervello grande la metà di un cervello umano. L’azione costante dell’evoluzione ed il cambiamento radicale delle abitudini avevano portato nell’arco di alcuni milioni di anni alla formazione di un cervello più grande e più complesso. Ma questo l’abbiamo già visto! I pregiudizi a tale riguardo rimasero per molto anni e spesso eminenti scienziati vi diedero credito. Si pensò a tale proposito di misurare i cervelli di uomini prestigiosi nella speranza di trovare delle differenze significative in termini di volume rispetto alla media della popolazione. Molti uomini di scienza all’inizio del secolo donarono il loro cervello dopo il loro decesso, ma il loro “sacrificio” si rivelò inutile. Infatti molti di questi, tra cui il matematico Karl Fridrich Gauss, avevano un cervello normale, alcuni addirittura di dimensioni minori (come Einstein - ndr.).
Ma alla pessima figura si aggiunse anche la beffa. Alcuni criminali omicidi avevano un cervello comparabile per dimensione a quello degli eminenti personaggi analizzati. Anzi, alcuni erano addirittura più grandi come l’assassino Le Pelley che aveva un cervello di 1.809 grammi comparabile a quello di Cuvier di 1.830 grammi.

Con la fine ingloriosa di questa teoria non finirono i pregiudizi. Perché nel 1870 Cesare Lombroso si inventò la teoria dell’uomo delinquente >>>> dando così origine all’antropologia criminale. In questa teoria criminali, selvaggi e scimmie condividevano una natura selvaggia e violenta. Ed in particolare nei “criminali” si potevano scorgere dei tratti fisiologici caratteristici. La conclusione è che questi uomini alla loro nascita sono già condannati ad un futuro violento, sono regressioni evolutive e come tali possiedono i germi di un passato ancestrale addormentati nella loro eredità. Ma come dice S. J. Gould “la natura scimmiesca fisica può spiegare il comportamento barbaro di un uomo soltanto se le inclinazione naturali dei selvaggi e degli animali inferiori sono criminali”.

La vita selvaggia è sicuramente diversa dalla vita di noi occidentali racchiusi all’interno di quattro solide mura di cemento armato. La violenza è la morte sono elementi caratteristici di queste associazioni di uomini e di animali, non per questo si può parlare di criminalità. Si dimostrarono tali i bianchi che approdarono sulle coste africane, americane o asiatiche. Sicuramente non i selvaggi o tanto meno gli altri primati. Ma la scienza, quando è maligna, vede soltanto alcuni aspetti trascurandone altri. Grazie al suo contributo, fu facile dimostrare che le scimmie o i selvaggi erano pericolosi per il progresso umano e che quindi andavano cacciati (nel senso letterale della parola). Gli eserciti ebbero mano libera ed il risultato lo conosciamo!

I pregiudizi in questo secolo di “sviluppo” non salvarono proprio nessuno. La borghesia aveva bisogno di avere le mani libere, non soltanto il paesi lontani, ma anche in casa propria. Fu così che anche i salariati vennero marchiati dall’infamia dell’evoluzionismo malsano. Questi erano diventati poveri e miserevoli perché avevano perso la competizione sociale e quindi il loro sacrificio era giustificabile.
“i poveri e le vittime erano i deboli; e la loro eutanasia era il modo scelto dalla natura per migliorare la specie”. (J. K. Galbraith,
storia dell’economia. Passato e presente).

L ’autore di queste perle di saggezza fu Herbert Spencer, che contribuì in questo modo alla formazione di una nuova disciplina, la sociologia.

Vediamo nel dettaglio il suo contributo: “mi limito semplicemente ad applicare le teorie di Darwin alla razza umana…solo coloro che riescono ad andare avanti, alla fine riescono a sopravvivere…coloro devono essere gli eletti della loro generazione. (i borghesi, nda)”. “…in parte eliminando quelli di sviluppo inferiore, in parte assoggettando coloro che rimangono all’incessante disciplina dell’esperienza, la natura garantisce la crescita di una razza che saprà nello stesso tempo capire le condizioni dell’esistenza e sarà capace di intervenire su di esse. È impossibile sospendere, sia pure di una minima frazione, questa regola”.
Se Darwin avesse modo di leggere queste parole si rivolterebbe nella tomba.
H. Spencer non parlava tedesco e non era vissuto nella Germania nazista. Era un rispettabile gentleman inglese! Come tale ha contribuito allo sviluppo del capitalismo nel suo paese.

Le radici del razzismo attecchiscono ovunque vi sia da giustificare una logica predatoria di spartizione. Purtroppo.

Anche le democrazie liberali hanno dato il loro contributo di morte. Nonostante tutto, queste idee sono lontane dall’essere dimenticate, anche dopo le barbarie imperialiste del ventesimo secolo. La schiavitù, lo sfruttamento della classe operaia, il razzismo esistono ancora! Ne sono testimoni i 27 milioni di schiavi moderni o i 100 ­ 150 mila schiavi ­ contadini che vivono segregati in veri e propri campi di lavoro perfino negli Stati Uniti d’America (fonte National Geographic). Questo è il moderno contributo che il darvinismo sociale ancora oggi riesce a dare!

8) L'EVOLUZIONISMO E LA SCELTA SESSUALE
Il sesso come non l’avreste mai immaginato

Abbiamo già visto come la selezione naturale attraverso la competizione diretta tra le varie specie e le mutazioni casuali hanno fatto la maggior parte del lavoro nell’evoluzione dell’uomo. Successivamente si è aggiunta l’azione cosciente o incosciente dell’uomo attraverso il lavoro, che ha contribuito ulteriormente allo sviluppo umano.
Resta da analizzare un altro aspetto importante dell’evoluzione, che spesso viene considerato subalterno ma che invece ha avuto notevole importanza nello sviluppo delle caratteristiche umane, la scelta sessuale. L’influenza che ha avuto il sesso nell’evoluzione degli uomini e nella formazione delle sue abitudini.

Le trasformazioni più importanti avvenute negli ominidi sono avvenute con il passaggio dalla vita nella foresta all’adattamento alla savana. Il passaggio da un alimentazione vegetale ad una a base di carne ed il conseguente sviluppo della caccia, sono stati un potente stimolo al cambiamento. Ma come vedremo più avanti è ancora una volta il raggiungimento della stazione eretta la causa maggiore di cambiamento sia fisiologico che sociale.

La base di questo studio è il libro di Desmond Morris,
“La scimmia nuda. Studio zoologico sull’animale uomo”. Da questo testo emerge subito che alcune caratteristiche sociali del uomo che noi consideriamo moderne sono in realtà molto antiche. Un esempio è la tendenza degli uomini e delle donne a formare una coppia. Abitudine consolidata soprattutto con lo sviluppo di tecniche di caccia collettive che tenevano separate gli individui di sesso opposto per parecchio tempo. La necessità di una rapporto consolidato ed esclusivo tra un uomo ed una donna, ha messo in moto l’evoluzione che ha trovato una serie di soluzioni diverse.

La prima differenza tra le abitudini sessuali degli uomini e degli altri primati sta nell’uso dell’atto sessuale. Gli altri primati fanno sesso per procreare, per noi è diventato anche un modo per rafforzare il legame di coppia.
“…la ripetuta consumazione dell’atto sessuale…(è) una sana tendenza evolutiva, profondamente radicata su basi biologiche, propria della nostra specie”.

L’affermazione del sesso come forma di linguaggio manuale è diventato possibile grazie al senso di piacere ricavabile dal contatto tra i corpi. Pelli nude e mani più sensibili hanno arricchito piacevolmente l’atto sessuale di sensazioni piacevoli stimolando il contatto tra i corpi. Il linguaggio espresso dai corpi ha arricchito la fase della penetrazione attraverso una serie di preliminari che stimolano le parti del corpo più dotate di terminazioni nervose: i lobi delle orecchie, le labbra, i capezzoli, i seni e i genitali. Il sesso diventa un arte antichissima sviluppatasi insieme all’evoluzione dell’uomo.
Alcuni caratteri permanenti umani che sono espressione della sessualità si formano con la pubertà. La crescita di peli in alcune aree del corpo come il pube e attorno ai genitali, sotto le ascelle e sul viso per gli uomini. Per le donne il seno aumenta di volume. Tutto il corpo cambia, gli uomini manifestano un ampliamento delle spalle e nelle donne aumenta il bacino. Tutti questi cambiamenti non hanno solo lo scopo di distinguere l’uomo e la donna immaturi da quelli maturi, ma distinguono nettamente il maschio dalla femmina.
Durante il rapporto sessuale e nella prima fase del corteggiamento, una serie di modifiche coinvolgono alcuni organi, dando origine ad una serie di segnali che indicano lo stato particolare delle persone coinvolte.
La pelle grazie all’afflusso di sangue dal centro del corpo, durante l’amplesso e nei preliminari diventa più rossa, le espressioni facciali, attraverso una serie di cambiamenti di umore, sono l’indice più evidente della stimolazione sessuale. Gli uomini e le donne, attraverso piccoli movimenti dei muscoli del viso, sono in grado di realizzare “complesse espressioni facciali” attraverso le quali comunicano il loro grado di eccitazione. A rendere ancora più particolare l’espressione del viso vi contribuisce anche la dilatazione delle pupille.
Le labbra, come vedremo più avanti, svolgono un ruolo importante per il rischiamo sessuale. Ma il loro utilizzo più importante si ha durante il rapporto sessuale e nei preliminari. L’uso del bacio per la stimolazione sessuale è un esclusiva umana, per lo scimpanzé è soltanto una forma di saluto. Fisicamente è reso possibile dalla forma delle labbra umane che hanno acquisito, cioè sporgenti e rovesciate verso l’esterno.
Le labbra, molto prima che gli uomini imparassero a parlare, sono state il centro del linguaggio umano. Questo forma di comunicazione non verbale era come abbiamo visto tattile, ma aveva anche un ruolo visivo. La demarcazione netta dei contorni evidenziano maggiormente il rossore generato dall’eccitazione sessuale. Il ruolo delle labbra non si esaurisce con il sesso, queste nello stato di tranquillità sessuale agiscono come segnali sessuali, attirando l’attenzione del partner sulla presenza di una struttura sessuale tattile. L’importanza di queste segnalazioni visive è evidente quando si analizzano i meccanismi compensatori adottati dalle popolazioni di pelle scura.
Quando il contrasto di colore diminuisce, la capacità di segnalazione visiva si riduce fortemente. Per ripristinare la visibilità le labbra diventano più grosse e sporgenti.

Un’altra forma di stimolazione visiva è offerta dal seno. Così come le labbra anche la forma del seno è particolare della specie umana. L ’importanza di questa zona è aumentata con lo sviluppo della stazione eretta e la perdita dei peli. La nuova visibilità acquisita ha fatto si che questa zona accrescesse le sue funzioni assumendo anche uno scopo di richiamo e di stimolazione sessuale. La forma del seno mette in evidenza i capezzoli, che sono un importante centro di stimolazione femminile. La selezione sessuale ha fatto sì che emergesse nella donna quest’ulteriore fonte di piacere.
In natura ci sono numerosi esempi di animali che imitano loro stessi. Cioè, riproducono in una parte del corpo alcune caratteristiche che sono localizzate in un’altra. Questo è il caso del mandrillo maschio che riproduce sul volto le caratteristiche dei suo organo sessuale. In particolare il naso imita il pene che è di colore rosso con chiazze blu sullo scroto. Questo tentativo è legato all’impossibilità di mostrare i genitali nascosti dalla posizione del corpo. La faccia fallica riesce a supplire a questa mancanza.
Anche nella donna si sono sviluppati meccanismi di auto imitazione.
Bisogna prima fare una premessa. Negli uomini il bipedismo ha sviluppato una prolungata attività frontale. Anche la posizione nel fare l’amore è cambiata dall’avvicinamento posteriore a quella “faccia a faccia”. Anche tutti i segnali sessuali e le zone erogene sono posizionate in modo da facilitare il contatto frontale. L’esigenza di un contatto frontale è dovuta alla formazione della coppia stabile, e alla forte identità riconosciuta nel “compagno/a sessuale”. Sembrerebbe che la natura si sia adoperata in ogni modo, pur di stimolare il legame monogamico.
“L’avvicinamento frontale fa sì che gli imminenti segnali sessuali e le relative soddisfazioni siano strettamente legati ai segni di identità del compagno”.

Questo vale particolarmente per la stimolazione sessuale che per essere completa necessita che i due amanti si guardino negli occhi. Il godimento è maggiore è possibile aggiungere alla penetrazione numerosi tipi di stimolazione tattile che nell’avvicinamento posteriore non sarebbero possibile. Il clitoride soltanto attraverso la posizione classica “faccia a faccia” viene stimolato adeguatamente. Infine, questa è la posizione adeguata per le coppie che vogliono mettere al mondo un bambino.
La teoria “dell’auto imitazione” entra in gioco quando la specie umana sviluppa la stazione eretta. Precedentemente la donna era riuscita a spostare l’attenzione sessuale del maschio verso di lei, sviluppando un bel sedere rotondo. Successivamente dovendo spostare l’attenzione del maschio verso la parte frontale ha preso ad imitare quelle parti che non erano più visibili, le natiche ed il pube. Riproducendole sulla parte frontale attraverso il seno e la bocca.
Oltre agli stimoli visivi il nostro corpo fornisce anche dei segnali olfattivi. Nonostante il senso dell’odorato si è ridotto rispetto alle altre specie, durante i rapporti sessuale è molto attivo. Addirittura gli odori emanati variano nei due sessi. Le donne possiedono il 75% di ghiandole in più.
“Una parte del processo di formazione della coppia, l’innamoramento, implica una specie di impressione olfattiva, una fissazione dell’odore individuale specifico del corpo del compagno/a”.

Anche noi possediamo ghiandole apocrine, anche se molto piccole. Si trovano in diverse parti del corpo, ma si trovano soprattutto sotto le ascelle e nella zona dei genitali. I ciuffi di peli che si trovano in queste zone hanno il compito di raccogliere gli odori. La localizzazione di queste ghiandole nella zona ascellare sembrerebbe insolito. Invece costituisce un ulteriore adattamento “al nostro modo frontale di effettuare il contatto sessuale”. In questo modo il naso del compagno si trova facilmente a contatto con un importante zona produttrice di odori.
Veniamo infine ad un argomento tanto caro alle femministe dei tempi passati, l’orgasmo femminile. Sarebbero felici di sapere che questa è stata una conquista della femmina della nostra specie, visto che nelle altre specie animali non vi sono esempi simili.
Questa “particolare” forma di evoluzione è dovuta al cambiamento delle abitudini sessuali verificatisi nella nostra specie, in conseguenza dello sviluppo del bipedismo. Anzi! Come suo rimedio.
Differentemente da noi il tempo dedicato al sesso dai primati è vincolato dal tempo dell’evoluzione. In questo periodo le femmine ricevono in ogni momento il maschio dominante. Per le scimmie non esiste il concetto di sazietà sessuale, non esiste un orgasmo che pone fine agli impulsi sessuali. Quando il rapporto sessuale finisce la femmina si alza e se ne va, questo è possibile perché non è bipede.

Nella donna invece ci sono due fattori importanti che favoriscono lo sviluppo di un orgasmo femminile. Il primo è che condividere il piacere tende a rafforzare il legame di coppia. L’altro motivo importante è che aumenta notevolmente le probabilità di una fecondazione. Per la femmina bipede l’angolo della sua vagina durante il cammino normale è quasi verticale, le la donna si alzasse immediatamente dopo l’atto sessuale il liquido seminale uscirebbe per la forza di gravità. L’orgasmo lascia la donna immobilizzata il tempo necessario affinché possa essere fecondata. Questo è un caso di reazione pseudo maschile, in cui la donna è riuscita ad imitare l’uomo.
Sia negli uomini che nelle donne esistono caratteristiche latenti che appartengono al sesso opposto…”l’evoluzione quando è necessario, può richiamare una di queste qualità latenti e riportarla in superficie (ma nel sesso sbagliato)”.
La donna ha sviluppato per il clitoride una reattività particolare che implica la stimolazione attraverso un pene abbastanza grande. Questo spiega perché l’uomo supera tutti i primati in lunghezza.
Il comportamento sessuale è influenzato dalle abitudini sociali, che a loro volta variano a secondo dell’ambiente in cui si sviluppano. Nei primati esiste la figura del maschio dominante, che si accoppia con tutte le femmine e caccia i maschi giovani. Nelle comunità umane basate sulla caccia e sviluppate in un ambiente ostile come la savana è necessaria la collaborazione di tutti i maschi disponibili. Per evitare dissapori ogni uomo deve avere la sua donna. Nasce così l’istituzione della coppia.
Ogni figlio o figlia trova un proprio compagno. L’uomo imita il comportamento dei predatori, ma distinguendosi ancora una volta. Mentre per gli altri predatori i genitori e i figli si dividono, gli uomini restano uniti per sviluppare un comportamento fortemente sociale. Gli uomini incarnano contemporaneamente caratteristiche sociali proprie dei primati e dei carnivori predatori.
“una mescolanza complessa di un passato di primati con notevoli modificazioni da carnivori…(è) la natura biologica della bestia che ha plasmato la struttura sociale della civiltà più che il contrario”.

Cosa resta del comportamento sessuale dei primi cacciatori nell’uomo moderno? Praticamente tutto! Tuttavia sono state introdotte numerose restrizioni al comportamento sessuale. Coprire con dei vestiti le zone genitali, segretezza dell’atto sessuale, limitazione dei segnali sessuali, utilizzo di deodoranti fa parte di queste restrizioni.
Non sono però novità assolute. Ad esempio secondo Desmond Morris, l’abitudine di coprirsi, precede l’adattamento degli uomini primitivi in zone più fredde ed ha una funzione antisessuale e di difesa della coppia.
Il comportamento sessuale in alcuni casi può avere delle irregolarità. Cioè può presentarsi in forme diverse da quelle necessarie per la procreazione. Nella nostra società i rapporti umani spesso non sono facilitati, anzi spesso subiscono degli impedimenti. Il sesso non è sicuramente avvantaggiato da questo stato di fatto. Comunque non sempre i danni sono irreparabili, e soprattutto non sempre queste diversità impediscono la riproduzione. In alcuni casi i danni sono irreparabili, (in senso riproduttivo), un esempio è l’omosessualità.
L’omosessualità non è una novità della specie umana, ci sono numerosi esempi nel mondo animali in cui è presente questa tendenza. Ma in nessuna specie, ad eccezione di quella umana, tende a diventare un carattere permanente.

Esiste nei primati la tendenza ad inibire l’aggressività di un maschio aggressivo attraverso l’atto sessuale. Questo è vero sia per le femmine che per i maschi inferiori che vengono montati dai “maschi sessuali”. Lo stesso comportamento si può verificare anche tra due femmine.
“Lo sfruttamento di manifestazioni sessuali in situazioni non sessuali è diventato un aspetto comune della vita sociale dei primati e si è dimostrato estremamente prezioso nel favorire il mantenimento dell’armonia e dell’organizzazione del gruppo”.

Un altro campo in cui si manifesta un comportamento omosessuale negli animali è quando “l’oggetto sessuale ideale” non è disponibile. Se non è disponibile un animale della stessa specie di sesso opposto, la tendenza è a trovare un individuo dello stesso sesso che svolga ugualmente una funzione sessuale. Queste manifestazioni sono soltanto temporanee e tendono a scomparire quando la situazione ritorna normale. Associata o in alternativa all’omosessualità animale vi è anche la masturbazione.

Per gli uomini situazioni di stress sessuale prolungate tendono a modificare definitivamente il comportamento sessuale. “Alcuni stimoli sessuali presenti nel momento della soddisfazione sessuale, diventano strettamente legati a quest’ultima e in meno che non si dica è impossibile che il comportamento sessuale si manifesti senza la loro presenza”. A scatenare queste reazioni “anomale” spesso sono le pressioni sociali derivate da un ambiente affollato e fortemente competitivo. Anche il ruolo dei genitori se non è ben definito può generare confusione.
Tuttavia esistono negli esseri umani dei meccanismi di difesa. In primo luogo vi sono “una gamma di reazioni istintive verso i segnali sessuali caratteristici del sesso opposto” che rendono improbabile che l’uomo o la donna reagiscano con individui che ne siano privi. Inoltre le nostre prime esperienze sessuali essendo sperimentali non sono mai definitive. Quindi anche se durante l’adolescenza si è sessualmente “isolati” per parecchio tempo non sempre si diventa omosessuali.

Le restrizioni imposte nella nostra società necessarie per garantire un lungo periodo di formazione ai giovani può portare a problemi sessuali di vario genere dovuti allo sviluppo del sistema sessuale che non si sottomette ai tempi della cultura.
In conclusione se le manifestazioni sessuali non ostacolano il successo della riproduzione queste non sono pericolose. ”Qualsiasi pratica sessuale, non può essere criticata dal lato biologico purché non ostacoli il successo riproduttivo in genere. Se la manifestazione sessuale più strana e complicata serve a garantire il compimento della fecondazione di una coppia sposata o il rafforzamento del legame tra i due membri, dal lato riproduttivo essa ha svolto il suo compito ed è biologicamente accettabile come la più “corretta” e approvata abitudine sessuale”.

NB. le frasi e le parole in corsivo comprese tra le virgolette
sono degli estratti del libro di Desmond Morris:
"La scimmia nuda. Studio zoologico sull’animale uomo"

 

9) IL SIGNIFICATO
DELL'ARTE RUPESTRE NEL PALEOLITICO SUPERIORE

IL MONDO PRIMITIVO VISTO ATTRAVERSO L'ANTROPOLOGIA,
L'ARCHEOLOGIA E LA STORIA DELL'ARTE

 

1- Collocazione spaziale e temporale

Oggi in Europa si contano 350 località, in cui sono state trovate tracce di dipinti o sculture paleolitiche. In Francia sono stati individuati almeno 160 siti. Alcuni di questi sono veramente importanti: Lascaux, Niaux, Les-Trois-Freres, Font-de-Gaume, Les-Combarelles, Chauvet, Cosquer, Cussac e Rouffignac. Tutti questi luoghi rivaleggiano in bellezza con la grotta d'Altamira in Spagna. Le zone a maggiore concentrazione artistica sono: il Perigord, Quercy (la valle del fiume Lot), i Pirenei e la valle di Chauvet (Ardeche). I Pirenei francesi e la Spagna Cantabrica, possono essere considerati, come un'unica area. Nella zona del Perigord sono concentrati più di sessanta siti differenti: Lascaux, Rouffignac, Font-de-Gaume (importanti per i dipinti), Les-Combarelles e Cussac (per le incisioni), Cap Blanc (per i bassorilievi). Nell'area di Quercy, numericamente meno consistente, si trovano, circa, trenta caverne dipinte. I siti principali sono Cougnac e Pech-Merle. I Pirenei, costituiscono un gruppo numericamente equivalente a quello di Quercy. La maggior parte dei siti contenuti in quest'area risalgono al Magdaleniano, ma alcuni di essi appartengono a periodi precedenti (Gargas, alcune gallerie in Les-Trois-Freres ed Portel). Le grotte e i ripari sono accorpati in piccoli raggruppamenti, come le caverne basche nelle montagne di Arbailles, le tre caverne di Volp e le sei nel bacino di Tarascon-sur-Ariege. Tra queste sono significative: Niaux, Les Trois-Freres, Tuc d'Audoubert, Le Portel, Gargas. La valle del Ardeche, contenente il sito di Chauvet, può essere considerata di secondaria importanza, con circa una ventina di caverne. Altri ripari e caverne sono sparsi in vari luoghi: la caverna Provenzale di Cosquer, Pair-non-Pair nella Gironde, i tre siti di Le-Placard, Chaire-a-Calvin, Roc-de-Sers nel Charente, Roc-aux-Sorciers e le sculture di Angles-sur-l'Anglin nel Vienne, le due caverne di Arcy-sur-Cure in Borgogna, la grotta di Mayenne Sciences in Mayenne, uno o due ripari nella foresta di Fontainebleau ed altre due caverne, compreso Gouy, in Normandia (Clotters, 2002). Nel Sud Italia vi sono alcune grotte istoriate, soprattutto in Puglia, in Sicilia ed in Calabria.

L'arte parietale può essere inserita in un arco temporale che va dal Perigordiano ed il Magdaleniano in Francia ed in Spagna. In Italia oltre al Gravettiano ed Epigravettiano, si hanno anche casi neolitici. Il rinoceronte realizzato nella grotta Chauvet-Pont-d'Arc, risale al primo periodo (31460 +/- 460 BP), le impronte negative della grotta H.Cosquer, appartengono al Perigordiano finale (27110 +/- 390 BP), mentre il bisonte nero trovato nella stessa grotta è stato realizzato nel Solutreano (18010 +/- 190 BP), un altro bisonte nero trovato a Niaux appartiene al periodo successivo, il Magdaleniano (12890 +/- 160 BP), allo stesso periodo appartengono il piccolo bisonte nero della grotta di Altamira (13570 +/- 190 BP) ed un altro bisonte trovato nella grotta di Covaciella nelle Asturie (14260 +/- 140 BP), mentre il suolo di carbone di Lascaux risale al 12.000 a.C. In Italia, le tre figure di cavalli della grotta Pagliacci, risalgono all'Epigravettiano (18.000 BP). Allo stesso periodo, probabilmente, appartengono anche la crosta stalagmitica della grotta di Santa Maria di Agnano (25.000-12.000 BP) e le figure di grotta Paglicci (15.000-20.000 BP), mentre la grotta dei cervi ha soltanto frequentazioni Neolitiche. Le incisioni della grotta del Genovese risalgono al 9230 a.C., mentre quelle del riparo di Addaura al 10.000 a.C. (data incerta). Il bue di grotta Di Romito in Calabria invece risale al 9.500 a.C. Infine le iscrizioni della Valcamonica sono databili a partire dal 8.000 a.C.

Il motivo che determina la scelta di concentrare i luoghi dell'arte parietale in alcune aree, piuttosto che in altre, non è ancora chiaro. Sicuramente, la scelta degli uomini paleolitici, non era condizionata dalla presenza di un numero consistente di ripari e caverne nei territori prescelti. In Francia, luoghi ricchi di grotte e ripari, come la Lingue-doc, Roussillon, la Provenza o ancora le valli nel sud di Quercy e di Aveyron, erano scarsamente considerate dagli artisti paleolitici. Sicuramente esistevano delle motivazioni culturali, legate al mondo magico-rituale che, oggi comprendiamo solo in parte (Clotters, 2002).
2a - Le tecniche

Le capacità artistiche degli esecutori variano moltissimo. Alcune opere sono molto semplici e modeste, mentre altre, per la loro precisione nell'esecuzione, sono sbalorditive. Le tecniche di base utilizzate dagli artisti paleolitici per l'arte rupestre o parietale sono: la pittura e l'incisione. Da un'evoluzione di quest'ultima, derivano i bassorilievi, che sono le rappresentazioni più belle ed impegnative. Tra i bassorilievi più antichi vi sono la Venere di Laussel ed il pesce realizzato sul soffitto della grotta di Abri-du-Poisson, entrambi, appartenenti al Gravettiano (28-20 mila anni BP) e situati nel dipartimento di Dordogne, in Aquitania, ma la maggior parte dei basso-rilievi appartengono ai periodi successivi, Il Solutreano ed il Magdaleniano. Al primo periodo appartengono le incisioni di Roc-de-Sers (Charente) e Fourneau-du-Diable (Bourdeilles, Dordogna). Nella prima, sono rappresentati una decina figure di animali allineati su dei blocchi di pietra, invece, nella Fornace del Diavolo sono raffigurati due bovini selvatici ed una terza figura poco chiara. Invece, le tre figure femminili associate ad alcuni animali, trovati ad Angles-sur-L'Anglin, ed i due grossi cavalli, trovati nel sito di Camp-Blanc, appartengono al Magdaleniano.

Le incisioni più semplici, sono chiamate lineari. Si tratta della più diffusa forma di arte delle caverne. Questa tecnica ha moltissimo in comune con la pittura. Il modo con cui sono tracciati i contorni con limitate sfumature e tipico anche di quest'ultima (Collins, 1980). Una serie di incisioni di questo tipo, tra cui la testa di un cavallo, particolarmente ben fatta, si trovano all'interno di una grotta, presso il castello di Commarque. Questo luogo, anch'esso molto importante, fu scoperto dall'abate Breuil nel 1915. Altre Incisioni si trovano anche nella Grotta di Chabot, su una superficie di 3 per 0,80 metri. Tra i vari segni è distinguibile la sagoma di un mammut. Altri esempi famosi sono: la testa d'orso e la silhouette femminile di Pech-Merle, la testa di cervo della grotta di Pergouset, il bellissimo cavallo di Lascaux, la renna di Les-Combarelles e i bisonti di Mairie-de-Tayjat.

Gli artisti per realizzare le loro opere si servivano di un bulino, per le incisioni più recenti, ma tale tecnica non era conosciuta prima dei 27.000 a.c. In alcuni casi durante gli scavi archeologici sono stati scoperti gli scalpelli, come a Roc-de-Sers. Ad esempio, la renna di Belcayre (Dordogna, 30.000 a.C.), fu realizzata in maniera molto rozza, con un oggetto appuntito, simile ad un piccone. I lineamenti del corpo, realizzati con quest'attrezzo, risultarono molto grossolani, ad eccezione della testa che fu eseguita con una cura maggiore. Un esempio di tecnica più raffinata si trova a Le-Ferrassie, dove le linee furono realizzate attraverso l'incisione di una serie di piccoli fori.

La pittura è il mezzo d'espressione più spettacolare, secondo in bellezza, soltanto ad alcuni bassorilievi. Leroi-Gourhan divise l'arte paleolitica in quattro stili, o periodi. Il primo fu definito "arcaico" per la sua semplicità di esecuzione. Si sviluppò nel Aurignaziano, tra il 30.000 e il 23.000 a.c. Il secondo, sviluppatosi tra il 17.000 e il 15.000 a.c. (tra il Perigordiano e l'inizio del Solutreano), fu caratterizzato dalla rappresentazione completa dei contorni degli animali. NeI terzo stile, definito "manierista" (tra il 17.000 e il 15.000 a.c. ), si sviluppò la ricerca del movimento nella rappresentazione, oltre che ad una maggiore precisione nella descrizione dei dettagli anatomici e l'introduzione della bicromia. Ad esso appartengono le opere di Roc-de-Sers, Lascaux, ecc. Nell'ultimo periodo, definito "il barocco del Magdaleniano" (fino all'8500), si ebbe una maggiore attenzione per i volumi. Le figure assumevano posizioni complesse, dimostrando la conoscenza problematiche tipiche della pittura occidentale. Altamira, Niaux e Rouffignac appartengono a questo periodo (Leroi-Gourhan, 1977).
I colori utilizzati erano soltanto tre: il tuorlo, il rosso ed il nero. Da questi si potevano ottenere una grande varietà di sfumature, come a Font-de-Gaume e Altamira. Il colore rosso era ricavato attraverso la lavorazione dei minerali di ossido di ferro (limonite e ematite), mentre il nero era realizzato attraverso il diossido di manganese. Durante il Musteriano, il minerale era utilizzato in pezzi, simili a dei pastelli. Nei periodi successivi, gli uomini paleolitici impararono a polverizzare i minerali, e ad applicarli sulle pareti, una volta diluiti.

Il colore era applicato sulle pareti con la punta delle dita, in modo da ottenere una fila di impronte digitali, oppure era spalmato quando si volevano realizzare dei tratti continui (Collins, 1980). gli stencil delle mani erano realizzati attraverso l'impiego di una tecnica differente. La tinta, contenuta nella bocca, era soffiata sulla mano utilizzando un corto cilindro in osso. Tale tecnica è stata utilizzata per realizzare le impronte nere e le macchie dei cavalli di Pech-Merle (ibidem).

L'artista nell'eseguire il suo dipinto, in molti casi si limitava a tracciare soltanto il contorno delle figure, come nei siti di Pech-Merle e Cougnac, mentre avvolte ne sfumava alcune parti, ottenendo un effetto policromo di particolare bellezza. Esistono anche degli esempi in cui tutta la figura era riempita di colore, come a Font-de-Gaume, Altamira, Lascaux e Chauvet. Per realizzate le sfumature era utilizzata una spatola o un tampone di pelliccia, con cui era stesa la tinta (ibidem). In un caso, il cavallo di Ekain, fu realizzato un contorno ben preciso mentre la profondità fu realizzata attraverso l'uso del chiaroscuro (Ramirez, 1994). Mentre il bisonte di Marsoulas fu realizzato attraverso una moltitudine di punti rossi discontinui. Lo spettatore poteva percepire il volume dell'animale soltanto ad una certa distanza (Ramirez, 1994).

Non sono rari i casi, in cui, furono associate diverse tecniche artistiche, soprattutto pittura ed incisione. Come sui bassorilievi di Camp-Blanc e Roc-aux-Sorciers dove sono state scoperte tracce di coloranti. Un altro caso particolare, consiste nei bisonti di Tuc-d'Audoubert, realizzati in argilla, sono un esempio straordinario delle capacità artigianali degli uomini paleolitici.
2b - La prospettiva e gli altri espedienti tecnici

La prospettiva è una tecnica utile a dare tridimensionalità ad oggetti rappresentati su una superficie piana secondo un punto fisso detto "punto di vista". La tecnica moderna si basa sull'impiego di raggi immaginari che partono dal contorno di un oggetto osservato ed arrivano verso l'occhio dell'osservatore. L'intersezione di questi con un piano verticale, danno il "quadro".

Il problema della rappresentazione tridimensionale su superfici piane venne affrontato per la prima volta dai Greci verso la fine del V sec a.C. Gli artisti paleolitici non conoscevano la prospettiva, ne gli altri metodi moderni utili a dare profondità alle opere, tuttavia riuscirono ad elaborare delle tecniche particolari, con il quale riuscirono a superare i limiti delle rappresentazioni bidimensionali. Per la rappresentazione degli animali era preferito il profilo laterale, ma spesso, tale metodo limitava la realizzazione di elementi particolari. Un esempio calzante è lo stregone di Les Trois Frères. L'uomo che ha realizzato quest'opera ha dovuto superare la difficoltà di rappresentare elementi particolari disposti su piani differenti, come le corna e la coda, su una superficie piana a due dimensioni. La soluzione venne trovata nel torcere artificialmente la figura. La testa venne rappresentata utilizzando una visione frontale, il resto del corpo attraverso il profilo laterale. L'artista inventò una tecnica che Collins chiama "prospettiva di torsione" (Collins, 1980), utilizzata anche in altre epoche storiche. Gli egizi usavano, spesso, rappresentare il corpo secondo una visione frontale ad eccezione della testa, vista di profilo. Numerosi esempi sono riscontrabili nel catalogo curato da Cristiane Ziegler per una mostra, da lei realizzata, a Palazzo Grassi (Ziegler, 2002). Anche gli artigiani greci, a partire dal VII sec. a.C., impiegavano espedienti simili per realizzare le decorazioni su vari materiali: armi di bronzo, ceramiche, monete e gemme in pietra dura. Tra tutte le ceramiche attiche conosciute, segnaliamo come esempio, un cratere ateniese del 750 a.C. parte di un corredo funebre. Nell'illustrazione della scena funebre rappresentata su di essa, la muta dei cavalli è stata realizzata in modo da dare maggiore profondità alla scena, espedienti simili non sono rari nell'arte paleolitica. L'uso di combinare la testa di profilo ed il corpo di prospetto unito ad una serie di gesti, secondo Alan Johnston, serviva agli artisti greci a creare flusso e movimento (Boardman, 2002). A tale scopo gli artisti Paleolitici avevano adottato anche altri espedienti. Un caso interessante è il cinghiale della grotta di Altamira in spagna (fig. 17a). L'animale è stato disegnato con 8 zampe piuttosto che 4. Alcuni esempi interessanti in cui si è cercato di superare i limiti delle due dimensioni, sono: i tori eseguiti nella medesima grotta ed i cervi della grotta di Lascaux. In entrambi i casi la superficie rocciosa viene utilizzata per dare alla figure volume e movimento. La policromia ed un saggio utilizzo di sfumature, avevano il medesimo scopo di dare profondità ai soggetti. A Font de Gaume e a Lascaux troviamo alcuni esempi.

3 - I temi della rappresentazione

I disegni erano rinnovati ogni anno, sovrapponendo i nuovi ai precedenti. Gli artisti nell'esecuzione dei disegni non seguivano alcun criterio. Non seguivano un unico asse orizzontale, tutti gli elementi avevano angolazioni differenti e non vi era proporzioni tra essi. Non erano raffigurati alberi, piante o elementi topografici. Non vi è nessuna rappresentazione che riguardi gli astri, come il sole e la luna, o nuvole (Collins, 1980).

Le categorie dei soggetti rappresentati sono quattro: figure animali, figure umane, simboli (antropomorfi o geometrici) ed insiemi di linee indeterminate. Leroi-Gourhan realizzò un'analisi sulla frequenza dei soggetti rappresentati, basandosi su un campione di 66 siti. Nel 63 % dei casi si trattava di immagini di animali, tutti i segni insieme erano il 34%, e soltanto nel 4% dei casi furono identificate delle figure umane. L'animale più rappresentato era il cavallo, ed in ordine decrescente, il bisonte, lo stambecco, il cervo, il mammut, e la renna. E' stato notato che, i primi due animali, spesso, erano associati all'interno della stessa rappresentazione. Ma le associazioni tra soggetti potevano variare, anche notevolmente, da sito a sito. A Font-de-Gaume delle 200 immagini individuate, tra animali e simboli, 84 riguardavano soltanto bisonti. Vi sono alcuni luoghi, in cui, i segni sono numericamente più significativi, rispetto alle rappresentazioni animali. Un esempio è la grotta di Niaux, in cui i segni sono tre volte di più numerosi degli animali. Le rappresentazioni umane sono molto meno numerose. Inoltre, nella maggior parte dei casi, si tratta di esecuzioni molto sommarie, in cui è distinguibile soltanto la silhouette. Alcuni tipi di segni sono in relazione al corpo umano, perché ne riproducono alcune parti. Si tratta degli organi sessuali maschili e femminili, e gli stencil delle mani, riscontrabili in numero elevato; A Quercy, nei Pirenei centrali e nella Spagna Cantabrica, sono state scoperte più di 500 impronte di mani.

Gli animali disegnati, appartenevano alla fauna locale. Avvolte l'insieme dei soggetti rappresentava una scena di caccia, ed in casi molto particolari, alcuni di essi venivano trafitti da frecce o colpiti da bastoni o da boomerang (Campbell, 1990). Una scena di questo tipo fu eseguita nella grotta di "Les-Trois-Frères". Al suo interno, è stata scoperta un'intera parete ricoperta di incisioni. I soggetti (mammut, rinoceronti, bisonti, cavalli, orsi, asini, renne, ghiottoni, bue muschiati), furono inseriti in una scenografia completata da una serie di lance scagliate su di essi. In generale, bisonti e orsi erano gli animali più rappresentati nei siti Aurignaziano-Magdaleniani. Su gli orsi, in alcune occasioni, erano rappresentati anche i fori delle ferite (ibidem). Nell'Italia Meridionale il bue sostituisce il bisonte. Un caso particolare sono il salmone di Abri du Poisson ed i tonni della grotta del Genovese.

I simboli, ad eccezione di quelli a carattere sessuale, nella maggior parte dei casi non sono comprensibili. Nei periodi più antichi i simboli vulvari sono a forma di pera, mentre nel più tardo Aurignaziano diventa più comune una forma a triangolo rovesciato. Vi sono anche esempi di falli, alcuni incisi su pietra e uno proveniente dal rifugio roccioso di Blanchard scolpito intorno ad un corno di bisonte. Nel Magdaleniano si diffondono anche le vulve a coda di pesce, falli circoncisi e segni a punta. Nella grotta di Pech-Merle, ed in altri casi, furono disegnate file di dischi, macchie o linee. Nella grotta di Fount de Gaume sono stati scoperti dei segni simili ai tetti a spiovente delle case, e per questo sono stati chiamati tectifomi. In alcuni casi, questi insiemi erano così grandi e complessi da essere definì dagli esperti: "Grandi Simboli". Questi complessi di linee, in alcuni casi erano distinguibili in tre gruppi differenti (Collins, 1980). Per Giedion "tutti i grandi simboli sono deliberatamente oscuri, essi erano destinati ad essere incomprensibili a tutti tranne che agli iniziati" (ibidem).

Fatta eccezione per le rappresentazioni simboliche degli organi sessuali, le rappresentazioni umane sono estremamente rare. I soggetti maschili erano più ricorrenti su piccoli oggetti, come statue, utensili decorati o placche. Tra i rari casi pittorici vi sono gli uomini con le lance situati nelle grotte di Cognac e Pech-Merle.
I soggetti femminili erano più frequenti, la Venere di Laussel (< foto) è forse la più famosa. Le rappresentazioni femminili, soprattutto nell'arte mobiliare, avevano tutte caratteristiche simili. Erano tutte piuttosto grasse, alcune presentano i segni della gravidanza. I glutei erano grandi e molto accentuati (in alcuni casi sono steatopigie, cioè presentano un accumulo di adipe nei glutei, riscontrato nelle donne delle popolazioni boscimane). Il seno era prosperoso. I volti erano realizzati in maniera molto approssimativa. Le caratteristiche facciali erano rare, occhi, naso e bocca spesso non erano rappresentati. Le braccia snelle erano incrociate sul petto. Le cosce erano ben modellate, ma le gambe e i piedi erano raramente compresi nelle rappresentazioni. Sia i simboli sessuali che le veneri indicano un'interesse degli uomini e le donne paleolitici per la fertilità. Nel Magdaleniano l'interesse per le figure umane incominciò ad aumentare. Le figure sono spesso "piegate" o curve all'altezza della vita a forma di boomerang. La testa è rappresentate di rado e i piedi e le braccia sono ugualmente poco importanti. A quest'epoca appartengono un'importante serie di figure maschili. Tra queste soltanto alcune sono identificabili come tali, mediante la rappresentazione del pene. Alcune di loro presentano attributi animali. L'uomo di Gabillou, in Dordogna, ha le corna di bisonte, mentre lo stregone di Les-Trois-Frères ha delle corna ramificate, oltre ad una serie di altre caratteristiche animali. A Tuc-D'Audobert, invece, sono stati scoperti degli uomini con testa d'alce. Nel celebre sito di Lascaux, all'interno di una cripta, si trova una figura maschile distesa. La silhouette, posta in posizione orizzontale, ha il pene eretto ed un becco d'uccello. Qualcosa di simile si trova nel sito di Addura, presso il Monte pellegrino, vicino Palermo. Qui troviamo un incisione in cui viene illustrata una danza rituale comprendente: figure distese, organi sessuali in evidenza e musi a becco di uccello.

Anche la postura dei soggetti richiama quella degli animali, obliqua o orizzontale. Non esiste nell'arte parietale, una singola rappresentazione maschile dipinta in una posizione completamente eretta, con lineamenti facciali chiaramente umani, e comunque trattati con la stessa precisione dedicata agli animali (Collins, 1980). Secondo Giedion: "Gli uomini raffigurano se stessi solo di rado, ma gli animali costantemente, sembra che essi vogliano essere animali, non hanno alcuna arroganza nella loro umanità"(ibidem).
In Italia esistono un numero minore di grotte contenenti esempi di arte parietale. Nel Sud Italia vi è una maggiore concettrazione, soprattutto in Puglia, in Sicilia ed in Calabria. La Puglia è la regione più rappresentativa. All'interno del suo territorio si trovano: la grotta Romanelli, la prima in Italia a restituire testimonianze artistiche risalenti al paleolitico. Al suo interno è stato scoperto una gran quantità di pietre incise con motivi geometrici o zoomorfi. Le incisioni su parete più interessanti sono un bovide ed un'alce, metre tra i soggetti geometrici troviamo un ciottolo dipinto con cerchi pieni di colore rosso. I soggetti astratti sono stati accorpati da Graziosi nello stile "mediterraneo", documentato soprattutto nell'arte mobiliare. Oltre a grotta Romanelli, altri esempi sono stati scoperti a grotta delle veneri di Parabita, grotta del cavallo presso Santa Maria di Leuca e grotta Sacara presso i laghi Alimini (Orlando, ...; Ingravallo, 2004). La grotta di Parabita è famosa anche per le due piccole statuine in osso di età gravettiana. Nella grotta Paglicci, sono presenti delle pitture parietali in ocra rossa, le uniche conosciute in Italia, tra cui tre cavalli, di cui uno rampante, associati ad impronte di mani e stencil. Nella grotta dei Cervi è possibile trovare vari soggetti umani ed animali stilizzati, la figura di uno stregone, e molte rappresentazioni simboliche, tra cui vi sono quelle "spiraliformi" e le impronte di mani. All'esterno della grotta di Santa Maria di Agnano, in cui sono state scoperte due sepolture epigravettiane, sopra una crosta stalagmitica posta all'esterno della grotta, sono stati individuati alcuni segni geometrici. La seconda area importante è la Sicilia, dove a partire dal 9000 a.C. fioriscono le arti figurative. Qui troviamo la grotta del Genovese, situata sull'isola di Levanzo (nell'arcipelago delle Egadi); In una grande caverna, scoperta nel 1947, accessibile soltanto attraveso un basso corridoio naturale, sono stati scoperti 4 figure umane danzanti, 10 bovidi, 12 equidi, 6 cervi e un felino. Sulle pendici del Monte Pellegrino, presso Palermo, nel 1953 è stato scoperto il riparo dell’Addaura. Nella scena centrale, già precedentemente illustrata, sono raffigurati nove uomini disposti in cerchio, nell'atto di intraprendere una danza rituale. Due di esse si trovano all'interno del cerchio, stese per terra, piegate in maniera innaturalmente. In una cavità vicina, Addaura III, sono state scoperte altre figure di uomini e di animali, che non presentano criteri compositivi. Nella Grotta Niscemi sul versante opposto del Monte Pellegrino, invece sono stati scoperti bovidi, capridi ed equidi. In Calabria, in località Papasidero (Cosenza), nella grotta di Romito, sono state scoperte diverse figure animali, tra cui quella di un bue. Nel Nord italia il sito più importante si trova in Valcamonica, dove, lungo il corso del fiume Oglio, sono visibili almeno 200.000 figure incise sulla roccia (< foto). I graffiti più antichi sono rappresentazioni di figure animali, per lo più cervidi, incise a semplici linee con pietre silicee. In Località Villabruna, in provincia di Belluno, pressouna sepoltura mascile epigravettina sono stati scoperti ciottoli dipinti con linee ondulate rosse.

4 - Il significato dell'arte delle caverne.
4.1 - Realtà e rappresentazione

L'arte può essere intesa come una descrizione mimetica della realtà, oppure come la volontà di esprimere un concetto simbolico-astratto. I maestri del 500 italiano, come Raffaello o Caravaggio, si sono distinti per la loro capacità di riprodurre la realtà percepita, fin nei minimi particolari. All'opposto, Picasso, Derain, Mondrian, ecc., hanno elaborato un linguaggio pittorico tendente al massimo grado di astrazione, fortemente simbolico. Oggi è difficile dimostrare, a posteriori, la capacità degli artisti paleolitici di elaborare dei concetti in chiave simbolica. Sono in molti a sostenere che, l'arte paleolitica era per chi la eseguiva soltanto un passatempo, praticato durante il tempo libero.
L'artista, non faceva altro che rispondere al suo istinto "naturale" di decorare. Si trattava di "arte per l'arte", emersa dal riconoscimento da parte dell'uomo di casuali somiglianze nella natura (Pfeiffer, 1971; Collins, 1980). Probabilmente, almeno all'inizio, il significato dell'arte era quello di rappresentare la realtà. La rappresentazione, ai suoi esordi, era frutto di un processo di elaborazione analogico (imitazione delle forme che percepiamo guardando), scomposto in due fasi: percezione ed interpretazione della realtà. In questo caso, qualsiasi rappresentazione prevedeva la conoscenza della realtà oggettiva, ed allo stesso modo, la conoscenza si manifesta attraverso una rappresentazione mimetica.
Successivamente, le rappresentazioni risultarono essere frutto di un'idea dell'artista, cioè della sua elaborazione della realtà in forma ideologica, utilizzando un procedimento di tipo logico. Il prodotto dell'artista si allontana da un'elaborazione naturalistica, per assumere sempre più caratteristiche antinaturalistiche e concettuali. L'arte, nel suo nuovo significato, assunse un ruolo centrale all'interno di pratiche religiose. La rappresentazione artistica aveva un forte contenuto simbolico, legato alla caccia e la procreazione (Campbell, 1990).

Se analizziamo, ad esempio, una delle categorie più ricorrenti nell'arte rupestre, il mondo animale, si vede che l'uomo tendeva ad aderire ad una descrizione di tipo analogica-naturalistica. Gli artisti adoperavano ogni tipo di accorgimento tecnico, per far si che i soggetti dipinti o scolpiti si avvicinassero alla realtà. Gli animali erano riprodotti con un impressionante cura dei particolari. L'aderenza alla realtà, sembrava dipendere esclusivamente dalle capacità artistiche. Ma un'analisi più profonda dei soggetti, dimostra la presenza di un contenuto concettuale anche in questo tipo di rappresentazioni. Infatti, esiste un legame molto forte tra il linguaggio analogico con cui sono realizzati e le manifestazioni mistico-religiose cui sono collegati.

In primo luogo, l'ossessione per il mondo animale e la scarsa volontà di autorappresentarsi o di rappresentare qualsiasi altro elemento naturale, è spiegabile soltanto se si considera l'ammirazione per gli animali, come una forma di culto o di animismo (Collins, 1980). Scrive Giedion: "La figura dell'essere umano appariva trascurabile a paragone con la bellezza e la forza della figura animale... L'auto esaltazione con cui sia l'uomo che la donna erano presentati nudi alla luce del sole nella scultura greca era totalmente inimmaginabile per l'uomo primitivo" (Collins, 1980). Nessun altro elemento appartenente alla realtà riusciva ad ottenere la stessa attenzione degli animali. Il sole, la luna, le nuvole, o qualsiasi altro elemento legato al territorio non vennero mai illustrati. Ugualmente si può di dire per il fuoco, i fulmini o l'acqua. L'uomo stesso è presente in pochissime rappresentazioni.

In secondo luogo, l'arte parietale era inserita all'interno di un contesto specifico: le grotte e i ripari. Questi luoghi, di difficile accesso e, in alcuni casi, senza la possibilità di utilizzo di una fonte di luce diretta, erano le sedi più improbabili per esecuzione di lavori artistici così impegnativi, a meno ché, non esistessero delle motivazioni culturali specifiche. È da scartare l'ipotesi secondo cui gli artisti Paleolitici fossero dei Bohemien, ribelli ed emarginati dalla società in cui vivevano. Al contrario, gli artisti erano integranti in essa, e ben voluti, perché con la loro opera esprimevano le speranze e i timori dell'intera comunità. L'artista, prima di essere un abile disegnatore, era un mago potente.
Le grotte decorate erano le sedi dei santuari mentre gli animali erano una rappresentazione degli spiriti che questi popoli veneravano. Secondo alcuni, tale sistema magico-religioso era sorretto da due principi complementari, identificati nelle due specie animali più rappresentati il cavallo e il bisonte (Ramirez, 1994).
4.2 - Percezione e rappresentazione

L'esperienza artistica, per certi aspetti, è comparabile all'esperienza della caccia. In essa vigono gli stessi processi percettivi utilizzati dall'uomo per individuazione delle tracce lasciate dalle sue prede. Come dice Brusa -Zappellini, la traccia è un indizio, "è un segno che ha un senso in sé", ma allo stesso tempo è anche "un segnale che ha un senso fuori di sé", perché aldilà della sua forma, permette di identificare la fattezze dell'animale che l'ha lasciata (Brusa -Zappellini, 2002). "L'impronta della preda evoca, dunque, qualcosa d'altro, costringe la mente a riflettere sul nesso che unisce lo spazio al tempo, l'assenza alla presenza" (ibidem). La percezione dei segnali, inducono l'osservatore ad elaborare una realtà fittizia, senza la quale è impossibile impostare le proprie strategie di caccia. L'artista-stregone opera come un cacciatore. Egli però non deve trovare degli indirizzi materiali su di un'azione avvenuta in passato, deve, invece, trovare delle forme in grado di assumere l'aspetto dell'animale da rappresentare, egli si avvale della "capacità evocativa delle linee e dei volumi di creare un riconoscimento fittizio, di carattere illusorio" (ibidem). Soltanto successivamente, quando avrà soddisfatto questo primo principio, darà inizio all'opera. All'origine dell'arte vi è quindi un "attitudine proiettivo-fantastica dell'immaginazione" utilizzata in maniera differente dal cacciatore e dall'artista-stregone (ibidem).
La scelta di simulare la realtà attraverso la natura, risultava essere doppiamente suggestiva quando, per realizzare le proprie opere, venivano scelti corridoi contorti e oscuri all'interno di grotte naturali. La sensazione che si provava immergendosi in tali luoghi, non era soltanto di caratteristica illusorio. "Nella mentalità primitiva, fortemente animistica, le analogie formali dovevano evocare, nello spazio magico delle infinite fluttuazioni visive, osmosi e metamorfosi continue" tra il mondo animale e quello minerale (ibidem). La mano dell'artista, attraverso il ritocco dei contorni, oltre a riprodurre degli elementi del mondo reale voleva anche celebrare l'unione dei mondi naturale e minerale, attraverso una prospettiva animistica. Il processo di creazione artistico doveva essere suddiviso in tre fasi: "a) il riconoscimento isomorfo affidato all'intuizione del momento; b) il ritocco teso a sottolineare l'avvenuto riconoscimento; c) l'attività figurativa vera e propria che cristallizza, nell'immagine dipinta, l'apparizione fissandola nel tempo" (ibidem).
Esistono numerosi esempi di adattamento dei soggetti alle forme della natura. Nella Grotta di Altamira, sono stati realizzati due bisonti sfruttando due grandi sporgenze ovali della volta rocciosa. A Rouffignac dei serpenti sono stati realizzati partendo dalle fratture naturali della parete. Nella Grotta di Niaux, una testa di cervo è stata realizzata partendo da una cavità naturale completata con l'aggiunta delle corna. A Lascaux, invece è stato realizzato un branco di cervi, che sembrano emergere dall'acqua mentre attraversano un fiume, in questo caso la rocca è stata utilizzata per simulare l'acqua del fiume.
4.3 - Il gesto artistico. Un confronto con l'arte contemporanea

Il grande maestro Fontana, nel suo Manifesto Blanco, scrisse che, il "gesto" e l'invenzione artistica nell'arte sono più importanti del suo contenuto materiale, essi sono: "gli unici atti di eternità possibili per l'uomo". Secondo Fontana, l'arte diventa eterna attraverso il significato che vuole tramandare, non attraverso le tecniche con cui è realizzato. La stessa cosa si potrebbe dire per l'arte paleolitica, Essa dovrebbe essere analizzata per i suoi significati e non per l'abilità tecnica con cui è realizzata. L'arte preistorica presenta molte analogie con le opere degli artisti contemporanei. Guardando meglio, sembra che "Concetto spaziale. Attese" dialoghi perfettamente con molte delle opere primitive, anzi, potrebbe essere una loro naturale evoluzione. Nel quadro di Fontana, il gesto rapito che taglia la tela, sembra offrire la possibilità di oltrepassare la dimensione abituale, per essere proiettati all'interno di un mondo fantastico (Mirolla, Gallo, Zucconi, 2002). Ma questo non è, anche, lo scopo dell'arte paleolitica? Non c'è dubbio.
Le figure, i segni e i luoghi esprimono, tutti, la volontà degli uomini paleolitici di varcare quella soglia. Quando gli uomini paleolitici incidevano la roccia dura, esprimevano la stessa volontà di oltrepassare la materia, lo spazio conosciuto? È possibile. In alcuni casi, il linguaggio utilizzato è raffinato, come ad Altamira e Lascaux, in altri è sintetico e sgraziato, in altri casi ancora è essenziale e misterioso, come quando vengono utilizzati dei segni. Le soluzioni tecniche impiegate, in alcuni casi, sono così innovative che, gli artisti-stregoni che le hanno inventate dimostrano di essere dei precursori degli artisti delle avanguardie. Il cinghiale della grotta di Altamira ad esempio, è stato disegnato con otto rampe, anziché quattro. Questo espediente venne adottato perché l'esecutore voleva rappresentare l'animale in movimento. Se confrontiamo questo soggetto con "Il ciclista" di Natalija Goncarova, un esponente del cubofuturismo russo, riconosciamo l'utilizzo di una tecnica simile per descrivere la velocità ed il movimento.
Esaminando la tecnica pittorica del bisonte di Marsualas, notiamo l'utilizzo di una tecnica che si basa su un principio scoperto dagli impressionisti, ed utilizzato nella forma più estrema dai divisionisti e dai fauves. Gli impressionisti avevano scoperto che, se due colori venivano stesi puri sulla tela, attraverso dei piccoli tocchi, questi ad una certa distanza risultavano fusi insieme, un esempio classico dell'utilizzo di questa tecnica nell'ottocento è "Grenouillère" di Monet (Cioffi, Finocchi Ghesi,Picone, Zucconi, 2000).

I Fauves, successivamente, utilizzarono lo stesso principio, separando in maniera più marcata i colori, "Barche a Collioure" di Derain e "Lusso, calma e voluttà" di Matisse costituiscono un esempio dell'evoluzione estrema della tecnica divisionista. Gli artisti-stregoni, in alcuni casi, dimostravano di conoscere già questo principio, anche se espresso in maniera monocromatica. Un ultimo esempio, può essere attinto dall'arte mobiliare, si tratta della venere di Ostrava (27.000). Una piccola statuina femminile in ematite, di cui ci è giunto soltanto il tronco, alta 5 cm. Scoperta nel sito Gravettiano di Ostrava-Petrkovice in Moravia, nella Repubblica Ceca. Guardandola con attenzione, emerge una similitudine clamorosa con uno dei dipinti simbolo dell'arte delle Avanguardie. Si tratta di "Les Demoiselles d'avignon" di Pablo Picasso. In questa opera, le figure vengono scomposte e ricomposte in un insieme di frammenti che seguono prospettive differenti (Mirolla, Gallo, Zucconi, 2002). La Venere di Ostrava sembra dare fattezze reali alle damigelle rappresentate nell'opera manifesto del cubismo. Tale somiglianza diventa ancora più sbalorditiva se si pensa che le due opere sono state eseguite a 25.000 anni di distanza.

fine

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"STORIOLOGIA"
ringrazia l'autore del saggio:
GIANDOMENICO PONTICELLI

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