-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

122. RIFORMA IN ITALIA - IL CONCILIO


Se come abbiamo visto nei precedenti capitoli in Germania, Inghilterra e tanti altri Paesi del centro Europa stavano realizzando un modello di riforma e i Paesi da agrario-feudale si trasformavano mercantile-borghese, e in grandi nazioni commerciali e industriali dei tempi moderni, nulla di tutto questo era avvenuto in Italia, e non solo perchè la penisola era direttamente o indirettamente sotto l'influenza papale, e nemmeno perchè in Italia non vi erano sovrani pari a un Enrico V o a un Enrico VIII, o monaci o ex monaci pari a Lutero e Calvino.

Questo perchè l a rivoluzione religiosa, economica e politica, che era in pieno sviluppo oltre le Alpi, non aveva nessuna base in Italia, che giustificasse un profondo rivolgimento.
L'Italia aveva già compiuto da più di tre secoli la sua rivoluzione economica e politica, che, col fiorire dei commerci e coll'organizzazione comunale delle città, aveva assicurato a questa regione un assetto propizio al più ampio e libero progresso.

La Chiesa stessa aveva dovuto, adattarsi a queste circostanze; e, benchè avesse conservato, e avesse anzi codificato, il suo proprio diritto, derivato dagli insegnamenti patristici e dai testi del medio evo, tuttavia aveva di fatto concesso la più ampia libertà a queste esigenze economiche, impegnandosi pure di accompagnarle col fasto della sua meravigliosa potenza civile.

D'altra parte, il Papato era per l'Italia una delle grandi forze protettive di questa egemonia civile; onde, per quanto fossero frequenti e poderose le correnti intellettuali, intese a richiamare la Chiesa alla sua missione religiosa, nessuno avrebbe mai potuto pensare di scalzare le basi di un organismo, che era pur tuttavia garanzia di pacifico e ordinato sviluppo civile.

Lo stesso Rinascimento, che aveva trovato le sue origini in Italia, si era svolto, in parte almeno, sotto l'egida della Chiesa. La rinascita del paganesimo, manifestata da qualche testo letterario, era fenomeno puramente erudito o artistico, e non intaccava le basi della religione.

L'umanesimo, che aveva acceso in Germania le caustiche ire di Erasmo di Rotterdam, di Ulrico di Hutten e di Melantone, non giunge in Italia che ad una conciliazione tra la dottrina cristiana e quella platonica, tentata da Marsilio Ficino, conciliazione che già era stata accennata nella visione meravigliosa e potentemente cattolica di un ribelle come Dante.

Mille problemi letterari, artistici, politici, civili si presentavano all'intelletto agli Italiani, i quali avevano compiuto, in pochi secoli, un mirabile progresso civile; e a nessuno poteva venire in mente di attentare a questa salda organizzazione, per il gusto di semplici questioni teologiche o di disciplina ecclesiastica.

Anche senza ricorrere all' immaginazione, come si è tentati di fare qualche volta, non si può dire che vi era un'Italia scettica e religiosamente poco curante, perché questa visione sarebbe perfettamente erronea di fronte alla realtà religiosa dell'Italia del secolo XV; bisogna riconoscere che la religione era diventata per l'Italia, con la sua organizzazione ecclesiastica, una forza pienamente riconosciuta e rispettata di ordine civile, che non poteva essere sbalzata da una semplice volontà di competizioni teologiche.

Tuttavia, sarebbe altrettanto erroneo disconoscere le forze, che tennero viva, anche in Italia, una corrente riformista, e trascurare le ripercussioni che la Riforma protestante, trionfando in Germania e nella Svizzera e negli altri paesi, doveva trovare anche in Italia.

Intanto noi abbiamo già rilevato le correnti mistiche e antitemporaliste, che, come in ogni tempo, specialmente in Italia, si erano rivelate sulla fine del secolo XV. La predicazione di Gerolamo Savonarola era stata veramente decisiva in questa direzione, e da essa si erano propagate le idee, che avevano proposto alla Chiesa un programma di riforme interne e disciplinari, attuato poi, nel corso del secolo XVI.

Durante il pontificato di Paolo III Farnese, quando ormai la Riforma aveva percorso in Germania tutta la sua strada, veniva istituito un "Collegium novemvirale de renovanda Ecclesia" che si proponeva come fine la riforma ecclesiastica. Primeggiavano, tra questi conciliatoristi, il cardinale Gaspare Contarini, Jacopo Sadoleto, Giampietro Carafa, il futuro pontefice Paolo IV, e Gaetano da Thiene.
Penetravano intanto in Italia le idee e i libri della Riforma protestante, sia per le relazioni di commercio, sia per opera degli eserciti stranieri, sia con i letterati e con gli studenti esteri nelle Università italiane.

A Ferrara, dove, nel 1528, Renata di Francia andava sposa ad Ercole di Este, si sviluppava un centro di dottrine protestanti, e Giovanni Calvino vi era accolto nel 1535 e più tardi anche i maggiori riformisti italiani, Celio Secondo Curione, Pier Martire Vermigli, Bernardino Ochino, ebbero dalla principessa protezione e incitamenti.
Così a Modena si formava, verso la metà del secolo XVI, un centro di cultura protestante, che trovò largo seguito anche nelle correnti popolari.

Anche a Padova e a Venezia si ebbero alcune manifestazioni di pensiero protestante. Ma soprattutto queste furono vive nella Repubblica di Lucca, dove soggiornarono il torinese Celio Secondo Curione, Aonio Paleario, che vi insegnò lettere classiche e Pier Martire Vermigli, che predicò e fece scuola come priore di S. Frediano.
Soltanto nel 1542 cominciò a Lucca, per opera del cardinale Guidiccioni, un'opera solerte di repressione cattolica; ma i riformati lucchesi, e principalmente Michele Burlamacchi, Pompeo Diodati ed altri furono tra i più famosi interpreti della riforma in Italia.

A Siena le dottrine di Bernardino Ochino e di Aonio Paleario trovarono largo sviluppo, e da Siena dovevano poi uscire i più audaci innovatori italiani, e specialmente gli estremisti antitrinitari Lelio e Fausto Socini.

La dottrina della giustificazione per la sola fede trovò il suo centro maggiore a Napoli, dove il cavaliere spagnolo Giovanni Valdés, inviato da Carlo V nel 1533, come segretario del viceré D. Pedro di Toledo, divenne uno zelante apostolo di dottrine riformiste.
E così pure si lega alla riforma protestante anche la dottrina Valdese, che, derivando dall'eresia medioevale di Pietro Valdo e dei Poverelli di Lione si era diffusa nelle valli alpine del Piemonte. Quelle dottrine finirono, nel 1532, con l'aderire alla Riforma, e si mantennero ferme, nonostante la persecuzioni più dure e con la pace nella cristianità divisa e contrastata.

Tuttavia anche la Curia romana aveva compreso che l'idea del concilio, tante volte proposta, non era realizzabile, se prima non si fossero ottenute le adesioni di tutti i principi cristiani. Ma l'esigenza era troppo necessaria, perché si smettessero le pratiche preparatorie della sua convocazione.
In quei giorni, nel febbraio del 1533, l'Aloandro fissava, in nome del pontefice, le condizioni per il concilio: il concilio si proclamasse libero, ma fosse tenuto secondo le forme osservate normalmente dai primi concili ecumenici fino ad oggi; gli intervenuti dovessero promettere di attenersi alle sue deliberazioni; gli impediti per giusta ragione avessero potuto farsi rappresentare; nessuna novità si introducesse, nelle more del concilio, in materia religiosa, in Germania; vi fosse accordo sul luogo, per cui il pontefice suggeriva Mantova, Bologna o Piacenza; se vi fosse rifiuto di qualche principe, il pontefice avesse ugualmente autorità di convocarlo; i principi aderenti si mettessero deliberatamente dalla parte del papa, per favorirne la convocazione; arrivate le dichiarazioni d'assenso, il papa, entro sei mesi, avesse facoltà di convocarlo.

La risposta era venuta rapidamente dalla Germania. Ormai i principi e gli Stati protestanti avevano preso fiducia nelle proprie forze. Il 30 giugno 1533, raccolti ancora a Smalcalda, avevano però posto condizioni inaccettabili: chiedevano che si trattasse di un concilio libero, da tenersi in Germania, e che fosse preventivamente prescritto che la Bibbia dovesse essere il solo testo ufficiale delle discussioni, respingendo gli articoli del papa.

In quella occasione, Lutero, ancora una volta, in uno scritto largamente divulgato, aveva inflitto al papa i titoli, per lui consueti, di bugiardo, sanguinario ed assassino. Era evidente, che, in queste condizioni, l'idea del concilio doveva essere abbandonata, soprattutto se fatto in Germania.

Nell'agosto del 1534, moriva Clemente VII, e gli succedeva Paolo III Farnese, che pareva ben disposto verso Francesco I, benché si rivelasse poi, oltre che impegnato a curare gli interessi dei suoi familiari, a cui era strettamente legato, geloso soprattutto dei grandi interessi della Chiesa.

Intanto si era diffusa in Germania una nuova setta religiosa, che aveva raccolto anche i residui dispersi delle rivolte anteriori dei contadini. Quella setta dichiarava inefficace il battesimo dei neonati, e proclamava la necessità di un secondo battesimo agli adulti, onde i suoi seguaci avevano nome di anabattisti; ma soprattutto essa si proponeva un profondo rivolgimento sociale, fanatizzando le plebi della Westfalia e dei Paesi Bassi, e proclamando l'abolizione della proprietà individuale e la distruzione delle classi sociali.

Dopo essersi impadroniti di Lubecca e di Munster, gli Anabattisti proclamarono, in quest'ultima città, un regno, a sistema comunista, che ebbe come profeta il fornaio fiammingo Giovanni Mathias, e il suo apostolo Giovanni di Leyda, figlio di un sarto, il quale fu proclamato re, e tenne un governo rigoroso e strano, che rivelò un nuovo e minaccioso movimento religioso (1534).
Contro la nuova setta, si unirono protestanti e cattolici. Munster fu assediata, e. dopo una sua lunga difesa , fu presa (giugno 1535); Giovanni di Leyda e i suoi cortigiani furono giustiziati e i seguaci di questa religione furono perseguitati o dispersi.

Tutta questa storia verrà riportata in prossime pagine nel link "BAGLIORI DI COMUNISMO IN EUROPA nel XVI Sec."

Come appunto diremo in quelle pagine, l'anabattismo nacque sì dalla Riforma, ma ne fu figlio maledetto, e fin dal nascere fu ripudiato dai grandi Riformatori (Lutero stesso era infuriato) che furono concordi nel proclamarlo degenere. Ma quando ai fondamentali princìpi religiosi che lo componevano si sovrapposero i princìpi politici e sociali, non fu sufficiente e prudente il solo ripudiarlo, ma lo si combattè aspramente, perseguitandolo fino alla estirpazione, cattolici e protestanti insieme.

Questi eventi rinfrancarono i protestanti, che sentivano necessarie all'Impero le proprie forze; mentre Carlo V, ormai occupato nella nuova guerra contro Francesco I da una parte e contro i Turchi dall'altra, entrambi stranamente collegati contro di lui, non aveva autorità di mostrar rigore nelle controversie religiose.
Il nuovo pontefice Paolo III continuando la linea di Clemente VII, con solerzia anche più vivace e con fini più precisi, aveva inviato in Germania, come suo nunzio, Pier Paolo Vergerio, affinché informasse i principi della sua risoluzione di tenere al più presto il concilio. Il nunzio era riuscito a infondere nuove speranze nell'animo dei principi cattolici di Germania, scoraggiati e inaspriti dalla condotta di Clemente VII, e ad impedire la minacciata regolarizzazione della questione ecclesiastica in un concilio nazionale tedesco.

D'altra parte, Carlo V si mostrava sempre favorevole, e Francesco I, desideroso di guadagnarsi dalla sua parte l'animo del pontefice, aveva promesso il suo appoggio. In queste circostanze, animato da viva speranza, rompendo ogni indugio, il pontefice Paolo III, nel giugno del 1536, aveva indetto un concilio a Mantova per il 1537; ma già i protestanti dichiaravano che non ne avrebbero accolte le decisioni, e le guerre, che turbavano l'Europa, ne rendevano difficile la riunione.
I collegati di Smalcalda restituivano le bolle di indizione del concilio, e proclamavano invece di voler convocata una riunione di prelati e di dotti in Augusta, a difesa della propria religione.

Così il concilio veniva rinviato; e, con lunghe trattative, dopo aver rinunciato a Mantova, si preparava la sua riunione a Trento, a Udine, poi a Vicenza, per cui il Senato veneto dava il permesso e prometteva anche la difesa (1537). Il nuovo concilio, indetto per il 1° maggio 1538, trovava la guerra guerreggiata in Francia, l'ostilità dell'Inghilterra, le preventive svalutazioni dei protestanti, e veniva prorogato sine die.
Anzi, in Germania, la posizione dei protestanti veniva quasi rinfrancata. Nell'aprile del 1539, mentre Paolo III aspettava ancora dall'imperatore una risposta favorevole al concilio prorogato a Vicenza, in Germania, per la cedevolezza dei diplomatici imperiali, si veniva al pericoloso accordo con i protestanti, che è conosciuto sotto il nome di «interim di Francoforte» (19 aprile 1539).

Secondo questo accordo, dal 1° maggio, era garantito agli aderenti della confessione augustana un interim di quindici mesi, in cui nessuno di essi poteva essere disturbato per ragioni religiose, e doveva quindi sospendersi il procedimento del tribunale supremo dell'Impero. In compenso di questa concessione, nel periodo suindicato, i protestanti dovevano astenersi da ogni aggressione contro gli Stati cattolici. Per giungere ad un componimento nella questione religiosa, si disponeva che sarebbe stata adunata in Norimberga, per il 10 agosto, una commissione di teologi e di pii laici amanti della pace, i quali avrebbero deliberato sulle condizioni della composizione stessa.

Queste decisioni erano contrarie alla fede cattolica. Secondo il concetto cattolico, la decisione sulle cose della fede spetta esclusivamente all'autorità ecclesiastica, al papa e al concilio. I protestanti, invece, rifiutando papa e concilio, volevano decidere la questione religiosa, mediante una conferenza ristretta di teologi e di laici, che s'avvicinava alle forme di un concilio nazionale. A questo punto il pontefice doveva elevare protesta contro le deliberazioni di Francoforte e pregare l'imperatore di negarne l'approvazione.

Nel maggio del 1539, di fronte a questi avvenimenti della Germania, di fatto consentiti dall'imperatore, e di fronte alle intenzioni di Francesco I, che si era finalmente scoperte contrarie alle aspirazioni pontificie, Paolo III era costretto, come si disse, a sospendere il concilio a tempo indeterminato.

Frattanto il pontefice Paolo III aveva dato impulso alla riforma interna della Chiesa. Fin dal 1535, egli aveva costituito una commissione a questo fine, e nel 1536 aveva provveduto, sotto l'influenza del cardinale Contarini, ad una riforma del clero romano.
Proprio in quell'anno, il Sadoleto, divenuto poi subito cardinale, pronunciava il suo famoso discorso. sulla riforma della Curia e del clero, e nell'anno seguente la commissione dei cardinali redigeva un Consilium super reformatione Romanae ecclesiae, che si può considerare come base per l'imminente opera riformativa del concilio di Trento. Nel 1540, il pontefice deliberava di affrettare l'opera della riforma, e attuava profondi mutamenti nella Penitenzieria apostolica, nella Camera Apostolica, nella Cancelleria, nei Tribunali, nel Collegio dei cardinali.

Mentre a Roma si iniziava così, coraggiosamente, un'opera di riforma, che era stata lungamente attesa ed invocata, Carlo V portava a termine la conquista di Tunisi dopo aver sconfitto i turchi. La cristianità fece grande affidamento su questa vittoria, e giàvedeva nuove imprese contro la costante minaccia del grande nemico della croce.

Carlo V formò un nuovo potente esercito, e sollecitò il pontefice ad aderire ad una alleanza decisiva, che avrebbe avuto per base la convocazione del concilio e l'adesione del pontefice alla causa degli Absburgo in Germania.

Ma Paolo III non voleva spingersi così oltre. Egli comprendeva che alla maggiore potenza religiosa conveniva ormai, nelle questioni politiche, una cauta neutralità, onde, mentre riprendeva a pensare al concilio, non esitava a proclamarsi alieno dalle pratiche politiche, con cui Carlo V tentava di dar valore effettivo al potere imperiale in Germania e in Austria e di estendere sempre più la sua potenza già troppo minacciosa.

Contro questa potenza, si levava sempre l'astuta e pronta politica del re francese. Questi si era riaccostato a Enrico VIII d'Inghilterra, e nello stesso tempo in Germania cercava contatti con i protestanti per averli favorevoli nella lotta contro l'imperatore, mentre iniziava una nuova alleanza con i Turchi e imponeva capricciosamente le decime a proprio profitto.

Contro questa politica, Paolo III si era infuriato, ma inutili furono le proteste.
Intanto l'alleanza di Francesco I coi Turchi aveva provocato nuove guerre da parte di questi ultimi. Cosicché contro la nuova minaccia si stringeva una Lega santa, diretta dal pontefice e da Carlo V, affiancata da Ferdinando e dalla Repubblica Veneta (1538).
Tuttavia, proprio. allora, i Turchi occupavano Buda, resistevano ad Algeri a tutte le forze dei collegati. E, dopo una breve tregua, scoppiava una nuova guerra con Francesco I (1543).

In queste circostanze, si comprende come dovesse mancare a Carlo V ogni autorità per fronteggiare l'eresia religiosa, quando, per le sue molte guerre, aveva bisogno delle forze di tutti i suoi sudditi.

Nel 1544, Carlo V dichiarava di voler rimandare la soluzione delle controversie religiose dopo il Concilio, e poco dopo stringeva a Crespy una pace improvvisa con Francesco I.
Allorché il pericolo turco si era fatto molto più minaccioso, anche i protestanti, animati da Lutero, avevano nuovamente offerto le loro armi a Carlo V. Era stata convocata una dieta a Francoforte (1539), e qui era stata deliberata una tregua di 15 mesi per i collegati della confessione augustana. senza togliere vigore agli accordi di Norimberga e di Ratisbona.

L'imperatore aveva sospeso tutti i procedimenti della Camera imperiale contro i protestanti, e si era riservato di favorire una riunione fra i rappresentanti delle varie tendenze, per raggiungere l'ideale della pace, religiosa, che avrebbe dovuto galvanizzare le forze declinanti dell'Impero.

Di fatto, erano sempre più evidenti gli sforzi di Carlo V, per tentare l'unità dei suoi domini e (non aveva perso queste speranze) la costituzione di una potente signoria mondiale, che avrebbe dovuto assicurare la tranquillità e la pace, sotto la guida di un dispotismo spagnolo, al mondo cristiano.

Pareva che, prima di cedere, l'autorità imperiale volesse radunare anche praticamente tutte le forze, di cui idealmente era nutrita. In Italia, gli storici attenti, che vedevano chiaro in questi tentativi, il Guicciardini, per esempio, parlavano della volontà di Carlo V di spagnolizzare l'Impero. Un vasto organismo politico avrebbe dovuto essere costruito dalla Spagna fino al Danubio e all'estremo lembo della Sassonia, per dare unità al governo dell'Occidente cristiano.

Ma, contro questi tentativi, lavoravano non soltanto Francesco I, guidando coraggiosamente le forze della giovane e unita nazione francese, alcuni Stati italiani, ma anche il pontefice Paolo III, che ora vedeva chiaro nei propositi imperiali.
La guerra contro i Turchi non fu fortunata, e contemporaneamente Carlo V aveva dovuto mettere le sue forze contro il re francese. Di questa situazione avevano approfittato i protestanti, sempre animati dall'instancabile Lutero, per estendere il loro dominio religioso. L'Elettore di Magonza aveva visto cadere nel luteranesimo anche le città di Magdeburgo e di Halle (1541); la città di Brunswick si accostava alla lega protestante, e nel 154.I l'Elettore palatino si inscriveva nella lega smalcaldica.

Così tutto l'Impero, salvo la Baviera e l'Austria, era guadagnata al luteranesimo; e cinque elettori contro due formavano la maggioranza luterana nel consesso elettivo dei principi. Così era resa impossibile l'elezione, vagheggiata da Carlo V, del proprio figlio Filippo al trono imperiale. L'azione sovvertitrice del grande eresiarca aveva trionfato non soltanto del papato, ma anche, in parte almeno, dell'Impero.

La pace con la Francia avveniva, quando ormai la piaga inferta nel corpo dell'Impero dal dissidio religioso era divenuta incurabile. L'imperatore Carlo V, dopo la riunione del concilio di Trento, tenterà ancora una guerra decisiva contro i protestanti, e strapperà anche la vittoria, assicurando al suo Impero un grandioso prestigio, che gli darà l'illusione della vittoria assoluta, ma in realtà non riuscirà a rinnovare saldamente le forze di un organismo cadente, che doveva trascinare ancora per qualche secolo l'esistenza, ma che ormai si era dimostrato incapace di stringere in un fascio i vasti territori su cui dominava, inclini a spezzarsi in tanti piccoli aggregati di varie nazionalità.

Sotto il vigoroso impulso di Paolo III, continuava intanto quella profonda trasformazione della Chiesa cattolica, che doveva essere uno dei contraccolpi più grandi della riforma protestante. Le disposizioni del papa avevano avuto un largo seguito, e già numerosi vescovi e cardinali italiani si erano zelantemente impegnati a frenare con rigore i lamentati abusi del clero.

Sorgevano le nuove congregazioni dei chierici regolari o preti riformati, Teatini, Fatebenefratelli, Cappuccini. Ignazio di Loyola, con l'approvazione di Paolo III, fondava la Compagnia di Gesù.
Sotto l'impressione dolorosa delle vittorie turche, il pontefice Paolo III riprendeva le pratiche per il concilio, e ne designava la nuova sede in Trento.

"Quello che era stato il Concilio di Nicea per la cristianità del primo medio evo, fu il Concilio Tridentino nell'età moderna. Il XIX concilio ecumenico fu un colpo di remo, che disincagliò la navicella di Pietro dalle secche nelle quali l'Umanesimo paganizzante l'aveva sospinta; fu una virata di bordo, che la portò fuori dalle acque di una tranquilla baia e la lanciò in alto mare. Quale fortuna sarebbe stato per la Chiesa, se il Concilio di Trento fosse giunto più tempestivo! (Castiglioni, in Storia dei Papi).

Scrive padre HARTMANN GRISAR: «Se non si ammette una grande corruzione nella Chiesa, la tragedia del distacco dalla fede rimane un indovinello perfettamente insolubile. È tuttavia falso l'affermare che questi mali provenissero dalla natura essenziale della Chiesa e che per questo la sua dottrina e la sua gerarchia abbiano dovuto venire abbandonate. Erano quelle delle gravi deformazioni del lato esteriore della sua vita, mentre la sua anima viveva e le sue forze salutari erano intatte» (H. Grisar Lutero, c. VI).
"Il colpo che il protestantesimo inferse alla Chiesa sarebbe riuscito mortale, se la Chiesa non fosse un'istituzione divina. Le istituzioni umane, civiltà ed imperi, una volta che decadono, non risorgono più, e sembrano rinascere non sono più affatto le istituzioni antiche, ma delle nuove che tutt'alpiù si ammantano delle esteriorità delle antiche. La vita spirituale nella Chiesa è inesauribile, ed anche nelle epoche di decadenza e di corruzione delle persone, essa non viene mai meno; rimane latente, per così dire, e aspetta il momento segnato dalla Provvidenza per manifestarsi rigogliosa e prendere il sopravvento sulle colpe e le miserie degli uomini".
(Castiglioni, in Storia dei Papi).

Per il Concilio a Trento, come sempre, si opponevano gravi difficoltà a questa convocazione, per le guerre rinnovate tra i grandi principi cristiani e per le preoccupazioni delle vittorie francesi e turche.
Per le necessità della guerra contro la Francia, nel 1544, a Spira, l'imperatore era indotto a fare nuove concessioni alla lega smalcaldica, la quale riusciva a sacrificare quasi totalmente il punto di vista cattolico. Nelle deliberazioni di Spira, si parlava del concilio nel modo voluto dai protestanti: il papa e l'autorità ecclesiastica non erano nemmeno minimamente ricordati, mentre invece si facevano nuove concessioni a danno dei cattolici.

Paolo III protestò vivacemente contro queste deliberazioni, mantenendo la sua rigorosa neutralità nelle questioni politiche.
Fortunatamente e inaspettatamente, il 17 settembre 1544, si concludeva a Crespy la pace tra Carlo V e Francesco I. Il re francese abbandonava le sue pretese su Milano, su Napoli, sulle Fiandre e sull'Artois, che venivano assicurate alla Spagna o all'Impero, e restituiva la Savoia. In compenso, otteneva la promessa di un cospicuo matrimonio per il suo secondogenito, e riceveva la Borgogna.
I due monarchi si impegnavano a condurre insieme la guerra contro i Turchi ed a prestarsi mutuo aiuto per "tornare a unire la religione". Su quest'ultimo punto, alcuni capitoli segreti precisavano che il concilio sarebbe stato spinto avanti, e Francesco I prometteva di non concludere alleanze con i principi protestanti della Germania.

Questi avvenimenti servivano anche a comporre il dissenso che, in questo frattempo, si era fatto serio tra Paolo III e Carlo V, il quale avrebbe voluto dal pontefice un atteggiamento pratico, ovviamente a lui favorevole. Tuttavia ora l'imperatore riprendeva le relazioni diplomatiche col papa, e nuove speranze si accendevano per la pace generale.
Il pontefice Paolo III, ansioso di mettere tregua all'eresia dilagante e di provvedere alle riforme della Chiesa, approfittava di questo momento, e indiceva il Concilio a Trento per la primavera del 1545. Nonostante le difficoltà dei tempi, i padri cominciavano a radunarsi in quella città, e il Concilio fu aperto sul finire di quell'anno, il 13 dicembre 1545, nonostante fossero assenti i delegati protestanti.

Il lavori del concilio ebbero la durata complessiva di 18 anni, in tre periodi distinti, per chiudere il 4 dicembre 1563. Parecchi volte il concilio minacciò di naufragare. Poi alla fine, l'unità dogmatica delle chiese cristiane non si è potuta raggiungere, ma si sono chiarite le posizioni. La famiglia dei cristiani fu così scissa in due; i cattolici da una parte e i protestanti dall'altra. Una divisione che ebbe terribili conseguenza nel corso dei secoli, fino al punto che non è ancora oggi possibile prevedere nel futuro una riconciliazione.
La dolorosa spaccatura fu tuttavia necessaria che avvenisse, perchè non era più possibile continuare nell'indeterminatezza delle dottrine e nelle perturbazioni delle cosienze disorientate.


I primi decreti del Concilio confermavano solennemente i dogmi revocati in dubbio dai protestanti. Il Concilio dichiarò la Chiesa sola interprete dei testi sacri, i sacramenti necessari per la giustificazione dell'uomo in tutti gli atti della vita.
Ma già preventivamente i seguaci della riforma avevano rinnovato le loro dichiarazioni di protesta contro gli ordini del Concilio, e avevano indotto l'imperatore Carlo V a. promettere una nuova dieta, che era già una svalutazione implicita di tutto ciò che aveva deliberato il Concilio.
Infatti, quei deliberati, non appena conosciuti, rianimarono le ostilità dei seguaci della riforma. La lega di Smalcalda si sentiva forte, e voleva impedire una ripresa del cattolicesimo. L'Elettore di Sassonia, il landgravio di Assia, il duca di Wurtemberg e alcune città libere, con altri principi, presero le armi contro l'imperatore.

Ma la ribellione non fu fortunata. Aspri dissidi dividevano gli alleati, e soprattutto erano in gioco ambizioni e riserve, rispetto all'Impero, infatti non si osava troppo combattere. In queste condizioni, Carlo V poteva sviluppare più sicuramente la sua azione, anche con l'aiuto di Maurizio di Sassonia, cugino dell'Elettore di Sassonia e genero del Landgravio, il quale aspirava a succedere nella dignità all'Elettore Giovanni Federico, e abbracciò la parte imperiale, di cui fu il più solido sostegno.

Si iniziava così una guerra, la quale pareva promettere una reintegrazione delle forze dell'Impero ed una pacificazione della cristianità.

E proprio in questo inizio dell'offensiva, che rivelavano già le scissioni tra i principi e la scarsa compattezza della nuova religione, Lutero moriva ad Eisleben il 17 febbraio 1546. Negli ultimi anni della sua vita, trascorsa nella quiete operosa della famiglia e degli studi, egli aveva visto la nuova idea religiosa trionfante in Danimarca, nella Svezia, nel Brandeburgo, nel Meclemburgo, nella Sassonia, nella Svizzera.
Nella dieta di Ratisbona, del 1541, aveva visti i cattolici, spinti dalla necessità di preparare la guerra all'esterno, cercare la pace presso i luterani, arbitri della situazione, e aveva suggerito ancora una volta la tenace resistenza contro ogni accomodamento.

Nel 1542, a Naumburg, egli aveva consacrato con una festa solenne, il primo vescovo luterano, dando così alla sua chiesa una organizzazione, che prometteva una sicura resistenza. Ma, come si é detto, dopo il trionfo, aveva visto anche gli inizi della sconfitta. Nel 1542, aveva avuto il grande dolore della perdita di una sua figliola; e già, quando il male, che doveva condurlo al sepolcro, si era fatto più grave, aveva cominciato a vedere staccarsi numerosi discepoli, fondarsi nuove sette e nuove religioni, scindersi la lega smalcaldica dei suoi seguaci, aprirsi il grande Concilio ecumenico del cattolicesimo.

Il germe della dissidenza, prodotto spontaneo del principio individualistico religioso, mostrava già a piena luce le sue fatali conseguenze. Lutero chiudeva così i suoi giorni, il 17 febbraio 1546, lontano dalla sua Wittemberg, ad Eisleben, quando il suo sforzo, per tanto tempo vittorioso, appariva sottoposto alle prove più dure.
Carlo V, dopo tante incertezze, era ormai deciso alla guerra contro il luteranesimo. Nel giugno 1546, egli firmava un trattato di alleanza col pontefice, dove si proclamava la guerra ad oltranza alla lega smalcaldica. Paolo III prometteva un forte sussidio in denaro, e univa le sue truppe a quelle imperiali.

La guerra fu condotta con rapidità, sostenuta vigorosamente dall'intervento di Maurizio di Sassonia. Il 24 aprile 1547, si combatteva a Mühlberg sull'Elba una grande battaglia, che segnò una decisiva vittoria delle armi imperiali. Giovanni Federico elettore di Sassonia fu fatto prigioniero e condannato a morte, e graziato soltanto per la rinuncia della sua dignità a Maurizio di Sassonia; Filippo d'Assia faceva atto di sottomissione, e poco più tardi, quasi a tradimento fu fatto pure lui prigioniero.
La lega smalcaldica era sciolta; le città commerciali della Germania settentrionale ritornavano all'obbedienza dell'imperatore, oramai troppo danneggiate dalla lunga chiusura dei traffici con i paesi cattolici; tutti i protestanti venivano trattati con estremo rigore.

Tuttavia nemmeno il cattolicesimo poteva approfittare in pieno di queste improvvise fortune. La potenza imperiale che era così rapidamente ascesa, suscitava la gelosia del regno di Francia, dove a Francesco I era succeduto ENRICO II. Ma non solo questo, sollevava anche i sospetti del papato, che non voleva un eccessivo aumento della potenza spagnola in Europa.

L'influsso di questo potere imperiale si era fatto già sentire fortemente nel Concilio di Trento, e già fin dal 1546 si era affacciata la proposta di trasferirlo in una città meno subordinata all'autorità imperiale. Il pontefice Paolo III, preoccupato di queste circostanze, nel marzo del 1547, trasferiva il Concilio a Bologna.

Ma proprio nel momento in cui le armi imperiali davano un grave colpo al luteranesimo, scoppiava un aspro dissidio tra Carlo V e il pontefice, che doveva portare gravi conseguenze nella storia della riforma protestante.


CARLO V - LE CONDIZIONI POLITICHE E RELIGIOSE

PAGINA INIZIO - PAGINA INDICE