-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

127. CONSEGUENZE PACE D'AUGUSTA - UNIONE E LEGA

 

Come abbiamo visto nei precedenti capitoli, il 25 settembre 1555 ad Augusta c''era stata la pace, dove furono stabiliti durevoli rapporti fra cattolici e luterani; ma si ebbe nel medesimo tempo anche la constatazione della scissione non solo religiosa ma anche politica, ormai da tempo di fatto già avvenuta nell'Impero. Secondo gli atti in Europa avrebbe dovuto regnare la pace perpetua fra cattolici e protestanti. Invece ben presto si vide che non era così.

Nonostante i buoni propositi e le prime apparenze la pace non era stata una vera pace perché non aveva potuto realizzare il principio della tolleranza religiosa. Le parti avverse, sotto la pressione della situazione politica e soprattutto di quella militare, si accordarono solo su una momentanea tregua perché la ritennero assolutamente necessaria.

D'ambo le parti gli interessi politici fecero passare in secondo ordine la questione della libertà religiosa. La riserva ecclesiastica, proclamata dal l'imperatore Ferdinando il 7 settembre 1555 in virtù dei suoi pieni poteri, non venne mai considerata vincolante da parte evangelica. Essa, come si sa, stabiliva la decadenza dei membri ecclesiastici della Dieta dell'impero che passavano al protestantesimo. L'applicazione pratica della norma seguita in alcuni casi non fece che accrescere sempre più l'irritazione tra i due partiti sino a provocare da ultimo la grande guerra.

Sotto Massimiliano II i signori territoriali protestanti incamerarono una quantità rilevante di beni ecclesiastici e nel nord si impadronirono di fondazioni pie e vescovadi dipendenti direttamente dall'impero. Così il Brandenburgo occupò l'arcivescovado di Magdeburgo e il vescovado di Halbersdadd; il Mecklenburg si prese Radzeburg e Schwerin; la Sassonia elettorale Merseburg, Meissen e Naumburg. Persino i titolari dei feudi imperiali ecclesiastici di partito cattolico ne approfittarono e non presero più gli ordini sacri, pur di sedersi nel grande banchetto.

Fallito poi lo sperato compromesso nel concilio di Trento, chiusosi il 4 settembre 1563, anche l'imperatore abbandonò l'idea della riforma della chiesa, vale a dire della lotta contro il papato; mentre nello stesso tempo l'ordine dei Gesuiti incitava quest'ultimo all'intransigenza piuttosto che all'arrendevolezza.

Alla corte di Massimiliano II (1564-1576) si attribuì troppo scarsa importanza a all'Ordine dei Gesuiti. Ed invece, mentre un uomo di Stato tedesco presagiva la prossima fine del cattolicesimo, l'ordine dei Gesuiti aveva acquistato una potenza insospettata. Per opera sua l'indifferenza religiosa scomparve e l'ambiente venne preparato alla lotta. Con i pellegrinaggi, le processioni attraverso le campagne, i processi alle streghe, da lungo tempo in disuso, il popolo venne nuovamende incitato ad appassionarsi alle questioni religiose. Ed una vivace campagna letteraria mediante opuscoli di propaganda aumentò l'agitazione.

L'inasprirsi degli antagonismi confessionali in Germania mise in vivo fermento i principi territoriali. Era da prevedere che si sarebbe dovuto venire nuovamente alle armi, perché il figlio del tollerante Massimiliano II, Rodolfo II, dal 1576 salito sul trono imperiale ritornò a farsi sostenitore intransigente della causa cattolica.

In verità non si può negare che i cattolici erano stati e continuarono ad essere continuamente irritati. Già abbiamo infatti visto come - senza poter reagire - essi dovettero assistere alla spoliazione dei possedimenti della chiesa nel nord; poi in seguito lo stesso sistema di rapina si ripeté sud, dove il Palatinato e il Württemberg fecero a gara ad impadronirsi di vescovadi, abbazie ed altri istituti cattolici.

Alla dieta dell'impero principi protestanti pretesero di esercitare la rappresentanza di arcivescovadi ed altri possedimenti fino allora ecclesiastici. E quando la dieta del 1582 deliberò l'esclusione degli amministratori evangelici, ciò equivalse ad una vera e propria dichiarazione di guerra.
I membri protestanti, visto che l'imperatore era loro nemico, presero a combatterlo sul terreno costituzionale ed amministrativo; essi contestarono il diritto del consiglio imperiale e persino il supremo tribunale camerale di decidere in questioni confessionali e indebolirono la già così debole compagine dell'impero, dichiarando ripetutamente di non ritenere che nella dieta dell'impero si potessero legittimamente adottare in materia religiosa deliberazioni a semplice maggioranza.

Di questa nuova teoria, che equivaleva ad una completa distruzione dell'organizzazione medioevale dell'impero, i principi interessati si valsero assai fruttuosamente, allorché alla morte del duca Guglielmo di Jülich-Cleve, ultimo della famiglia, venne la questione per il conferimento di questo ricco territorio.
L'imperatore era disposto ad acconsentire che la dieta istituisse nei ducati vacanti un governo provvisorio destinato a funzionare fino alla soluzione definitiva della questione della successione. Ma i generi del defunto, i signori del Brandenburgo, Pfalz-Neuburg e Pfalz-Zweibrücken, non era possibile si accontentassero di una sistemazione simile, perché essa avrebbe avuto per conseguenza un rafforzamento dell'autorità imperiale nei ducati.
Perciò si misero d'accordo per conto loro a governare in comune quei territori senza procedere a nessuna divisione. Ciò servì a mantenere integro il carattere protestante della bassa Renania; il che era tanto più importante, in quanto l'insediarsi di truppe imperiali e spagnole in quelle regioni avrebbe costituito un gravissimo pericolo per i Paesi Bassi.

Maturatosi attraverso tutti questi eventi, dominò d'ora in poi aspro il conflitto tra le sovranità territoriali e l'autorità imperiale, tra l'idea feudale e l'idea centralizzatrice; ed in questo conflitto sta la radice della guerra dei trent'anni per quel che concerne la Germania.
Essa tuttavia venne ritardata ancora da dissidi scoppiati nella famiglia degli Absburgo e dalla rinnovata guerra con i Turchi. Nella dieta del 1594 il partito palatino propose di rifiutare i fondi per la guerra contro i Turchi finché non si fosse data soddisfazione ai reclami dei membri protestanti della dieta.
La proposta non venne accolta; ma ciò bastò perché i «corrispondenti» dichiarassero di considerare invalide nei propri riguardi le deliberazioni della dieta.

Al gruppo dei corrispondenti (nome assunto da essi dal 1597) appartenevano allora soltanto i signori del Palatinato, Brandenburg, Zweibrücken, Braunschweig-Wolffenbüttel, Ansbach, Baden-Durlach, Assia, Anhalt, e i conti del Wetterau. La protesta verbalizzata e il rifiuto di pagare i propri contributi erano nondimeno le sole armi con cui i membri di questo partito si proposero per il momento di combattere; non fu ventilata cioè ancora una più stretta unione che avrebbe d'altro canto richiesto una preventiva preparazione militare.

Le cose mutarono per le inevitabili ripercussioni che sulla situazione dell'impero ebbero gli avvenimenti svoltisi nei territorii propri della casa d'Absburgo. Rodolfo II divenne malato di mente. Egli, che da principio aveva abilmente iniziato la reazione cattolica nei suoi Stati, si lasciò tentare ad estenderla all'Ungheria. Questa, per la parte che era ancora rimasta agli Absburgo, rispose con la defezione, proclamando nel 1605 re Stefano Boczkay. I fratelli di Rodolfo, Mattia e Massimiliano, nonché i suoi nipoti Ferdinando, signore dell'Austria Interiore, e Massimiliano Ernesto, si accordarono per spogliarlo del governo e trasferirlo a Mattia.

L'Austria interiore, una delle tre parti ereditarie in cui Massimiliano II aveva suddiviso i dominii della sua casa, acquistò una particolare importanza politica dopo la sua morte per il fatto che divenne la cittadella e il punto di partenza della reazione cattolica nei territori austriaci.
Fu questa opera personale della principessa Maria di Baviera, moglie dell'arciduca Carlo II e cattolica zelante come tutti quelli della sua casa, la quale si fece campione del cattolicesimo e riuscì a educare agli stessi sentimenti il primogenito Ferdinando con l'aiuto dei Gesuiti postigli accanto come maestri.

E se ancora Carlo II si era dato da fare per giungere ad un accomodamento pacifico con i membri protestanti della dieta che ovunque nelle campagne avevano la grandissima maggioranza, la intransigente Maria, dopo la morte prematura di suo marito, non tardò un momento a mettersi in aperta rottura con essi.

I granduchi Mattia e Massimiliano invece si guardarono bene dal seguire la stessa politica nella Bassa Austria e nei Sudeti, giacché si sarebbero in tal modo creata una posizione insostenibile. Ché anzi il conflitto con il loro imperiale fratello li costrinse ad appoggiarsi e ad allearsi con le diete di quei paesi. Quelli dell'Austria interiore si adattarono a tutto ma più che altro per spirito di opportunismo, perché solo così capivano di potere evitare un male maggiore, cioè la perdita dell'Ungheria e persino della Boemia per la loro casa e per il cattolicesimo.
Cosicchè i membri degli stati boemi erano assai più duri a rodere di quelli dell'Austria interiore, che si erano lasciati intimidire da cinque sparute compagnie di mercenari assoldati dalla corte di Graz e non avevano saputo cogliere il momento buono per ottenere mediante un'azione collettiva precise concessioni dal governo in materia di libertà religiosa, nè si misero a difenderle come più tardi le difesero i boemi.

Mattia concluse con i Turchi la pace di Zsitwa Torok e poi costrinse suo fratello a cedergli la corona d'Ungheria, oltre alla Bassa Austria e alla Moravia. Nonostanjte questo Rodolfo proseguì nella sua fanatica politica di ostilità contro gli acattolici, ovunque gli fu possibile attuarla, e per riuscirci si servì del giovane reggente di Baviera, Massimiliano I.

Questi governava la Baviera dal 1597 al posto di suo padre che dopo sperperi di denaro e ad una serie di assurdi provvedimenti era stato costretto a deporre il potere. Con lui fece il suo ingresso sulla scena della storia quella personalità che ben presto, più di qualsiasi altro dei numerosi principi tedeschi, doveva esercitare una influenza profonda sulla piega degli avvenimenti all'interno dell'impero germanico. Egli pure, secondo le idee dei cattolici intransigenti, era l'ideale di un principe cristiano al pari di Ferdinando II, ma lo era in modo ben diversa da quest'ultimo. I dogmi appresi alla scuola dei Gesuiti circa i doveri di un cristiano e di un principe gravavano sull'animo di Ferdinando, piuttosto corto di intelligenza e debole di volontà, come una legge minacciosa cui era necessario assoggettarsi senza discutere.
La paura del peccato e della conseguente eterna dannazione era la leva più potente d'ogni suo atto od omissione, ed accresceva la sua indolenza, giacchè per timore di incontrare responsabilità e per il desiderio di esonerarsene egli si faceva regolarmente dettare da altri gli atti di governo e le decisioni che era costretto a prendere.
La sua religiosità era poi un bigottismo esteriore e meschino, perchè tale devozione non lo rendeva capace di dominare le proprie debolezze ed inclinazioni mondane.

Anche Massimiliano I di Baviera era devoto; imbevuto pienamente dello spirito di intolleranza caratteristico dei tempi, e nemico degli eterodossi. Ma non era fanatico e non era affetto da quella gretta cecità con cui Ferdinando II attuava inesorabilmente ciò che gli sembrava essere il volere di Dio. Indipendente per carattere e piuttosto volitivo, Massimiliano non si lasciò dominare da alcuno, neppure dai gesuiti, cui non riconobbe autorità sopra di sé all'infuori del campo religioso.

La sua corte era la più sobria e seria di tutto l'impero; beoni, crapuloni e gente leggera Massimiliano non ne tollerò attorno a sé. I suoi consiglieri e collaboratori erano abituati a lavorare seriamente; col loro aiuto egli riordinò ottimamente l'amministrazione del suo ducato, e convinto come era della necessità di un indirizzo organico ed unitario di governo respinse energicamente le pretese feudali e ne ridimensionò l'arroganza.

Nel 1607 l'imperatore Rodolfo, affidando al duca Massimiliano l'incarico di domare la piccola città libera di Donauwòrth, andata in mano al predominante partito protestante, lo introdusse nell'agone politico.
Massimiliano si dimostrò pari al suo compito; marciò sulla città alla testa di un esercito numeroso in misura sorprendente, la prese e la tenne occupata in pegno del risarcimento delle spese di guerra, che naturalmente non furono mai pagate.

Questo avvenimento rivelò ai principi protestanti che i loro avversari erano già molto avanti nella preparazione militare. Tale constatazione portò alla fondazione dell'Unione protestante (1608). Il focolare dell'iniziativa e del gran impegno tendente a creare una organizzazione dei principi e città protestanti fu il Palatinato; chi in particolare si adoperò allo scopo fu Cristiano di Anhalt, amministratore dell'Alto Palatinato, che già aveva fatto le sue prove militari, accorrendo nel 1591 in Francia con un piccolo corpo di soldati tedeschi per aiutare Enrico IV di Navarra nella sua lotta contro la Lega cattolica.


UNIONE E LEGA

Le relazioni che i protestanti tedeschi avevano mantenute con Enrico IV durante la lotta sostenuta in Francia dagli Ugonotti, offrirono adesso la possibilità di chiedere a loro volta aiuti ed appoggio all'antico correligionario divenuto potente.
In quel momento il progetto di Cristiano di Anhalt era di stringere una salda alleanza con gli olandesi e di indurre la Francia ad appoggiare la successione di un principe evangelico nei ducati di Jülich-Cleve. Nella sua azione Cristiano si lasciò sempre guidare da uno scopo ideale, il rafforzamento del partito protestante in Germania, ma disgraziatamente non comprese mai che i mezzi che si proponeva di usare erano troppo inadeguati e le vie che intendeva percorrere troppo lunghe e complicate per poter fare una cosa seria.

L'invincibile bisogno di attività che spinse Cristiano ad assumersi una missione diplomatica alla quale era impreparato degenerò spesso in una vaga montagna di progetti cartacei. La realtà era che il far dei sacrifici, il semplificare o ridurre il dispendioso trono di casa e di corte, il risparmiare da un lato e l'accrescere dall'altro le entrate mediante un sistema razionale di amministrazione, non entrava affatto nel programma politico dei signori «corrispondenti», i quali si sfogavano a far scrivere dai loro consiglieri incredibili montagne di atti e di lettere e nel farlo si immaginavano di concludere qualche cosa in favore della loro causa.

Il colpo di mano di Donauwòrth provocò peraltro un mutamento nello stato d'animo dei maggiori principi territoriali. Esso destò la preoccupazione della Sassonia elettorale. Questa, che era già irritata per l'avvenuto conferimento del principato di Colonia ad un principe bavarese, si allarmò ancor di più quando nel 1583 avvenne la conquista di quell'arcivescovado da parte degli spagnoli e bavaresi perché il principe Gebhard II si era fatto protestante.

Allora la Sassonia levò la voce nella dieta per reclamare nuove garanzie in favore della libertà religiosa e si mostrò propensa ad una alleanza con gli altri principi protestanti. La condotta poi di Ferdinando II che si pose ad eseguire con inesorabile rigore il mandato ricevuto dai gesuiti di estirpare l'eresia persuase anche meglio della necessità di quell'alleanza e portò, come già detto nel precedente capitolo, alla fondazione dell'Unione protestante nel maggio del 1608.

Il suo scopo dichiarato fu quello di prestare aiuto a un qualsiasi membro dell'Unione che venisse attaccato illegalmente. In caso di ostilità la direzione ed il consiglio dell'Unione dovevano immediatamente provvedere ad organizzare gli aiuti necessari e tutti gli unionisti erano tenuti a prestare il proprio concorso.
La direzione dell'Unione fu attribuita al Palatinato. Per sopperire alla necessità di eventuali azioni militari fu stabilito di formare un tesoro di guerra comune, e allo scopo ciascun membro dell'Unione si impegnò a versare un contributo annuo per lo spazio di dieci anni. Tale contributo però venne fissato in una misura molto inadeguata a quella che avrebbero potuto richiedere le esigenze anche di un piccolo esercito. Era dunque assai poco per una efficace azione dell'Unione, senza contare che i pagamenti andarono per le lunghe o non vennero eseguiti regolarmente.

A questo elemento di debolezza si aggiunse quello degli attriti e degli antagonismi che immediatamente si delinearono in seno all'Unione tra calvinisti e luterani. Appartenevano all'Unione i seguenti territori: Palatinato elettorale, Pfalz-Zweibrücken, Baden-Durlach, Württemberg, Pfalz-Neuburg, Anspach Kulmbach, Anhalt.
Benefica, specialmente dal lato finanziario, fu l'adesione delle città di Strasburgo, Norimberga ed Ulm.

Anche i cattolici, sotto la guida di Massimiliano di Baviera e del nunzio pontificio, strinsero dopo lunghe trattative un'alleanza cui diedero il nome di «Lega». Questa peraltro, all'infuori dei principi reggenti i territorii austriaci, non riuscì ad ottenere che l'adesione della Baviera e dei vescovadi di Würzburg, Augusta, Costanza, Regensburg e Passau. I principi renani non vollero assumere alcun impegno preciso. La lega fu pattuita per dieci anni e si stabilì per il primo anno un contributo assai modesto da parte dei suoi membri; cosicché le risorse finanziarie di questa lega non erano affatto preoccupanti.

Più preoccupante fu invece il fatto che Massimiliano di Baviera riuscì ad allacciare alcune intese con Filippo III di Spagna a mezzo dell'ambasciatore spagnolo Zuniga e del cappuccino Lorenzo di Brindisi per ottenere da lui un appoggio alla lega.

Ma gli eventi politici di maggiore importanza a datare dall'estate del 1608 si svolsero in Austria. Allorché l'arciduca Mattia richiese l'omaggio del margraviado di Moravia; il paese, guidato da Zierotin, dichiarò di esser disposto a prestarlo alla sola condizione che Mattia si assumesse l'impegno di non perseguitare nessuno per motivi religiosi. Nella bassa ed alta Austria Erasmo di Schernembl indusse la nobiltà ad esigere la fissazione del principio giuridico costituzionale che alla prestazione dell'omaggio quale riconoscimento della sovranità dei principi governanti dovesse precedere l'impegno di rispettare le libertà politiche e religiose. E al proposito i membri delle diete precisarono le loro richieste nei seguenti punti:
1° libertà pari di culto per tutti; 2° abolizione di tutte le restrizioni introdotte a tempo di Rodolfo; 3° conferimento delle cariche pubbliche a persone del paese con equa distribuzione fra le due confessioni; 4° istituzione di un consiglio paritetico quale tribunale d'ultima istanza in materia giuridica e religiosa.

Mattia temporeggiò a prendere questi impegni e pose come condizione che prima gli fosse prestato l'omaggio di sudditanza. Ma una assemblea tenutasi il 3 ottobre ad Horn con la presenza di 166 rappresentanti della nobiltà e delle città dell'alta e bassa Austria non approvò questa forma di compromesso e rimase ferma al punto di vista sopra accennato: prima l'impegno del principe a rispettare le libertà, poi le prestazione dell'omaggio.

Come si vede, non era soltanto in questione il riconoscimento della libertà religiosa, ma si voleva introdurre un principio politico in virtù del quale le diete avrebbero conseguito un potere superiore a quello del principe territoriale, imponendo poi a ognuno la propria volontà. Tuttavia il conflitto si attenuò mediante una serie di manovre diplomatiche e finalmente con la mediazione dei feudatari moravi nel marzo 1609 si venne ad un accomodamento fra gli stati austriaci e Mattia, accordo peraltro malsicuro perché fondato su semplici affidamenti di dubbio valore e non su impegni precisi del granduca.

Eventi assai più importanti portò con sè l'anno 1609 in Boemia. I boemi avevano già allestite le milizie e nominato trenta direttori per la difesa del protestantesimo. Sotto la guida di Venceslao Budovec e del conte Thurn essi ottennero l'emanazione della così detta lettera di maestà del 9 luglio 1609, a senso della quale il governo o i signori ecclesiastici dovevano astenersi dal tentare di distogliere alcuno dalla sua confessione religiosa; i feudatari e, cavalieri e le città potevano assumere ecclesiastici della propria confessione; per dirigere la chiesa evangelica era istituito un apposito concistoro; un collegio permanente, detto dei difensori, ebbe riconosciuto il diritto di convocare i funzionari regi superiori di fede protestante e sei deputati per ciascun distretto del regno per trattare degli interessi religiosi.

In maniera anche più completa venne realizzato il principio della tolleranza religiosa nella lettera di maestà del 20 agosto, emanata per la Slesia essendo in essa stabilita la piena libertà di culto e di tener chiese della propria confessione per tutte le classi dei sudditi.
I cattolici non avevano potuto arginare la poderosa offensiva dei loro avversari, e grande era la loro trepidazione. L'arciduca Leopoldo, fratello di Ferdinando d'Austria, si riavvicinò all'imperatore e si dichiarò pronto a intraprendere la guerra contro gli eretici a patto di essere designato a successore della corona di Boemia.

L'imperatore non entrò in tale ordine di idee; ma nonostante ciò Leopoldo non si diede per vinto, e la guerra sarebbe scoppiata già allora se Enrico IV avesse potuto mettersi alla testa dei protestanti. Era più che naturale che egli non potesse tollerare che la Spagna o l'Austria si installassero nei ducati di Jülich-Cleve; e allorché i principi unionisti decisero di mobilitare per difendere quei territori Enrico IV non si mostrò contrario di concorrere anche lui all'impresa futura con un congruo invio di forze militari. Egli ebbe con Cristiano di Anhalt, che trascorse l'inverno a Parigi, un largo scambio di idee in ordine alla grande guerra che stava per divampare in Europa, giacché era sua intenzione di abbattere la dominazione spagnola in Italia in lega con la Savoia e con la Repubblica veneta.

Ma il 14 maggio il pugnale di Ravaillac, togliendo di mezzo Enrico IV, mutò la situazione generale. Lo scoppio della guerra rimase dilazionato, ma i suoi elementi continuarono a sussistere, rendendola ugualmente inevitabile.

La tensione politica era per il momento diminuita, se non del tutto eliminata. Né l'Unione nè la Lega sentirono il bisogno di far la guerra ad ogni costo, e perciò il 24 ottobre conclusero un trattato di pace inteso soprattutto a far cessare le devastazioni che andavano compiendo bande armate dei due partiti avversari. Nessuna delle due parti aveva fondi sufficienti per mantenere più oltre le truppe che aveva arruolate. Soltanto a Passau restarono concentrati 7000 uomini con i quali il giovane arciduca Leopoldo, d'accordo con l'imperatore Rodolfo, intendeva di impadronirsi del regno di Boemia. Egli infatti penetrò a capo di questi soldati nell'alta Austria, piegò verso la Boemia e il 15 febbraio 1611 si impossessò del lato minore di Praga.

La dieta boema vide in quest'atto un'aperta violazione dei patti di Praga, radunò a sua volta truppe ed occupò la riva sinistra della Moldava, mentre gli imperiali si schierarono sulla riva destra. La dieta generale del regno poi il 23 maggio 1611 decise la deposizione di Rodolfo ed elesse a re l'arciduca Mattia. I principi elettori insistettero perché Rodolfo desse il suo consenso all'elezione di Mattia; ma egli non volle saperne, sinché la sua morte, avvenuta il 20 gennaio 1612, eliminò tutte le complicazioni.

L'elezione ad imperatore di Mattia non incontrò difficoltà, perché non vi era in Germania alcun partito disposto a prender l'iniziativa per rivestire un'altra dinastia della dignità imperiale. Di modo che Mattia il 13 giugno 1612 fu eletto imperatore all'unanimità. Il suo breve regno si dedicò sostanzialmente all'indirizzo politico dell'influente cardinale Mattia Klessl, vescovo di Vienna, proveniente da una famiglia protestante, ma passato poi al cattolicesimo. Malgrado la sua piena devozione alla Chiesa cattolica, Mattia non credette ancora giunto il momento opportuno per prendere l'offensiva contro i protestanti dell'impero e dei territori austriaci, e suggerì un'atteggiamento moderato, tuttavia poco conciliativo.

La prosecuzione peraltro di questa politica conciliativa si rivelò difficile allorché la situazione divenne minacciosa in Ungheria e si prevedeva prossima una guerra coi Turchi. Alla dieta dell'impero convocata nel 1613 l'imperatore chiese fondi molto elevati. Ma i due partiti confessionali in seno alla dieta erano in quel momento in grave conflitto tra loro per la questione se un principe laico, nella specie il principe Gioacchino di Brandenburgo, potesse aver seggio e voto nella dieta quale amministratore evangelico del vescovado di Magdeburgo.

Da un lato un'assemblea di unionisti tenuta il 7 aprile 1613 aveva unanimemente proclamato che i protestanti non si sarebbero assoggettati mai in tale questione ad una deliberazione della dieta presa a semplice maggioranza, e dall'altro la lega prese nella stessa questione un'attitudine altrettanto intransigente. I protestanti chiesero che invece di decidere la controversia con un colpo di maggioranza si cercasse di venire ad un accomodamento amichevole.
Klessl sarebbe stato propenso a battere questa via, ma trovò opposizione nel consiglio segreto e nei granduchi. Così la dieta si sciolse senza risultati concreti. I rappresentanti cattolici accordarono tuttavia all'imperatore almeno una parte dei fondi, ma i corrispondenti protestarono contro questa come contro ogni altra deliberazione a maggioranza.

Né basta, perché in Boemia i feudatari tentarono di formare una lega più stretta fra loro; e i protestanti convocarono l'11 agosto 1614 una assemblea a Linz, cui avrebbero dovuto accedere anche i rappresentanti dei ducati austriaci e dell'Ungheria per fondare una permanente alleanza ed una organizzazione militare comune.
Poco dopo Mattia si procurò col trattato di Tirnovo (16 maggio 1615) la tranquillità dalla parte dell'Ungheria, riconoscendo Betlen Gabor quale principe di Transilvania. A tal punto Klessl credette di poter gradatamente riprendere la reazione cattolica. Egli appoggiò nella bassa Austria, quasi completamente perduta per il cattolicesimo, con un' azione con una lega di prelati, feudatari e cavalieri, e nei consigli di Vienna non fece più entrare membri protestanti.

Nel frattempo in Germania nei ducati di Jülich-Cleve erano intervenuti dei mutamenti importanti dal punto di vista degli interessi confessionali. Volfango Guglielmo di Pfalz-Neuburg, non essendo rimasto soddisfatto della parte toccatagli, ebbe l'idea di ingrandirsi sposando una principessa di una delle famiglie compartecipi di quei territori e per tale scopo fece dei passi presso la casa di Brandenburgo. Vistosi però respinto, prese la via di Monaco, passò segretamente al cattolicesimo e sposò la principessa Maria Maddalena di Baviera.
La casa di Brandenburgo così rimase sola contro due principi cattolici a difendere il mantenimento della fede evangelica nella bassa Renania. Per farlo essa poté, come era naturale, giovarsi dell'appoggio degli olandesi, ma non poté impedire il frazionamento dell'unità del territorio di Jülich-Cleve. Gli stati generali occuparono il ducato di Jülich e il generale brandenburghese entrò al servizio olandese, ma gli spagnoli comandati da Spinola occuparono Wesel.

Con la mediazione della Francia, dell'Inghilterra e degli Stati generali il 12 novembre 1614 fu concluso il trattato di Xanten, che suddivise il governo di quelle regioni. Alla casa di Brandenburgo toccarono: Cleve, Mark, Ravensberg, Ravenstein; alla casa di Pfalz-Neuburg: Düsseldorf, Jülich, Berg. Lo sgombro delle truppe straniere previsto dal trattato non poté comuqnue avvenire; ma ad ogni modo anche qui fu evitato ancora per breve tempo lo scoppio della guerra.

La guerra del resto era alle porte e fin d'ora si aprì la buona stagione per gli impresari-comandanti forniti di mezzi per esercitare l'industria degli arruolamenti. L'organizzazione militare della Lega venne modificata nel senso che a capo di essa furono posti tre direttori. Massimiliano di Baviera aveva ottenuto di sopprimere il comando supremo unico, perché egli voleva impiegare le sue truppe e il suo denaro come gli pareva e non affidarli ad un altro, verosimilmente ad un arciduca.
Le notizie sullo stato di salute dell'imperatore si fecero però assai serie, e quindi si riconobbe la necessità di preparare la sua successione. La sistemazione preventiva di tale questione era soprattutto un interesse degli Absburgo, perché nessuno poteva prevedere quale piega avrebbero preso gli avvenimenti se l'imperatore moriva senza che essi medesimi avessero «nominato» il successore.

Nelle trattative iniziate per tale scopo intervenne la Spagna con pretese non del tutto inaspettate, ma moleste; Filippo III pretendeva cioè le corone di Boemia ed Ungheria come nipote di Massimiliano II. Ad eccezione dell'arciduca Ferdinando II, che nella sua Austria interiore si era già guadagnato gli speroni con la fiera reazione cattolica, gli altri arciduchi erano privi di prole. Ferdinando perciò divenne il loro candidato. Dopo varie trattative fu finalmente concluso il così detto trattato di Graz (23 luglio 1617) che riconobbe Ferdinando successore designato ai reami austriaci ed alla corona imperiale. La Spagna venne ricompensata con la promessa di cessione dei feudi imperiali di Finale, Piombino e dei possedimenti austriaci di Alsazia.

Il i5 giugno 1617 la dieta boema fu convocata allo scopo di "accettare, proclamare e incoronare" re l'arciduca Ferdinando. L'opposizione evangelica in seno alla dieta, dopo qualche resistenza, si lasciò convincere del buon diritto di Ferdinando. Solo due membri stranieri della nobiltà, Mattia di Thurn, che però possedeva dei beni in Boemia e il tirolese Colonna di Fels, votarono contro Ferdinando.
Non fu dunque una opposizione nazionale ceca che entrò qui per la prima volta in lizza contro gli Absburgo, ma era sempre un partito feudale-evangelico che non amava vedere sul trono di Boemia l'allievo dei gesuiti e centralista Ferdinando e persisteva nella convinzione che un regno di Boemia indipendente, affidato ad un principe tedesco che si tenesse fedele ai principi stabiliti nella lettera di maestà, sarebbe stato il più adatto ad assicurare l'equilibrio delle due confessioni all'interno dell'impero germanico.

L'incoronazione di Ferdinando seguì il 16 giugno 1617. Egli cominciò ad applicare subito anche in Boemia i metodi già sperimentati nell'Austria interiore per attuare la reazione cattolica. Con una serie di provvedimenti in odio dei protestanti egli compì delle vere sopraffazioni, violando apertamente quanto scritto nella lettera. Tutto questo costrinse i difensori a convocare l'assemblea del gruppo evangelico della dieta, come era previsto nella lettera medesima. Questa dieta protestante si radunò a Praga il 5 marzo 1618. Essa deliberò di presentare immediatamente un reclamo ai luogotenenti regi ed esortò i moravi e slesiani ad intercedere presso Ferdinando in favore dei loro correligionari boemi.
La dieta ungherese convocata verso la stessa epoca, pur rifiutando di riconoscersi vincolata da doveri o riguardi verso casa d'Austria nella scelta del suo sovrano, tuttavia elesse ad unanimità Ferdinando a re d'Ungheria, e la sua incoronazione fu celebrata il 1° luglio. Ma lo stato d'animo del nuovo eletto non era affatto sereno perché nel frattempo era scoppiata la rivoluzione in Boemia.

I difensori, dopo avere proprio in Boemia convocata la dieta protestante, si sforzarono ancor prima della sua effettiva riunione di indurre a propositi conciliativi i luogotenenti regi che parteggiavano per il cattolicesimo. Costoro a loro volta tentarono di impedire possibilmente che si radunasse la dieta protestante e premere in tal senso sui difensori. Ma era troppo tardi. Il 21 maggio arrivarono a Praga numerosi rappresentanti della nobiltà cui si aggiunsero i rappresentanti di sei città. Praga si mostrò nell'occasione fredda e indifferente. L'assemblea fu invitata al Hradschin, sede del governo, per la comunicazione di un nuovo divieto imperiale.
Vi si recarono un centinaio di membri e la riunione si svolse per il momento tranquilla. Il 22 maggio la dieta protestante discusse la risposta all'intimazione imperiale. Al convengo intervennero i due difensori di Praga, Feuerwein e Kochau, e invocarono protezione. Mattia Thurn fece mostra di temere che nel recare la risposta al Hradschin i convenuti avessero ad attendersi delle violenze e chiese al governo che essi potessero recarvisi armati; il che fu concesso per ispirar loro fiducia.

In seno all'assemblea Thurn eccitò alla resistenza gli animi dei suoi correligionarii e li convinse che in ogni caso occorreva organizzare una dimostrazione imponente. Nella stessa notte poi in un convegno segreto tenuto nel palazzo Smiritzky fu deciso di dare a questa dimostrazione un carattere offensivo, procedendo ad atti di violenza sulla persona degli odiati luogotenenti regi, in modo che nessuna delle due parti potesse più tornare indietro e la sollevazione rivoluzionaria della nobiltà feudale boema dovesse necessariamente precipitare.

La mattina dopo, 23 maggio, la nobiltà evangelica montava a cavallo verso il Hradschin; ciascuno dei convenuti, seguito da uno scudiero, recava con sé la sua spada e le sue pistole. Vennero esposte ai funzionari regi le lagnanze della classe, reclamando che ne fossero eliminate le cause. Dei funzionari alcuni tennero un contegno accomodante, ma altri si mostrarono ostili e ruvidi nelle maniere; e allora questi ultimi vennero afferrati e buttati giù dalle finestre nel fossato del castello e fatti a segno colpi di pistola.
La dieta protestante il dì successivo, 24 maggio, istituì un direttorio di 30 membri con facoltà assai superiori a quelle dei difensori e decise di mettere a loro disposizione un esercito boemo di 16.000 uomini. Presidente del direttorio fu Guglielmo di Ruppa, Thurn luogotenente generale, Fels maresciallo di campo.

Ferdinando salutò con gioia l'insurrezione perché gli porgeva finalmente l'occasione di ridurre all'obbedienza i suoi oppositori. Ma l'imperatore non si mostrò favorevole ad assecondare subito questi propositi. La sua riluttanza venne attribuita alla influenza del Klessl, ed allora si decise di eliminarlo. Col consenso dell'ambasciatore spagnolo Onate l'arciduca Massimiliano lo fece arrestare e imprigionare nel castello di Ambra nel Tirolo.
Una somma di 300.000 fiorini d'oro trovata nella casse del suo tesoro venne confiscata e adoperata per i preparativi militari. Con quest'ultimo atto poté dirsi tramontata anche la politica conciliativa nell'impero tedesco.

Fra i principi tedeschi protestanti l'unico che potesse essere spinto ad accarezzare disegni politici di vasta portata era Federico V del Palatinato. Egli era genero di Giacomo I d'Inghilterra, e tale posizione parentale spronava fortemente l'ambizione già presente del resto nel suo carattere. Ma allo spirito di intraprendenza egli non univa la necessaria energia; era di temperamento gioviale, amante della baldoria e dei piaceri mondani. La sua politica era quella dei suoi consiglieri ed in prima linea quella del suo principale consigliere Cristiano di Anhalt. E questi era convinto essere giunto il momento di stroncare il predominio della casa d'Absburgo e così arrestare definitivamente i progressi del cattolicesimo in Germania.

Da un pezzo egli manteneva intese con i capi della nobiltà feudale dei territori austriaci ed in previsione della morte di Mattia aveva già predisposto le cose in modo che il Palatinato mediante le sue relazioni internazionali avesse potenza sufficiente per aiutare efficacemente i protestanti austriaci.

Nel nord d'Europa era spuntata una notevole personalità di profonda e sicura convinzione evangelica: Gustavo Adolfo re di Svezia. Ma egli era in guerra con la linea cattolica della famiglia Vasa che occupava il trono di Polonia, e benché vittorioso, non era da attendersi che prima della fine di questa guerra potesse intervenire in Germania in favore dei suoi correligionari.

Invece in Italia la situazione era ormai tale che gli Stati i quali volessero conservare la propria indipendenza dovevano cercare di procurarsi degli alleati, e questi non potevano trovarli che fra i principi evangelici. Il duca Carlo Emanuele di Savoia si trovava dal 1614 in guerra con la Spagna per il Monferrato. La repubblica di Venezia si sentiva seriamente minacciata da una serie di imprese dei governatori spagnoli dirette a fiaccare il suo predominio in Adriatico. Inoltre essa era appena uscita da una guerra con Ferdinando d'Austria per il possesso di Gradisca, e sebbene la pace di Madrid avesse cercato di tutelare il più possibile gli interessi di ambedue i contendenti, tuttavia era manifesto che la politica di Ferdinando nascondeva mire aggressive contro la Repubblica cui premeva tener lontana la possibilità di un attacco combinato della Spagna e dell'Austria da parte di terra e da parte di mare.

Le minacce che gravavano così sulla Savoia come su Venezia indussero Ferdinando a cercare di allearsi con quelle forze che lottavano contro la politica spagnola; e queste erano i Paesi Bassi e l'Unione. E gli Olandesi avevano realmente già aiutato la Savoia, prendendo al loro servizio il conte di Mansfeld e incaricandolo di arruolare 4.000 uomini e guidarli in Savoia. Allo scoppio dell'insurrezione a Praga la Savoia fu l'unico Stato di una certa importanza che si trovò disposta ad assistere i protestanti boemi. Gli stati generali non poterono accollarsi impegni di tanta importanza perché erano essi medesimi travagliati da un conflitto interno fra due sette confessionali, quella dei Gomaristi e quella degli Arminiani, il cui dissenso religioso inoltre si accompagnava ad un contrasto politico, in quanto un partito, capitanato dal pensionario d'Olanda, Oldenbarneveld, voleva conservare al patriziato cittadino la preponderanza nel governo degli stati uniti, mentre l'altro era composto dei sostenitori della casa d'Orange.
Il secondo, e con esso i Gomaristi seguaci del calvinismo puro, ebbe il sopravvento e divenne dominante dopo il supplizio di Oldenbarneveld (1619). Venezia all'inizio accolse con una certa freddezza le sollecitazioni della Savoia, ma ben presto fu scossa dalla sua apatia dalla scoperta della congiura di Jacques Pierre (aprile 1618). Una banda di mercenari francesi, olandesi ed altri che andavano vagando in attesa di impiego, organizzò l'audace progetto di occupare l'arsenale e il palazzo dei Dogi, di rafforzarsi e mantenersi nel centro della città in attesa dell'arrivo di navi del viceré spagnolo di Napoli, duca Ossuna, per poi impadronirsi col loro aiuto di Venezia.

Il processo svoltosi dopo la scoperta di questa congiura non lasciò sussistere dubbi di sorta che Ossuna aveva avuto mano nella faccenda. E se anche la stravaganza dell'impresa non poteva far credere a serie speranze della sua riuscita da parte spagnola, restava tuttavia il fatto che navi spagnole avevano progettato di turbare il predominio assoluto nell'Adriatico che Venezia si arrogava; il che costituiva un pericoloso attentato alla sua indipendenza.
La Repubblica pertanto ebbe ora grande interesse a mantenere bene armati e preparati i nemici della Spagna, e quindi corrispose alla Savoia 3.000 ducati per il mantenimento delle truppe di Mansfeld. Questi, che era acquartierato a Berna, indusse il duca di Savoia a mettere a disposizione dell'Unione le sue forze non prive di valore; sebbene modeste. E, passato ad Heidelberg, propose che in compenso si promettesse al duca la corona imperiale nella prossima elezione.

La Boemia e la dinastia d'Absburgo si trovavano da mesi in stato di guerra. Siccome l'imperatore molto malato non era in grado di occuparsi di nulla, il governo era in realtà nelle mani di Ferdinando d'Austria o piuttosto del suo ministro, barone Giovanni Ulrico di Eggenberg. Costui, nato da padre protestante, aveva abbandonato la confessione evangelica perché si era accorto che la potenza dei cattolici alla corte dell'Austria interiore cresceva ogni giorno e tendeva ad acquistarsi assoluto predominio, ed in grazia dell'autorità che godeva la sua famiglia era salito all'alta carica, coltivandosi la fiducia dell'arciduca.

Eggenberg comprese che ormai la Boemia si doveva riconquistare con la forza e perciò procedette con l'aiuto del papa e della Spagna a raccogliere un esercito. Nell'estate 1618 questo raggiunse la forza di 14.000 uomini ed ebbe uno sperimentato ed abile comandante nel conte di Bouquoy, che l'arciduca Alberto inviò dai Paesi Bassi. Le truppe boeme, che avevano la stessa forza, presero posizione a guardia delle frontiere. In ottobre arrivò in Boemia Mansfeld che, continuando ad essere pagato dalla Savoia, fu dal direttorio investito del comando supremo.

La diplomazia unionista, ora che la Boemia doveva tanto al principe Federico del Palatinato, si propose di fargli conseguire quale compenso la corona reale boema. E al disegno fu data esecuzione, ma con mezzi insufficienti. Intanto arrecò già una delusione il fatto che re Giacomo I si dichiarò completamente contrario e non volle appoggiare queste aspirazioni regali di suo genero. Oltre a ciò la Repubblica di Venezia, il cui senso politico era andato dal XV secolo continuamente decadendo in seguito al prevalere dello spirito mercantile e dell'indolenza instillatale dalle immense ricchezze accumulate, non comprese che in questo momento si poteva ottener di più con alcune centinaia di migliaia di ducati che non con la mobilitazione di grandi masse di truppe, e quindi trascurò di aiutare in modo sufficiente il duca Carlo Emanuele di Savoia dicendogli di rivolgersi all'Unione per farsi rimborsare le spese del mantenimento del corpo di Mansfeld.
Allora il duca per mezzo di Mansfeld avanzò la pretesa che in compenso dei sacrifici attuali e futuri gli si promettesse, oltre la corona imperiale, anche la corona reale di Boemia.

Il 20 marzo 1619 morì l'imperatore Mattia. L'arciduca Massimiliano era morto già da un anno, l'arciduca Alberto cedette i suoi diritti sui territori austriaci, e quindi Ferdinando rimase l'unico erede legittimo di tutti i dominii absburgici. Ma i Boemi impugnarono la validità dell'accettazione già avvenuta di Ferdinando e dichiararono aperta la questione a quali condizioni lo si dovesse riconoscere re, e nel frattempo conferirono al direttorio il governo ad interim. Per loro incarico Thurn si recò in Moravia, i cui stati istituirono del pari un governo provvisorio e si dichiararono pronti ad unirsi con quelli di Boemia.

Nell'alta Austria Schernembl ottenne la stessa cosa. I protestanti della Bassa Austria dichiararono che non avrebbero prestato omaggio se prima non veniva riconosciuta la libertà religiosa. Mattia Thurn fece una ardita puntata verso la Bassa Austria alla testa di 10.000 fanti, 2.500 cavalieri e 12 cannoni e il 5 giugno penetrò fin nei sobborghi orientali di Vienna. Ferdinando era in procinto di partire per Francoforte per l'elezione del nuovo imperatore, ma non poté lasciare la città per il timore di esser preso prigioniero dai suoi avversari. D'altro canto le sue forze militari erano assai scarse, e non si è perciò ancora riusciti a stabilire per qual motivo i protestanti non siano ricorsi tempestivamente alla violenza e non si siano impadroniti della persona del granduca.

Il 7 giugno l'occasione era già passata, perché Thurn dovette in tutta fretta sgombrare le vicinanze di Vienna all'annunzio che si avvicinava un esercito di 6.000 fanti e 1.000 cavalieri, per la massima parte Valloni. Il 10 giugno queste truppe ebbero infatti uno scontro presso Zablat con Mansfeld, il quale rimase sconfitto perché i Boemi non gli portarono in tempo aiuto. L'11 giugno Ferdinando poté partire per Francoforte, dove fu eletto imperatore il 28 agosto successivo.

Una elezione fortemente contestata dalla dieta boema
e allora fu guerra


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