-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

128. DIVAMPA LA GUERRA BOEMA

Come abbiamo visto nel precedente capitolo, la "Defenestrazione di Praga" fu la scintilla che diede inizio alla "guerra dei trent'anni". La prevista successione di Ferdinando aveva allarmato soprattutto la nobiltà della Boemia, soggetta al dominio diretto degli Absburgo d'Austria. Questa nobiltà era per la quasi totalità aderente a diverse confessioni protestanti e dal precedente imperatore e sovrano di Boemia - Rodolfo - aveva ottenuto un regime di tolleranza (1609). Infatti, da allora nel corso di quasi dieci anni non era accaduto nulla di preoccupante. Ma all'inizio del 1618 lo zelante imperatore cattolico Mattia, succeduto a Rodolfo, fece abbattere alcuni tempi protestanti.

A quel punto Praga insorse, e il 23 maggio 1618, la popolazione prese d'assalto il castello della città, poi catturati tre rappresentanti imperiali che volevano far rispettare la linea dura di Mattia, li buttarono giù dalle finestre. Si diedero un autogoverno, e quando poi Mattia l'anno successivo morì, rifiutarono di riconoscere la successione imperiale di Ferdinando II d'Asburgo sancita dalla dieta imperiale.
Come abbiamo detto all'inizio tutto questo fu la scintilla che fece esplodere la Guerra dei Trent'anni. Una logorante guerra che nei vari fronti, coinvolse tutti gli Stati europei e che si è soliti dividere in quattro fasi: il conflitto Boemo-palatinato dal 1618 al 1625; quello Danese dal 1625 al 1629; l'intervento Svedese dal 1630 al 1635; ed infine quello Francese dal 1635 al 1648 che mise poi termine alla guerra con la Pace di Westfalia.

Noi qui dobbiamo iniziare con la prima fase; con la guerra Boema, tornando ad alcuni precedenti.

La dieta boema, mediante l'inclusione degli Slesiani e dei Moravi, si allargò e trasformò in dieta generale dei territori della corona di Boemia; dopo la cosiddetta lettera di maestà del 9 luglio 1609, il 31 luglio costituì detti paesi in una specie di confederazione, stabilendo i seguenti principi di massima: piena libertà religiosa, conferimento delle cariche pubbliche a soli protestanti, libera scelta del re, istituzione di difensori in tutti i paesi federati, organizzazione militare comune e arruolamento di truppe, sottoposto quest'ultimo alla condizione del consenso della dieta. La confederazione strinse poi una seconda lega coi paesi austriaci con reciproca garanzia delle libertà politiche e religiose. La gran massa del popolo, tuttavia, così nelle città come nelle campagne, rimase estranea a tutto questo movimento, ed anzi si contribuì a mantenervela estranea.

I contadini, ancora in molti luoghi legati alla gleba in condizione semi-servile, reclamarono la loro libertà personale e ribadirono persino tale aspirazione con sporadiche insurrezioni. Tschernembl consigliò ai suoi amici boemi di abolire la servitù della gleba e crearsi così una forte base nell'ambiente popolare, ma i maggiorenti boemi non ne vollero sapere, anche se un simile passo avrebbe forse salvato la loro causa e l'avrebbe resa vittoriosa.

Del resto questi signori che pretendevano disporre della corona di Boemia si guardarono bene dall'imporre i necessari sacrifici anche a sé stessi. Le imposte resero meno di prima e il direttorio non osò aumentarle; cosicché venne a mancare il denaro e le truppe non poterono essere pagate.

La nuova dieta generale, dopo aver proclamato che Ferdinando era venuto meno ai suoi impegni giurati e che nei suoi riguardi non era intervenuta una vera elezione, ma una semplice accettazione, che non era stata neppur confermata dai Moravi e Slesiani, passò all'elezione del nuovo re.
Siccome il principe di Sassonia aveva rifiutato la candidatura, e Carlo Emanuele di Savoia era incompatibile perché cattolico, si dovette bene o male accordarsi all'unico aspirante che rimaneva, il principe palatino Federico.

Cristiano di Anhalt avrebbe desiderato procrastinare l'elezione sino a dopo ottenuta l'adesione alla medesima degli altri membri dell'Unione e del re d'Inghilterra; ma i Boemi non vollero più attendere ed elessero senz'altro a re Federico il 27 agosto. Nonostante questo Cristiano credette di dover consigliare all'eletto di accettare, mentre nessuno dei presupposti cui egli stesso aveva subordinato l'attuazione del suo disegno politico si era verificato.

Dei membri dell'Unione ben pochi si mostrarono d'accordo; i più invece, specialmente le ricche città, espressero il proprio dissenso perché temettero di imbarcarsi in una guerra che sarebbe costata loro una quantità di denaro.

La confederazione e la sua alleanza con l'Austria, ed ora l'elezione di un proprio re da parte dei Boemi, aveva dato luogo alla fondazione di uno Stato a sé, il cui centro, se la scelta avesse retto, sarebbe stato Praga e non Vienna.
Un fenomeno analogo si avverò anche in Ungheria. Betlen Gabor, dopo la morte di Mattia, concepì il disegno di fondare un regno ungherese autonomo. Egli tramò allo scopo con Costantinopoli per provocare una dichiarazione di guerra contro Ferdinando e si alleò col direttorio boemo.
Il 28 agosto Betlen si mise in marcia da Klausenburg, marciò attraverso l'alta Ungheria le cui città fecero causa comune con lui, e il 21 settembre ebbe un convegno a Kassa col partito evangelico capitanato dal conte Thurzo.
Alla testa di rilevanti forze, fra cui masse numerose di cavalleria, egli giunse il 14 ottobre a Presburgo, la prese ed avanzò su Vienna.

Tanto Bouquoy quanto Dampierre, che avevano a poco a poco guadagnato terreno in Moravia e in Boemia, dovettero in tutta fretta ritornare indietro per proteggere Vienna. Anche l'esercito boemo, al comando di Thurn ed Hohenlohe, avanzò verso il Danubio e presso Passau si congiunse con Betlen.

Il 26 novembre Bouquoy subì una sconfitta nei pressi di Bruck an der Leitha, e il 27 il nemico era alle porte di Vienna. A questo punto sarebbe stato della massima importanza per la causa degli alleati che i protestanti dell'Austria interiore si fossero anche essi sollevati completando l'accerchiamento della capitale. I governanti del Palatinato fecero grandi sforzi per indurre i loro correligionari di Stiria e Carinzia a fare una piccola «diversione » e per ottenere aiuti di denaro da Venezia.
Se non che nell'Austria interiore v'era una piccola cerchia di patrioti che malgrado la loro fede acattolica godevano la fiducia di Ferdinando e un grande prestigio personale, i quali, sia per le loro intime relazioni con la linea governante degli Absburgo, sia per il fatto che anche dopo la reazione cattolica del 1598 alla nobiltà non era stato vietato di esercitare il culto evangelico nei propri possedimenti a patto di non dar nell'occhio, si erano sempre astenuti dal partecipare all'opposizione contro la famiglia sovrana.

Ora contro la repulsione di costoro di venire ad una rottura completa con gli Absburgo naufragò certamente il tentativo di trapiantare la rivolta anche nell'Austria interiore. Del resto il partito che sarebbe stato disposto ad agire in tal senso non possedeva uomini di pari autorità e potenza e quindi nulla poteva concludere contro la volontà avversa dei primi; cosicchè con le sue promesse e con i suoi progetti non fece che cullare in vane speranze i capi dell'insurrezione boema e i dirigenti della politica palatina.

L'astensione dei protestanti dell'Austria interiore dal partecipare alla ribellione del 1619 ebbe per gli Absburgo maggiore importanza che non il rifiuto degli Ungheresi di desistere dalla prammatica sanzione nei critici giorni dell'elezione della grande imperatrice.
Altre circostanze poi si aggiunsero a migliorare la posizione di Ferdinando. Anzitutto intervennero forti nubifragi che resero difficilissima agli insorti la permanenza dinanzi a Vienna, tanto più che le truppe non pagate regolarmente erano già malcontente.
In secondo luogo verso la fine di novembre arrivarono per la via di Innsbruck 7.000 cavalieri spagnoli in aiuto dell'imperatore. Il conte di Homonay, un ungherese cattolico, riportò una vittoria su Giorgio Boczkay, partigiano di Betlen; questi si sentì minacciato e il 29 del mese arretrò sulla Leitha e poi anche oltre. Thurn con i Boemi fu costretto a ritirarsi anche lui; tuttavia, appoggiato dalla bassa ed alta Austria, si arrestò sui confini della Moravia. Vienna era liberata; la stella di casa d'Absburgo risorgeva all'orizzonte.

I principi leghisti avevano stabilito fra loro a Francoforte di organizzare un proprio esercito per difendere Ferdinando ed avevano esortato la Spagna ad intervenire in Germania con forze prelevate dai Paesi Bassi. Massimiliano di Baviera accettò la direzione della difesa cattolica, ma a patto di avere il comando militare assoluto, e neppur l'imperatore doveva mettergli dei limiti. In compenso promise di armare 24.000 uomini e di entrare con questi in campagna contro i nemici di Ferdinando.

L'incoronazione del principe Federico del Palatinato a re di Boemia (4 novembre 1619) fu il segnale di grandiosi preparativi militari nell'Europa centrale. Dove invece lasciò il tempo che trovò fu nella stessa Boemia, dove gli sperimentati e non ottimisti consiglieri del re constatarono ben presto il deplorevole stato delle cose. Il guaio più grave era la mancanza di denaro. I vari capi dell'insurrezione, specie quelli impiegati nell'esercito, invece di contribuire con il denaro, mirarono a guadagnarne sotto il nuovo governo. L'antagonismo tra luterani e calvinisti fu sempre più di ostacolo affinché si mantenesse una salda coesione tra i membri dell'Unione.

Il predicatore di corte del principe di Sassonia dichiarò che per i luterani erano meglio i cattolici che i calvinisti e che perciò non si doveva aiutare la diffusione di questa piaga calvinista in Boemia. Le spese degli armamenti e del mantenimento degli eserciti aumentarono di giorno in giorno. La cassa dell'Unione aveva già speso somme rilevanti senza che la guerra vera e propria fosse neppure cominciata.
Del resto anche fra i cattolici Massimiliano di Baviera fu l'unico che mantenne esattamente gli impegni assunti; gli altri mandarono denaro e truppe in misura assai inferiore a quanto avevano promesso. Le richieste di aiuti fatte alla Spagna superavano le sue possibilità finanziarie.

Tuttavia l'arciduca Alberto si avvalse del credito che la Spagna godeva per approntare 21.000 fanti e 4.000 cavalieri, che al comando di Ambrogio Spinola marciarono in direzione di Heidelberg. Agli spagnoli furono promessi compensi in Alsazia e fu ventilato anche il progetto di abbandonar loro i ducati di Julich-Cleve, il che avrebbe servito a rafforzarli nella lotta contro gli Olandesi.

Come si vede, erano pur sempre interessi politici quelli che spingevano alla guerra, la quale non era dunque in realtà una guerra di religione. Lo si poteva desumere dagli scarsi contributi della Santa Sede e del clero. Da Firenze e da Genova furono inviati piccoli aiuti, e il papa concorse con 10.000 fiorini mensili e destinò alla guerra il ricavo di una imposta del 3 % sulle decime italiane, la quale peraltro nel primo anno non rese che 100.000 ducati.

L'imperatore il 29 settembre aveva concluso un armistizio con Betlen Gabor; esso però non condusse alla pace, perché le pretese del principe furono esagerate e principalmente ineseguibili le condizioni finanziarie da lui poste. Alla successiva dieta di Neufohl (luglio-agosto 1620) gli evangelici radicali ottennero il sopravvento ed elessero re Betlen Gabor. Questi pertanto dovette abbandonare ogni idea di conciliazione con Ferdinando e riaccostarsi alla Boemia e all'Unione.

Come di solito, i singoli cercarono di fare prima di tutto i propri interessi. La Sassonia e l'Assia-Darmstadt disertarono completamente la causa dell'Unione dopo che da parte cattolica fu loro assicurato che non si aveva alcuna intenzione di spodestare con la forza e fuori dalle vie legali i possessori di benefici ecclesiastici. Oltre a ciò il principe di Sassonia si fece dare in garanzia l'alto e basso Lausitz e si fece promettere un principato laico tra quelli che si rendessero disponibili durante il corso della guerra; e con ciò si alludeva all'Anhalt.

Il 18 giugno si radunò un congresso dell'Unione ad Ulm. Vi si presentarono inviati del duca di Baviera e reclamarono una dichiarazione che l'Unione si sarebbe astenuta dall'intraprendere ostilità militari contro i membri della Lega. Se non gli si dava tale assicurazione egli avrebbe senz'altro attaccato. Questo passo aveva la sua ragione: infatti una minaccia delle truppe unioniste sul Danubio avrebbe tenuto impegnato là l'esercito bavarese-leghista e le truppe imperiali in Boemia avrebbero dovuto da sole sostenere il peso delle truppe boeme e di quelle ungheresi, giacché il principe di Sassonia non intendeva entrare in Boemia se non accompagnato con l'esercito bavarese.

D'altro canto anche i principi unionisti avevano motivo di esitare ad impegnarsi contro la Lega perché temevano che gli spagnoli provenienti dai Paesi Bassi piombassero alle spalle mentre erano alle prese con Massimiliano di Baviera. E quindi una missione francese giunta ad Ulm per fare opera di mediazione tra l'Unione e la Lega ottenne con molta facilità il suo scopo; l'Unione fece la desiderata dichiarazione. Massimiliano che così era coperto alle spalle poté iniziare l'impresa contro la Boemia.

Senza mettere altri indugi il 24 luglio Massimiliano si pose in marcia alla testa di 21.000 uomini, penetrò nell'alta Austria e lanciò avanti alcune migliaia di soldati sulla strada che da Fürth conduce a Pilsen. I due o tre mila mercenari al soldo austriaco e i contadini armati si dileguarono dinanzi all'invasione di truppe senza neppur tentare una resistenza. Se la popolazione protestante delle due Austrie non avesse avuta la chiara convinzione che i capi del movimento insurrezionale si erano impegnati in questa lotta per mire politiche di dominio e per il loro personale vantaggio e non per la difesa della loro fede, il duca di Baviera non avrebbe sicuramente messo piede così facilmente nell'Alta Austria.

Quella stessa gente che, insorta pochi anni dopo sotto la guida di Stefano Fadinger, arrecò così duri colpi alle truppe bavaresi e imperiali avrebbe potuto impedire la marcia di Massimiliano verso la Boemia. Invece questi il 4 agosto poté ricevere l'atto di sottomissione della regione a Linz e organizzare un'amministrazione bavarese nell'Alta Austria.
Fatto questo e operata pure la congiunzione delle truppe bavaresi con quelle imperiali condotte da Bouquoy, nulla più gli impedì di trasportare il campo delle operazioni in Boemia.

Qui Thurn si trovava con le truppe boeme a Tabor, Mansfeld presso Moldauthein. Ma la situazione era tutt'altro che promettente. Mansfeld, dopo l'elezione di Ferdinando ad imperatore e le fallite aspirazioni del duca di Savoia, non aveva più ricevuto da quest'ultimo alcun aiuto pecuniario. Egli perciò pretese da re Federico di esser preso al suo diretto servizio e di essere fornito dei fondi per pagare le sue truppe. Ma proprio questo Federico si vide nell'impossibilità di fare. Di modo che non gli rimase altra via - di fronte all'avanzare di Massimiliano - che dichiararsi pronto a passare al partito imperiale e leghista, purché gli si riconoscesse la dignità di conte dell'Impero, gli si conferisse il governatorato del Lussemburgo e gli si dessero 400.000 fiorini per pagare il soldo arretrato ai mercenari. Il duca gli mandò subito un acconto di 100.000 fiorini e insieme a Bouquoy si diresse subito su Praga.

Cristiano di Anhalt, che aveva il comando supremo delle truppe del suo re, occupò una forte posizione nei pressi di Rakonitz e riuscì per alcuni giorni a contenere l'avanzata del nemico sempre nella speranza che nel frattempo gli sarebbero arrivati rinforzi austriaci (dalla Bassa Austria) o ungheresi. Ma lo scoraggiamento si diffuse così tanto fra le truppe boeme che lo stesso re Federico da Rakonitz esortò la moglie che era a Praga ed abbandonar la Boemia.

L'8 novembre poi, ed essenzialmente in seguito alle pressioni del comandante in capo dei contingenti della Lega, barone De Tilly, l'esercito imperiale-leghista attaccò le posizioni boeme.
La forza dei due eserciti contrastanti era all'incirca uguale, ma il loro morale era molto diverso; da un lato soldati ben nutriti e puntualmente pagati e quindi animati da spirito combattivo; dall'altro soldati depressi dalle privazioni e inclini all'indisciplina ed alla ribellione. Il valore di alcuni capi, come il giovane duca di Anhalt, il duca di Weimar ed altri, non poté compensare questa grave inferiorità dell'esercito boemo.
Dalla circostanza che dalla parte dei Boemi furono eseguiti una serie di attacchi e controattacchi sparsi si é voluto indurre che già in questa battaglia Cristiano di Anhalt abbia tentato introdurre quella nuova tattica che poi fu usata più largamente da Gustavo Adolfo.
In realtà però si trattò di un fenomeno casuale, dovuto al fatto che dal lato dei Boemi non si aveva né un piano di battaglia determinato né un comando unitario ben saldo. I reggimenti di lanzichenecchi dell'imperatore e della Lega avanzarono nella loro massiccia formazione e col loro urto poderoso travolsero tutto ciò che loro si parò davanti. Nello spazio di un'ora la battaglia fu decisa; l'esercito boemo cedette, si sfasciò e in piena rotta si diede alla fuga alla volta di Praga. Era l'8 novembre 1620, e la battaglia prese il nome "della Montagna Bianca".

Re Federico, che nella mattinata a Praga aveva ancora trovato il tempo di banchettare con comodo con due inviati inglesi suoi ospiti, era appena montato a cavallo per recarsi sul campo di battaglia quando gli si fecero incontro i suoi generali sconfitti, Anhalt, Thurn ed Hohenlohe e lo misero al corrente delle drammatiche sorti della giornata. Fu la catastrofe della sua esistenza, dall'essere il primo fra i principi laici dell'impero egli divenne un re mendicante senza regno.

Leggeremo nel successivo capitolo
questa catastrofe, sua e dei vari condottieri

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