-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

132. LA CATASTROFE DI WALLESTEIN


La cattura e l'uccisione del potente Wallenstein

Con la morte improvvisa a Lutzen (16 nov. 1632) sul campo di battaglia di re Gustavo di Svezia, tutti ebbero l'impressione che quella non era una semplice morte in combattimento di un re, ma sia la sua morte sia l'esito della battaglia cambiavano repentinamente tutta la situazione europea

L'uomo dai grandi ideali che aveva accarezzato il disegno di spostare verso il nord il centro di gravità della vita politica europea era scomparso; ma le cose erano mutate dal suo primo apparire; giacchè nuovi gruppi di interessi si erano formati, rappresentati dagli eserciti che avevano in mano anche loro la forza. L'esercito svedese era salito in Germania a 100.000 uomini ma aveva da tempo perduto il suo carattere nazionale, e, come quelli dei condottieri tedeschi, fra i quali primeggiava Wallenstein, era composto di gente per cui la guerra era fine a sé stessa, e che non sapeva come avrebbe fatto a vivere senza la guerra e che in ogni caso si proponeva di mantenere bene affilate le proprie armi finché non si fosse provveduto ad assicurare il suo avvenire.

Il cancelliere di Gustavo, il conte Axel Oxenstierna, che in sostituzione del re svedese venne ad esercitare le sue funzioni in Germania, mentre uno speciale consiglio governò la Svezia in nome della figlia minorenne del re, Cristina, da uomo straordinariamente accorto ed esperto qual'era, si rese subito conto della situazione e mise davanti ad ogni altra questione quella dei compensi territoriali.
Secondo i concetti espressi ripetutamente dal re negli ultimi suoi giorni la questione compensi non doveva risolversi con criteri mercantili ma politici; la Svezia voleva anzitutto ampliamenti del suo territorio e solo in secondo ordine indennizzi in denaro contante.

Ma con ciò la questione non era esaurita; anche i generali di Gustavo erano creditori del loro re ed in compenso delle somme loro dovute si attendevano la concessione di beni sull'esempio di quanto aveva fatto l'imperatore in Boemia. E finalmente gli ufficiali inferiori e i soldati, i quali erano abituati a dilapidare subito la loro parte di bottino, pretendevano di essere congedati con una gratificazione in denaro.

Da parte dell'imperatore e della Lega le cose non andavano diversamente. Anche qui non solo si voleva conservare quanto si era guadagnato e conquistato ma si voleva possibilmente guadagnare qualcosa di più al momento della resa generale dei conti.
Come é comprensibile chi si trovava più imbarazzato di fronte a tante pretese era Wallenstein. Alla corte di Vienna era stata più motivo di maggiore trepidazioni la presenza di re Gustavo sul suolo tedesco che non ora la presenza del suo esercito accampato dentro la Germania.

Quelli della corte (e tra questi anche l'imperatore) si attendevano sicuramente che Wallenstein avrebbe approfittato di ogni buona occasione per battere gli svedesi e cacciarli dalla Germania. Altri invece prevedevano che sarebbero nate inevitabilmente delle complicazioni e si preparavano per tali eventualità.

A capo di questi ultimi era il re di Ungheria, che aspettava pur sempre la sua elezione a re di Roma. Attorno a lui si formò ora un partito che si propose di render sospetto il duca Wallenstein e di procurarne la rinunzia al comando. Ma per il duca ciò non era possibile. Anche egli desiderava la pace, ma non poteva lasciarla concludere da un altro perché gli era necessario assicurarsi i dovuti compensi col farne una condizione della pace medesima. E per agire così egli aveva bisogno del suo esercito; anzi gli occorreva che questo esercito continuasse ad essere animato da spirito combattivo e fosse solidale con lui, cioè acquistasse la convinzione che le sue sorti erano inscindibilmente legate a quelle del duca e che quindi solo lui Wallenstein era in grado di tutelare i suoi diritti e di procurargli le attese ricompense.

Ma del del resto anche i generali ed ufficiali al servizio svedese si erano subito convinti che la loro forza stava tutta nel mantenersi solidali tra loro e solidali con Oxenstierna.

La prima dolorosa sorpresa che toccò ai «benpensanti» della corte di Vienna fu che Wallenstein per provvedere all'acquartieramento invernale delle truppe concentrò quasi tutto il suo esercito in Boemia, facendo così gravare su un territorio absburgico l'onere del mantenimento dell'armata. Alle rimostranze che da ogni lato si levarono ed in particolare gli vennero mosse dall'imperatore, egli seppe sempre sottrarsi giustificando il suo atto con la necessità di trovarsi nell'estate successiva ben preparati per poter fronteggiare non solo i sassoni agli ordini di Arnim, ma anche un nuovo esercito che si era formato in Slesia al comando del conte Thurn.

In effetti invece Wallenstein aveva intavolato e manteneva attive relazioni proprio col Thurn e con i numerosi fuorusciti che erano al suo servizio e di Arnim. Si muoveva dal giusto concetto che i suoi desiderii e quelli dei fuoriusciti erano adesso conciliabilissimi. A loro volta i nuovi amici erano disposti a quasi dimenticare che dodici anni prima lui li aveva freddamente depredati arricchendosi con i loro beni; dunque che personalmente conservasse pure quanto ormai possedeva, ma a patto che facesse restituire ai protestanti i beni che i cavalieri e generali cattolici avevano precedentemente razziato.

Del resto Wallenstein sapeva che nella nuova distribuzione di beni vi era da fare ancora una volta ottimi affari. Il programma politico dei fuoriuscit poi conteneva i seguenti punti principali: ritorno della Boemia nei riguardi costituzionali allo statu quo dell'anno 1618; quindi libera elezione del re e richiamo in vigore della lettera di maestà.
Se la casa d'Absburgo non acconsentiva a queste concessioni, la Boemia doveva divenire stato indipendente. Il re che i boemi avevano da ultimo eletto, il conte palatino Federico, non era più in vita; egli era morto abbandonato da tutti 14 giorni dopo la battaglia di Lützen. Il principe di Sassonia non sarebbe stato alieno dal mettersi sul capo la corona di Boemia, ma esigeva la garanzia della Svezia; Oxenstierna però rifiutò di assumere questo impegno.

Dopo tutto questo i fuoriusciti si presero cura di favorire un'intesa tra Oxenstierna e Wallenstein.
Mentre sul Danubio e sul Reno le ostilità non subirono si può dire interruzione, Wallenstein rimase fermo in Boemia sino a primavera inoltrata per mettere il suo esercito in pieno assetto di guerra. Tuttavia egli volle anche attendere l'esito dei negoziati col cancelliere svedese. Nel maggio si recarono presso di lui a Gitschin Bubna e Raschin. Ma a questo punto cominciò il conflitto perché Oxenstierna pretese che, prima di entrare in trattative con la Svezia, Wallenstein uscisse dalla sua posizione ambigua, rompesse ogni legame con l'imperatore e si mettesse nettamente fuori dell'ordine costituzionale.
In cambio venne proposto a Wallenstein di assumere la corona di Boemia; ma egli rifiutò, non per difetto di ambizione, ma perché sapeva di non poter pretendere che il suo esercito rompesse la fede all'imperatore per aiutare la costituzione di un regno di Boemia protestante. Lo stesso Arnim era convinto di tale impossibilità.

Nel maggio finalmente Wallenstein si mosse, raggiunse l'alta Elba, si congiunse a Koniggratz con Gallas e penetrò nella Slesia ove si trovavano, tra sassoni e svedesi, 24.000 uomini al comando di Thum. Ma anche qui non si affrettò ad attaccare e distruggere l'esercito avversario, come avrebbe potuto fare se voleva, date le sue forze di molto superiori, ma riallacciò le trattative con Arnim e Thurn, perché egli pensava che se riusciva a ravvicinare i principi protestanti all'imperatore con la sua mediazione, gli svedesi si sarebbero trovati a mal partito e si sarebbe potuta indubbiamente raggiungere una pace che non dovesse sottostare a tutte le loro imposizioni.

A Vienna nel frattempo regnava grande irritazione per il fatto che Wallenstein sciupava tanto tempo prezioso e lasciava che gli svedesi continuassero a spadroneggiare nella Germania meridionale, e proprio su questo arrivarono alla corte imperiale lagnanze quasi giornaliere da parte di Massimiliano di Baviera. L'imperatore inoltre, invecchiato, non riusciva ormai più sempre a far prevalere la propria volontà su quella di suo figlio in seno al consiglio segreto. Avvenne perciò che partirono da Vienna ordini diretti ad Aldringen, che costringevano quest'ultimo ad agire in senso contrario alle disposizioni impartitegli da Wallenstein, mentre una delle più importanti clausole dell'accordo tra l'imperatore e il duca era stata per l'appunto quella che nessuno, non escluso lo stesso imperatore, avrebbe dovuto aver rapporti con i generali se non per il tramite di Wallenstein.

Il 1° agosto arrivò al quartier generale del duca il conte Schlick, presidente del consiglio di guerra funzionante a corte, e fu ricevuto con tutti gli onori dovuti ad un inviato dell'imperatore, ma non come un superiore. Wallenstein gli diede tutte le spiegazioni che gli occorrevano per mettere l'imperatore al corrente dello stato dell'esercito e certamente gli fece anche intendere che si proponeva di continuare le trattative con la Sassonia di cui l'imperatore medesimo gli aveva dato incarico. A tale scopo il 22 agosto venne pattuito un armistizio di 4 mesi con Arnim e Thurn. Ma i negoziati svoltisi in questo periodo di tempo non condussero a risultati di sorta.

Scaduto il termine dell'armistizio, Wallenstein non lo rinnovò perché stimò ora opportuno volgere le sue armi contro i nemici dell'imperatore, sia per tranquillizzare Vienna, sia per dimostrare alle altre parti belligeranti che dipendeva da lui il lasciarli più o meno a lungo padroni dei loro movimenti e delle loro decisioni.
Arnim ritirò i suoi sassoni entro i confini del principato non appena apprese l'avvicinarsi di Wallenstein, se pure non ne ebbe preavviso dallo stesso quartier generale di quest'ultimo. Con ciò gli svedesi ed i fuoriusciti boemi al comando di Thurn rimasero abbandonati alla discrezione dell'avversario. Costoro peraltro non si mossero dalla Slesia perché non si attendevano un attacco da parte del duca col quale avevano in corso trattative di pace. Invece Wallenstein fece uso del diritto che la scadenza dell'armistizio gli dava di riprendere le ostilità, attaccò il 10 ottobre a Steinau il grosso delle loro forze, circa 6.000 uomini, e lo costrinse alla resa; ma, dopo avere avuto una lunga conferenza con Thurn, lasciò liberi quest'ultimo e gli ufficiali suoi dipendenti che, caduti prigionieri dell'imperatore, erano passibili della pena di morte secondo le leggi di guerra, ricevendone in corrispettivo la consegna di tutte le piazzeforti che le truppe di Thurn occupavano nella Slesia.

In poche settimane l'intera linea dell'Oder, compresa Francoforte, era caduta in potere di Wallenstein. La ripercussione di questi avvenimenti alla corte viennese fu varia a seconda dei partiti; gli amici del duca giubilarono e cercarono di rinsaldare la fiducia dell'imperatore nel suo generale; i nemici si valsero del fatto che il duca aveva lasciato libero Thurn per rinnovare contro di lui le accuse e i sospetti.
Dalla Slesia Wallenstein ritirò la maggior parte del suo esercito nella Boemia occidentale d'onde poteva meglio osservare quanto accadeva in Baviera ed all'occorrenza intervenire a tempo. Da settimane infatti Bernardo di Weimar adunava tutte le truppe che poteva con l'intenzione di avanzare verso il Danubio ed impadronirsi di Ratisbona. Se gli riusciva di ridurre in suo potere l'antica e ricca città libera ove si adunavano le diete dell'impero, egli si procurava una posizione strategica favorevole di primo ordine, e Massimiliano di Baviera poteva da un momento all'altro vedere arrivare gli svedesi sotto le mura di Monaco.

Wallenstein tuttavia non credeva che il Weimar avrebbe osato intraprendere una simile campagna; ad ogni modo ritenne che qualora da parte sua fosse penetrato nell'alto Palatinato, l'altro avrebbe dovuto arrestare la sua marcia. Ma Wallenstein sbagliò i suoi calcoli mostrando di non conoscere fin dove potesse giungere l'audacia di un principe tedesco bellicoso. La sua politica militare si rivelò pertanto malsicura e il suo errore fu sfruttato a Vienna, dove gli agenti di Massimiliano erano tutto il giorno alla caccia di prove delle intenzioni traditrici di Wallenstein.

Per lungo tempo la Spagna si era rifiutata di favorire i disegni del principe bavarese. Ora però Wallenstein commise un nuovo errore e si alienò la Spagna, rifiutandosi di aderire ad una sua richiesta che non poteva nascondere alcun pericolo per lui, ma offendeva unicamente la sua vanità. Si desiderava cioè che il cardinale infante, il quale, ponendosi in marcia da Milano, doveva attraversare la Valtellina, raggiungere il lago di Costanza e di qui recarsi nei Paesi Bassi, fosse scortato attraverso la Germania da un corpo delle truppe di Wallenstein.
Wallenstein credette di subodorare in tutta questa faccenda un tranello della corte di Vienna e non volle rischiare di cadervi. Quando l'ambasciatore di Spagna a Vienna fu informato del suo rifiuto complottò con l'agente bavarese Dr. Riehl di toglier di mezzo Wallenstein facendogli fare una morte violenta. Allo scopo sobillarono contro il duca una parte dei generali e ufficiali superiori stranieri che si trovavano al suo quartier generale a Pilsen.

Le ulteriori macchinazioni ordite alla corte viennese si possono unicamente desumere da alcuni brani di lettere. Si sa che il 24 gennaio 1634 l'imperatore firmò il decreto di destituzione di Wallenstein, ma non se ne possiede il testo. Gallas, Aldringen e Piccolomini vennero incaricati della sua esecuzione. Gallas, che era stato designato a succedere al duca nel comando supremo, tentò di conservare il suo vecchio compagno d'armi al servizio dell'imperatore. Ma era troppo tardi. Forse Wallenstein ebbe effettivamente l'intenzione di ritirarsi dalla vita pubblica, perché nel febbraio propose una simile soluzione a Vienna per mezzo di suo cugino Max Waldstein.
Per la seconda volta poi all'atto della sua partenza da Pilsen Wallenstein inviò all'imperatore due colonnelli tedeschi per offrire la sua sottomissione e le proprie dimissioni; ma costoro non riuscirono ad arrivare a Vienna, perché vennero trattenuti dalle truppe dei generali congiurati. Invano si recò con lo stesso scopo a Vienna anche il generale Aldringen; l'ambasciatore spagnolo gli avrebbe, si dice, mostrato l'ordine imperiale di impadronirsi senza indugio della persona di Wallenstein, vivo o morto.

Wallenstein nel frattempo era in attesa di notizie da parte degli Svedesi e dei Sassoni. Infatti Oxenstierna, il quale all'inizio, messo al corrente della tensione esistente fra l'imperatore e il suo generale, non aveva voluto più saperne di una nuova intesa con Wallenstein, aveva poi mutato opinione in seguito al vivo interessamento di Feuquiéres, agente di Richelieu.
E quanto al principe di Sassonia, Wallenstein aveva fatto redigere dal colonnello Schlieff il suo programma politico e glielo aveva sottoposto: era sua intenzione fiaccare il predominio spagnolo ed impedire una eventuale avanzata della Francia oltre Reno. Il Palatinato doveva essere restituito ed il Tirolo con le sue dipendenze conservato all'impero. Il principe di Brandenburgo e Bernardo di Weimar avrebbero potuto essere soddisfatti con territori alsaziani o bavaresi. Alla Sassonia egli era pronto a dare, oltre al basso ed alto Lausitz, anche i vescovati di Magdeburgo e di Halberstadt.

Questo programma era stato sottoposto anche al duca Bernardo che lo aveva ritenuto accettabile; ma il principe di Sassonia non aveva creduto urgente decidere immediatamente. Se non che a Vienna non gli fu lasciato tempo a far nulla; il partito dominante, vale a dire quello di re Ferdinando d'Ungheria, provvide che fosse senz'altro messo ad esecuzione il disegno della sua soppressione.

Dopo che il decreto della destituzione di Wallenstein fu noto all'esercito, il duca non si sentì più sicuro a Pilsen, e si trasferì ad Eger, accompagnato soltanto da poche migliaia di cavalieri e dai generali Illo, Tertzky e Kinsky. Ma qui lo raggiunse la mano arnata dei suoi nemici.

Narra il Theatrum Europaeum che, Wallenstein giunto ad Eger, il comandante della piazza, due ufficiali di Tertzky, ambedue scozzesi, Gosdon e Lessle, e il colonnello Butler complottarono di ucciderlo insieme con i generali e ufficiali fedeli che gli stavano accanto, perché erano convinti che costoro nutrivano il proposito di passare nel campo protestante, e quindi ritenevano di fare cosa gradita e di rendere un buon servizio all'imperatore. Essi invitarono a cena nel castello i generali, e questi volentieri accettarono . Sulla fine del convito, all'ora predestinata, tra le 9 e le 10, il castello fu invaso ed occupato dai dragoni di Butler che erano irlandesi.
I soldati irruppero nella sala del banchetto con le spade snudate e gridarono: Chi é fedele all'imperatore? Al che il colonnello Butler e gli scozzesi Gordon e Lessle prontamente risposero: Vivat Ferdinandus!, diedero di mano alle armi e si schierarono dal lato degli invasori. Gli irlandesi rovesciarono le tavole e si precipitarono sui generali coprendoli di colpi.
Illo e Kinsky rimasero subito uccisi, il conte Tertzky riuscì a fuggire ma venne finito al di fuori dai dragoni a colpi di moschetto. Dopo questo primo atto Gordon rimase a guardia del castello, Lessle della piazza e Butler col suo capitano e con dodici moschettieri e altri, invasero il quartiere del duca di Friedland. Forzata la porta della stanza di Wallenstein, mentre questi tentava salvarsi attraverso una finestra, il capitano lo colpì con una sciabolata, Wallenstein cadde e spirò senza pronunziare parola.

Il giorno dopo fu resa nota all'esercito la morte del duca e gli ufficiali dei reggimenti vennero invitati a prestare di nuovo il giuramento di fedeltà all'imperatore. Il cadavere di Wallenstein fu rinchiuso nudo in una rozza bara e venne poi da parenti del duca trasportato a Münchengratz.

La prima impressione dell'immane misfatto fu così sconcertante che nemmeno da parte dei protestanti, ai quali pure il duca si era avvicinato, si levò una voce di condanna.

In seguito le cose mutarono e il governo di Vienna credette opportuno pubblicare un documento giustificativo, il che prova che anche nei circoli più vicini alla corte fu disapprovata la crudeltà con cui si era abbandonato alla furia di irlandesi e scozzesi ubriachi la persona di quell'uomo che per due volte aveva salvato dalla rovina la casa d'Absburgo.

Assai di sovente, anche in tempi recentissimi, si é proposta la questione della colpevolezza o meno di Wallenstein. È su questo problema che si impernia la nota trilogia del massimo fra i drammaturghi tedeschi, ed ogni rappresentazione del dramma incita lo spettatore a cercarne la soluzione.
Ciò é giustificabile dal punto di vista poetico; dal punto di vista storico no. Storicamente é indubbia la posizione assunta dal duca e il suo atteggiamento verso la corte di Vienna durante il suo secondo generalato.
A Vienna si sapeva benissimo con chi si aveva a che fare, perché era perfettamente noto i suoi precedenti rapporti coi protestanti.

Dopo la battaglia di Lützen l'uomo che dalle mani dell'imperatore deteneva così ampi poteri divenne incomodo, anzi meglio dire intollerabile. E questa sola fu la sua tragica colpa.

Le truppe imperiali vennero rinforzate da contingenti spagnoli, e la parte cattoloica ebbe dunque il sopravvento sugli svedesi e i principi protestanti loro alleati nella battaglia di Nordlingen (in Baviera) del settembre 1634. Con la successiva pace di Praga del maggio 1635, i principi protestanti riconobbero la propria sottomissione all'impero, in cambio ottennero l'abolizione dell'Editto di restituzione.

Con la morte di Gustavo seguita poi dalla morte di Wallenstein
la guerra nella sua terza fase (germanico svedese - 1630-1635) era conclusa.
Purtroppo era già in gestazione la quarta fase (1635-1648)
si stava infatti aprendo il fronte di guerra tra Francia e Spagna.

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