-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

134. LA PACE DI WESTFALIA

Come abbiamo letto nel precedente capitolo, il 25 marzo 1642 erano iniziate le prime trattative per una conferenza della pace; le prime sedi del convegno dei delegati vennero in pieno accordo scelte le città di Munster e di Osnabruck in Westfalia. I lavori procedettero molto lenti perchè svedesi e francesi volevano prima infierire una cocente sconfitta all'imperatore, e poi discutere i negoziati su una base a loro più accettabile.

Si era all'inizio della primavera del 1644 allorché i rappresentanti delle grandi potenze e dei minori Stati loro alleati si radunarono nelle due città vestfaliche per restituire finalmente ai popoli bistrattati la sicurezza dei loro averi e la tranquillità necessaria ad un proficuo lavoro.
Ci vollero però 16 mesi prima che si raggiungesse l'accordo circa il testo e la forma di presentazione dei pieni poteri di questi delegati. Tutto procedette col timbro dell'allonge, di quell'incredibile parrucca che da un lato rendeva più difficile il raffreddamento delle teste, specie se scaldate come spesso avveniva dalle copiose libagioni, e dall'altro impediva i movimenti troppo concitati e la parola sciolta.

Quella pesantezza di stile e gonfiezza di frase che caratterizzano la letteratura tedesca del tempo infierirono anche nella conferenza di questi plenipotenziari. Non si fecero, se non raramente, discussioni e contraddittorii veri e propri, ma di regola i singoli delegati lessero a turno i loro discorsi preparati dai segretari in latino fiorito in mezzo ad inchini inamidati e complimenti.

Per mesi interi si disputò per la precedenza di seggio e di parola; ciascun delegato aveva per così dire il suo numero d'ordine, in base al quale veniva chiamato ad esprimere il suo pensiero; e se non poteva intervenire alla seduta in cui doveva parlare, nessuno dei suoi colleghi poteva prender il suo posto come oratore.
Che i vari diplomatici di uno stesso Stato si sostituissero reciprocamente in caso di impedimento era raramente possibile già per il fatto che erano discordi fra loro e talvolta seguivano addirittura tendenze diverse. Emergeva fra tutti questi delegati il nunzio pontificio, cardinale Chigi, che si assunse il compito di mediatore e conciliatore altrettanto quanto il delegato della Repubblica di Venezia. Alvise Contarini. Entrambi erano anche i più adatti a tale missione, perché i meno direttamente interessati o responsabili nei deliberati della conferenza.

Venezia era proprio allora nuovamente impegnata in questioni orientali e non aveva in Westfalia nulla da perdere o da guadagnare; e quanto agli interessi cattolici, essi erano completamente nelle mani ed in balia degli stati cattolici. Del rimanente il Chigi non si atteggiò mai formalmente a fautore della pace; ché anzi fino alla fine si mantenne campione del cattolicesimo.
Contarini invece, cui la coltura, l'abilità e l'acutezza di giudizio assicurava già una certa superiorità, godette nella conferenza a priori di fatto della massima autorità e si acquistò le maggiori benemerenze nella conclusione della pace.

Molte settimane andarono perdute per decidere se ai delegati svedesi si dovessero rendere gli stessi onori che alla Francia. Il risultato fu che i delegati svedesi rimasero ad Osnabrück, mentre la conferenza sedeva a Munster. E così la conferenza si protraeva occupandosi delle cose più insignificanti senza che alcuno dei delegati delle maggiori potenze avesse fatto conoscere i punti di vista fondamentali che intendeva sostenere e vedere accolti.

Finalmente, dietro incitamento del Chigi, il francese d'Avaux si fece avanti con queste proposte: amnistia, ritorno allo statu quo religioso e territoriale dell'anno 1618; se la dieta dell'impero tedesco voleva arrecare mutamenti alla costituzione essi dovevano essere decisi ad unanimità.

La Svezia aderì a questi punti e chiese l'amnistia in particolare anche per i territori austriaci con la conseguente revoca di tutte le confische di beni avvenute.
I cattolici, e in primo luogo l'imperatore, si mostrarono indignati di queste condizioni. Il loro portavoce Trautmannsdorf tentò di indurre l'Avaux a più miti consigli offrendogli alcuni territori (Metz, Toul, Verdun) che già da un secolo si trovavano nelle mani della Francia; ma dovette accorgersi subito che tutto ciò veniva al più considerato come una presa in giro.

Né le cose andarono meglio ad Osnabrück dove si sperava di venir d'accordo con gli Svedesi. La regina Cristina, che nel frattempo era divenuta maggiorenne, pretendeva anzitutto ampliamenti di territorio: l'Alsazia, il Sundgau e Breisach, i Quattro Cantoni e Philippsburg, che in parte dovevano servire ad indennizzare la Francia. Per tenersi buona la Svezia era necessario venire in qualche modo incontro alle sue richieste territoriali. Ciò non poteva avvenire che a spese del Brandenburgo.

La Pomerania era rivendicata tanto da Cristina quanto dal principe Federico Guglielmo di Brandenburgo; dal principe in base a trattati, dalla regina per diritto di conquista. Il giovane principe elettore che dopo la morte di suo padre aveva dal 1° dicembre 1640 assunto il governo dei possedimenti della sua casa disseminati in tutta la Germania, era un uomo ben diverso da Giorgio Guglielmo; il suo contegno ad Osnabrück gettò un raggio di luce nelle tenebre della politica tedesca; in lui risolutezza e senso del dovere; negli altri rammollimento senile e mancanza d'ogni idea morale.

Nell'ambiente dei principi tedeschi si apprese con non poco stupore il fermo contegno assunto da Federico Guglielmo nel difendere il proprio buon diritto, perché durante la sua giovinezza, circondato come era da nemici alla corte di suo padre, si era mantenuto appartato ed era ritenuto timido e poco sincero. Anche la sua istruzione era stata scarsamente curata, ma il giovane durante la sua permanenza per 4 anni in Olanda presso suo zio materno, il principe Federico Enrico d'Orange, aveva avuto modo di sviluppare le sue non comuni attitudini alla politica pratica molto di più se avesse studiato tutti i compendi sui quali si apprendeva allora nelle Università tedesche la saggezza politica.

Tornato in patria, il principe osservò attentamente quanto accadeva in Germania, cosicché al momento di assumere il governo non ebbe incertezze sulla via da seguire. Alla dieta dell'impero, nel maggio 1643, egli aveva già dichiarato che per amor della pace e del benessere dell'impero avrebbe rinunziato ad una parte della Pomerania, ma diedro compenso che intendeva concordar direttamente con la regina di Svezia.

Tutto sommato le questioni territoriali offrirono alla conferenza minori difficoltà che non la questione della libertà di religione nei paesi austriaci e del trattamento dei fuoriusciti e banditi, dei quali si consentiva il rimpatrio, ma si temevano i processi per rifacimento dei danni subiti.
Anche la questione del Palatinato si poté risolvere agevolmente ricorrendo all'espediente di aumentare di uno i posti di elettore. Grave imbarazzo cagionò l'ostinazione della Francia nel non voler rinunziare al possesso di Breisach.

Le trattative si trascinarono per due lunghi anni senza approdare ad una, conclusione; furono pubblicati innumerevoli progetti di trattati e la corruzione infierì facendo affluire cospicue somme di denaro nelle tasche di tutti i delegati senza distinzione di nazionalità e di confessione religiosa.
Per finirla Massimiliano di Baviera dovette minacciare l'imperatore di firmar personalmente, facendo a meno di lui, gli articoli che si era riusciti a concordare ad Osnabrück; e così il 24 ottobre 1648 arrivò il sospirato giorno in cui a Munster, dove finalmente tutta la conferenza si era riunita, vennero firmati da tutti i delegati i due trattati fra l'imperatore e i territori dell'impero da un lato, e fra la Francia e la Svezia dall'altro.

Mai come a Munster e ad Osnabrück si impiegò tanto tempo e si fece tanta fatica per concludere un trattato. Ciò che uscì tuttavia dalla conferenza di Westfalia fu più che un semplice trattato di pace, dal momento che per la Germania esso assunse l'importanza di una carta costituzionale che colmò il meglio possibile le lacune della legislazione dell'impero.
Inoltre il trattato di Westfalia fermò alcuni principi di diritto pubblico generale che, proclamati per le relazioni fra i territori tedeschi, vennero in seguito spesso invocati anche dalle altre potenze europee nei reciproci rapporti e finirono per costituire il primo nucleo del diritto internazionale europeo.

Nei riguardi dell'equilibrio degli Stati capaci di appoggiare militarmente il conseguimento delle proprie mire politiche il risultato più sorprendente è la vittoria della Francia, l'ampliamento territoriale della monarchia dei Borboni ottenuto con la forza delle armi. La cosa però si spiega ponendo mente alle larghe disponibilità finanziarie della Francia che, non esistendo ancora un esercito nazionale, le permisero di pagare le truppe straniere occorrenti.
Luigi XIII aveva risparmiato, mostrandosi anzi nelle spese pubbliche più parco di quando avrebbe consigliato il fondamentale interesse della Francia. Invece il ministro del giovane Luigi XIV, Mazarino, seppe tenersi nel giusto mezzo tra la prodigalità, necessaria talora per accattivarsi gli uomini, ma che nei regimi assoluti può riuscire esiziale, e la esagerata parsimonia, non lesinando i mezzi pecuniari quando essi erano richiesti, e nella misura in cui erano richiesti, per il raggiungimento di uno scopo politico, specialmente in quell'epoca in cui tutto, politica, guerra, era affare mercantile.

E la Francia poté fornire questi mezzi, perché l'unificazione di tutti i preesistenti piccoli stadi feudali sotto lo scettro del re portò anche alla concentrazione ed unificazione di tutte le risorse che il paese poté sacrificare per il maggiore benessere e per la maggior grandezza dell'intera nazione. I risultati della pace di Westfalia non rivelarono che una piccola parte di quelle energie e di quelle risorse che la Francia unificata sotto la sua monarchia aveva accumulato. L'uomo che poi intuì l'importanza di tale situazione privilegiata del suo paese ed alle energie nazionali accoppiò la propria genialità politica dominò l'epoca susseguente: fu Luigi XIV.

La Francia raggiunse il confine del Reno, e per di più ottenne la tanto dibattuta fortezza di Breisach che le assicurò uno sbocco strategico sulla riva destra del fiume, dal quale poteva minacciare ad ogni momento la Germania meridionale. L'acquisto dell'Alsazia venne alquanto mascherato sotto alcune clausole del trattato che lasciavano sussistere su di essa dei vincoli feudali apparentemente efficaci, ma era chiaro che la Francia militarmente ogni giorno più forte non solo avrebbe definitivamente conservato la regione ma avrebbe posto le mani anche sulla vicina Lorena la cui indipendenza era insostenibile.

Sul mare del Nord e sul Baltico si insediò la Svezia mediante l'acquisto dei vescovadi di Brema e Verden e di una parte della Pomerania. Così fallì primo tentativo del Brandenburgo di raggiungere da questo lato la costa e rafforzare la propria posizione sul mare. Ma era riservato all'avvenire dimostrare che la Germania non avrebbe alla lunga tollerato che un possesso straniero le sbarrasse le vie di comunicazione con i paesi portati via agli Slavi.

Maggiore importanza ebbe il fatto che agli antichi domini degli Hohenzollern sull'Elba, sulla Sprea e sull'Oder vennero ad aggiungersi in seguito al trattato di pace nuovi territori, di modo che il Brandenburgo acquistò una netta preponderanza nella Germania settentrionale. Infatti in compenso della rinunzia a parte della Pomerania gli vennero attribuiti Halberstadt, Minden, Kamin e Magdeburgo; quest'ultima dopo la morde dell'attuale amministratore del vescovado, il principe Augusto di Sassonia.
I redditi del vescovado di Osnabrück andarono alternativamente ad un cattolico da eleggersi e ad uno dei principi della casa di Braunschweig-Luneburg. Nella Germania la distribuzione dei territori tra cattolici e protestanti rimase quasi immutata. Massimiliano di Baviera ottenne di incorporare l'intero alto Paladinado ai suoi dominii avidi e in compenso quietanzò tutti i debiti di denaro che aveva verso di lui l'imperatore. Per il figlio del defunto conte paladino e per i suoi successori venne creato un nuovo seggio di elettore e fu loro attribuito il basso Paladinado sul Reno. Molte pretese vennero tacitate mediante compensi in denaro. Così per denaro pagatogli dalla Francia Ferdinando del Tirolo rinunziò ai suoi diritti in Alsazia, e l'Assia Cassel si accontentò dell'abbazia di Hersfeld in aggiunta ad una forte somma. L'imperatore si assunse il carico di tacitare allo stesso modo i fratelli del conte palatino.

Per quel che concerne la religione, il trattato lasciò sussistere la controriforma operata già nei paesi austriaci con una sola eccezione per alcuni territori slesiani protestanti ai quali si garantì l'integrità della loro confessione.
Il tribunale supremo camerale ed il consiglio di corte imperiale fu costituito su base paritetica, e la confessione calvinista parificata alla luterana. Per l'applicazione della riserva ecclesiastica recentemente riconfermata fu preso a base lo stato di fatto del 1624 é per l'avvenire venne stabilito che il mutamento di religione di un prelato investito di un vescovado od altro beneficio importasse la decadenza immediata dal beneficio.

Il vecchio ordinamento feudale dell'impero venne abolito perché l'art. VIII del trattato stabilì che i territori dovessero conservarsi illesi e intangibili i diritti, le libertà, le regalie e i dominii che avevano da antico, e che dovessero essere chiamati a decidere in tutti gli affari concernenti l'impero, in specie nell'emanazione o interpretazione delle leggi, nelle dichiarazioni di guerra, nella leva e acquartieramenti di truppe, nella erezione nomine pubblico di fortezze o nella assegnazione di guarnigioni alle antiche, nella conclusione dei trattati di pace o di alleanza e simili; che in questi casi ed altri analoghi nulla il governo imperiale potesse fare senza avere interrogato prima la dieta dei rappresentanti dei territori; che a questi ultimi rimaneva libero allearsi fra loro o con stati stranieri per la propria conservazione e sicurezza, ma non contro l'imperatore e l'impero nè in contravvenzione del trattato di pace.

Questa disposizione, come si vede, cancellò il vincolo feudale e rese ogni territorio, fosse un vasto principato o una cittadina libera, uno stato sovrano a sé stante. E nella stessa organizzazione superiore di tali territori, l'impero, la sovranità passò dall'imperatore al Reichstag (dieta), salvo alcuni diritti onorifici e di rappresentanza residualmente rimasti all'imperatore.

Questo abbozzo di ordinamento costituzionale, uno dei più singolari che conosciamo, tuttavia non fu mai meglio precisato nelle sue norme e nel suo funzionamento, benché sia rimasto in vigore per 150 anni.

In sintesi questi furono i punti basilari di questo trattato:

- il riconoscimento dell'indipendenza delle Province Unite (già concordata tra Spagna e Olanda nel gennaio precedente);
- il riconoscimento alla Francia dei vescovadi di Metz, Toul e Verdun, della gran parte dell'Alsazia e della fortezza di Pinerolo in Piemonte;
- la sovranità della Svezia sulla Pomerania occidentale e sulle città di Stettino, Brema, Vismar, Straslunda, il che consegnò in mani svedesi il totale controllo del Baltico e del Mare del Nord;
- la frammentazione della Germania in ben 350 Stati sovrani;
- il definitivo riconoscimento dell'indipendenza della Svizzera;
- l'estensione a tutte le confessioni protestanti della Germania della clausole della pace di Augusta del 1552 (allora riservata ai soli luterani), con in più la concessione ai sudditi di professare a livello privato confessioni religiose diverse dal culto ufficiale deciso dal sovrano.
La Spagna però non prese parte alla pace di Westfalia e rimase in stato di guerra con la Francia fino al 1659 (di questo parleremo nel prossimo capitolo).

Con grave preoccupazione i diplomatici e i militari guardarono alla situazione che si sarebbe creata in conseguenza della conclusione della pace di W. Vi era un enorme debito per competenze arretrate spettanti agli eserciti che non era immaginabile potesse essere pagato. Solo per una parte dei generali ed ufficiali svedesi la Pomerania poteva offrire dei feudi da conferir loro a tacitazione dei propri crediti, ma per gli altri ufficiali e per i soldati occorreva denaro contante.

La Svezia chiese dapprima 20 milioni di talleri, mentre la dieta non si mostrò disposta a concederne che tre. Da ultimo si concordarono cinque milioni. La provvista di una simile somma, per quei tempi quasi irraggiungibile accollò anche dopo la pace al popolo gravami ed angustie peggiori di quelle ad esso arrecate dalla guerra. Nessuna delle potenze belligeranti poté continuare a mantenere il suo esercito, ma dovette ridurlo a pochi reggimenti formati con i migliori elementi.
Il resto ricevette gli ultimi spiccioli che gli spettavano e dovette andare in massa a cercarsi il pane in un mondo nel quale non si poteva più procurarselo con la semplice minaccia del filo della spada. Nulla era più arduo per il lanzichenecco, abituato all'oziosa vita del campo ed al furto e alla rapina, che trasformarsi di nuovo in contadino o artigiano.

Eppure il popolo tedesco riuscì in meno di una generazione a ristabilire le normali condizioni sociali di lavoro ed attività, salvandosi e sollevandosi da uno stato di miseria quale non si era mai abbattuto su nessun'altra nazione civile. Per sincerarsene basta osservare a qual punto fossero giunte alla fine della guerra le pretese e le estorsioni delle truppe; nel 1641 l'artiglieria bavarese impose al Weimar le seguenti contribuzioni: per il generale Merci 1400 fiorini al mese e 100 cavalli; per ogni colonnello 800 fiorini e 40 cavalli, per ogni capopezzo 100 fiorini e 12 cavalli; per ogni soldato giornalmente 2 libbre di pane, 2 libbre di carne e una razione abbondante di birra. A Reichenberg nel 1640 il burgravio del generale Gallas presentò un conto di 69.234 fiorini per spese di acquartieramento.

La peggio toccò ai contadini e proprietari terrieri che si videro portar via anche gli strumenti necessari al lavoro: cavalli, buoi, carri, ecc. Nelle città non fortificate poi e nei borghi minori i soldati poterono asportare ed appropriarsi quel che loro piacque. E roba da prendere ve n' era non poca, perché la Germania prima della guerra non solo era diventata facoltosa, ma per il tramite degli umanisti che ogni anno varcavano le Alpi e passavano metà della loro vita girovagando per i chiostri e per le piccole corti d'Italia, aveva imparato le arti del quattrocento e del cinquecento.

È incalcolabile quanto fu rubato in Moravia, nella bassa Austria ed in Boemia dalle chiese e da ogni sorta di altri locali per servirsene ad uso domestico proprio, oppure per disfarsene subito a prezzi insignificanti. Una visita ai musei germanici può dar l'idea del modo con cui non solo la nobiltà, ma anche la borghesia di quei tempi teneva ad addobbare le proprie abitazioni. Quando il denaro contante rinchiuso nei forzieri lignei intarsiati o nelle casseforti assicurate da innumerevoli serrature fu a furia di contribuzioni esaurito, le mani brutali dei soldati si stesero su ogni oggetto di metallo prezioso, non importa se destinato ad usi sacri o profani. E quel che non presero i soldati pignorarono gli agenti delle imposte, sapendo che all'atto del riscatto qualcosa vi avrebbero guadagnato.

Quando nelle chiese fu intonato il Te Deum per la pace raggiunta ed i ministri di tutte le confessioni esortarono i pochi fedeli che frequentavano i templi a sopportare con rassegnazione la loro triste sorte come un castigo in gran parte meritato dei loro peccati, la Germania era divenuta un misero, spopolato paese. Basteranno a dimostrarlo pochi dati ufficiali: a Greifswald nel 1629 v'erano non meno di 450 case disabitate, a Belzig nella bassa Sassonia su 200 case ne erano abitate solo quattro. Nel 1661 Berlino contava solamente 300 abitanti.

Naturalmente il valore delle case era scaduto al minimo. Ad Hainau nella Slesia un tal Hofmann si mostrò disposto a barattare la sua casa con un paio di scarpe. La Boemia prima della guerra aveva 150.000 contadini non liberi, nel 1631 ne aveva 85.000, nel 1637 era ridotta a 53.000 e nel 1645 non ne aveva più che 30.000. Hornmayer calcolò che la popolazioni complessiva del regno prima della guerra era di 3 milioni di abitanti; dopo la guerra essi erano soli 780.000. Lo storico di Heidelberg j. J. Reyser narra che la fame e la carestia erano andate sempre crescendo con gli anni e che specialmente nel 1637 esse nel Palatinato e nella regione di Worms erano arrivate ad un grado così spaventevole che nessuna penna sarebbe capace di descriverle.
Queste miserande condizioni furono aggravate dai soldati acquartierati per l'inverno che sotto il pretesto del mancato pagamento delle contribuzioni portarono via senza misericordia alla povera gente tutte le provviste così da ridurla, se non volle morir di fame, a cibarsi di erbe e radici, foglie di alberi verdi e secche. E questo fu il meno, perché molti dovettero masticare pelli di buoi, cavalli, pecore ed altri animali; anzi la fame crudele li spinse a cibi ripugnanti come cani, gatti, topi e simili, non risparmiando nemmeno quelli morti da settimane ed emananti dalla loro putredine un fetore insopportabile.

Per contendersi un pezzo di carne di cavallo quei miseri si picchiavano a morte ed arrivavano fino all'omicidio. E purtroppo si deve credere che vi siano stati esempi di cannibalismo; che cioè torme di mendicanti appostati lungo le strade assalissero i viandanti, per sgozzarli, arrostirli e poi mangiarli. Se anche soltanto una piccola parte vi è di vero in quanto racconta Grimmelshausen nel suo « Simplicissimus », essa basta a destare raccapriccio in qualsiasi lettore.

La conclusione della pace non arrecò un immediato sollievo a questa miseria perché occorsero decenni prima che la produzione si elevasse almeno a tal punto da render nuovamente possibile una normale circolazione dei beni. I prezzi delle derrate agricole, in particolare del grano, andarono ancor più giù che non al tempo della guerra, e il contadino ebbe poco da guadagnare a portarle sul mercato. Perciò si produsse meno, non coltivando che le terre più fertili, anche per il fatto che, data la scarsità del bestiame, non si poteva procedere che ad una limitata concimazione.
Varie specie di colture agricole vennero abbandonate; così ad esempio la guerra fece sparire a nord del Meno la viticultura che nel XVI secolo si estendeva fino al Baltico. Invece si moltiplicò in modo preoccupante il numero delle bestie selvagge, ad onta della caccia spietata che loro si dava; il principe Giovanni Giorgio di Sassonia uccise lui solo durante i suoi 45 anni di governo 3543 lupi e 203 orsi.

A peggiorare le condizioni dei contadini concorsero gli arbitrii dei signori fondiari. Mentre la classe dei liberi contadini andò sempre più scomparendo, i semiliberi vennero costretti dai nuovi padroni a prestazioni cui non erano mai stati obbligati. La servitù della gleba divenne in Germania oppressiva soltanto dopo la grande guerra. Le relazioni patriarcali tra padrone e servo che avevano regnato finché i beni erano rimasti nelle mani delle vecchie famiglie originarie dei luoghi non poterono durare quando questi beni vennero acquistati con poca moneta dai signori generali ed ufficiali che erano abituati ad arraffare tutto ciò che potevano e più che potevano.

La decadenza economica e il rilassamento di attività causati dalla guerra distrussero quella preziosa opera di tenace perseveranza nordica che era l'Hansa. Nel 1641 dieci città tentarono ancora di ricostituire la lega, ma Lubecca che avrebbe dovuto assumerne la direzione si sentì troppo debole all'uopo, dopo che nel 1629 aveva perduto 96 navi.
Del resto, salvo Danzica che conservava una pallida traccia del fiorente antico traffico, le altre città non si potevano più chiamare città commerciali.

Ma fra i tanti mali, la decadenza seguita alla guerra provocò un mutamento salutare, a prima vista sorprendente, nella coscienza politica del popolo tedesco; fu infatti il comune cordoglio per i lutti e le miserie subite, il comune dolore per il deterioramento della potenza e dell'importanza della Germania nel mondo, che fece nascere in seno a questo popolo la formazione del sentimento nazionale.
Questo mutamento è attestato da un testimonio non sospetto, il conte d'Avaux, il quale scriveva il 14 febbraio 1645 a Mazarino:
«I principi tedeschi sentono l'amor di patria assai più profondamente dei principi italiani; essi vedono con pena intollerabile che gli stranieri tentino frantumare l'impero e preferiscono il mantenimento di questo organismo che arreca bene a tutti alla separazione che riuscirebbe utile soltanto a questo o a quello di loro».

Nella seconda metà del XVII secolo questo sentimento nazionale trovò espressione principalmente nelle numerose associazioni culturali che scesero in campo per combattere l'uso invadente dell'imitazione delle letterature straniere. Ma l'egemonia dell'arte e della letteratura francese era già da tempo saldamente stabilita quando questa gente di modesta levatura, dopo aver rinfoderate le spade sanguinanti, imprese a combattere invece dei soldati stranieri i poeti stranieri; quindi la loro lotta non poteva a meno di presentare scarse prospettive di successo.
Canitz e Besser a Berlino, Hereus a Vienna, seguendo l'indirizzo di Cristiano Weise, si proposero come ideale la naturalezza; peccato che essi erano privi di talento, di modo che non esercitarono attrattive ed influenze rilevabili. Meglio riuscì a far breccia la prima così detta «scuola politica slesiana » fondata da Martino Opitz, da Boberfeld. Egli fece il primo tentativo di stabilire le regole dell'arte poetica germanica e depurò al possibile la lingua tedesca dalle parole straniere che vi si erano infiltrate, consigliò l'imitazione dell'antichità e l'uso di una prosodia che ancora oggidì distingue la poesia moderna dalla medioevale.

Ebbe però vita assai breve la distinzione ch'egli volle introdurre nel campo dell'arte drammatica, sostenendo che nella tragedia non dovevano figurare se non personaggi di rango principesco o regale e nella commedia soltanto gente di rango inferiore, e che i temi della tragedia dovevano essere «uccisioni, parricidii, incendi, incesti, guerre ed insurrezioni, pianti, disperazioni, lamenti, sospiri», mentre la commedia doveva trattare di «nozze, banchetti, giochi, inganni ed astuzie di servi, militi gloriosi, intrighi amorosi, trascorsi di gioventù, spilorcerie di vecchi, ed altre simili scene che giornalmente si verificano nel popolino».
Secondo lui contraddiceva alle regole dell'arte poetica mettere insieme sulla scena potentati, re ed imperatori, con gente ordinaria. Oltre all'Opitz operò nel campo dell'arte drammatica Andrea Gryphius. Egli prese a modello Seneca e perciò fece ricomparire il coro nella tragedia. Egli chiamò le singole parti di un dramma «dissertazioni», parola che caratterizza bene il tipo delle sue tragedie. I suoi temi sono tratti quasi esclusivamente dalla storia degli antichi tempi, e qui egli è quasi sempre un imitatore. Invece la sua non scarsa vena poetica originale si rivela nelle commedie; come ad esempio nel «Horribilisribifax» ove sono messi in scena elementi popolari che allora dovevano particolarmente attrarre l'attenzione degli artisti osservatori: lanzichenecchi, smargiassi, chiacchieroni affetti da mania di balbettare qualcosa di lingue straniere.
Ben riusciti sono i tipi del capitano Horribilisribifax von Donnerkeil e del capitano Daradiridatumdarides Windbrecher von Tausendmord. Il primo dice al secondo: «E se anche tu per sfuggirmi ti rifugiassi fino in cielo e già fossi seduto sulla zampa destra dell'Orsa maggiore, io ti strapperei di là col piede destro e con due dita ti precipiterei nell'Etna». E l'altro ribatte: «Gardez-vous, follastreau! Credi che io voglia fuggire dinanzi a te? Se anche tu fossi il fratello di Carlomagno, il grande Rolando in persona, e avessi compiuto più gesta che Scanderbeck, anzi fossi rannicchiato nella pelle di Tamerlano, non mi faresti nessuna paura ».

Il romanzo d'avventure raggiunse il suo apogeo nell'opera più notevole di Grimmelshausen, l'«Abenteurlichen Simplicius Simplicissimus», pubblicato però soltanto nel 1669. Esso è una narrazione piena di freschezza e vivacità e di molto valore per la storia dei costumi.

L'architettura in Germania produsse le sue opere più eccelse nella seconda metà del XVI secolo. Benché il Rinascimento sia stato avversato dal clero, specialmente dal clero riformato, perché proveniva da Roma e aveva carattere pagano, pure il suo spirito e le sue forme si affermarono nella Germania meridionale perché gli artisti ne erano imbevuti. Specialmente nelle regioni alpine lo stile della rinascenza si diffuse molto. Il castello di Grazz servì da modello a numerosi castelli in questi paesi, mentre i castelli di Stuttgart e Tubinga e il palazzo, municipale di Heilbronn dimostrano che il gusto, per il nuovo stile era penetrato nell'ambiente principesco e patrizio.

Del grado elevato raggiunto dall'arte del rinascimento in Germania fanno testimonianza il miglior monumento dell'architettura tedesca, il castello di Heidelberg e le migliaia di lavori d'arte industriale, nei quali l'artigianato tedesco superò le altre nazioni. La sala dei principi nel municipio di Augusta, i palazzi di Norimberga, le decorazioni di scaloni e sale a Brema, le facciate di palazzi a Hildesheim e Goslar, la collezioni di pizzi, ornamenti, armi di lusso, ecc. esistenti nei musei tedeschi offrono in parte impareggiabili modelli all'arte d'ogni età.

E tuttavia questi non sono che residui; i residui che poterono essere salvati dal saccheggio, dei soldati tedeschi e stranieri. Poi l'arte decade. Alle splendide artistiche armi che ornavano le sale signorili subentrarono gli spiedi e moschetti rozzamente modellati e intagliati, ammucchiati negli arsenali di guerra dei belligeranti. Si ha qui il primo esempio di produzione in massa conformemente alle esigenze della situazione mutata.

La pace di Westfalia non fece opera duratura. Quando i delegati il 25 giugno 1650 si radunarono a Norimberga per scambiarsi solennemente le ratifiche del trattato, vi fu chi credette che la posterità avrebbe cantato le loro lodi per avere inaugurato l'età aurea della pace. Essi presero un grande abbaglio. Neppure lo spazio di una generazione fu concesso all'Europa e alla Germania per riaversi e radunar nuove forze. Non erano trascorsi che pochi decenni quando i muri del monumento nazionale di Heidelberg così premurosamente custodito caddero ai piedi dello straniero vittorioso.

Se fino ad ora abbiamo accennato
solo ai popoli del nord e del centro Europa
dobbiamo necessariamente accennare ai Paesi Bassi,
alla riforma in Inghilterra, alla Francia, e all'Italia della controriforma.
Iniziamo dal primo ...

LA CONTRORIFORMA NEI PAESI BASSI > >

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