-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

21. IL CALIFFATO DEGLI UMAYYADI


La moschea degli Umayyadi a Damasco
Il califfato senza interruzione regnerà con 14 califfi fino all'anno 740
(poi gli Umayyadi di Spagna rivendicheranno il titolo di califfi dal 756 al 1031)

Già prima della uccisione di Alì a Kufa, Muâwija dopo aver conquistato l'intero Egitto, si era già messo in marcia verso l'Irâk, passando per la Mesopotamia.
Lungo il viaggio aveva appreso l'assassinio di Alì, ma non interruppe la spedizione, bisognava fare i conti anche con il figlio che forse aveva qualche velleità nella successione.
Infatti, Hassan, l'inetto figlio di Alì, ne aveva sì raccolta al momento la successione; ma non fu possibile indurlo a condurre all'attacco le sue truppe contro Muâwija che avanzava. Preferì scendere a patti con lo stesso Muâwija, rinunciando
ai suoi diritti in compenso dei 5 milioni di dirham esistenti nel tesoro di Kufa.
Abdallâh ibn Abbâss, l'uomo che inizierà la dinastia degli Abbâssidi destinata poi a regnare, era già prima fuggito da Bassra con la cassa dello Stato e si era riunito a Muâwija.

Questi affidò ai suoi governatori di Kufa e di Bassra il difficile compito di far valere la sua autorità fra i popoli sempre turbolenti dell'Irâk. A Kufa nominò a tale ufficio Mughîra ibn Shuba, arrivista senza coscienza, che da giovane aveva dovuto abbandonare la sua città natale a causa di un assassinio e già prima del 629 si era accostato a Maometto in Medina. Per incarico di lui aveva distrutto la statua della dea della sua città natale; e con la religiosità seppe procacciarsi un posto nella nuova aristocrazia della fede.

Nella guerra contro il regno dei Sâssânidi si era inoltre acquistato meriti di diplomatico, in grazia della sua conoscenza del persiano. In ricompensa di ciò, già Omar lo aveva nominato governatore di Bassra. Nel 638 era stato destituito come colpevole di adulterio; ma tornò in auge per via della rivoluzione, durante la quale si era tenuto prudentemente in disparte. Nel suo ufficio seppe trattenere i Kufani, che pur non facevano, mistero della loro antipatia contro il predominio dei Siri, da una aperta opposizione.

Il governatore di Bassra, Sijâd, era pure originario da Tâïf, ma di nascita oscura si sapeva solo il nome di sua madre, Sumaija. Aveva cominciato la sua carriera come scrivano nell'esercito di Bassra. Alì lo aveva mandato in Persia, e in questa provincia, guadagnandosi col suo tatto e senza alcuna violenza il favore degli abitanti, si mantenne, fino all'anno 662, indipendente da Muâwija.

Con la mediazione del suo compaesano Mughîra fece quindi la pace col nuovo governo. Muâwija lo chiamò a Damasco; e per legare agli interessi della sua casa quest'uomo così utile e capace, lo riconobbe come figlio illegittimo del padre suo Abû Suijân. Quindi lo nominò governatore di Bassra. Qui egli ristabilì, con ferrea energia, l'autorità del governo, del tutto rovinata dalle discordie delle tribù. Nella sua provincia, e fin nell'interno del deserto, regnava una sicurezza fino allora del tutto sconosciuta. Morto Mughîra nel 670, egli assunse il governo anche della sua provincia.

I partigiani di Alì, viziati dall'indulgenza del suo predecessore, gli diedero presto occasione, mediante una sollevazione armata, di fare sul serio i conti con loro. Muâwija dopo aver, con poca fatica, sedato il subbuglio, sciolse le leghe delle tribù che fino allora riunivano gli uomini atti alle armi, formandone quattro nuovi gruppi, a capo dei quali pose un fidato emissario del governo. I Kufani più gravemente compromessi furono mandati in esilio, con le loro famiglie, nel Chorâssân.
Con Muâwija, la Siria era divenuta la sede del governo. Mentre nell'Irâk la grande massa della popolazione araba era venuta solo in seguito delle guerre di conquista dal deserto nel paese, gli Arabi della Siria dimoravano per la massima parte già da secoli nella loro patria e si erano abituati, per il lungo contatto con la chiesa cristiana e coll'impero romano, ad adattarsi agli ordinamenti dello Stato.
Per i siriani dunque Muâwija, che risiedeva a Damasco, era il legittimo successore della dinastia ghassânida. Aveva egli sposato una nobile donna della tribù dei Kelb, la più potente della Siria, il cui appoggio era in tal modo assicurato al loro figlio Jesid, suo successore. Gli Arabi si trovavano in buoni rapporti con la popolazione cristiana sottomessa, da un tempo in relazione con loro. Qui essi non abitavano già, come nell'Irâk, in colonie di nuova fondazione, ma nelle grandi città, mescolati ai cristiani: né era raro il caso che gli uni e gli altri compissero le loro pratiche religiose sotto lo stesso tetto.

Alla corte di Muâwija il cristiano Sarg'un ibn Manssûr era tenuto come influente consigliere. I cristiani contraccambiavano tale tolleranza con la fedeltà e la devozione a Muâwija ed alla sua casa, di che troviamo menzione fin nelle cronache spagnole. Con i suoi Arabi Muâwija non si comportava come un despota orientale, ma come un signore (saijid) di tribù. Egli era solito spiegare ai capi della tribù i suoi provvedimenti politici nella moschea, durante il servizio divino del venerdì, dal Minbar, che per lui era più tribunale che pulpito; e con essi teneva regolarmente consiglio anche nel suo palazzo.

Sui fondamenti posti da Omar e scossi durante la guerra civile, Muâwija stabilì lo stato islamico, prendendo sempre come punto di partenza, al pari , del suo grande predecessore, l'amministrazione elleno-romana, di secolare tradizione.

Muâwija considerò sempre la guerra contro i Bizantini come uno dei suoi compiti più importanti. L'aveva già cominciata da governatore, sotto il califfato di Omar, conquistandosi le città marittime dei Fenici, ai quali era riuscito di strapparle definitivamente una seconda volta solo durante la signoria di Othmân. Per assicurarsene il possesso, dovette tener testa ai Bizantini anche sul mare.
Omar glie ne aveva negato il consenso; solo Othmân gli concesse di avventurarsi su quel dominio finora sconosciuto agli Arabi, che presto però vi si familiarizzarono. Nell'estate del 649 Muâwija assalì Cipro; sei anni dopo armò una flotta contro Costantinopoli stessa. L'imperatore Costante la affrontò presso le coste della Licia, ma fu solennemente sconfitto.

Nonostante questo successo, gli Arabi non raggiunsero allora lo scopo, giacché Muâwija, che nel frattempo avanzava per via di terra, non si spinse oltre Cesarea nella Cappadocia. Ma non appena egli ebbe riunito sotto di sé il regno, riprese la lotta, continuandola mediante invasioni, ad ogni estate, nell'Asia Minore. Per due volte le sue truppe giunsero dinanzi alla capitale dell'impero romano, la quale però, grazie alla superiorità della sua civiltà, seppe difendersi dall'assalto dei barbari.

Nel 667, in Armenia, uno stratega ribelle, di nome Saborius, aveva chiamato gli Arabi. Giunti questi a Melitene, trovarono che la rivolta era stata già domata dall'imperatore; ciònonostante si spinsero fino a Calcedone. Allora Muâwija mandò al campo il suo proprio figlio Jesid, fino allora vissuto tra i piaceri. Dopo aver svernato in Calcedone, gli Arabi marciarono in primavera contro Bizanzio; ma già nell'estate dovettero togliere l'assedio e ritornare in Siria.

Nel 674 Muâwija fece ancora un tentativo energico per colpire al cuore la potenza cristiana. Mandò una cospicua flotta, che riuscì a mantenersi a Cizico, sulla costa meridionale della Propontide. Di qui molestò per sette anni la capitale, ma senza riuscire a spuntarla, contro le robuste fortificazioni e il fuoco greco. Finalmente Muâwija rinunziò a quella lotta senza speranza e concluse la pace con Bizanzio.

Successi più duraturi si guadagnarono le armi degli Arabi nel secondo teatro di guerra contro i Cristiani, in Africa. Già sotto Othmân il governatore dell'Egitto Ibn abi Sarch aveva espugnato Tripoli, poco dopo il 647, accontentandosi poi però del pagamento di un tributo. Il luogotenente di Muâwija, Ibn Hudaig', riprese nel 667 la lotta contro i Cristiani in occidente, e nella sua prima scorreria si spinse fino alla Sicilia.
Ma il vero fondatore della dominazione araba nell'Africa settentrionale fu Okba ibn Nâfi, nipote di Amr il conquistatore dell'Egitto. Mentre questi era tuttora in Egitto, egli aveva espugnato Barca. Nel 670 riuscì, alleatosi con i Berberi, a spezzare del tutto la signoria cristiana in Africa; fondata che ebbe una colonia militare in Kairawân, fu richiamato.

Ma il successore di Muâwija (Yazid I (680-683) lo restaurò nel suo governatorato; ed egli marciò ancora verso occidente, spingendosi, si dice, fino al mare. La sua tomba-moschea nella località che da lui si chiama Orte Sidi Okba, a sud di Biskra, é il più antico monumento dell'architettura musulmana in Africa, ancora assai primitiva.
Muâwija era morto il 19 aprile 680. Gli successe il figlio YAZID (o Jesîd), che aveva nominato quando ancora vivente. I capi dell'aristocrazia islamica Hussain, figlio di Ali, Abdallâh, figlio di Ornar e Abdallâh, figlio di Subair, si erano rifiutati di prestargli omaggio; e richiestolo ancora dopo la morte di Muâwija, il solo figlio di Ornar vi acconsentì, mentre gli altri due fuggirono alla Mecca per sottrarsi all'autorità del governatore di Medina, incaricato di esigere l'omaggio.

I Kufani invitarono insistentemente Hussain ad assumere il governo della loro regione. Egli si lasciò tentare, ma non trovò nell'Irâk l'appoggio sperato e cadde a Kerbelâ sull'Eufrate, combattendo contro le truppe di Jesid, il 10 ottobre 680. Questa morte di martire, senza alcun effetto politico, aiutò la diffusione delle idee religiose nella sétta alide della Shiâ, divenuta più tardi il centro di tutte le tendenze misoarabe; la tomba di Hussain a Kerbelâ e ancor oggi la più sacra meta di pellegrinaggio per tutti gli Shiiti, specialmente per i Persiani.

Molto più pericoloso apparve Abdallâh ibn as Subair, che sfidava il califfo dal santo asilo della Mecca, donde aizzava i Medinesi, che avevano tutte le ragioni di essere scontenti degli Umayyadi; per colpa loro infatti Medina aveva perduto l'antico splendore. Invano Jesid tentò ancora una volta, nel 683, di riguadagnarseli.
Di lì a poco gli Umayyadi là residenti, in numero di circa 1000, furono assaliti e dovettero rifugiarsi nel quartiere di Merwân, loro capo. Il califfo mandò in loro aiuto un esercito di 12.000 Siri, comandato da Muslim ibn Okba, già distintosi al servizio di suo padre. Gli assediati di Medina avevano capitolato a patto di uscire liberamente, e lo incontrarono mentre egli marciava verso la Siria.

Nell'agosto del 683 Muslim si accampava sulla Harra, il campo di basalto a nord della città. Passato il breve termine loro concesso, i ribelli vennero a battaglia ma nella rovinosa sconfitta cadde il fiore della nobiltà dei Koraish e Anssâr. Il giorno dopo, fatti giustiziare i caporioni, Muslim accoglieva l'omaggio dei Medinesi.

Da Medina, Muslim marciò contro la Mecca; ma la morte lo colse lungo la strada e il comando fu assunto da Hussain ibn Numair. Erano passati due mesi da quando lui assediava la città santa, quando gli fu recato l'annunzio della morte del califfo Jesîd.
Venne allora a trattative con Abdallâh ibn as-Subair, offrendogli di riconoscerlo come califfo, purché non solo abbandonasse ogni idea di vendetta per le lotte fin allora sostenute, ma marciasse con lui verso la Siria, dove doveva rimanere la sede dell'impero. Ma benché Abdallâh non accettasse questa seconda condizione, Hussain tolse l'assedio e ritornò in Siria.

Jesid era morto l'11 novembre 683. Anche da califfo, aveva vissuto i suoi tre anni di califfato, più per il vino, la musica e gli svaghi che per gli affari di Stato; e messa da parte la lotta contro i Bizantini, alla quale da principe aveva partecipato a malincuore. Suo figlio MUAWIJA (Muâwija II), in giovanissima età, fu subito riconosciuto come califfo a Damasco, ma morì dopo il brevissimo regno di un anno (683-684).
Con ancora luivivo cominciarono in Siria le lotte fra le tribù, né da allora si può dire che mai cessassero sotto la signoria degli Umayyadi.
I Kaiss, residenti nella Siria settentrionale e nella Mesopotamia, erano scontenti del favore di cui i Kelb avevano cominciato a godere già fin dal tempo di Muâwija I. Dopo che Ibn as-Subair fu riconosciuto nell'Irâk, essi si sollevarono, guidati da Sufar ibn al-Hârith, e cacciarono il governatore di Kinnesrin, kelbita.

Dopo la morte di Muâwija, il governatore di Himss riconobbe come califfo Ibn as-Subair. Infine si schierò con loro anche Dahhâk ibn Kaiss, reggente di Damasco. Il capo della casa degli Umaija, MERWAN, trasferitosi a Damasco dopo la battaglia di Harra, si mostrò dapprima disposto a rinunziare ai suoi diritti a favore del califfo residente alla Mecca; ma poi si lasciò indurre ad accogliere l'omaggio a G'âbija, il 22 giugno 684. Qui lo aveva raggiunto lo zio materno di Jesid, Hassân ibn Bachdal, l'unico partigiano degli Umayyadi il quale, come governatore della regione orientale del Giordano, disponesse di mezzi veramente efficaci.
Insieme a lui Merwân marciò contro Damasco; i Kaissiti, fattiglisi incontro a Merg'Râhit, furono sconfitti; nell'agosto del 684 Merwân poté accogliere l'omaggio anche a Damasco. Ma questa vittoria di Merg'Râhit, mentre ristabiliva la signoria degli Umayyadi, riaccese nello stesso tempo, per le vendette di sangue derivatene fra i Kaiss e i Kelb, l'odio di queste due tribù siriache, venendo così a scuotere i fondamenti della loro potenza.

Nemmeno Merwân doveva regnare a lungo. Un anno solo. Morì il 7 maggio 685, strangolato, come si dice, dalla vedova di Jesid, non avendo egli mantenuto la promessa di tener conto dei diritti alla successione del figlio di lei. Il figlio , Abdelmelik (ABD AL-MALIK - 685-705) dovette raccogliere l'eredità paterna con le armi. Nella Siria, presso l'Eufrate, gli si opponeva Sufar, a capo dei Kaiss; tutte le altre province parteggiavano per Ibn as-Subair.
Per due anni Abdelmelik fu occupato a proteggere la Siria settentrionale dalle incursioni dei Bizantini. Poi si volse contro l'Irâk, posto sotto il governatorato di Muss'ab, fratello di Abdallâh ibn as-Subair. Nel 691 lo sconfisse presso il convento di Katholikus, aiutato dal tradimento dei sempre infidi Kufani, allora specialmente irritati dalla energia con la quale Muss'ab, senza riguardo a nessuno, aveva domato la rivolta del rivoluzionario sciita Muchtâr.
Quindi spedì Hag'g'âg' ibn Jûssuf nel Hig'âs, per assalire l'anticaliffo stesso. Quello lo assediò nella Mecca, ponendovi il blocco, senza curarsi della sua santità. Uno dopo l'altro, i partigiani di Ibn as-Subair lo abbandonarono, compresi i suoi propri figli.
Troppo altero per sottomettersi, cercò la morte in una sortita, il 18 settembre 692. Così era finita la guerra civile. Ma le vendette fra le tribù delle steppe della Siria e Mesopotamia durarono ancora molto tempo, sì da rendere talvolta malsicuro il paese fin davanti alle porte della capitale.

Sbarazzatosi Abdelmelik del suo rivale, riprese la guerra contro Bizanzio, da circa quindici anni interrotta. Col riaprirsi delle ostilità è connessa anche la riforma monetaria introdotta da Abdelmelik. Secondo la tradizione leggendaria, fino allora nel regno arabo aveva sempre avuto corso il denaro bizantino ed anche le monete coniate nel paese portavano iscrizioni greche.
I Bizantini d'altra parte si fornivano di carta dall'Egitto, fabbricata dai Musulmani con iscrizioni cristiane e con la croce in filigrana. Per ordine del califfo, quest'ultima fu sostituita dalla formula della professione di fede musulmana. Donde la minaccia dei Bizantini, di imprimere sui denari d'oro, che gli Arabi importavano esclusivamente da essi, una iscrizione offensiva per il profeta.

Allora il califfo, nel 693, si decise a introdurre in Damasco una moneta propria; e l'anno dopo Hag'g'âg', suo governatore in Kufa, ne seguì l'esempio. Insieme a questa riforma, fu introdotta la lingua araba. anche nella ragioneria ufficiale, fino allora tenuta in greco nella Siria, in persiano nell'Irâk, continuando però gli impiegati a reclutarsi fra i non arabi.

Anche a corte, con Abdelmelik, le cose cambiarono. I suoi predecessori si erano sempre comportati verso i sudditi solo come i capi delle antiche tribù; egli per il primo assunse il carattere di sovrano assoluto. Si assicurò le province destinandovi a governatori parenti suoi, ad eccezione dell'Irâk. L'Egitto e l'Africa erano amministrate da suo fratello Abdalaziz, a cui egli aveva fatto prestare atto di omaggio come a suo successore. Più tardi cercò, ma invano, di indurlo a rinunziare a favore del suo figliolo Walid. Essendogli Abdalaziz premorto, AL WALID I poté senza contrasti succedere al padre (705-715).

Walid portò ancora una volta le armi molto al di là dei confini del suo impero.
Nell'Asia Minore Tyana cadde, dopo lungo assedio, nelle mani degli Arabi; ma la progettata spedizione contro Costantinopoli non ebbe effetto. In Oriente i suoi eserciti conquistarono Buchârâ e Samarkand (Samarcanda), e a sud si spinsero fino al Multân nel Peng'âb.
Sotto il suo regno gli Arabi passarono lo stretto di Gibilterra e diedero il colpo mortale al regno goto-occidentale già indebolito da dissensi interni, nella battaglia di Wâdî Bekka (25-26 luglio 711), che a torto si suole chiamare di Xeres de la Frontera, e nella quale cadde l'ultimo re dei Goti, Roderico. Sotto i successori di Walid le conquiste furono poi estese fino alle Settimania e Narbona.
Nell'interno dell'impero Walid godette i frutti delle opere paterne: dovunque poté affermare la sua illimitata signoria. Secondo l'esempio dei sovrani dell'antico Oriente, gli piaceva costruire, ma non solo per amore di magnificenza; cercava in tal modo di aumentare le rendite dei suoi beni. I Siri vedevano in lui l'ideale sovrano. Morì a soli 40 anni, nel febbraio del 715.

L'opera su cui é soprattutto fondata la fama di Walid come architetto, é la grande moschea di Damasco (nell'immagine di apertura) detta comunemente la moschea degli Umayyadi. Nel centro della città sorgeva fin dall'età pagana un gran tempio, ricostruito nell'età romana - forse sotto Traiano - nello stesso stile ma in più grandi proporzioni del celebre tempio del sole a Palmira.
Di quest'ultimo, ancora oggi se ne vedono resti di colonne nei dintorni della moschea. Sopra questo tempio pagano fu poi innalzata, sotto Arcadio figlio di Onorio, una chiesa cristiana, dedicata a Giovanni Battista.

Quando i Musulmani furono entrati in Damasco, adibirono metà di questa chiesa per il loro culto, lasciando l'altra metà ai Cristiani, e avevano loro concessa libera l'entrata da un lato della città, in seguito alla capitolazione. Dopo lunghe trattative, Walid riuscì a persuadere i Cristiani a rinunciare alla loro metà, restituendo in compenso tre piccole chiese che erano state già trasformate in moschee.
Nel 705 iniziò la nuova costruzione, conservando della vecchia chiesa tutta la parete a sud, la torre all'angolo di sud-est, nonché il portico ad ovest. Sulla trave superiore del portale conservato nel muro meridionale della vecchia chiesa si legge ancor oggi una iscri
zione greca, proclamante l'eternità del regno di Cristo.

Sulle fondamenta di un'antica torre all'angolo sud-ovest del portico occidentale sorse un nuovo minareto. La parte centrale fra queste due torri fu occupata dallo spazio destinato alla preghiera, largo metri 20 e mezzo e lungo 37 e mezzo. Ad est e ad ovest di questa navata a croce, Walid costruì tre navate maggiori, alte 15 metri e 75 centimetri. Un'arcata leggera, condotta nello stesso stile, girava attorno all'atrio dal lato settentrionale.
Secondo H. Thiersch il modello di questa combinazione di porticato e vestibolo, imitato poi in tante e tante moschee, fu offerto dalla Chalke di Eterio, con l'Augusteo davanti, a Bizanzio: in esso l'atrio davanti al palazzo imperiale formava lo spazio principale, con la sala per i ricevimenti e le rappresentazioni solenni, imitata alla sua volta da modelli antichi.

Le spese per tutte queste costruzioni furono contribuite, per via di liturgia, dalle province. Dei lavori relativi ci dà notizia il papiro egiziano di Afrodito. Gli artigiani erano tutti quanti stranieri; la tradizione letteraria ci parla di 1200 operai scritturati da Bizanzio: dai papiri sappiamo che vi lavorò anche un Persiano. É quindi naturale che lo stile dell'edificio non potesse riuscire omogeneo. Anche in seguito si dovette ricorrere all'abilità degli stranieri: il grande orologio della moschea fu messo nel XII secolo, da un Persiano.
Disgraziatamente questo vetusto monumento dell'architettura musulmana in Siria ebbe molto a soffrire dall'avverso destino: nei tre incendi, del 1069, del 1400 e del 1893 ne rimasero poco più che le fondamenta.

La provincia più importante dopo la Siria, nucleo dell'impero, cioè l'Irâk, fu amministrata, sotto Abdelmelik e Walid, da Hag'g'âg' ibn Jûssuf. Grave era il suo compito che le quasi quotidiane lotte per il califfato avevano ridotto la popolazione del tutto incivile e indisciplinata. A Kufa un partigiano degli Alidi, Muchtâr, si era sollevato già sotto il governo di Muss'ab ibn as-Subair e solo a gran fatica era stato reso inoffensivo: ma gli animi ne erano tuttora eccitati.

Dinanzi alle porte di Bassra vagavano ancora i Chârig'iti. Muhallab, generale di Muss'ab, che alla caduta del suo signore combatteva contro di essi, si era sottomesso ad Abdelmelik, conservando in compenso il suo comando indipendente, insieme ai due primi governatori Umayyadi.
Ancora nel 693 l'amministrazione era stata assunta da Hag'g'âg'. Sua prima cura fu di sottomettere i Chârig'iti : Muhallab vi riuscì, dopo che il governatore con mano di ferro ebbe riempito le file dell'esercito colpito da molte diserzioni. Dopo questo successo gli venne affidata anche l'amministrazione del Chorâssân e del Seg'istân. Là regnava tuttora un principe indigeno di origine turca. Il governatore gli mandò contro un esercito scelto, guidato da Abdarrachmân ibn Ash'ath, discendente degli antichi principi Kinda.

Alle rimostranze di Hag'g'âg', perché procedesse con maggior sveltezza ed energia, Ibn Ash'ath convocò i suoi capitani, ben sapendo come essi nutrissero eguale antipatia e per Hag'g'âg' e per quella guerra in paesi di barbari.
Difatti essi si dichiararono pronti a fare atto di omaggio al loro generale, se le avesse ricondotti in patria e in guerra contro il governatore. Conclusa la pace con i Turchi, mosse a lente marce verso occidente, seguito via via dalle guarnigioni della Persia.
Hag'g'âg' gli mosse contro: lo sconfisse e s'impadronì di Bassra, mentre il governatore si manteneva nei sobborghi. Di qui riuscì a cacciare il ribelle, che si volse verso Kufa. Il califfo mandò in aiuto un forte esercito siro. I rivoltosi si accamparono presso a Dair el-G'amâg'in, di fronte alle truppe dello Stato ; ma dopo tre mesi di lotta, disperando del successo, passarono in massa ai Siri.
Ibn Ash'ath fuggì nel Seg'istân dal principe turco, che all'inizio lo accolse amichevolmente, ma poi lo consegnò a Hag'g'âg' contro promessa di esenzione dal tributo per dieci anni.

Conseguenza di questa fallita sollevazione degli Arabi dell'Irâk contro i Siri fu il rafforzarsi della signoria militare del governatore. Nel 702 egli fondò, a mezza strada fra Kufa e Bassra, la nuova città di Wâssit, come sede suo governo, raccogliendo sotto Walid i frutti del gravoso lavoro compiuto sotto il suo predecessore. Ora mise ogni impegno a risollevare la prosperità al paese, rovinato da venti anni di guerra.
Premeva soprattutto di rimettere in ordine i canali, dai quali dipendeva la coltivabilità della regione. Prese misure energiche contro la spopolamento delle campagne, prodotta dall'attrazione delle grandi città. I suoi vicegovernatori in Oriente estesero il suo dominio mediante campagne fortunate. Kutaiba ibn Muslim gli conquistò la Transoxania, Muhammeb ibn Kâssim la valle dell'Indo. Pensava lui stesso all'approvvigionamento delle truppe, riservandosi un quinto del bottino di guerra. Dopo venti anni di benefico governo morì nel giugno del 714.

A Walid morto come già detto nel 715, successe suo fratello SULAYMAN - (715-717) , secondo le disposizioni già date dal loro padre ed alle quali Hag'g'âg' si era fortemente opposto, consigliando al califfo di chiamare il figlio a succedergli sul trono.
Sulaimân poteva ormai sfogare l'odio, accesogli da quella opposizione, contro i dipendenti di Hag'g'âg. Kutaiva ivn Muslim tentò di prevenirlo e invitò le sue truppe a sollevarsi contro il califfo. Ma i Temîmiti, coi quali era in rotta, gli si misero contro e lo sconfissero.
Il conquistatore della terra dell'Indo fu condotto a Wâssit e qui giustiziato. Il califfo affidò il governo dell'Irâk a Jested ivn Muhallad, già governatore del Chorâssân, che Hag'g'âg' aveva destituito e perfino imprigionato. Costui pregò il califfo di essere dispensato dall'amministrazione delle finanze, volendo così sottrarsi all'odio della popolazione oppressa dalle esosità fiscali. Ma la sua prodigalità lo mise in conflitto col direttore delle finanze, fino al punto che finì di preferire tornare nella sua vecchia provincia del Chorâssân.

Sulaimân teneva corte a Ramla in Palestina, dove aveva vissuto già da principe, guadagnandosi l'affetto degli abitanti. A Dâvik nella Siria settentrionale teneva raccolto un grande accampamento per la guerra contro i Bizantini, e spesso lo ispezionava in persona. Prima però che potesse iniziar seriamente la guerra, a Sulaimân lo colse la morte nel settembre del 717.

Secondo una disposizione testamentaria di Abdelmelik, suo figlio avrebbe dovuto succedere a Sulaimân. Ma questi non ne tenne conto, e designò i suoi due figli come eredi del trono. Essendogli però ambedue premorti, si lasciò indurre dal teologo Rakâ a trasmettere il califfato al suo pio cugino Omar ibn Abd al-Aaziz, che poté difatti assumere il governo senza contrasti.

OMAR (o Umar) II (717-720), figlio di Abdalaziz ibn Merwân per lunghi anni governatore d'Egitto, e discendente per parte di madre - e di questo si mostrava assai superbo - dal primo Omar, era nato a Medina, dove aveva passata la gioventù in mezzo ai pii successori dei compagni del profeta, con i quali manteneva ancor strette relazioni quando Walid lo nominò governatore nella città di Maometto. Avendo però concesso qui asilo ai rivoltosi dell'Irâk, fu, per insistente richiesta di Hag'g'âg', rimosso dall'ufficio, senza però cadere decisamente in disgrazia.

Una volta giunto al governo, arrestò i progressi delle armi musulmane, per avere mano libera nell'interno, dove intendeva realizzare gli ideali della vita politica da lui concepiti fin dalla prima gioventù a Medina. Sua principale cura fu la riforma delle finanze. La politica finanziaria iniziata da Omar I era rimasta inefficace, sia perché molti musulmani acquistavano terreni nelle province conquistate pretendendone la esenzione da imposte, sia perché molti contribuenti campagnoli si convertivano all'Islâm e trasferendosi nelle grandi città riuscivano a sottrarsi alle imposte.
Hag'g'âg' si era limitato a proibire questa migrazione, ed a colpire di tassa fondiaria anche i possessi dei musulmani. Omar mantenne la massima che faceva tutti i musulmani esenti da tasse. Ma riapplicò il procedimento stabilito da Omar I, che cioé la totalità del paese conquistato apparteneva alla comunità musulmana, vietando quindi per l'avvenire ai singoli musulmani di acquistarne dei lotti.

Se un contribuente campagnolo si convertiva all'Islâm, i suoi beni passavano alla comunità del villaggio; se voleva continuare a coltivarli, doveva prenderli in affitto dalla comunità stessa, e il prezzo dell'affitto serviva a completare la somma da pagarsi dal villaggio a titolo d'imposta. Ad ogni modo, le intenzioni di Omar erano buone, né nascevano - come si é creduto - dal cervello di un teologo estraneo al mondo; però non gli fu concesso di metterle seriamente in effetto durante il suo breve regno di tre anni - morì il 9 febbraio del 720 - e i suoi successori ripresero il sistema, più comodo, di Hag'g'âg'.

JAZID II (o Yazid720-724), successore di Omar, dovette, non appena salito al trono, domare un'altra rivolta dell'Irâk. Jezted ibn Muhallab era stato rinchiuso da Omar nella prigione dei debitori, non avendo potuto pagare il quinto legale del bottino della sua ultima spedizione, da lui per vanteria denunciato molto più alto del vero. Nemmeno presso Jezted trovò grazia, avendo questi per moglie una nipote del suo antico nemico Hag'g'âg'. Fuggì quindi dalla prigione a Bassra e qui chiamò la sua tribù e gli Arabi meridionali a lui affini, alla guerra santa contro i Siri.
La Persia e il Kermân presero pure le sue parti. Ma i Siri riaffermarono la loro vecchia superiorità militare. I ribelli furono dispersi nella battaglia di Nuchaila (24 agosto 720). Lo stesso Jezted ibn Muhallab vi trovò la morte; la sua famiglia fu bandita, gli uomini uccisi, le donne e i bambini - contro ogni consuetudine - venduti schiavi.

Con Jazìd era salito al trono un umaijade di vecchio stampo. Lasciò ai governatori la cura delle province, per spassarsela liberamente a corte, con le cantatrici e darsi ai piaceri sportivi. Pare che la morte di una cantatrice sua favorita lo addolorasse tanto, da seguirla nella tomba : mori nel gennaio 724 nel suo castello di Arbad nella regione orientale del Giordano.

Nel Moab ci restano ancor oggi, benissimo conservati, alcuni di questi castelli del deserto, nei quali i sovrani Umayyadi cercavano riposo delle cure dello Stato. Il più famoso, la Meshatta (buona parte del fregio della facciata é ora esposta nel Museo Kaiser-Friedrich di Berlino), offre, secondo Strzygowski, un bell'esempio di quello stile architettonico sorto nella Mesopotamia e che, diffuso più tardi anche a Bizanzio, fu portato alla massima perfezione nell'arte islamica. Le mura di cinta sono costruite in pietra, l'interno in mattoni. La triplice navata termina in un coro triabsidiale, da servire come sala del trono. Di qui si staccano, a destra e a sinistra, due volte a tutto sesto con ogiva depressa, caratteristiche dell'arte persiana e più tardi islamica.

Come nelle costruzioni sassânide, i mattoni sono disposti in file verticali, secondo il profilo della volta. Nella triplice navata si entra per le tre porte che dividono in altrettante parti la facciata; i loro fregi passano ad un tratto dalla linea orizzontale alla verticale e sono coronati da un profilo di entasi liscio. Questo passaggio si trova già nei monumenti assiri e ritorna anche più tardi nell'arte islamica. Le colonne della sala sostengono capitelli di marmo importato, tinto di blu-giallo, i colori prediletti della Mesopotamia. Il capitello dell'arco di trionfo e il fondo operato della grande facciata sono lavorati in piano come trine e tappeti. La facciata dei porticati offre lo stesso motivo dell'acanto che vediamo sulle colonne, ma composto in tinta scura. Per la sala del trono sono caratteristiche le nicchie fiancheggiate da colonne: le ritroviamo nelle nicchie da preghiera delle moschee.

Se per la Meshatta non si può dimostrare con sicurezza che sia stata costruita da un Umaijade, per quanto ciò sia probabilissimo, di un altro castello in quella stessa regione, il Kussair Amra scoperto da Muzil, sappiamo da iscrizioni in esso conservate che fu costruito nella prima metà dell' VIII secolo; chi fosse il costruttore non ci é purtroppo dato di sapere con precisione, nemmeno in questo caso. Sopra una parete di questo castello le figure di quattro principi dovrebbero rappresentare gli Stati sottomessi dall'Islâm. Le iscrizioni li indicano come l'imperatore Chosrau (di Persia), Nagâshte (il Negûs di Abissinia) e Rodorico (l'ultimo re dei Goti in Spagna). Siccome quest'ultimo nome cadde presto in dimenticanza nella tradizione araba, questa figura dev'esser stata dipinta non molto dopo la sua morte avvenuta nel 711.

Oltre a questa glorificazione della potenza araba, le pitture del castello ci rappresentano la vita suntuosa e mondana della corte, in scene di caccia, corse di cavalli, concerti, appuntamenti amorosi ed in specie nei piaceri del bagno: infatti questo castello serviva principalmente come luogo di bagni, avendo gli Arabi preso dai Romani, che l'avevano portato al massimo raffinamento, questo mezzo di curare il corpo.

A Jezid successe suo fratello HISHAM (724-743), che abitò per lo più a Russâfa sull'Eufrate. Ebbe la fortuna di trovare per l'Irâk, nella persona di Châlid ibn Abdallâh al-Kassri, un altro governatore degno dei suoi grandi predecessori Sijâd e Hag'g'âg'. Appartenendo ad una tribù di poco conto ed essendo quindi estraneo ai partiti, questi riuscì a tenere a freno i Kaissiti perturbatori. Ma fu soprattutto benemerito dell'agricoltura, continuando in grande stile i lavori di bonifica cominciati da Hag'g'âg'. Col prosciugamento delle paludi lungo il Tigri inferiore, nella regione di Wâssit, Châlid guadagnò alla coltivazione estesi terreni, ricavandone larghe rendite. Se ne avvantaggiò la propria tasca, anche che non trascurava di soddisfare i suoi obblighi verso la corte di Damasco.

Quando però Châlid iniziò a farsi incettatore di grano, i suoi avversari riuscirono a farlo cacciare dalla carica che teneva da quindici anni. Ma non appena il suo robusto braccio cessò di reggere l'Irâk, fu finita la pace.
Un pronipote di Ali, di nome Said, vantava diritti al califfato da parte della sua famiglia. Accolse l'atto di omaggio, promettendo di prendere come norma il libro di Dio e la Sunna del profeta, di render giustizia a chi era stato privato della pensione, di dividere egualmente i redditi dello Stato, e di richiamare i soldati dalle guarnigioni lontane.
Il governatore Châlid poté sedare questa rivolta senza fatica, essendo caduto il discendente di Ali in una banale scaramuccia di piazza.

Ma quello fu il primo di una lunga serie di consecutivi moti sciiti, che prepararono la caduta degli Umayyadi.
Il califfo Hishâm riprese anche la guerra contro i Bizantini, che dall'ultimo infruttuoso attacco contro la loro capitale nel 716-717 era stata mandata avanti piuttosto fiaccamente. Ma nemmeno sotto il suo governo queste lotte diedero frutti durevoli, dato che le sue truppe dovevano sgombrare nell'inverno le posizioni occupate nell'estate.

Fu invece, sotto Hishâm, intensificato il movimento degli Arabi verso Occidente. I Musulmani di Spagna eran stati fin allora più volte impediti nelle loro lotte contro i Cristiani dalla discordia fra gli Arabi e i Berberi, che si sentivano sacrificati. Il berbero Munâsa aveva anzi defezionato, rendendosi indipendente nella marca settentrionale e stringendo alleanza con Eudo di Aquitania.
Hishâm nominò allora in Spagna un nuovo governatore, Abdarrachmân ibn Abdallâh, che sconfisse Munâsa e poi si volse contro Eudo. Vinto anche costui fra la Garonna e la Dordogna, lo inseguì in direzione della Loira.
Ma nell'ottobre del 732, fra Tours e Poitiers, gli si fece incontro Carlo Martello. I Franchi dell'Austrasia tennero fermo all'assalto degli Arabi, i quali nella notte si ritirarono, essendo caduto il loro capo. I suoi successori ripresero le incursioni nella Gallia, ma ne furono spesso trattenuti da contrasti interni.

I Berberi in Africa erano scontenti perché, nonostante che fossero buoni musulmani e avessero partecipato con zelo alla guerra santa, venivano pur sempre trattati come sudditi tributari. Pertanto gli emissari chârig'iti dell'Irâk trovarono presso di loro terreno favorevole per la loro accanita propaganda contro il califfo umaijade.
Non essendo stati ammessi a presentare a corte un reclamo, scoppiò una rivolta che mise in fiamme l'Africa dal Marocco fino al Kairawân. Gli emiri africani non erano all'altezza di domarla, nemmeno quando il governatore Okba venne in loro aiuto dalla Spagna. Perfino le truppe sire guidate dal prefetto di Damasco soccombettero nel Marocco al selvaggio valore dei Berberi. Nella gran battaglia presso il fiume Nauam (741), il loro duce cadde con un terzo delle truppe, e suo nipote a stento riuscì a rifugiarsi in Spagna.
Solo l'anno seguente una vittoria assicurò agli Arabi, se non altro, il possesso del Kairawân.

Il più grande difetto di Hishâm fu la cupidigia. Per lui lo Stato altro non era che un demanio da sfruttare; dai governatori esigeva che estorcessero continuamente denaro. Sotto di lui il tributo di Cipro fu aumentato, quello di Alessandria raddoppiato. La sua politica spinse alla disperazione, come i Berberi in Africa, così i Persiani e i Turchi nella Transoxania e preparò in Oriente il terreno agli emissari degli Abbâssidi. Morendo (6 febbraio 743) lasciò l'impero in tristissime condizioni.

A Hishâm successe suo nipote al-WALID II (743-744) figlio di Jazid, il quale, al pari di suo padre, si diede tutto ai più sfrenati piaceri. Poiché suo zio non avrebbe voluto che salisse al trono, dovette passare la gioventù lontano dalla corte, in uno dei castelli nel deserto della Palestina. Quando, dopo la morte di Hishâm, egli fece il suo ingresso in Damasco, il popolo lo accolse con giubilo, sperando di essere liberato dalle estorsioni del suo predecessore.

Ma tale speranza andò delusa. Eletto califfo, tornò a ritirarsi nel suo castello nel deserto, per viver qui fra i piaceri sportivi e le gioie del vino, della musica e della poesia. Dotato egli stesso di cospicue attitudini, mise la poesia del suo tempo sopra una nuova via. Allo stesso modo che l'Islam aveva fino allora esercitato scarsa influenza sul tenore di vita dei suoi fedeli arabi, così la loro musa era rimasta fedele alle antiche tradizioni pagane. La poesia era sempre legata a forme fisse, tradizionali. Suo ufficio principale, l'esaltare una data tribù, schernendo e avvilendo gli avversari.
L'espressione dei moti dell'animo più delicati, come dell'amore per la donna, teneva un posto molto secondario e serviva solo come introduzione, a dire vero indispensabile, alle grandi poesie «a scopo determinato», le Kassîde.

Nella Siria, paese coloniale, la vita si svolgeva secondo un ritmo più vivace che non nella patria araba. L'odio fra le tribù assumeva qui forme ben più appassionate, e da decenni infuriava la lotta tra i Kaiss e i Keib. Queste ostilità di tribù trovavano eco nella poesia degli Arabi della Siria e dell'Irak. Specialmente i tre massimi poeti, fioriti sotto Abdelmelik, Achtal, G'erîr e Farazdak, avevano preso esclusivamente quest'indirizzo battagliero, e lo sciame dei poeti minori ne aveva seguìto l'esempio.
Anche più tardi la canzone politica fu coltivata con ardore. Sotto il governo di Hisham, al-Kumait sosteneva ne' suoi versi i diritti della famiglia del profeta, in specie dei Fatimidi, al califfato.
Corde più dolci avevano finora toccato quasi solamente i poeti dell'Arabia propria. La Mecca e Medina, da che non partecipavano più alla vita politica, eran divenute sedi della vita gaia e spensierata. Sotto Abdelmelik, Ornar ibn ab, Rabia componeva alla Mecca i suoi canti, delicati e profondamente personali, tutti quanti intonati ad un tema, l'amore per la donna.

Quest'arte, nuova in Arabia, fu accolta con entusiasmo per tutto il paese, stimolando l'emulazione di molti poeti. Alla corte del primo Walid questo nuovo stile era stato introdotto dall'arabo meridionale Waddâch. Ora il nuovo califfo Walid II aprì un nuovo campo alla celebrazione poetica dei piaceri della vita: il canto bacchico. Dovette per questo riattaccarsi alla tradizione del cristiano Adî ibn Said, fiorito in Hîra sotto l'ultimo dei Lachmidi. Gliela aveva fatta conoscere il suo compagno di gozzoviglia, al-Kassim ibn Tofail, egli pure cristiano di Hira. Del resto il vino figurava già nella poesia degli Arabi pagani e la proibizione del profeta come non ne aveva eliminato il godimento, così non aveva potuto farne del tutto tacere la celebrazione poetica.

Pure Walid può dirsi il vero creatore del brindisi islamico, più tardi coltivato con ardore nell'età degli Abbassidi.
Con la vita di piaceri condotta dal califfo fra donne, cantanti e poeti, le sostanze accumulate da Hisham sfumarono presto; cosicché egli dovette ricavarne di nuove tramite tasse per mezzo dei governatori, al pari dei suoi predecessori.
Si inimicò inoltre i suoi parenti, avendo destinato a succedergli nel trono i suoi due figli, benché tuttora minorenni e per di più nati da schiave.

Quelli posero sul trono JEZID III ibn al-Walid ibn Abdelmelik (744), che senza contrasti accolse l'atto di omaggio a Damasco. Walid resisté però alle truppe mandategli contro e combatté con valore superiore alla aspettative. Ma abbandonato di lì a poco dalla sua guardia del corpo, si ritirò nel suo castello dove fu ucciso mentre leggeva il Corano, come già Othmân (7 aprile 744).

Con l'assassinio di Walîd cominciò la fine della dinastia. Avendo essa stessa scosso la considerazione di cui godeva il califfato nella Siria fin allora fedele, la propaganda rivoluzionaria, che aveva già fatto grandi progressi nelle province, guadagnò terreno anche qui. Dovunque l'ordine dello Stato andava a rotoli. Il successore di Walîd, Jezted III, morì il 25 settembre dello stesso anno.

Contro la famiglia di Abdelmelik insorse un bastardo di una linea collaterale, MARWAN II (o Merwan) ibn Muhammed (744-750), il cui padre, come governatore della Mesopotamia e Armenia, aveva per lunghi anni condotto la guerra contro i Bizantini. Merwân Il a sua volta aveva combattuto, nel Caucaso, dodici anni contro i Turchi. L'esperienza laggiù acquistata lo mise in grado di riorganizzare l'esercito islamico. Il vecchio sistema di pagare gli uomini validi con i redditi dei tributi non diede più buona prova in queste campagne che esigevano una rigida disciplina.
Alla vecchia divisione dell'esercito secondo le tribù, Merwan sostituì pertanto reggimenti di nuova formazione comandati da militari di professione. I vecchi eserciti combattevano in file lunghe, davanti alle quali si svolgevano i singoli combattimenti, per lo più decisivi dell'esito della battaglia; Merwan formò invece piccole unità tattiche, facili a muovere e spostare.

Merwan aveva rifiutato di riconoscere Jezîd III; e si dichiarò pure contro il suo successore, Ibrahîm ibn al-Walid. Asserendo di rappresentare i diritti degli eredi di Walid, invase la Siria e sconfisse le truppe del governo fattiglisi contro presso l'Antilibano. Il loro duce, Sulaiman, soppressi durante la ritirata su Damasco i figli di Walid, fuggì con quanti più denari poté appropriarsi.
Il 7 dicembre 744 Merwan accolse l'atto di omaggio a Damasco. Ma poi trasportò la residenza ad Harran, dove poteva appoggiarsi ai Kaiss a lui devoti. Da ciò furono spinti a sollevarsi i Kelb nella Siria, ridotti a ubbidire a lui nello stesso anno.
Egli fece una leva fra di essi, per assoggettare l'Irak. Nel marciare verso questa regione, i Siri indussero, a Russafa, Sulaimân figlio di Hisham a porsi alla loro testa come califfo. Ma egli non seppe reggersi contro Merwân e dovette fuggire a Kufa. Quindi Merwân ebbe di nuovo da combattere la rivolta nelle singole città della Siria, e solo nell'estate del 746 fu veramente padrone del paese.

Nella parte orientale dell'impero l'autorità degli Umayyadi era nel frattempo dei tutto scomparsa. Abdallah, un Alide pronipote di G'afar fratello di Ali, era riuscito a fondare nella Media un regno, però di breve durata. Reggeva l'Irâk come governatore un figlio di Omar III, che non aveva voluto riconoscere Merwan ed aveva resistito per quattro mesi al suo vicario, presentatosi nella sua provincia: finché un comune pericolo li spinse a riconciliarsi.
Il moto cha rig'ita era sì stato represso da Hag'g'ag', ma non soffocato. Ora riscoppiò nel nord della Mesopotamia, fra le tribù dei Rabia, insofferenti che il califfato toccasse ai Koraishiti.

Elettosi un proprio califfo, marciarono contro i due Umayyadi combattenti dinanzi a Kufa. Per quanto questi si unissero nell'opporsi ai Charig'iti, non ci riuscirono nell'impresa; furono sconfitti, e obbligati a sgombrare Kufa. Il figlio di Omar fece poi pace col califfo dei Chârig'iti, che lo confermò governatore in Maissan e Fars.

Dopo una residenza di circa venti mesi a Kufa, il Chârig'ita tornò in Mesopotamia e s'impadronì della città di Mossul. Merwan era ancora impegnato in Siria, e correva rischio di perdere il sostegno principale della sua potenza, la Mesopotamia.
All'inizio diede incarico a suo figlio di andar contro ai ribelli. Ma avuta la peggio in un combattimento, questi dovette ritirarsi dietro le mura di Nissïbis. Nel frattempo Merwan, riavuta mano libera, mosse egli stesso contro i Chârig'iti. Nel settembre del 746 inflisse loro una seria sconfitta: il loro califfo cadde, ed anche il suo successore fu ucciso sul campo. Ma solo nell'anno seguente la loro potenza fu definitivamente spezzata, essendo riuscito ad un generale di Merwan di riprender loro l'Irak.

Dopo quasi tre anni di guerra ininterrotta, Merwân poté ritirarsi nella sua residenza di Harrân, lasciando al suo governatore dell'Irak la cura di pacificare le province orientali. L'alide signore della Media perse il suo regno e fu ucciso, mentre fuggiva, dai suoi stessi seguaci.
Ma nella regione orientale dell'impero spuntarono ora ì più pericolosi avversari degli Umayyadi, i seguaci degli Abbassidi, che si raccoglievano sotto le bandiere nere.
Il vecchio governatore nominato dagli Umayyadi, Nassr ibn Saijar, li aveva già da tempo messi in guardia contro il pericolo, ma Merwan non aveva potuto assecondare le sue urgenti richieste di aiuto; ed ora che l'opera cui il califfo aveva dedicato la vita sembrava giunta al compimento, veniva di nuovo seriamente minacciata.

I nazionalisti persiani, avversi alla signoria degli Arabi, sì unirono nel Chorassân ai legittimisti, ossia a quei pii musulmani per i quali il governo degli Umayyadi non era stato, fin dal principio, un califfato, ma un regno mondano ed empio.
Il dominio teocratico spettava, secondo loro, alla famiglia del profeta, cioè ai discendenti dì Ali. Ma gli Abbâssidi seppero giovarsi per i loro scopi particolari della ostilità dell'Oriente contro gli Umayyadi. Era loro capostipite il cugino vero del profeta e di Ali, Abdallah ibn Abbass, che dopo la morte di Ali aveva fatto pace con Muâwija.
Suo figlio Ali era venuto a Damasco sotto Abdelmelik, ma dopo la morte di Walid si era trasferito a Humaima lungo la strada percorsa dai pellegrini siri, dove era morto in tarda età, nel 736.
Con ancora lui vivo suo figlio Muhammed aveva avanzato pretese per l'ufficio di Imam fra gli sciiti, pretese poi trasmesse al figlio Ibrâhim. Già da tempo i loro emissari lavoravano in Oriente, quando Ibrahim nel 746 mandò nel Chorassan, dove il terreno era meglio preparato, Abû Muslim, irano di nascita.

Questo Abû Muslim cominciò ad agire fra le tribù dei Chusaa, tenendo pubblicamente il servizio divino del venerdì in nome degli Abbassidi. Ma poiché qui gli si opponeva un vecchio capopartito, si recò a Machwan. Qui si presentò come padrone, il che eccitò il sospetto degli Arabi ; ma gli odi dì tribù, dominanti non meno nell'oriente che nel centro dell'impero, li impedì di opporsi tutti uniti contro di lui.
Sul libro di Dio e sulla Sunna del profeta egli faceva giurare obbedienza al suo seguito, composto quasi tutto di contadini irani, verso colui della famiglia del messo di Dio, «sul quale avverrà l'accordo».
Le truppe prestavano inoltre uno speciale giuramento di incondizionata ubbidienza verso gli ufficiali.

Grazie alla disunione degli Arabi, Abû Muslim riuscì ad impadronirsi della città dì Merw. Di qui iniziò la lotta contro Nassr ibn Saijar, governatore di Naishâpûr: per effetto della guerra che se ne seguì finì per soccombere il dominio degli Umaijadì.
Il primo assalto non fu fatto da Abû Musliin stesso, ma da Kachtaba ibn Sâlich, della tribù dei Taiji, che Ibrahim aveva guadagnato a sé nella Mecca, nominandolo generale previa investitura con una bandiera nera. Avendo egli sconfitto Tòss il figlio di Nassr, questi sgombrò Naishâpûr, e Abû Muslim potè trasferirvisi nel giugno del 748.
Nassr fu bloccato in Nihawend e il governatore di Kermân, accorso per liberarlo, fu sconfitto e ucciso il 18 marzo 749 nei pressi di Ispahan. Dopo diversi mesi i Siri asserragliati a Nihâwend capitolarono, senza curarsi di quelli del Chorassan che vennero uccisi senza pietà.

Da Nihâwend, Kachtaba marciò subito verso l'Irak. Schivando all'inizio il governatore, che aveva passato il Tigri per affrontarlo, mosse poi senza indugi contro Kufa. Avendolo il governatore inseguito, lo assali nel suo campo presso Anbâr il 27 agosto 749, costringendolo a ritirarsi verso Wassit. Kachtaba era caduto in questo combattimento notturno; ma suo figlio Hassan, che aveva già prima avuto una parte assai indipendente nella direzione militare, assunse il comando senza incidenti, ed occupò Kufa.

Qui si era formato, già da tempo, il centro della agitazione abbassida. Abû Salama, «il wezìr della famiglia del profeta», si fece avanti pubblicamente, prendendo la direzione degli affari. Il capo della casa degli Hâshim era stato poco prima arrestato ad Humaima per ordine del califfo Merwan e condotto ad Harran.
In precedenza, egli aveva consigliato ai suoi di rifugiarsi in Kufa, ed aveva designato a successore suo fratello ABU l-ABBAS (749-754). Nell'ottobre del 749 giunsero a Kufa quattordici Abbassidi.

Il vizir Abû Salama, che si era obbligato personalmente solo di fronte ad Ibrâhim, non era disposto a subordinare per nessun motivo la propria autorità alla loro; e tentò anzi di tenerli lontano dai Churâssani. Ma un vicario di Abû Muslim condusse da Abu 'l-Abbass dodici capi churassâni, che gli prestarono l'atto di omaggio. Allora Abû Salama dovette rinunziare alla sua opposizione, e il 28 novembre 749 Abu 'l-Abbass potè accogliere nella moschea di Kufa il pubblico atto di omaggio di califfo (iniziando così la nuova dinastia che con 37 califfi durerà fino all'anno 1258)

A causa di un attacco di febbre Abu 'l-Abbass dovette interrompere la sua prima predica, ma la continuò suo zio Daûd, il quale cercò di dimostrare che secondo la parola di Dio la sua casa aveva maggiori diritti al califfato che non gli Alidi. Fece rilevare che i Churassani portavano all'Irak la liberazione dal giogo degli odiati Siri.

Certo però il califfo non si sentiva ancora del tutto sicuro a Kufa, poiché si recò, con Abû Salama, nel campo dei Churassani; ma poi lo lasciò, passando a Hira. Di lì a poco fu sbarazzato di Abû Salama, ucciso da un confidente di Abû Muslim.
Dopo la presa di Nihawend, Kachtaba aveva mandato sul Tigri Aun al-Azdî. Caduta Kufa, gli furono spediti dei rinforzi; ma egli dovette cedere il comando all'abbasside Abbas ibn Abdallah.
Merwân mosse contro i Churâssâni e la battaglia sulla riva sinistra del gran Sab, durata nove giorni, terminò con la sua disfatta. Merwân fuggì, inseguito dai Churassâni; da Harrân e Damasco verso il porto egiziano di Farma.
Le città della Siria si arresero al nuovo signore quasi tutte senza resistenza; solo Damasco si difese per qualche tempo. Merwan cadde in un'ultima battaglia presso Bûssir nell'alto Egitto, all'inizio dell'agosto del 750.

Ultimo rifugio della potenza umaijade, la città-campo di Wâssit, costruita ancora da Hag'g'âg' nelle paludi del Tigri, resistette ancora per undici mesi, nonostante la discordia fra gli Arabi del nord e del sud, qui rinchiusi. Solo quando il governatore Ibn Hubaira apprese la morte di Merwân, aprì trattative. Ma la capitolazione conclusa dopo quaranta giorni, e quantunque Abu 'l-Abbass stesso l'avesse approvata, fu violata. Gli ufficiali prigionieri, fra i quali il governatore stesso, caddero per mano del carnefice.

Contro la dinastia caduta, gli Abbassidi procedettero con inaudita crudeltà. In tutta la Siria gli Umayyadi furono cacciati e sterminati come bestie selvagge. Perfino le tombe dei califfi, meno quelle di Muâwija e di Omar II, furono profanate. Soltanto un nipote del califfo Hishâm riuscì a scampare in Spagna, dove poi fondò un nuovo regno.

Avevano o no ragione i poeti?
Molto prima del crollo degli omayyadi, gli appelli dei poeti attenti agli eventi non mancavano nel vedere nelle discordie una follia e un suicidio dell'Islam-arabico, e lanciavano profetici appelli:
"In nome di Dio vi congiuro dal suscitar guerre intestine, che si levan torreggiando come monti, e poi si abbattono/ L'umanità è stanca del vostro dominio: afferratevi al pilastro della fede, e sappiate frenarvi! / Non date in pasto voi stessi ai lupi tra il popolo; i lupi cui si offre carne in pasto vi si gettano su./ Non vi sventrate con le vostre stesse mani: dopo, nessun cordoglio, nessun disperarsi servirà più!" ( Abbas ibn al-Walid).

E pochissini anni prima del crollo definitivo un altro grido di allarme dal fedele governatore del Khorasan, Nasr ibn Sayyar: "Veggo tra le ceneri un lampeggiar di brace, vicina ormai divampare./ Con i due legnetti si accende il fuoco, e semplici parole sono il principio della guerra./ Se non spegnete quel fuoco, frutterà una guerra feroce, da far incanutire l'adolescente./ Dico sbalordito -potessi io sapere, se dormono i Banu Umayya (gli omayyadi) o se son desti!/ Che se i nostri si sono addormentati, "sorgete, grida, è l'ora di sorgere"./ E tu fuggi, o donna, dalle tue case, e proclama: è finita per l'Islam, è finita per gli Arabi!".

I Siri avevano fino allora assistito, per odio contro Merwan, quasi noncuranti alla rovina della dinastia, cui pure tanto dovevano. Ma questo crudele sterminio fini per produrre una reazione. Nel Kinnesrin, i Kaissiti elessero il sutjanide Abû Muhammed. Ma nel luglio del 752 furon dispersi, e Abû Muhammed, fuggiasco, cadde nel Hig'as nelle mani dei carnefici abbassidi.
I suoi seguaci però non volevano credere alla sua morte; ne aspettavano il ritorno, come del Messia, che doveva ricondurre in Siria i giorni scomparsi della signoria. Vistisi delusi nella loro speranza, finirono per accoglierlo nella escatologia islamica come precursore dell'Anticristo.

Con la caduta degli Umayyadi non solo i Siri, ma anche gli Arabi in genere perdettero il dominio nell'Islam. La loro patria ricadde presto nella barbarie. I non-Arabi solo di recente convertiti, che essi finora avevano trattati come musulmani di seconda classe, presero ora a dettar legge.
Poiché gli Abbassidi dovevano la loro vittoria all'Oriente iranico e poiché i Churassâni grazie alla loro organizzazione militare seppero assicurare la loro parte di preda....

... gli Iraniani
acquistarono sempre più il predominio nell'Islam.

 

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