-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

69. GENESI DEGLI STATI NORMANNI E NEOLATINI

I NEOLATINI (SPAGNA - FRANCIA - ITALIA - INGHILTERRA)


La Spagna intorno al 1200

Come abbiamo visto in uno dei capitoli precedenti, in Spagna alcuni territori divenuti cristiani sorsero dalle rovine del regno goto e nonostante la successiva invasione araba, riuscirono qua e là a conservarsi accanto agli Stati Saraceni, talora acquistando talora perdendo in estensione ed importanza, alcune volte in lega e alcune volte in lotta fra di loro.

Nella seconda metà del X secolo la Spagna vide il periodo della massima fioritura del califfato degli Omajadi. Ma anche qui, come a Bagdad, lo splendido sviluppo della poesia, delle scienze e delle arti, che valse a raffinare la vita ed i gusti delle classi più elevate, non poté eliminare i difetti intrinseci dell'organizzazione politica araba oscillante tra il dispotismo ed una specie di feudalesimo di carattere meno rigoroso, ed ovviare ai pericoli inerenti agli istinti selvaggi ed al fanatismo religioso delle masse ignoranti.

Tutti i califfi ed emiri ebbero a lottare con sollevazioni di funzionari e principi ovvero capi banda di ribelli, allo stesso modo che i re dell'occidente cristiano con le ribellioni dei loro vassalli, e nell'XI secolo il califfato di Cordova si spezzò in un gran numero di piccoli Stati indipendenti o riuniti in organizzazioni poco compatte e per lo più informi nella struttura.
I piccoli Stati cristiani del nord della penisola poterono perciò più agevolmente sostenersi ed ampliarono i loro territori. Fa epoca a tal riguardo la conquista di Toledo compiuta nel 1085 da Alfonso di Castiglia. È ben vero che l'anno successivo i selvatici Morabiti o Almoravidi, chiamati in aiuto dall'Africa dal califfo di Cordova, inflissero ai cristiani una terribile sconfitta (1086); ma, avendo poi gli Almoravidi usurpato il potere nel califfato spagnolo, le guerre intestine fiaccarono nuovamente le forze dell'islamismo in Spagna.

Come già detto all'inizio, gli Stati cristiani, che nell'VIII e IX secolo erano sorti dalle rovine del regno goto, riuscirono a conservarsi accanto agli Stati saraceni, talora acquistando, talora perdendo in estensione ed importanza, talora in lega e talora in lotta fra di loro. Dopo una serie di sconfitte come quelle subite a Salaca (presso Badajoz) nel 1086, ad Ucles nel 1108 e ad Alarcos nel 1195, essi sembrarono votati alla morte; ma le montagne valsero a proteggerli, il loro coraggio non venne mai meno, e le discordie tra i saraceni offrirono loro sempre nuove occasioni e nuovi mezzi di salvezza.

La vittoria riportata dai cristiani collegati il 17 luglio 1212 presso Navas de Tolosa inaugurò il periodo del pieno dominio degli Stati cristiani, per quanto anch'essi non fossero funestati dal disordine interno anche se un po' meno degli Stati maomettani o dell'impero tedesco, della Francia e dell'Inghiterra.

Essi ci si presentano per lo più come un mondo a parte, ma ciò non toglie che abbiano avuto sempre una certa importanza per la storia dell'occidente cristiano. Essi si sentivano membri della comunità religiosa e della comunità dei popoli dell'occidente europeo, e presero parte al movimento intellettuale, alle controversie ed all'entusiasmo che la chiesa suscitò.
Già nell'epoca carolingia non mancano prove di contatti e rapporti di vario ordine tra la Spagna e la Francia, e la vita di papa Silvestro, che nella sua gioventù passò dalla Francia nella Spagna (prima del 970) specialmente per perfezionarvisi nelle matematiche, ci attesta l'esistenza di simili relazioni reciproche nel X secolo.
I Pirenei non valsero a separare le popolazioni spagnole dalla comune evoluzione dei popoli neolatini. La loro lingua ed i loro costumi erano analoghi, ed i canti del Cid, al pari dei privilegi mediante i quali i principi spagnoli regolarono lo sviluppo della vita cittadina, sono analoghi ai canti dei trovatori ed allo svolgimento della vita cittadina in Francia.

Lo stesso deve dirsi del carattere complessivo di questi Stati; il feudalesimo, la cavalleria, il clero, le città, vi si svolgono con forme simili a quelle degli altri Stati neolatini. La perpetua lotta contro l'islamismo aumentò nella Spagna più che altrove il fanatismo religioso, ma d'altro canto i continui contatti tra cristiani e maomettani fecero pure non di rado considerare la differenza di fede come un prodotto di circostanze esteriori. Non infrequenti furono le conversioni di cristiani all'islamismo e viceversa, ed anche più frequenti (seguendo particolari interessi) si ripeterono le alleanze di cristiani e maomettani contro cristiani e maomettani.

All'inizio del X secolo, verso l'epoca dell'elezione in Germania di re Corrado I, esistevano nel nord della Spagna i piccoli regni di Asturia, di Leon e di Galizia, i quali nel corso del X e dell'XI secolo, dopo molteplici vicissitudini proprie degli Stati feudali, si estesero verso mezzogiorno e finirono per fondersi nel regno di Castiglia. Questo regno derivò il suo nome dai numerosi castelli che si ergevano sui monti del paese d'origine dei suoi re. Accanto al regno di Castiglia troviamo nella seconda metà dell'XI secolo i regni di Aragona e di Navarra; ma nel 1076 il regno di Navarra andò ripartito tra quelli di Castiglia e di Aragona, i quali d'ora in poi rappresentano i fattori principali della storia della Spagna.

I re d'Aragona conquistarono nel 1096 la piazzaforte di Huesca (Osca) e nel ventennio successivo Tudela e Saragozza, gli ultimi possedimenti conservati dai maomettani nella regione dell'Ebro e nella Spagna settentrionale in genere. A questi successi seguirono bensì varie sconfitte e scissioni, ma non si verificò un vero e proprio regresso.
Verso quell'epoca Enrico, conte del Portogallo, che costituiva una marca avanzata dei regno di Castiglia, dopo una grande vittoria sui Saraceni fu acclamato dall'esercito re di Portogallo (1139), si fece riconoscere re dal papa dietro il pagamento di un tributo annuo, ed estese il suo dominio, specialmente con la conquista operata nel 1147 di Santarem e di Lisbona.

Questo importante successo re Enrico lo dovette in buona parte all'aiuto di una flotta di crociati tedeschi che navigavano verso Terra Santa su navi inglesi e fiamminghe costeggiando la Spagna. Il regno di Castiglia rimase in primo piano; i suoi re nella prima metà del XII secolo si arrogarono perfino il titolo di imperatori di Spagna, che però smisero dopo la morte di Alfonso VIII (1127-1157).
Essi non riuscirono in verità a conquistarsi una vera e propria alta sovranità sugli altri Stati, ma tuttavia il regno di Castiglia, dopo l'incorporazione di quello di Leon e la conquista di Cordova (1236) e di Siviglia (1248) venne ad occupare il primo posto tra gli Stati spagnoli. Esso fiorì specialmente sotto il regno di Ferdinando il Santo (1230-1252) e di Alfonso X (1252-1284).

Re Alfonso X diede prova di un vivo interesse per le scienze, prese persino parte egli stesso ai lavori scientifici, perfezionò l'università di Salamanca, diede al suo paese un codice (Siete partidas), al cui paragone non può reggere nessuna altra opera legislativa di quel periodo, e fece anche tradurre la bibbia in lingua spagnola. Alfonso X fu indubbiamente un re che fecondò il sentimento nazionale degli Spagnoli e seppe suscitare e rendere operose molte energie latenti dei suo popolo. Il maggiore ostacolo alla fusione dei Goti e dei Romani, da cui doveva uscire la nuova nazione spagnola, era già caduto con la conversione dei Goti dall'arianesimo al cattolicesimo (586), ed essa poi si fece più ampia sotto la pressione della dominazione maura e nelle lotte comuni per la causa della libertà. Sotto Alfonso X la vita di questo nuovo popolo spagnolo cresciuto fra le lotte per l'indipendenza raggiunse un grado culminante di sviluppo.

È ben vero che la stolta vanità di questo re, che comprò a prezzo di somme enormi dai principi elettori tedeschi il titolo di imperatore romano ed aumentò la confusione in Germania senza ottenere nulla di concreto, inflisse al suo paese grave danno ed attirò sulla persona del sovrano meritati motteggi; ma ciò non deve far dimenticare le sue benemerenze, tanto più che la vita dei grandi della terra non va per lo più esente da manchevolezze anche più gravi. Vivo ancora Alfonso X, scoppiò tra la vedova del suo primogenito ed il suo secondo figlio Sancho un conflitto che continuò anche sotto i successivi re Sancho IV (1284-1295) e Ferdinando IV (1295-1312) ed offrì ai già strapotenti vassalli l'occasione di sottrarsi ancora più all'autorità regia. Nè più e nè meno quanto era accaduto in Francia e in Germania.

Quanto al regno di Aragona sotto Alfonso si era già esteso negli ultimi decenni del XII secolo alla Provenza; ma i due figli di Alfonso poi si spartirono l'eredità paterna in modo che Pedro II ebbe l'Aragona con gli altri possedimenti spagnoli, ed il fratello minore la Provenza e i possedimenti francesi accessori. Pedro II si fece incoronare dal papa Innocenzo III é si obbligò verso di lui a tributo ed a vassallaggio, ma per questo fatto venne a conflitto con l'assemblea degli Stati del suo regno, e poi a causa della guerra contro gli Albigesi passò completamente nel novero dei nemici del papa. Nel 1213 andò in aiuto di suo cognato Raimondo di Tolosa é cadde in battaglia. Suo figlio Giacomo I (1213-1276) cacciò i Saraceni dalle Baleari é liberò in tal modo il commercio del suo paese dal flagello dei pirati ché avevano il loro covo in quelle isole; tolse inoltre Valenza ai maomettani ed assicurò la pace nel paese con la tolleranza verso gli islamiti assoggettati, con una vasta é saggia legislazione, con la cura dinamica verso l'incremento dei commerci e della navigazione.

Il successore di re Giacomo, Pedro III (1276-1285), entrò risolutamente nell'agone della politica europea venendo in aiuto dei siciliani che nel 1282, al tempo dei famosi vespri siciliani, si erano ribellati al papa ed a Carlo d'Angiò. Questa guerra richiese grandi sacrifici e provocò un mutamento nella costituzione interna che minacciò di far prendere agli stati del regno un completo sopravvento sulla corona, analogamente a quanto accadde contemporaneamente in alcuni momenti critici della lotta tra il parlamento inglese ela corona. Inoltre l'Aragona ebbe allora ed in seguito ripetute guerre con la vicina Francia per il possesso di territori di confine, guerre che ebbero la loro importanza anche per lo sviluppo della monarchia francese. Né poté ancora a quel tempo dirsi con sicurezza se queste regioni meridionali della Francia avrebbero finito a far parte dello Stato francese o della Spagna.

Il traffico della Spagna con gli altri paesi divenne dalla metà del XIII secolo più attivo é regolare ed in molti rami la Spagna si pose alla testa del progresso, sopravanzando di molto gli altri Stati.
Di nessun altro Stato di quest'epoca noi possediamo documenti diplomatici paragonabili a quelli che ci sono stati conservati nella corrispondenza di re GIACOMO II per il periodo dal 1291 al 1327. Nessuno avrebbe sospettato che allora si fosse potuto organizzare ed attuare una così regolare sorveglianza sull'andamento degli altri Stati, se pochi anni fa non ne fosse venuto fuori un esempio istruttivo in questa corrispondenza di più di 100 volumi conservati nell'archivio della corona d'Aragona in Barcellona. Da questi apprendiamo che il re ricevette frequenti ed ampie relazioni informative circa le elezioni dei papi, circa la successione degli impera
tore come Federico II e sul conto di Federico il Bello che aveva sposato una figlia di Giacomo II.

Altri emissari con le loro relazioni lo informarono circa negoziati con la Francia, lo tennero al corrente circa l'atteggiamento di papa Giovanni XXII durante il conflitto dell'Aragona con Pisa per la Sardegna, o gli riferirono circa le condizioni politiche interne di Firenze, di Siena e di Lucca.
La corte del re e tutto l'apparato governativo di cui egli si valeva lasciano l'impressione che l'Aragona potesse gareggiare con le più progredite città italiane per sviluppo economico e politico oltre a superarle notevolmente per potenza.
Giacomo II assicurò l'integrità avvenire di questa potenza, proclamando insieme con gli stati l'indivisibilità del regno. I paesi un tempo autonomi, come il territorio di Valenza, conservarono i loro ordinamenti particolari e l'autonomia amministrativa, ma divennero parti inseparabili dello Stato aragonese.

Istruttivo è a caratterizzare la costituzione del paese e specialmente a rivelare la subordinazione delle città al re l'esempio della fondazione dell'università di Lerida. Il re la fondò e la dotò dei privilegi generali che secondo le idee giuridiche del tempo una città non aveva diritto di accordare. Il re ne designò pure il cancelliere stabilendo che dovesse essere tratto dal capitolo del duomo del vescovado di Lerida, ma dovesse gestire il suo ufficio come funzionario regio. Con ciò egli volle espressamente stabilire che il cancellierato non era una carica ecclesiastica.
Evidentemente aveva dovuto frequenti esperienze per convincersi quanto fosse necessario sottrarre con dichiarazioni ben nette ad ogni possibilità di equivoco la natura dei rapporti con le autorità ecclesiastiche. Città e vescovado dovevano contribuire alle spese, delle quali peraltro la porzione maggiore incombeva alla città. E la città, che era stata essa a promuovere la fondazione dell'università da parte del re, ne conservò la direzione, salvo per quel che spettava alla competenza del rettore della corporazione degli studenti stranieri che veniva eletto da questi studenti, i soli che sull'esempio dell'università di Bologna erano membri della corporazione.

Nella grande lotta tra papato ed impero l'idea della supremazia universale della Santa Sede e dell'unità di tutta la cristianità trovò, come é naturale, terreno propizio in Spagna. Già la rivalità che esisteva tra il regno spagnolo ed il regno tedesco non poteva fare a meno di preparare questo terreno in senso favorevole alle pretese papali, senza contare che i papi, da Gregorio VII in poi, avevano cercato di trasformare gli Stati spagnoli in feudi della Santa Sede.
Ciò peraltro non riuscì loro che in parte e non ebbe neppure una influenza notevole sulle loro sorti. Del resto poi nella Spagna non mancarono, al pari che negli altri paesi, conflitti tra l'autorità laica ed ecclesiastica.

I re di Portogallo (da Sancho I, 1185-1211 a Diniz, 1279-1325) trascorsero gran parte del loro regno in stato di scomunica e videro il loro paese colpito da interdetto. Per lo più però re e popolo seppero adattarvisi senza eccessiva preoccupazione.

I NORMANNI IN FRANCIA E NELL'ITALIA MERIDIONALE

Il Carolingio Carlo il Calvo aveva solo nominalmente e per brevissimo tempo riunito sul suo capo la corona franco-occidentale alla corona imperiale, ed anche i tentativi fatti posteriormente per estendere alla Francia l'autorità della corona imperiale fallirono. E forse questi tentativi accrebbero piuttosto le complicazioni e difficoltà con cui ebbero a lottare in Francia gli ultimi Carolingi.
Sotto di essi l'autorità regia precipitò in modo grave; i re non furono più in grado di dominare i vassalli insubordinati e ribelli e di respingere contemporaneamente gli assalti e le devastazioni dei Normanni.
La situazione migliorò allorché re Carlo, soprannominato il Semplice (898-929), cedette formalmente al possente e valoroso condottiero normanno Rolf la regione attorno al corso inferiore della Senna che era di fatto già stata devastata ed occupata dai Normanni. Da parte sua Rolf si impegnò a farsi battezzare insieme coi suoi ed a prestare al re il giuramento di fedeltà come vassallo. Raramente un atto di questo genere ha avuto conseguenze tanto felici.

La legalizzazione dello stato di fatto produsse i suoi benefici effetti; il territorio occupato si organizzò gradatamente in uno Stato ordinato, che era piuttosto autonomo in misura molto rilevante, ma tuttavia rimase coordinato come uno Stato vassallo alla monarchia feudale francese. Il nuovo duca instaurò la pace e l'ordine nel paese, che da allora prese il nome di Normandia, ed i suoi Normanni si avvicinarono agli ideali cristiani, senza peraltro perdere in verità il loro selvaggio spirito guerriero e la loro brutale astuzia dei vecchi tempi.
In complesso questi Normanni cristianizzati durante il X ed XI secolo si trasformarono in uno dei più vigorosi ed influenti elementi del mondo romano germanico.

I re della casa dei Carolingi, della casa dei Capetingi e di quella di Borgogna, che dopo la deposizione di Carlo il Grosso si disputarono la corona, vennero considerati dai grandi vassalli poco più che supremi signori feudali nominali; di fatto essi non furono per lungo tempo che capi d'un partito. Con UGO CAPETO (987) la lotta si decise a favore dei Capetingi e si ebbe nuovamente una serie ininterrotta di re appartenenti alla stessa dinastia, per quanto essi non si siano succeduti per diritto ereditario ma in forza di elezione.

Al momento dell'elezione di Ugo Capeto l'arcivescovo di Reims che vi presiedette dichiarò anzi espressamente che la corona di Francia era elettiva. In proposito dominavano in altri termini in Francia le stesse idee che in Germania, ma lo svolgimento posteriore nei due paesi fu diverso, perché mentre in Germania la trasformazione del semplice fatto della successione al trono da padre in figlio nel principio giuridico dell'ereditarietà della corona fu impedito dal frequente estinguersi delle famiglie reali, in Francia invece il perpetuarsi per lo spazio di tre secoli della dignità regia nella famiglia dei Capetingi provocò il sorgere del principio che il re non muore, ma il suo potere passa ipso iure dal padre nel figlio.

UGO CAPETO era figlio del duca Ugo il Grande, che aveva persino tenuto prigioniero per un pezzo il re carolingio Ludovico IV (Ultramarino, 936-954), e nipote di Roberto I che era stato re dal 922 al 923. Ugo Capeto regnò dal 987 al 996. Gli successe il figlio ROBERTO II (morto nel 1031), poi il figlio di quest'ultimo ENRICO I (morto nel 1060), al quale seguì il figlio FILIPPO I (1060-1108).

Sotto questi primi quattro Capetingi l'autorità regia rimase molto debole di fronte ai potenti vassalli, i cui territori assomigliavano più a Stati poco strettamente confederati che a province di uno stesso regno. In quest'epoca l'Aquitania, la Borgogna, le Fiandre, la Normandia, la Bretagna e le altre regioni della Francia esplicarono ciascuna le sue caratteristiche particolari ed acquistarono la coscienza delle loro nationalités régionales. Le lotte tra i grandi feudatari hanno avuto a tal riguardo una profonda influenza rinsaldando il sentimento della coesione ed indipendenza delle varie regioni. Ad es. la Bretagna stette per 25 anni sotto il dominio normanno, e se fosse rimasta in questa condizione ne avrebbe indubbiamente risentito le conseguenze nei riguardi dello sviluppo delle sue caratteristiche particolari.

Ma nel 938 i Bretoni si liberarono da questo giogo sotto la guida del valoroso duca Alain, il quale diede pure al suo ducato una più rigorosa organizzazione feudale.
Particolarmente potenti tra i vassalli della corona francese erano a nord i duchi di Normandia e di Bretagna, i conti di Fiandra, di Vermandois e di Champagne. A sud dalla massa dei minori feudatari emersero a maggior potenza i duchi di Aquitania ed i conti di Tolosa. Ma come l'autorità regia era menomata da quella dei grandi vassalli, così i duchi ed i conti a loro volta vedevano nei rispettivi territori limitato il proprio potere dai loro vassalli. Né il re né i grandi signori territoriali riuscirono a mantenere l'ordine e la pace nel paese.

Le guerre private tra grandi e piccoli feudatari crebbero a tal punto che nell'XI secolo la chiesa dovette ricorrere alla comminazione di gravi pene spirituali per tentare di garantire la sicurezza delle strade e delle campagne per lo meno in certi giorni della settimana, dal giovedì alla domenica, e nelle solenni ricorrenze festive. È difficile dire se essa con ciò sia riuscita a migliorare la situazione; ad ogni modo il suo intervento fu un ben scarso compenso all'impotenza dello Stato, la cui prima missione é pur quella di mantenere l'ordine pubblico, senza contare che col vietare le violenze in certi giorni la chiesa implicitamente e formalmente e paradossalmente riconobbe il diritto alla guerra privata negli altri giorni.

Nei duchi di Normandia i due primi Capetingi trovarono un valido sostegno. ENRICO I (1031-60) e FILIPPO I (morto nel 1108) ebbero invece a lottare spesso anche con loro, senza riuscire a ridurli all'obbedienza; ma ciò malgrado, in questo periodo progredì la romanizzazione dei Normanni ed il loro adattamento all'organizzazione feudale francese.
Essi perdettero molte delle caratteristiche nordiche, si trasformarono in Francesi, ed arrecarono un contributo sotto vari riguardi considerevole al processo di formazione della nazione francese. Essi si distinsero non solo per la vigoria fisica e per le doti militari, ma anche per la capacità politica e per la partecipazione al progresso economico ed al movimento intellettuale del paese. Peraltro i Normanni anche nella nuova patria conservarono l'amore per le spedizioni guerresche in regioni lontane e per le avventure, e questa inclinazione fu favorita dal rapido moltiplicarsi del loro popolo.

Siccome i figli continuarono la stessa vita cavalleresca che aveva fatto acquistare ai loro padri feudi e castelli e vollero quindi anch'essi avere tutti i propri feudi e i castelli, ne derivò che i possedimenti dei padri non bastarono a soddisfarli. Già nella seconda e nella terza generazione essi si videro costretti a cercarsi in paesi lontani nuove terre e ad usare la loro audacia se non volevano reciprocamente distruggersi in Normandia nella lotta per il possesso del numero nè aumentabile nè divisibile del feudi ivi esistenti.
Dopo la loro conversione questi Normanni diedero prova subito di un ardente sentimento religioso, mescolato peraltro in modo assai primitivo ai loro istinti selvaggi che li rendevano insaziabili di rapina e di sangue. Il loro sentimento morale era altrettanto grossolano quanto era rude il loro pugno. Essi ricorrevano alla menzogna ed al tradimento senza il minimo senso di vergogna; violavano il patto più solenne e piantavano in asso il miglior padrone se da un'altra parte si offrivano loro denaro e castelli in maggior misura.

NORMANNI IN ITALIA

Le loro spedizioni dalla Normandia nell'Italia meridionale e le gesta da essi compiute al servizio delle piccole signorie locali di Capua, Salerno, Benevento, Monte Cassino ed altri contro i Greci o i Saraceni sono pieni di atti di eroico valore e nel tempo stesso di abietti tradimenti, di assassinii e di spergiuri d'ogni sorta. È uno spettacolo che ci dimostra come l'uomo perda il sentimento morale se gli fa difetto una forte organizzazione statuale che gli imponga rispetto, e come sia difficile costituire una simile organizzazione.

Il bisogno di assicurare le conquiste fatte, che si trovavano continuamente in pericolo se non si poneva fine all'anarchia dominante, e l'esempio delle istituzioni governative greche e saracene, sotto molti riguardi più perfette, indusse poi i più eminenti principi normanni a fondare uno Stato più vasto e più saldamente organizzato. Stato che fin dal suo inizio, in grazia dell'energia e della capacità politica del suo fondatore Roberto Guiscardo, esercitò una grande influenza sull'andamento della politica generale ed in specie pesò notevolmente nella lotta per le investiture e nelle cose d'Oriente.
ROBERTO GUISCARDO morì nel luglio del 1085, poche settimane dopo Gregorio VII (morto il 25 maggio 1085) che aveva difeso e protetto contro Enrico IV.

L'ultima mano alla formazione dello Stato normanno abbracciante la Sicilia e la bassa Italia fu data da RUGGERO II (1130-54). Oltre ad un numeroso esercito, per una parte notevole composto di mercenari, re Ruggero allestì una flotta che rappresentava una non indifferente potenza anche di fronte alle flotte dei Bizantini, dei Saraceni e delle repubbliche marinare italiane di Venezia, Pisa e Genova.
Le risorse finanziarie allo scopo occorrenti vennero ottenute mediante un sistema tributario ed una amministrazione che rivela già alcuni tratti caratteristici dello Stato moderno, ed il mosaico del duomo di Monreale in cui é Cristo in persona che incorona Ruggero volle simboleggiare la denunzia del vassallaggio dei regno di Sicilia da Roma. Esso peraltro pativa all'interno gli ordinari inconvenienti del feudalesimo perdurante, e l'insolenza dei grandi vassalli trovò largo alimento nell'inevitabile convinzione che alla fine anche il territorio del vassallo era uno Stato.

I re punirono con inesorabile rigore le defezioni e ribellioni dei grandi; ma il male era che non potevano governare senza ledere gli interessi particolari dell'uno o dell'altro gruppo di costoro e quindi le ribellioni si perpetuavano. Questi grandi vassalli poi, privi come erano di un vero e proprio sentimento di sudditanza al re che consideravano più che altro quale supremo signore feudale, si prestavano facilmente a sostenere dei pretendenti o a far lega con i primi nemici che invadevano il regno. Questa tendenza fu favorita anche maggiormente dalla mal definita situazione in cui i principi normanni si trovarono rispetto all'imperatore ed al papa.

Sulle regioni dell'Italia meridionale ove essi avevano fondato il loro regno accamparono pretese i Bizantini e l'impero tedesco. I Corradi e gli Enrichi vi portarono le armi. Corrado II era stato il primo a concedere in feudo a due capi di orde normanne i paesi che avevano conquistati in quelle contrade. Fu questo il primo nucleo di una ordinata signoria nella bassa Italia dei Normanni, i quali sino allora si potevano considerare piuttosto come semplici privati. Ma i re tedeschi erano lontani ed i papi ne approfittarono per indurre i Normanni a ricevere i loro territori in feudo da S. Pietro.
Ciò non impedì che i Normanni procedessero senza tanti riguardi verso i loro sovrani feudali, i papi, e le schiere di Roberto Guiscardo fecero persino subire a Roma uno dei più formidabili saccheggi; era per loro comoda questa posizione equivoca di un doppio vassallaggio feudale. Ma anch'essa contribuì tuttavia ad impedire che lo Stato normanno, malgrado tutto il suo splendore e la sua potenza, acquistasse solide basi, perché, come i re sfruttarono l'equivoco della situazione a danno tanto dell'imperatore quanto del papa, così se ne avvalsero i grandi vassalli contro i loro re.

Roberto Guiscardo dovette fino alla morte lottare con l'invidia e l'insubordinazione dei suoi vassalli che non potevano dimenticare che egli era stato loro pari. Né mutò la condizione delle cose il lungo ed energico regno di Ruggero II. Questo superbo re, «il terrore dei Greci e dei Saraceni», ebbe non di rado a sperimentare che il suo potere poggiava su poche solide basi.

L'INGHILTERRA

Una molto più salda costituzione interna raggiunse l'altro Stato normanno che, muovendo dalla Normandia, Guglielmo il Conquistatore fondò in Inghilterra nel 1066 (l'abbiamo già riportata interamente in un capitolo a lui dedicato)

Dopo che re Alfredo il Grande (m. nel 901) ebbe risollevate le sorti degli Stati degli Anglo-Sassoni, non meno di quelli di terraferma afflitti da difficoltà economiche e da guerre intestine, dopo che li ebbe liberati dai pirati danesi invasori, consolidandoli con un oculato perfezionamento delle più importanti istituzioni politiche e giuridiche, i suoi successori seppero garantire al paese un secolo di tranquillità interna e di rispetto all'estero.

In questo periodo i re d'Inghilterra ebbero molteplici rapporti con la Francia e coll'impero tedesco, parteciparono al movimento intellettuale e religioso di questi paesi e strinsero relazioni personali e spesso anche di parentela con le famiglie che vi regnavano. Ma nel tempo stesso posero ogni cura ad affermare la loro indipendenza dal nuovo impero dei re tedeschi. Re Etelstan, il cognato di Ottone il Grande e di re Carlo di Francia, assunse il titolo imperiale proclamandosi: «imperatore su tutti i re e popoli che abitano nella Britannia». Etelstan morì nel 940 prima ancora che re Ottone prendesse la corona imperiale; ma suo nipote Edgar (947-75) protestò egualmente contro ogni idea di dipendenza del regno inglese dal nuovo impero tedesco.

In quest'epoca si diffusero in Inghilterra le stesse correnti di riforma della chiesa che dominavano sul continente, e l'abate Dunstan ebbe la gloria di essere in momenti difficili il principale consigliere e la più ascoltata guida del re. In quest'epoca avvennero pure dei mutamenti nelle condizioni dell'economia sociale e come conseguenza anche varie trasformazioni in seno alle classi della popolazione, che eliminarono molti inconvenienti della antica servitù, ma indebolirono pure il nucleo della popolazione libera in tal misura che deve ricercarsi in ciò una delle cause della caduta del regno anglo-sassone.

Verso la fine del X secolo i Danesi ripresero le loro spedizioni ed i loro assalti con tanto successo che numerose loro gruppo poterono stabilirsi sul suolo inglese. Ed ottennero ciò in base a trattati, analogamente a quanto era avvenuto sul principio del secolo in Francia. Avendo però re Etelredo il 13 novembre 1002 fatto assalire e massacrare a tradimento i Danesi, che, fidandosi dei trattati conclusi, erano rimasti in Inghilterra, il re Sven Gabelbart, e dopo la sua morte (1014) il figlio Knud il Grande sottomisero tutto il paese (1017). Re Knud regnò anche sulla Danimarca e sulla Svezia, mantenendo il suo dominio in Inghilterra con l'aiuto di una specie di esercito permanente. A lui successero dopo la sua morte (1035) i figli, e dopo costoro il figlio dell'ultimo re anglosassone, EDOARDO il Confessore (m. a gennaio del 1066).

Da due generazioni i Danesi e gli Anglo-Sassoni avevano vissuto gli uni accanto agli altri in Inghilterra ed avevano pure mantenuto frequenti e molteplici rapporti coi Normanni di Francia. Alla morte di Eduardo il Confessore il duca Guglielmo di Normandia accampò pretesa alla corona inglese in base a diritti ereditari, sconfisse ad Hasting (Senlac) il 14 ottobre 1066 l'esercito del suo competitore Aroldo, e si fece incoronare re. Essendo però egli tornato in Normandia, il partito avversario si sollevò nuovamente; ma Guglielmo con una seconda guerra lo domò completamente. Questa seconda guerra gli procurò il nome di «Conquistatore», e la distruzione di moltissime antiche famiglie nobili gli diede modo di dotare di feudi i cavalieri normanni che lo avevano seguito nelle due campagne.

Re Guglielmo lasciò sin dove gli fu possibile sussistere gli ordinamenti politici anglosassoni, ma portò a compimento l'unificazione del regno d'Inghilterra, e, dopo aver fatto compilare il Domesdaybook, cioè un elenco preciso dei possedimenti fondiari inglesi, regolò l'organizzazione feudale prescrivendo che tutti i cavalieri che ricevevano direttamente o indirettamente feudi da lui (si dice che siano stati elencati 6000 feudi) erano obbligati a prestargli servizio militare. I grandi vassalli erano tenuti a ripartire i loro possedimenti tra cavalieri, dai quali traevano il numero di uomini che ciascuno era obbligato a fornire. Per evitare che questi grandi vassalli dominassero su territori di grande estensione, furono loro assegnati dei possedimenti sparsi in più contee differenti, persino in venti contee.

Questa organizzazione venne stabilita da Guglielmo I col consenso del consiglio dei grandi del paese (dei Witan), un consesso ereditato dall'epoca anglo-sassone, e fu non solo mantenuta sotto i suoi successori (Guglielmo II, m. nel 1100; Enrico I BEAUCLERC, m. nel 1135; e Stefano, m. nel 1154), ma anche perfezionata. Una corte dei conti (Scaccarium o scacchiere) regolava le entrate e le spese della corona; dei giudici ambulanti, che sotto molti aspetti ricordano i missi dominici dell'epoca carolingia, controllavano l'amministrazione della giustizia e nel tempo stesso l'amministrazione dei beni e delle entrate della corona.
Tre volte all'anno (a Pasqua, a Pentecoste ed a Natale) i grandi del regno dovevano convenire alla corte; questi raduni avevano grande importanza per le deliberazioni del re, ma anche per l'esercizio del suo potere sovrano su di loro. Sotto svariati motivi i voti di queste assemblee lasciano intravedere in mezzo alle tenebre feudali dell'epoca gli inizi dello Stato moderno, ma spesso poi essi vennero violati dagli stessi feudatari insubordinati ed egoisti.
Il sentimento del dovere fu facilmente messo da parte e l'idea della patria, se non mancava del tutto, non era ancora abbastanza forte per poterla vincere sugli interessi particolari.

Come in Francia ed in Germania il sistema di successione al trono era un misto di eredità e di elezione. Alla morte di Enrico I (1135) scoppiarono fiere lotte tra due partiti per la creazione del nuovo re. Uno di essi, seguito dalla già allora potente città di Londra, elevò al trono Stefano, il nipote di Enrico; l'altro prese le parti di Matilde, figlia di Enrico, che dopo la morte del primo marito, l'imperatore tedesco Enrico V, si era sposata con il conte d'Anjou, soprannominato Plantageneto per la ginestra (pianta genita) che recava sull'elmo.
Ne seguì una guerra lunga, condotta con terribile crudeltà, ed il paese poté sperimentare di fronte ad essa quanti benefici invece gli aveva arrecati il rigoroso governo dei re normanni. Alla fine i contendenti vennero ad un accordo: Stefano sarebbe stato riconosciuto re ed Enrico II Plantageneto, il figlio di Matilde, sarebbe stato il suo successore.

ENRICO II PLANTAGENETO (n. 1133, re 1154-89) divenne in forza di questo patto l'erede del trono d'Inghilterra e della Normandia, come pure dal lato del padre e della moglie (sposò infatti la ripudiata da Luigi VII, Eleonora e dal re di Francia pretese i rimanenti paesi occidentali della Francia, della Normandia e della Guascogna). Per quanto concerneva i suoi domini francesi Enrico era vassallo del re di Francia, ma nella realtà egli emergeva tra i monarchi occidentali come colui che riuniva nelle sue mani uno Stato ultra potente abbracciante l'Inghilterra e la metà occidentale della Francia. (vedi poi in fondo in "Francia")

Enrico II non era né normanno né anglo-sassone; sua madre derivava da un'epoca in cui i Normanni e gli Anglo-Sassoni avevano già cominciato a fondersi fra di loro, ed il regno di Enrico II affrettò talmente questo processo di fusione che nel XIII secolo esso poté dirsi compiuto. Suo padre poi proveniva dalla fiera famiglia degli Anjou, una famiglia bretone romanizzata che in seguito aveva interamente adottata la vita ed assunta l'impronta di quell'aristocrazia cavalleresca in cui rappresentarono una parte così spiccata i Normanni francesizzati.

Enrico II fu di attività instancabile - he never sits down, he is always on his legs - fu un valente soldato e nel tempo stesso prudente, non privo di cultura letteraria, dotato della prerogativa di saper maneggiare gli uomini ed accattivarseli, nel suo intimo forse quasi esente da pregiudizi e preoccupazioni religiose, ma ad ogni modo certamente del tutto lontano dallo Zelo di coloro che a suo tempo volevano assoggettare al giogo del clero le cose spirituali e temporali.
Enrico II ristabilì l'ordine, fece sentire ai baroni quanto fosse ferrea la sua mano, e regolò con le costituzioni di Clarendon del 1164 i rapporti tra lo Stato e la Chiesa, fissando soprattutto la parte spettante al re in fatto di elezioni dei vescovi e degli abati e gli obblighi di costoro.
Le chiese ed i monasteri furono considerati come feudi regi; vescovi ed abati vennero assoggettati agli stessi oneri dei vassalli laici. A questo punto gli si levò contro TOMMASO BECKET, l'arcivescovo di Canterbury (nella foto sotto) , che nei primi anni del suo regno era stato il suo più fedele consigliere e il suo più fido compagno.

Quando re Enrico gli aveva espresso la sua risoluzione di innalzarlo alla dignità di arcivescovo egli si era schermito, né gli aveva taciuto che, una volta vestito l'abito ecclesiastico, avrebbe combattuto in difesa della chiesa contro le pretese del re. Enrico non prese sul serio tali proteste, ma Tommaso Becket, appena assunta la sua nuova carica, passò effettivamente all'opposizione ed intraprese un nuovo genere di vita. Il cortigiano e cavaliere si trasformò in un asceta imbevuto degli ideali del clero del suo tempo. Il re andò su tutte le furie, tanto che l'arcivescovo nel 1164 credette necessario fuggire in Francia. Dopo alcuni anni ci fu una riconciliazione; il re sotto la pressione del papa cedette su alcuni punti e Becket ritornò in Inghilterra. Qui però si riaccese il dissidio, ed alcuni cavalieri che vollero guadagnarsi la riconoscenza del re uccisero proditoriamente l'arcivescovo nella sua chiesa (1170).

Ma le conseguenze di questa morte si scatenarono sulla testa del re, il partito clericale ne uscì rinforzato a causa dell'entusiasmo per il martire della fede, e questi fu santificato. Con penitenze ed abili negoziati con Roma re Enrico scampò dalla gravissima tempesta e conservò in definitiva i più essenziali fra i diritti che aveva esercitati sulla chiesa del suo regno. In questo frangente gli giovò il fatto che il papa aveva allora da combattere per la sua esistenza stessa con Barbarossa, per cui la monarchia inglese va indirettamente debitrice di non poca parte dei suoi ordinamenti pubblici ai sacrifici dei re tedeschi e del popolo tedesco.

Enrico II nel 1181 ripristinò l'obbligo generale del servizio militare che vigeva al tempo degli Anglo-Sassoni e che non era stato più praticato dal momento in cui Guglielmo il Conquistatore aveva vietato agli Anglo-Sassoni di portare le armi; ma lo ripristinò in una forma adatta alle condizioni dell'epoca e limitatamente al servizio militare all'interno del paese. Inoltre già nel 1159 aveva sostituito all'obbligo dei baroni di prestare servizio militare secondo i doveri feudali l'obbligo di pagare un tributo in denaro, e da questi introiti trasse i mezzi per arruolare mercenari; però fu stabilito con i baroni che il re non avrebbe tenuto mercenari di questo genere in Inghilterra. Questo sistema restò a base degli ordinamenti militari inglesi e fu disciplinato meglio dallo statuto di re Edoardo I del 1285.

Questo esempio può farci prevedere con quanta maggior fermezza e con quanto spirito conservatore l'Inghilterra avrebbe proceduto alla elaborazione della sua costituzione ed all'organizzazione delle sue classi sociali, tanto più se si pensa che questi primi risultati permanenti si ebbero malgrado che il regno fosse stato gravemente turbato dalle ripetute lotte di Enrico II con suo figlio primogenito ENRICO (poi III), destinato a succedergli e già incoronato re, e coi due altri figli Riccardo (poi Cuor di Leone) e Giovanni (poi Senza terra), e malgrado che il regno dopo la morte di Enrico II sia caduto nello stesso stato di anarchia che a tempo di re Stefano dopo la morte di Enrico I.

Negli ultimi anni di vita di Enrico II suo figlio Riccardo Cuor di Leone fece lega col re di Francia sacrificando i diritti del suo paese per strappare al padre quanto questi non credeva di dovergli concedere. Re Enrico II sottostette e morì dopo essere stato informato dai vincitori che si era messo dalla parte dei suoi nemici anche il figlio minore Giovanni Senza Terra.

I suoi successori, prima RICCARDO Cuor di Leone (re 1189-1199) e GIOVANNI Senza Terra (re 1199-1216) ebbero anch'essi momenti di splendore, ma ad onta delle loro qualità e ad onta dell'impetuoso valore di Riccardo, non fecero in complesso che coprirsi di vergogna e gettare in un completo disordine il regno che avevano ereditato dal padre in buone condizioni. E il flagello aumentò ancora sotto il governo del figlio di Giovanni, ENRICO III (n. 1207, re 1216-1272), dapprima minorenne, e poi da adulto si manifestatò incapace ed indeciso. Dopo aver subìto grandi perdite di territorio e dopo aver fatto alla curia concessioni inaudite sino allora, l'Inghilterra si conquistò d'altro canto proprio in questo periodo il riconoscimento di quei princìpi che oggi noi ammiriamo come le basi della evoluzione ulteriore dei suoi ordinamenti costituzionali che la contraddistinguono fra tutti gli altri Stati.
Tuttavia quelle libertà non poterono dirsi completamente assicurate se non sotto il regno di EDOARDO I (re 1272-1307).

La legislazione di Enrico II sembrò aver portato una certa tregua nel conflitto tra la corona ed i baroni, ma re Giovanni senza terra (dopo aver succeduto nel 1199 al fatello Riccardo) lo scatenò nuovamente, soprattutto allorché, trovandosi ridotto a mal partito da papa Innocenzo III e da re Filippo Augusto di Francia, cedette il suo regno al papa per riaverlo dalle sue mani in feudo. In una solenne assemblea egli consegnò la sua corona al legato pontificio e prestò il giuramento di fedeltà e di omaggio nelle mani di questo legato che gli restituì subito dopo la corona. Così il re d'Inghilterra divenne vassallo del papa, il quale sembrò quindi aver fatto un gran passo verso il trionfo della teoria di Gregorio VII per la quale tutti gli Stati dovevano ridursi alla dipendenza giuridica da Roma e tutti i principi divenire vassalli del papa.

Giovanni si era inoltre impegnato a pagare un tributo annuo. La nazione inglese ebbe uno scoppio di indignazione, e dopo che Giovanni il 27 luglio 1214 ebbe subito a Bouvines una disfatta di fronte alle armi di Filippo Augusto, i baroni lo costrinsero a riconoscere nella Magna Charta una serie di principi di diritto pubblico, mediante i quali essi e le città cercarono specialmente di garantirsi contro le arbitrarie usurpazioni del re.
La pacifica successione ereditaria nei feudi, la garanzia contro arbitrarie imposizioni, contro i dazi arbitrari e contro l'abuso del potere giudiziario, costituiscono i capisaldi di questo documento il quale acquistò una maggiore importanza anche per il fatto che venne istituita una giunta o commissione dei baroni incaricata di vigilarne l'attuazione.

Papa Innocenzo III, in forza della sua sovranità feudale, dichiarò nulla la Magna Charta, ma i baroni non si lasciarono intimidire dalle sue minacce e dai suoi anatemi e trovarono un alleato nella Francia allorché Giovanni tentò di sottometterli con l'aiuto di un esercito di mercenari. Essi inoltre concepirono il disegno di deporre Giovanni e di elevare a re d'Inghilterra il delfino di Francia, Luigi VIII. Ma, morto nel giugno 1216 il papa e pochi mesi dopo anche re Giovanni, le idee mutarono. I baroni lasciarono cadere il progetto di dare la corona d'Inghilterra al futuro re di Francia e riconobbero re il figlio di Giovanni, il già citato ENRICO III.

Sotto il suo governo scoppiarono poi ancora vari conflitti che portarono a svolgere anche meglio e ad integrare i princìpi contenuti nella Magna Charta. In mezzo a queste lotte i legati papali trovarono modo di conferire a favoriti stranieri numerosi benefici della chiesa inglese e di prelevare grosse somme di denaro dal paese mediante imposte ed altre gabelle.
Contro queste sopraffazioni si formò una forte corrente di opposizione in seno allo stesso clero appoggiato dal popolo inglese, ed i procuratori e cassieri della curia furono ripetutamente assaliti, derubati e maltrattati. Questi conflitti raggiunsero lo stadio acuto allorquando il re in una assemblea dei baroni tenuta ad Oxford - il Parlamento - chiese nel 1258 ancora nuove e rilevanti somme di denaro. Le deliberazioni di questa assemblea, dette le "provisioni di Oxford", aumentarono ed ampliarono gli antichi diritti dei baroni.

Simone di Monforte fu la mente direttiva, accorta ed irremovibile, di questa lotta. Con la vittoria di Lewes (1264) egli costrinse il re a riconoscere le provisioni di Oxford, e chiamò a far parte del Parlamento, accanto ai prelati ed ai baroni che avevano ricevuto i loro feudi direttamente dal re, anche rappresentanti dei nobili liberi possessori fondiari (due per ogni contea) e rappresentanti di Londra e di molte altre città.
Pochi mesi dopo Simone di Monforte cadde nella lotta contro il principe EDOARDO, figlio del re, ma quelle conquiste nel campo degli ordini costituzionali gli sopravvissero, perché neppure il principe Edoardo osò mutarle, anzi nei suoi oltre trent'anni da re (1272-1307) perfezionò ulteriormente l'organizzazione degli stati.

Re Edoardo in compenso trovò nei suoi parlamenti un valido sostegno che gli rese possibile di respingere le audaci pretese di Bonifacio VIII, quando questo papa volle impedirgli di sottomettere la Scozia. Re Edoardo I non fu uomo di grande levatura e di spirito superiore, ma fu un valente amministratore capace di comprendere ed intuire i bisogni del suo tempo. Sotto di lui vennero riformati gli ordinamenti giudiziari e la competenza dei tribunali ecclesiastici fu tassativamente determinata e quindi ristretta. L'Inghilterra era uno Stato unitario e durante l'ultra trentennale regno di Edoardo I la coscienza di questa unità si rafforzò notevolmente per merito delle riforme della giustizia da lui estese a tutto il regno e per merito dei parlamenti che ormai accoglievano i rappresentanti di tutto il popolo inglese.

La stessa coscienza nazionale del resto domina in Inghilterra in tutto il XIII secolo. È ben vero che il paese, a causa dell'alta sovranità feudale del papa ed ancor più per esser rimasto unito con la Francia sotto i figli di Enrico II e poi sotto suo nipote Enrico III, subì una invasione di elementi stranieri, specialmente di Francesi, che temporaneamente acquistarono una influenza preponderante. Ma l'indignazione che suscitò la loro condotta e lo sfruttamento del paese da parte loro contribuì a sua volta potentemente ad accendere e tener viva quella lotta nazionale in cui vennero gettate le basi delle istituzioni parlamentari e respinte le intrusioni della Santa Sede.

Se il più strenuo e fortunato campione del popolo inglese in questa lotta, Simone di Monforte, fu uno dei tanti francesi accorsi in Inghilterra per cercare di farvi una buona carriera, ciò non deve sviare; Simone di Monforte fu un vero patriota inglese, il più grande forse dei numerosi laici ed ecclesiastici che combatterono allora per il popolo inglese e per le libertà costituzionali.
In questo sentimento nazionale che li animò sta l'essenziale differenza tra i vescovi del XIII secolo come Stefano Langton e Roberto Grosseteste e vescovi del XII secolo come Tommaso Becket, il quale concepiva la chiesa inglese come una semplice circoscrizione della chiesa universale e non come una chiesa nazionale.

Numerosi ecclesiastici e frati mendicanti nutrirono nel XIII secolo gli stessi sentimenti patriottici e ressero imperterriti alle minacce ed agli anatemi dei papi per liberare la chiesa ed il popolo inglese dalle spoliazioni degli emissari di Roma. Tra i laici, accanto a Simone di Monforte, splende in particolar modo la fama di Uberto de Burgh, uomo di natura diversa sì, ma altrettanto tenace; né basta, perché oltre a questi corifei del movimento patriottico operarono non pochi altri validi galantuomini che nutrivano un vivo interesse per il bene di tutto il paese.

Gli inconvenienti del particolarismo feudale indubbiamente si fecero di tanto in tanto sentire ed accesero la guerra tra uomini che avrebbero dovuto invece collaborare a mantenere la pace nel paese. Ma in complesso l'Inghilterra si era messa sulla via di costituirsi a Stato nazionale e vi persistette. Anche nelle classi inferiori del popolo inglese aleggiò questo spirito patriottico. Quando nel 1230 Enrico III ordinò ad un fabbro di incatenare Uberto de Burgh, il popolano si rifiutò di farlo e gli disse: «Voglio patire mille morti piuttosto che mettere le catene a quest'uomo che ha liberato l'Inghilterra dagli stranieri e tolto Dover ai Francesi».

Sotto questo aspetto l'Inghilterra, al pari della Francia, era a quell'epoca molto più avanti della Germania, dove predominava il particolarismo territoriale al sentimento di unità nazionale, e quest'ultimo viveva soltanto nelle antiche memorie, quand'erano ancora "barbari".

Anche la vita intellettuale prese in Inghilterra uno slancio felice. In gran numero gli Inglesi accorsero a Parigi per studiarvi, mentre ad Oxford si affollò una massa di scolari, per lo più poveri è mal preparati, ma pieni di desiderio di apprendere. Quanto allo sviluppo economico dell'Inghilterra in questa epoca é difficile farsene un concetto sicuro. Se si guarda alla enorme quantità di denaro che nel XIII secolo Roma succhiò dal paese, ovvero alle ricchezze che Riccardo di Cornovaglia sciupò dal 1257 in poi per l'utopia della corona imperiale tedesca, si ha l'impressione che l'Inghilterra, ad onta dei disastri arrecati dalle guerre intestine, si trovasse in condizioni di progresso economico e civile molto avanzate.

L'impressione é rafforzata dalle notevoli opere d'architettura che il XIII secolo vide sorgere sul suolo inglese e dal fiorire delle città, dalla importanza sociale e politica da esse raggiunta, per quanto il loro commercio fosse in gran parte nelle mani dei mercanti anseatici ed italiani.
Invece la condizione dei piccoli proprietari fondiari peggiorò in quest'epoca. I proprietari liberi e semi-liberi si riducono nella condizione stessa dei servi e con questi vengono a formare la vasta classe dei villani, della povera gente di condizione giuridica inferiore, quella classe che doveva poi operare nel XIV secolo la rivoluzione dei contadini. .

FRANCIA


La linea rossa indica

Tornando a Re Filippo Augusto II di Francia, costui approfittò dei conflitti tra Enrico II d'Inghilterra e i suoi figli e specialmente dei delitti e delle follie di Giovanni Senza Terra per togliere al duca di Normandia, che nel tempo stesso era re d'Inghilterra, la Normandia e la massima parte degli altri suoi possedimenti francesi.
Di modo che sul passaggio dal XII al XIII secolo venne a stabilirsi una netta linea di demarcazione territoriale tra i due Stati di Francia e d'Inghilterra, nel cui seno poi sotto l'azione d'una serie di eventi storici densi di gravi lotte e di fortunose vicende d'ogni genere gli elementi in parte molto simili si mescolarono con altri molto diversi e finirono per formare le due nazioni, francese ed inglese, così differenti per lingua e per carattere.

In questo processo di separazione e di unificazione re Filippo Augusto II di Francia rappresenta una parte preminente. Egli portò a compimento molto più di quanto i suoi predecessori avevano iniziato.
Dall'inizio del XII secolo la monarchia francese si era venuta notevolmente rafforzando sotto i re LUIGI VI (re 1108-37) e LUIGI VII (re 1137-80), soprattutto in grazia della sagace opera di governo dell'abate Sugerio di San Dionigi (m. nel 1151); tuttavia ancora verso la fine del regno di Luigi VII i dominii diretti della corona erano molto scarsi.
Essi in sostanza abbracciavano l'Isola di Francia, la Picardia e l'Orleanese. Poi per il suo matrimonio con Eleonora di Aquitania, erede del ducato, re Luigi era di fatto divenuto pure duca di questa grande e ricca regione nel sud-ovest della Francia. Ma i grandi feudatari locali si preoccuparono non poco che il ducato non andasse confuso con i dominii propri della corona, che cioè signore d'Aquitania dovesse rimanere il duca d'Aquitania e non divenirne signore il re di Francia.
Anche Luigi VII tenne distinte le due qualità, benché come re di Francia egli fosse alto sovrano feudale anche del ducato d'Aquitania, e nella veste di duca d'Aquitania si servi d'un sigillo a parte.

Ma dopo quindici anni di matrimonio re Luigi fece dichiarare da un tribunale ecclesiastico composto di alti prelati che la sua unione con Eleonora bisognava annullarla per la sua troppo stretta parentela con lei. Ma questa non era la vera ragione dell'annullamento, perché per la consanguneità si poteva ottenere la relativa dispensa papale.
Probabilmente la vera causa va ricercata nella condotta morale di Eleonora o nella circostanza che essa aveva partorito al re solo femmine. Ad ogni modo Luigi mostrò grande interesse ad ottenere questo annullamento del matrimonio e lo ottenne, ma ciò ebbe per la Francia gravissime conseguenze.

La ripudiata Eleonora infatti, poche settimane dopo si sposò con Enrico II Plantageneto che a quel punto reclamò da Luigi VII l'Aquitania (che era stata prima del suo matrimonio con Eleonora una eredità di sua moglie), al rifiuto, Enrico II gliela tolse con le armi e la mantenne. Eletto due anni dopo re d'Inghilterra, Enrico II riunì tutti i suoi feudi francesi, cioè la metà occidentale della Francia, alla corona inglese.

Di fronte allo splendore che regnava alle corti dei suoi grandi vassalli, ed in particolare a Tolosa od alla corte di Enrico II d'Inghilterra, la corte di re Luigi VII apparve ben meschina. «Noi Francesi (diss'egli un tratto volendo alludere alla sua corte) non abbiamo che pane e vino e siamo contenti».
Ma il re poteva parlare così senza perdervi eccessivamente di dignità, perché, ad onta di questa relativa povertà e di una certa fiacchezza che caratterizzò il suo regno dopo la crociata da lui operata, l'autorità e l'influenza della corona era notevolmente aumentata.

Luigi VII anche nei dominii di una parte dei suoi vassalli, non esclusi alcuni dei maggiori vassalli, possedeva già considerevoli mezzi ed organi efficaci della sua volontà. Nei primi anni di regno egli ebbe a sostenere un conflitto con Papa Innocenzo II che fulminò l'interdetto sul paese perché il re non riconobbe l'arcivescovo di Bourges consacrato dal papà e persistette a sostenere il suo candidato, e contemporaneamente una lotta col potente conte di Champagne per questioni di donne. S. Bernardo rappresentò in questa occasione una parte che fa onore più alla sua astuzia che alla sua santità. Re Luigi era allora un uomo attivo ed energico e non si lasciò intimorire né dal papa né dall'influentissimo monaco. Egli poté del resto tollerare agevolmente l'interdetto perché la Chiesa in Francia lo attuò in forma assai più mite ed in modo assai più riguardoso che non nel caso di analoghi conflitti coi re tedeschi. La contesa fu composta alla morte di Papa Innocenzo II, avendo dopo ciò il re ceduto sui punti principali. Ad ogni modo però il clero aveva potuto convincersi che egli non si piegava facilmente alle sue pretese. Ai suoi funzionari, i balivi, senescalchi e prevosti o vicecomiti, che corrispondevano all'incirca agli antichi conti, vicecomiti o centenari della costituzione carolingia, egli impedì ogni tentativo di considerare come feudi le loro cariche o di renderle ereditarie. Moltissimi piccoli dinasti che si erano sottratti al servizio ed alla dipendenza della corona furono dà lui ricondotti all'obbedienza ed alcuni anzi si posero di buon grado e spontaneamente alla diretta dipendenza del re cogliendo là prima occasione che loro si offrì di liberarsi dà un incomodo signore feudale. Luigi VII tentò pure di riassoggettare alla sua giurisdizione i grandi vassalli e non senza successo fece valere l'antico diritto della corona che sembrava andato in desuetudine. Persino il duca di Borgogna ed il conte di Nevers si adattarono a presentarsi dinanzi al tribunale di Luigi.

Contribuì inoltre ad accrescere là potenza della corona il fatto che il re cominciò a risiedere più abitualmente di prima a Parigi e raramente emanò i suoi ordini da altra località; la crescente importanza della città di Parigi aumentò l'autorità del governo che vi risiedeva. Parigi infatti aveva cominciato à divenire il centro universale delle belle arti e delle scienze, ad acquistare là fama di mater studiorum e ad essere frequentata a scopo di studio dagli stranieri d'ogni nazione. Ma più che ogni altro giovò alla monarchia l'opera compiuta dà Luigi VII a favore dello sviluppo delle città e delle istituzioni cittadine. In primo luogo egli fondò nuove città sui suoi dominii che si popolarono con abitanti emigrati dài possedimenti dei grandi vassalli, ed in secondo luogo concesse molti privilegi ai comuni che si costituirono in sedi vescovili, come Làon e Soissons, o in altre località soggette a giurisdizione ecclesiastica. È ben vero che in alcuni casi egli cedette alle pressioni della Chiesa ed intervenne contro i comuni che si sottraevano all'autorità dei vescovi, ma in complesso promosse lo sviluppo delle istituzioni comunali. Né si limitò alle giurisdizioni ecclesiastiche, perché anche altrove aiutò là formazione di governi comunali e di corporazioni nelle città. Anche alla formazione di un comune rurale - nel territorio di Làon - Luigi VII prestò il suo appoggio. Era convinto, e lo manifestò anche espressamente all'occasione, che era necessario migliorare le condizioni dei contadini non liberi. E malgrado che in definitiva non abbia fatto molto à tale scopo, pure là sua attitudine bastò per suscitare nel popolo il convincimento che il re era re anche dei poveri e che v'era qualcuno nel paese davanti al quale i grandi signori ecclesiastici e laici dovevano piegarsi. Il vero e genuino concetto della monarchia, quello di un potere superiore à tutti gli interessi particolari, fonte e tutela di ogni diritto, era riapparso nella Francia desolata ed oppressa dal feudalesimo dissolvente.

Un indice significativo dell'accresciuto sentimento nazionale e della coscienza acquistata dal governo dei suoi doveri verso il paese é l'energia con cui tali sentimenti si affermarono nell'abate Sugerio di S. Dionigi, benché egli appartenesse a quell'indirizzo ascetico che a quel tempo in Germania spingeva gli ecclesiastici ed i monaci piuttosto dalla parte dei nemici della monarchia o per lo meno paralizzava l'opera loro a favore della monarchia. Sugerio era piccolo di statura, di poca salute e di bassi natali. La sua giovinezza cade nell'epoca del predominio degli studi classici in quelle scuole di Francia da cui uscirono le università. Il suo spirito quindi non corse àncora il pericolo di rimanere inaridito dalla scolatica. Egli possedeva vaste e svariate conoscenze e la sua eloquenza accoppiata

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ad uno spiccato senso pratico lo fece rapidamente salire a grande autorità nell'ambiente della chiesa e della corte. Sugerio nella classe monastica apparteneva a quello stesso rigido indirizzo che era propugnato da S. Bernardo, ma era più moderato di lui, meno retorico e comprendeva assai meglio l'importanza così degli studi classici come del governo civile. Dormiva in una culla paglia, ma vi poneva sopra un lenzuolo, non crapulava, ma non negava al suo corpo il necessario alimento. Egli lasciò che il re partisse in crociata verso la Terra Santa e provvide con una amministrazione accurata, per quanto in vero ridondante a grave onere dei contadini e degli ecclesiastici, i mezzi occorrenti per la spedizione; ma quando vide che il re si tratteneva soverchiamente in Oriente lo ammonì che aveva un paese da governare.

Luigi ritornò, ma senza esercito. Quasi tutta la splendida schiera di cavalieri che fidando nelle profezie di S. Bernardo si era raccolta attorno al re era rimasta distrutta. Ed anche dello stesso re, se é lecito servirci di questa immagine, non ritornarono che dei residui. L'energia e l'ardita iniziativa dei suoi primi dieci anni di regno si erano spente per sempre. Molto di quanto la corona aveva guadagnato andò ora nuovamente perduto;
ma non tutto, ed in complesso l'autorità regia prosegui nella sua parabola ascendente. L'abate Sugerio fu il consigliere dei due re Luigi VI e Luigi VII e durante i due anni di assenza del re per la crociata (1147-49) governò da reggente e di fatto fu il re di Francia. E per la Francia fu enorme
fortuna avere avuto in questo tempo un uomo simile al timone dello Stato. Il suo re ed il popolo lo denominarono padre della patria.
Per convincersi del valore di Sugerio basta paragonare la sua personalità, la sua reggenza e tutta la restante opera da lui spiegata a favore della monarchia fran
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cese con la figura dell'abate Vibaldo di Corvey che re Corrado III non lasciò a quel tempo a governare in proprio nome durante la sua crociata, ma che tenne sempre come suo primo consigliere e come il più influente dei suoi funzionari, mentre egli perseguì senza eccezione avanti tutto i suoi interessi personali e quelli del papa. Data la posizione dell'abate Sugerio che gli permetteva meglio che ad ogni altro di constatare quali immensi sacrifici era costato alla Francia quella crociata dalla quale Luigi VII era tornato senza gloria ed annichilito, e data la sua indole prudente e ponderata, diviene doppiamente rimarchevole che egli abbia progettata una seconda crociata per il successivo anno 1150. Da ciò si vede come quello delle crociate fosse il concetto predominante tra 7 concetti politici dell'epoca, specialmente in Francia. Gli interessi economici, sociali e politici in senso stretto dei re e dei principi all'interno del paese operavano indubbiamente allora come oggi, ma costoro si servivano sempre anche della corrente favorevole alle spedizioni in Terra Santa per trarre appoggio e pretesto al conseguimento dei loro fini.
Anche S. Bernardo predicò la nuova crociata. Ma papa Eugenio III rimase esitante e l'imperatore Corrado III si manifestò decisamente contrario ad essa. Egli restò fedele alla sua alleanza con l'imperatore greco Manuele, contro il quale Ruggero II di Sicilia, il principale fautore del progetto della spedizione, avrebbe ben volentieri voluto ora guidare anzitutto i crociati. L'abate Sugerio, malgrado le opposizioni incontrate, persistette nel suo disegno ed osò persino pensare a guidare egli stesso la crociata, cominciando a reclutare un esercito. Ma durante questi preparativi mori (13 gennaio 1151).
Re Ludovico VII non si mosse dalla Francia e regnò ancora per quasi 3o anni. Per quanto gli siano toccati in questo periodo non pochi insuccessi, tuttavia si diffuse e raf
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forzò nella massa del popolo l'idea già sopra accennata che il re fosse il baluardo della pace e della giustizia. Questa venerazione ed attaccamento si rivelarono in modo palese quando la terza moglie di Luigi VII, una figlia del conte di Champagne, partorì il 21 agosto 1165 un maschio al re che dai due primi matrimoni non aveva avuto che femmine. Era notte quando il principe nacque, ma la notizia volò per le strade di Parigi che immediatamente si riempirono di popolo festante. Le piazze si illuminarono di ceri, le campane suonarono, le chiese vennero aperte e canti di ringraziamento a Dio salirono al cielo. Il re che si trovava fuori di città, si affrettò a ritornare e donò la libertà a tutti i servi della gleba che incontrò sulla sua strada.
Le speranze si realizzarono. Quel bimbo allora venuto alla luce era destinato a consolidare le basi della unificazione dello Stato gettate dai suoi due predecessori e ad accrescere la potenza della corona in maniera imprevedibile.
Filippo II Augusto regnò 43 anni, dal 118o al 1223. Nei primi anni di regno egli si vide di gran lunga superato per lustro e potenza dall'imperatore Federico I che a quel tempo, dopo la caduta di Enrico il Leone e la pace con le città lombarde, era all'apice del suo potere, e così pure del re Enrico II d'Inghilterra, che pure era nominalmente suo vassallo. Ma nel r 189 il re inglese soggiacque all'esercito di Filippo II rinforzato dai seguaci del proprio figlio Riccardo Cuor di Leone. L'anno seguente l'imperatore Federico I mori durante la crociata e l'impero tedesco, dopo il breve regno dell'imperatore Enrico VI, cadde in preda alle lotte di parte.

Anche re Filippo aveva fatto voto di prendere la croce e si propose di raggiungere la Terra Santa per mare insieme con Riccardo Cuor di Leone. I loro eserciti si concentrarono in Sicilia, ma vi si fermarono parecchi mesi (rigo-9 i), talora in buon accordo ed in feste, talora in fiere contese e conflitti- Essi proseguirono poi separatamente, ma si ricongiunsero all'assedio di Acri. Ma i conflitti si rinnovarono e Filippo Augusto prima ancora della fine del 1191 se ne tornò in Francia. Qui egli mise a profitto il tempo in cui tanti insubordinati vassalli rimasero impegnati in Oriente, o vi morirono, per rivendicare alla corona moltissimi feudi ovvero per aumentare l'influenza della corona nelle ulteriori concessioni. A tale scopo l'imperatore Enrico VI gli rese il grandissimo servigio di tener prigioniero per un anno Riccardo Cuor di Leone, il più pericoloso ed insubordinato dei suoi vassalli. Verso il 1200 il re di Francia era perciò divenuto più potente di tutti i suoi vassalli; con la vittoria di Bouvines (27 luglio 1214) egli poi affermò la sua superiorità sul re inglese Giovanni Senza Terra ed aggiunse un nuovo e splendido elemento atto a rafforzare il sentimento nazionale del popolo francese che allora si andava rapidamente formando.

Filippo Augusto ed il suo avversario Riccardo Cuor di Leone ebbero al loro servizio famosi condottieri di mercenari, che costituivano il terrore del paese, ma erano uno dei più validi appoggi della potenza dei rispettivi padroni. In servizio di re Riccardo il condottiero di mercenari Mercadier ottenne il feudo di Perigord e da parte sua anche Filippo Augusto accordò al condottiero Cadoc un feudo in Normandia. Ma lo Stato francese non si basò sul mercenarismo ; esso trasse la sua forza dalla volontà del popolo di rimanere unito sotto il suo re, dal sentimento nazionale e dalle energie di questo popolo che il re seppe risvegliare opportunamente ed organizzare. I conflitti scoppiati in seno alla famiglia reale inglese e sopra tutto i misfatti di Giovanni Senza Terra gli porsero poi l'occasione di ottenere grandi e permanenti risultati, tra i quali culmina la conquista della Normandia. Tra i fatti d'arme svoltisi in questa guerra operata per rivendicare alla Francia i feudi inglesi il più famoso é l'assedio del castello di Gaillard sul corso inferiore della Senna, la chiave di Rouen. La piazza di Gaillard era costituita da un sistema di torri e di mura formanti una triplice cerchia, la più interna delle quali era difesa dal forte Donjon, l'ultimo rifugio in caso di disfatta. Re Filippo Augusto impiegò tutti i mezzi della tecnica d'assedio, che allora era già salita al grado di un'arte, per espugnare questa fortezza contro la quale durò a combattere per otto mesi. Egli restò alla fine vincitore: un muro dopo
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l'altro cadde, e quando l'ultimo cedette i valorosi difensori non poterono più raggiungere il Donjon e rimasero tutti uccisi o prigionieri (marzo 1204). Dopo ciò le città si arresero una dopo l'altra. Il re confermò loro ben volentieri i privilegi di cui godevano e prese al suo servizio i vassalli abbandonati da re Giovanni. Anche i mercenari che Giovanni, rimasto personalmente in Inghilterra, aveva mandato in Normandia, si lasciarono guadagnare dal vincitore. Solo la potente Rouen, a causa dei suoi commerci e di mille altre relazioni legata all'Inghilterra, oppose resistenza, ma si arrese quando vide che Giovanni non alzava nn dito per soccorrerla. Papa Innocenzo III tentò di fermare l'ardimentoso conquistatore, ma Filippo" Augusto portò ugualmente a fine la conquista. La nuova provincia ebbe ancora nn periodo di ribellioni ; ma il re riuscì a conservarla e negli anni successivi assoggettò a sé anche gli altri domini francesi dei Plantageneti.
Il ree dunque ira ritornato padrone della Normandia e delle regioni che erano andate perdute per la corona in seguito al divorzio di suo padre da Eleonora di Aquitania. I confini geografici della futura Francia erano con ciò in sostanza disegnati.
Quando Filippo ottenne queste vittorie si trovava all'apice della sua potenza e nel fiore degli anni ; ma ancora più mirabile é la sua prima giovinezza. A 14 anni il padre lo associò al governo ed egli a causa dell'indebolimento delle facoltà mentali di Luigi VII si vide costretto a ridurre in sua mano quasi interamente il timone dello Stato, se volle evitare che i fratelli di sua madre, il conte di Champagne, l'arcivescovo di Reims, i conti di Blois e di Sancerre divenissero strapotenti. Egli si appoggiò dapprima al partito del conte di Fiandra, il rivale di quel gruppo di feudatari, e ne sposò la nipote, ma in seguito i due gruppi nemici si coalizzarono per sopraffare la corona. In tal frangente Filippo Augusto strinse alleanza con Enrico II d'Inghilterra e la_ lotta terminò nel i 185 con la completa sconfitta dei vassalli ribelli, le cui rivalità impedirono che rimanessero a lungo uniti. Tanto fu capace di fare questo giovane tra i 14 e i 20 anni. Da ultimo gli oppose resistenza ancora il duca di Borgogna, che chiese aiuto a Federico Barbarossa (1186); questi però allora, avuto riguardo alla difficile situazione dell'impero, credette necessario evitare un conflitto con la Francia. Ed il superbo duca dové piegarsi al suo re. A questo punto Filippo Augusto si sentì forte abbastanza per iniziare la lotta con Enrico II, nella quale gli vennero in aiuto gli indegni figli del monarca inglese. E finalmente venne la volta anche per costoro.
Questi successi furono intramezzati da molte vicende fortunose, ed anche col papa Filippo Augusto venne ad un pericoloso conflitto. Egli aveva ripudiato nel 1193 la sua seconda moglie Ingeborga, figlia del re dei Danesi, dopo che un tribunale composto di vescovi francesi aveva dichiarato esservi tra lui i la moglie parentela troppo stretta. Il papa non volle sanzionare l'ingiusta sentenza, pretese che il matrimonio fosse riconosciuto legittimo e nel 1198 fulminò l'interdetto sul regno di Filippo Augusto. L'irritazione manifestatasi nel popolo, il quale con ragione stimò il ripudio della regina come una ingiusta sopraffazione, costrinse il re a ripristinarla nei suoi diritti.

Ad onta delle umiliazioni e dei danni che accompagnarono necessariamente simili avvenimenti avversi, Filippo Augusto fece sempre nuovi progressi al di fuori del regno ed accrebbe la potenza della corona all'interno. I contemporanei lo soprannominarono Augusto perché aveva in misura tanto considerevole aumentato il territorio del regno. Al piccolo dominio soggetto nel 118o direttamente alla corona egli aggiunse l'Artois, l'Amiénois, il Valois, il Vermandois, una gran parte del Beauvois, la Normandia, il Maine, la Turena, l'Anjou, una considerevole porzioni del Poitou e della Saintonge. Il numero dei suoi prevosti salì da 38 a 94 ed in molte località poste alla dipendenza dei vassalli egli aveva propri agenti sotto il titolo di difensori (sauve-garde) a tutela di villaggi, città, fondazioni ecclesiastiche, corporazioni laiche, che, ritornando ad una consuetudine propria degli antichi ordinamenti carolingi, si erano poste sotto la protezione speciale del re.
Analoga influenza raggiunse Filippo in molti minori signorie ecclesiastiche e laiche mediante trattati di protettorato (pariages), ed un gran numero di altri feudatari più o
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meno potenti vennero obbligati col mezzo di altri trattati, ovvero costretti ed abituati in via di fatto, a prestare ubbidienza al re, a chiedere la sua adesione negli affari più importanti ed il suo consenso quando si trattava del passaggio a nozze delle loro ereditiere, a far confermare gli atti di maggior rilievo mediante l'apposizione del sigillo reale. Filippo Augusto ci si presenta in ogni senso come effettivo signore feudale rispetto ai suoi vassalli. Sotto di lui la monarchia riacquistò una autorità che ricorda le condizioni di essa nella prima metà del IX secolo. Anche la facoltà legislativa del re venne riconosciuta dai vassalli, non esclusi molti dei più potenti.

Filippo si atteggiò volentieri a protettore delle chiese, ed i conflitti tra chiese o chiostri ed i feudatari gli offrirono gradite occasioni per acquistarsi questa gloria e nel tempo stesso per domare i feudatari. Ma in compenso egli reclamò dai territori ecclesiastici giuramenti e servigi simili a quelli cui erano tenuti i vassalli laici, e quando mostrarono di trascurarli si impadronì dei loro possedimenti. Da questo lato lo vediamo procedere senza riguardi per Roma, mentre tollerò più di quanto si sarebbe aspettato le ingerenze della Santa Sede nei conferimenti di benefici ecclesiastici. Riguardo ai feudi ch'egli ricevette dai vescovi di Amiens, di Auxerre e da altri rifiutò di prestare il giuramento di fedeltà, asserendo che il re di Francia non doveva prestarlo ad alcuno. Pose un argine al dilagare della giurisdizione ecclesiastica ed in particolare vietò di portare le controversie di diritto feudale dinanzi a tribunali ecclesiastici ; regolò pure legislativamente le decime alla Chiesa. Filippo -protesse i contadini non liberi o semilibertà contro i maltrattamenti dei signori fondiari laici ed ecclesiastici, e ad onta che in proposito la tradizione sia scarsa, abbiamo notizia di non poche crudeltà e sopraffazioni di questi miseri che porsero occasione al re di intervenire a loro difesa. Nei suoi dominii personali invece egli fu parco di emancipazioni dei servi. Né in generale vi é traccia che egli abbia affrontata la questione della servitù in cui viveva una gran parte dei contadini e che era la causa di molti dei peggiori mali della società dell'epoca.

Piuttosto si può parlare di una sua politica rispetto alle città. Egli confermò ed ampliò le autonomie di molte città. Il movimento diretto alla conquista delle autonomie cittadine e ad ottenere diplomi di riconoscimento delle istituzioni comunali e dei loro organi assunse allora in Francia un carattere spesso violento, soprattutto nei territori soggetti a giurisdizione ecclesiastica. Contro queste violenze Filippo intervenne con rigore; ma ciò noti toglie che egli in complesso favorì al pari di suo padre il movimento in sé, e che la classe borghese o cittadina, la quale aveva già acquistato in Francia una grande importanza accanto al clero ed alla nobiltà, considerò sempre più il re come il suo particolar protettore. Nelle città dei dominii della corona, che erano governate da suoi prevosti, egli istituì una giunta elettiva di quattro cittadini (a Parigi sei) che il prevosto doveva chiamare a deliberare in tutti gli affari più importanti, e durante la sua crociata affidò a questa giunta di cittadini di Parigi la custodia del tesoro della corona e del sigillo reale. Con questi atti ed in moltissimi altri modi Filippo dimostrò di avere coscienza dell'importanza delle città e specialmente dei loro traffici, nonché della classe dei commercianti, nazionali e stranieri, che frequentavano le famose fiere di Champagne che si tenevano a Troyes, Provins, Bar-sur-Aube e Lagny. Le necessità del commercio ebbero a quel tempo ragione, almeno in pratica se non in teoria, del dogma che il mutuare ad usura fosse contrario ai precetti divini, costrinsero a migliorare le vie di comunicazione, fecero sorgere nuove forme di procedura giudiziaria e di circolazione monetaria. Nel 1200 era già nota la lettera di cambio, giacché ne abbiamo una di quell'anno tratta da Messina su Marsiglia.
L'elevazione della classe borghese trovò in Francia un ulteriore impulso nel sempre crescente numero di giovani che si recarono a studiare nelle scuole, organizzate più o meno in forma di universitates, vale a dire di corporazioni, esistenti a Parigi, Orléans, Montpellier, ecc. La maggior parte di costoro erano chierici, ma molti di essi avevano soltanto gli ordini minori ed imprendevano poi anche carriere laiche. Li incontriamo nelle città in funzione di scribi e di insegnanti, come ausiliari del commercio od al servizio
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dei numerosi signori territoriali. La cultura letteraria cessò di essere in Francia il monopolio del clero, e sopra tutto i diritti della potestà civile trovarono dei difensori laici. scientificamente preparati. Il benessere della classe borghese assunse un moto progressivo. Lo si vide dai notevoli contributi che le città poterono arrecare alle guerre, alle finanze ed all'architettura. Le crociate diedero un nuovo impulso al commercio ed alla navigazione, e verso il i 200 Narbona, Montpellier, Arles e Marsiglia poterono rivalizzare con le città marinare italiane di Genova, Venezia, Pisa ed Amalfi. Marsiglia aveva propri consoli in
tutti i porti dell'Oriente. Verso il 1170 un ebreo spagnolo scrisse che a Montpellier affluivano in torme cristiani e saraceni, arabi di Garb, mercanti lombardi, romani, commercianti provenienti da ogni parte d'Egitto, dalla Palestina, dalla Grecia, dalla Francia, dalla Spagna, dall'Inghilterra, nonché da Genova e Pisa. Qui si parlavano tutte le lingue. A Narbona esistevano circa 300 case di commercio di ebrei, aventi rappresentanti a Genova ed a Pisa.

Filippo Augusto lasciò che gli ebrei si arricchissero, poi minacciò di distruggerli, ma di regola si contentò di spillar loro grosse somme di denaro. Lo zelo religioso con cui si tentò di coonestare questi fatti ci rivela ancora una volta la rozzezza morale e le aberrazioni di coscienza dell'epoca. Se gli ebrei, ad onta delle ripetute persecuzioni riuscirono a conservarsi e ad accumulare sempre nuove ricchezze, lo si spiega con la trasformazione dell'eco- nomia sociale che si compiva allora in Francia come negli altri paesi del mondo germanico e neolatino, coll'abbandono dell'economia agricola e con lo sviluppo dei commerci. Questa trasformazione economica permise lo sviluppo della borghesia che costruì le città, e che difese le loro mura, che creò tutta la massa dei beni che rende gradita la vita e con la loro vendita si procurò i mezzi di elevare quelle mirabili opere d'architettura che insieme con la letteratura sono oggi quasi i soli testimoni diretti della grandezza di quei tempi. Così lo sviluppo della borghesia scalzò dal punto di vista sociale l'esclusivo predominio del clero e della feudalità allo stesso tempo che la monarchia li scalzava politicamente.
Ciò peraltro non va inteso nel senso che l'epoca di cui parliamo abbia perduto il suo carattere aristocratico, ma nel senso che questo carattere si mitigò. Al pari delle persecuzioni degli ebrei anche le Persecuzioni degli eretici servirono al re per mostrare il suo

zelo religioso ed accrescere contemporaneamente la sua potenza. E papa Innocenzo III prestò alla sua politica di conquista il miglior aiuto, perché, scatenando la guerra degli Albigesi, questa vergogna della Chiesa, gli preparò il terreno per l'assoggettamento della Francia meridionale. Il papa così contribuì ad estendere l'autorità dello Stato francese su paesi che avevano sinora avuto con esso scarsi vincoli di dipendenza od anche avevano appartenuto al regno arelatense e quindi all'impero tedesco. Vedremo come poi la potenza della Francia si sia ancora accresciuta quando Roma, in lotta con Federico II e coi suoi eroici figli, cercò appoggio in Francia e lo trovò per lo meno in talune ore decisive. Roma quindi ha contribuito all'elevazione di quella potenza sotto i cui colpi era destinata a cadere proprio nel momento nel quale la completa dissoluzione dell'autorità imperiale sem. brava doverle fare ereditare il predominio universale.

Prima di abbandonare questo periodo
diamo uno sguardo alla
famosa

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L'ORIENTE ROMANO E L'UNGHERIA > >

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