-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

L'EUROPA FRA DUE RIVOLUZIONI - ( 1830-1849 )


192. - 1) . INIZIA LA SOVVERSIONE IN FRANCIA - RE LUIGI FILIPPO


Parigi - 26-27-28 luglio 1830 - le "Tre gloriose giornate"

 

Le strutture che le Potenze nel 1815 si erano create e il loro sistema di potere sempre più assolutistico, ben presto dovettero fare i conti con una ondata di preoccupanti moti rivoluzionari, che all'inizio privi di una direzione politica o organizzativa unitaria, sostanzialmente erano moti di rivolta spontanei. Ma quando nel 1830 scoppiò a Parigi la rivoluzione vera e propria, con borghesi, artigiani ed operai che nelle "tre gloriose giornate" (27-28-29 luglio) inalzarono barricate....

.... decisi a combattere le milizie, costrinsero il re Carlo X alla fuga.
A quel punto la direzione del movimento passò nelle mani dei liberali moderati, che per garantire la continuità della forma monarchica si affrettarono (7-9 agosto) ad incoronare LUIGI FILIPPO D'ORLEANS come "re dei francesi". Un'affrettata elezione con la quale si intendeva sottolineare la natura contrattuale della monarchia, non più per "diritto divino", come accadeva nell'età dell'assolutismo, ma dalla volontà di liberi cittadini.

Sommariamente qui sopra abbiamo fatto una sintesi,
mentre ora andiamo nei particolari e alle cause.

La scintilla di questa rivoluzione fu l'atto arbitrario, avventato e illegale, con cui Carlo X mediante le sue ordinanze del 25 luglio 1830 restrinse il diritto elettorale e abolì la libertà della stampa. L'avventatezza costò alla Francia non la sua libertà costituzionale, ma la legittima (e divina) monarchia.

La rivoluzione parigina del 26-27-28 luglio, fatta scoppiare da borghesi, studenti, artigiani, ovviamente tutti repubblicani, oltre da operai, soprattutto dei tipografi, trionfò sulle milizie dell'illuso sovrano. Carlo X, è vero, alla notizia del cattivo esito dell'azione nilitare del maresciallo Marmont, aveva poi revocato il 29 luglio le ordinanze e si era proposto di formare un ministero popolare col duca di Mortemart.
Ma senza sincerità e risolutezza si era segretamente lasciato consigliare, fino alla fine della prima settimana d'agosto, dai componenti del ministero Polignac. Così svanì l'ultima possibilità di un pacifico componimento, che il 29...


L'assalto e saccheggio del palazzo arcivescovile il 29 luglio

...giorno dell'assalto del palazzo arcivescovile, anche dopo la vittoria della rivoluzione, forse sarebbe stato fattibile sulla base dell'abdicazione del Re e del delfino in favore di una reggenza per il poco più ottenne duca di Bordeaux.

Quando furono proclamate queste intenzioni, il 2 agosto, era troppo tardi.
Il giovane Thiers, redattore del «National», che il 28 luglio aveva moltissimo contribuito all'opposizione della stampa contro le ordinanze e fu anche promotore di una resistenza passiva, durante la lotta dei "tre giorni" si era tenuto in disparte, aveva però la mattina del 30 con un manifesto richiamato l'attenzione sul duca d'Orleans come l'uomo, il quale chiamato al trono avrebbe tenuto in onore i colori nazionali e la costituzione.
Esteriori analogie fecero credere al Thiers, da lungo tempo imbevuto di propensioni orleanistiche, che la Francia potesse imitare l'esempio dell'Inghilterra del 1688, quando essa, per salvar la monarchia, e la libertà, chiamava su un trono -di fatto vacante- il principe che vi aveva il maggior diritto dopo il ramo spodestato.
Thiers ed i suoi compagni d'idee, erano spronati dalla preoccupazione dei disegni repubblicani dei vincitori al palazzo municipale di Parigi, i quali sembravano possedere un campione, godente un'altissima considerazione: il vecchio Lafayette, comandante di nuovo, come prima, della guardia nazionale del paese.

La gigantesca città stava tuttavia in armi, trepidante d'eccitazione, al riparo delle sue barricate, forse non fidandosi troppo dei moderati, e al riparo contro attacchi rinnovati dei realisti, che nel frattempo si erano considerevolmente rafforzati presso St. Cloud.
Per questi motivi un immediato ristabilimento di un ordinato potere civile parve la prima di tutte le necessità. L'appello magistrale del Thiers produsse immediatamente la formazione di un attivo partito orleanista, a cui appartennero fra gli altri il banchiere Lafitte, Casimirro Perier, il generale Sebastiani, il duca di Broglie: il qual gruppo, appoggiandosi sulla fiducia di numerosissima gente in Luigi Filippo, fece ormai quanto stava in suo potere per impedire un accordo con la vecchia corte.

Luigi Filippo, duca di Orleans, si era nascosto in una delle sue case di caccia per timore di qualche molesta pretesa, sia da destra, sia da sinistra. La sua ambizione, sempre sotto l'influsso di una prudente circospezione, lo faceva attendere quali conseguenze avrebbe avuto la resistenza contro il colpo di Stato, approvata da lui nell'interno dell'animo.

La sera del 30 gli giunsero premurose sollecitazioni con l'annunzio che un gran numero di deputati eletti, radunati nel palazzo Borbone, l'invitavano ad assumere le funzioni di luogotenente del regno. Sotto la pressione delle circostanze, di buon ora, la mattina del 31 luglio Luigi Filippo comparve nel suo palazzo reale, e nel corso della giornata, assunse con un pubblico proclama l'ufficio di luogotenente del regno, e poi, accompagnato dai deputati, si diresse al palazzo di città.
Il Lafayette fu guadagnato in favore di questo principe, il Governo del quale egli sperava di circondare di istituzioni repubblicane democratiche. L'uno a braccio dell'altro, all'ombra del tricolore, ambedue si mostrarono al popolo.

In tal modo si era creata un'autorità appena sufficiente per la capitale, a cui del resto si accostarono tutti i dipartimenti, quasi senz'eccezione.
Carlo X, obbedendo alla necessità, affidò, il 10 agosto, la carica di Luogotenente del regno anche per sua parte all'inviso cugino; poi aggravatisi ancor più i contrasti, rinunziò insieme col delfino alla corona in favore del suo 8enne nipote il duca di Bordeaux.
Al luogotenente del regno giunse insieme con questo annunzio l'invito a proclamare il piccolo Re come Enrico V. Ma Luigi Filippo, per consiglio dei suoi fedelissimi, non tenne alcun conto di quei passi.
La ripetuta affermazione solenne che egli, con tutte le sue forze, avrebbe difeso i diritti del duca di Bordeaux, come Enrico V, merita fede solo fino al momento del patto con le tendenze rappresentate dal Lafayette.

Sembrava impossibile far servire, sia pure temporaneamente, le forze della rivoluzione alla causa dell'ordine, se Luigi Filippo d'Orleans non doveva essere altro che il legittimo tutore del piccolo Borbone, che stava attaccato alla gonna della madre, la duchessa di Berry, rigidamente legittimista.
Con tutto il desiderio d'essere corretto, Luigi Filippo, stimolato dalla graduale riuscita e dalle sollecitazioni della sua famiglia, fu presto indotto a rivolgere il suo sguardo alla méta più alta. Egli, fino dal 3 agosto, si preparò la via per giungere al trono, tentando - come sentinella del suo nipote - di far scappare con un subbuglio militare rivoluzionario l'ex Re, tutt'ora aggirantesi a St. Cloud con le truppe rimastegli fedeli.

Lo stesso giorno inoltre partecipò alle Camere, da lui aperte, la rinunzia, del Re e del delfino, ma non già la premessa dell'atto, cioè l'abdicazione dell'uno e dell'altro in favore del duca di Bordeaux. Nonostante la finzione della vacanza del trono, derivata dal recentissimo allontanamento (fuga) dell'intera famiglia reale dalla Francia, l'assunzione della corona, per parte di Luigi Filippo quale Re dei Francesi, fu un'emanazione, secondo il concetto dei partigiani della sovranità popolare, della volontà nazionale.


In grazia di questa, cioè soltanto in forza della costituzione legalmente promulgata e giurata il 9 agosto, non già in forza di un suo proprio diritto Luigi Filippo salì sul trono (dove poi vi rimase fino al fatidico 1848).

Questa nuova monarchia degli Orleans, simboleggiata dal tricolore nazionale, non poteva, come in Inghilterra dopo il 1688, d'ora in poi nè sospendere le leggi, né dispensare dall'osservanza delle medesime; ma prescindendo da simili abusi, era riservato al Re l'intero potere esecutivo, compresa la nomina dei ministri.
Il cattolicesimo non era più considerato come religione dello Stato, sì invece come religione della maggioranza dei Francesi. Quali modifiche più importanti, vennero espressamente riservate alla prossima opera legislativa l'abrogazione dell'ereditarietà dei pari e la diminuzione del censo elettorale da 300 a 200 franchi.
Il Governo non doveva esser fondato sul clero e sulla nobiltà, ma sulla borghesia danarosa, che scorgeva nella proclamazione del «Re borghese» il trionfo della propria forza.

Ma poi, contro le crescenti pretese politiche della borghesia l'animo ambizioso e cocciuto di Luigi Filippo (ormai entrato nella parte) cercò di spuntarla con una lotta tenace per affermare la sua potenza.
In grazia dell'unilaterale sforzo e del grande
strepito di questa battaglia, il partito operaio repubblicano, deluso nel 1830, riguardo al premio della vittoria, riuscì, dopo l'iniziale repressione (1837), raccogliere nel silenzio le forze per abbattere la monarchia del luglio. Il riconoscimento di quella, per parte dell'Europa, avvenne relativamente presto. Luigi Filippo si meritò d'essere accolto nel concerto delle Potenze con la risolutezza, onde egli, nei campioni della strapotenza parlamentare depresse al tempo stesso i campioni della propaganda o della conquista all'estero.
Il sentimento della mancanza di sicurezza del suo trono di recente costruito, impresse alla sua azione nei primi anni una certa corretta riservatezza. Così egli contribuì a rimuovere il pericolo di una guerra generale per i trattati del 1814, in occasione della ribellione del Belgio alla monarchia d'Orange, finché il desiderio d'intervento del suo avversario legittimista, lo Zar Niccolò, fu spento dallo scoppiare d'una rivoluzione in Polonia.

Che il terrore dei gabinetti per la scossa avvenuta in Francia sia stato nei primi momenti favorevole alla rivoluzione belga, scoppiata a Bruxelles il 25 agosto 1830, è certo. Da lungo tempo minacciava di verificarsi un profondo mutamento nei rapporti delle nazionalità degli Olandesi e dei Belgi accoppiate insieme per l'arbitrio delle grandi Potenze nel regno dei paesi Bassi uniti. Che valeva l'antica unione dinastica dinanzi alla differenza di stirpe e di religione, di antichi ricordi e d'interessi presenti! Quanto più progresso aveva fatto lo spirito nazionale degli Olandesi e dei Belgi, durante la grande rivoluzione, alle spese della vita provinciale, tanto più intrattabili si mostrarono gli uni verso gli altri.
Il carattere degli Olandesi e nello stesso tempo la personalità e la politica del Re Guglielmo I d'Orange erano poco adatte a liberare i Belgi dall'impressione che si fosse disposto di loro come di una moltitudine, buona a ingrandire il dominio della casa d'Orange, contro i loro interessi. I Belgi si sentivano danneggiati tanto dalla composizione dei comuni Stati generali di fronte all'irresponsabilità dei ministri olandesi, quanto dall'ingiustizia, con cui erano trattati, nella carriera burocratica e militare, nelle imposizioni e nelle sentenze giudiziarie.
Il trattamento arbitrario usato alla stampa dal Governo rendeva inefficace anche questa valvola. Il malcontento del clero cattolico per l'eguaglianza di diritti concessa alla confessione calvinista allargò il baratro fra le due nazioni, soprattutto quando il Governo, non contento di fondare scuole elementari statali, pensò d'impadronirsi anche dell'educazione dei giovani chierici mediante un collegio filosofico in Lovanio (1825).

È una testimonianza addirittura classica dell'irragionevolezza della creazione del Regno dei Paesi Bassi e degli errori dei Governanti il fatto che dal 1828 in poi clericali e liberali anticlericali si unirono contro il Governo, gli uni portando il motto della libertà d'insegnamento, gli altri la richiesta della libertà della stampa nella lega, i capi della quale furono il clericale de Merode e il democratico de Potter.

Fra parentesi, il primo tentativo pratico dei giovani ultramontani fu quello d'asservire ai loro interessi particolari le armi spirituali dell'età nuova, la stampa e il diritto d'associazione.
La situazione s'inasprì essendosi formata un'associazione per risarcire gli impiegati destituiti dal Governo, e quindi essendosene condannati all'esilio i promotori (aprile 1830).
Ai capi indignati ciò parve tanto più arbitrario, in quanto la personalità cocciuta del Re Guglielmo non gli permetteva alcuna attitudine conciliativa. In mezzo a una così appassionata agitazione non fu davvero strano che quattro giorni dopo la «grande settimana» parigina scoppiasse quell'insurrezione senza nessun scopo preciso a Bruxelles, accompagnata da ogni specie di violenze, che in breve si ripercosse in Lovanio, Liegi, Bruges, Tournai, e così via.

La personale interposizione del principe d'Orange con la proposta di una pura e semplice divisione amministrativa di ambedue i paesi fu infruttuosa, come alcune settimane più tardi un attacco militare, operato da suo fratello.
Per l'accorrere di corpi di volontari dalla Francia e da altri luoghi andarono sempre più acquistando il sopravvento gli elementi radicali. Subito fin da principio s'erano sostituiti i colori olandesi con quelli brabanzoni. Il governo provvisorio di Bruxelles fu riconosciuto anche fuori, mentre le deliberazioni degli Stati generali dell'Aia non producevano effetto alcuno: i soldati belgi incominciavano ad unirsi agli insorti; la maggior parte delle fortezze erano già nelle loro mani. Gli ultimi tentativi del principe d'Orange di salvare per sé il Belgio andava a morite per il rifiuto del Re: quando poi il Generale Chassè si credette costretto di bombardare la ribelle Anversa dalla cittadella, non fu più possibile nessuna specie d'unione fra l'Olanda e il Belgio.


Il bombardamento di Anversa


Nel novembre del 1830 il congresso nazionale, convocato a Bruxelles, proclamò l'indipendenza del Belgio sotto la forma di una monarchia costituzionale, con l'esclusione della casa d'Orange, però senza pregiudizio dei diritti del Re sul Lussemburgo, appartenente alla confederazione tedesca (22 novembre). Allora le grandi Potenze portarono la faccenda dinanzi alla conferenza, radunata a Londra, per risolvere la questione greca; l'Olanda e il Belgio acconsentirono.

La conferenza, il 20 dicembre, riconobbe l'indipendenza del Belgio; ma le difficoltà cominciarono solo allora. I 18 articoli, come poi i successivi 24, in cui dovevano compendiarsi le linee fondamentali per la separazione di ambedue gli Stati, non vennero riconosciuti per vari anni dall'Olanda, anzi contro di essi il Re Guglielmo, ricorrendo di nuovo alle armi, poco mancò non provocasse una conflagrazione generale. Dopo che la conferenza ebbe stabilita la neutralità del regno del Belgio, la scelta dei Belgi, tramontate altre candidature, cadde, nel luglio del 1831, col consenso delle Potenze, sul principe Leopoldo di Coburgo, che l'anno seguente si sposò con una figlia del Re dei Francesi.
Leopoldo aveva accettato e giurato tanto quegli articoli, quanto la costituzione votata dal congresso nazionale il 25 febbraio 1831, mentre la definitiva composizione con l'Olanda giungeva in porto solo nel 1830.

La costituzione, conforme alla sua origine, non riconosce alcun potere regio all'infuori della costituzione medesima: §§ 78. "Tutti i poteri derivano dal Popolo". L'aver compreso di dover essere dignitosamente un Re affatto costituzionale costituisce la gloria politica di Leopoldo. Nelle elezioni alle Camere, che erano subordinate ad un censo di 20 fiorini, si trovavano gli uni di fronte agli altri cattolici bigotti e liberi pensatori, senza rappresentanti di partiti intermedi. Il patto originario di ambedue le tendenze, concluso per la lotta nazionale, risentì nell'enumerazione dei diritti. Infatti accanto alla responsabilità ministeriale e al pieno diritto d'accusa contro i funzionari, accanto allo stato civile, alle corti d'assise, alla libertà di riunione, di associazione e di stampa stava la famigerata libertà d'insegnamento, cioè scuole confessionali accanto a quelle dello Stato.
Era naturale in uno Stato così fatto la completa rinunzia a tutti i diritti di fronte alle comunità ecclesiastiche, i servi delle quali ricevevano però dallo Stato uno stipendio.
In questa costituzione molto ammirata ed imitata, consiste l'importanza, nella storia universale, della rivoluzione belga.

Una costituzione simile per la rivoluzione polacca dello stesso anno venne fuori dall'emigrazione di numerosi patriotti, più o meno compromessi, rifugiatisi poi a Parigi, Londra, Bruxelles e così via: i quali, conforme alla dottrina del loro Mickiewic, si sentivano chiamati a schierarsi combattendo dovunque contro l'oppressione, e, nei decenni successivi, formarono, in parte, un corpo volante rivoluzionario.
Preannunziata, da tempo, da una sorda agitazione, la rivoluzione, di fronte agli armamenti contro alla Francia, tramati dallo Zar, scoppiava il 29 novembre 1830 in Varsavia, donde, nello spazio di poche settimane, in grazia della debolezza del granduca Costantino, che sgombrò con le truppe russe il paese, si diffuse su tutta la Polonia russa.

Le truppe si riunirono; fortezze e casse furono loro preda. Sporadicamente l'incendio si levò nella Lituania; da Cracovia, dalla Galizia, da Posen non mancarono gli aiuti, ma tanto il governo austriaco quanto quello prussiano si collocarono dal punto di vista del diritto delle genti e non riconobbero nessuno dei governi rivoluzionari, che rapidamente si dissolsero.

Indubbiamente il moto fu nazionale; nel suo svolgimento fece capolino la petulante esigenza del ristabilimento della Polonia nei limiti del 1772. Ma i partiti principali, quello aristocratico, rappresentato dal principe Adamo Czartoryski, quello democratico del professore Lelewel, non riuscirono a rimanere uniti né sotto il rispetto delle cose, né sotto quello delle persone.

Siccome poi, nonostante un benevolo tentativo, non si riuscì a dare un po' di sollievo all'oppresso ceto dei contadini, l'entusiamo non fu profondo. Quantunque i partiti nel parlamento si fossero risoluti il 25 gennaio 1831 a dichiarare decaduta la casa Romanoff, le deficienze dell'esercito e lo scoppiare del colera, che allora per la prima volta penetrò nell'Europa centrale, imposero al maresciallo Diebic, vittorioso a Ostrolenca, di trattenersi.
Ma, con tutto lo spirito di sacrificio dell'ardente gioventù, l'insurrezione non aveva speranza di buona riuscita, senza aiuti esterni, che invano dovevano aspettare gl'insorti, nonostante le simpatie del Lafayette e dei suoi amici, e nonostante l'entusiasmo polacco di tutti i liberali d'Europa; entusiasmo che si espresse in centinaia di canzoni.

Il generale Paskievic passò col suo esercito, rinforzato dalle guardie, appoggiato dai provvedimenti preventivi del governo prussiano, la Vistola il 21 luglio, e, dopo infruttose trattative, l'8 settembre occupò Varsavia, e fiaccò la resistenza nell'intero paese con la fine d'ottobre, mentre gli ultimi corpi polacchi vennero respinti nel territorio austriaco o prussiano o subito disarmati. Dopo una lotta di nove mesi la Polonia era un'altra volta abbattuta. Lo statuto organico del 1832, altri decreti e l'azione pratica governativa legarono saldamente all'Impero russo la Polonia, a cui da ultimo rimase soltanto il nome di regno: poiché, sebbene la lingua del paese si continuasse ad usare ufficialmente, non restò traccia alcuna dei ministeri, del parlamento e dell'esercito polacco.

Il Governatore, principe Paskievic, con l'incorporare soldati dell'esercito polacco in reggimenti russi dell'interno, inoltre con la deportazione, con l'esportazione, con la confisca dei beni, con la censura e con l'imbavagliamento dell'istruzione polacca assicurò senza riguardo alcuno la dominazione russa. Una limitatissima amnistia non riuscì a impedire che migliaia di persone, che si sentivano compromesse o erano realmente, si mettessero in salvo fuori dell'Impero dello Zar e si approntassero al giorno della vendetta. L'opinione sentimentale dei liberali d'Occidente celebrava in essi dei martiri della libertà e dei compagni nella lotta contro la tirannia.

Solo transitoriamente fu, per influsso della rivoluzione del 1830, scosso l'ordine costituito in Italia, ma al tempo stesso illuminato per alcune persone dallo sguardo acuto.
L'Austria col suo intervento armato in Italia abbatté, senza troppa fatica, l'insurrezione a Modena, a Parma e nelle legazioni pontificie, mentre andava a monte il tentativo delle Potenze di dare forma un po' più moderna all'amministrazione dello Stato ecclesiastico.
Ciò che ebbe effetti più duraturi fu che, dopo una seconda occupazione di Bologna per parte delle pontificie bianche divise, i Francesi non si lasciarono sfuggire l'occasione di garantirsi un contrappeso nella pontificia Ancona (fino al 1838).

Lasciamo - per il momento - la Francia, la Russia e l'Italia,
e diamo uno sguardo alle altre Potenze

193. 2) - LA GERMANIA, LA SVIZZERA e L'INGHILTERRA FINO AL 1840 > >

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