-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

164. IL REGNO DEL TERRORE

Il "Terrore" fu rappresentato dalla "Ghigliottina", che divenne il "segno del tempo".

Il "giornale delle esecuzioni" redatto dal boia Henri Sanson ci narra nelle sue 407 pagine, la scellerata serie di pene capitali nei tragici giorni della Rivoluzione Francese, quando fu proprio lui, Sanson, ad inaugurare la "sanguinaria mannaia" a Parigi nel periodo del terrore, e a tagliare le teste di 2918 persone, 2548 uomini e 370 donne. Fra questi sventurati, Re Luigi XVI, Maria Antonietta, Carlotta Corday, Robespierre, Saint-Just, Desmoulins, Danton, Lavosier, e tanti altri celebri nomi, di cui Sanson il "boia" , nella sua "cronaca giornaliera" ci racconta gli iniqui processi - i più palpitanti resoconti della storia moderna - le inutili difese, e ci narra come i condannati fronteggiavano la morte nei loro ultimi istanti sotto l'affilata lama della sanguinaria "giustizia rivoluzionaria". (eviti di leggere il libro chi è molto impressionabile).
Non è la storia raccontata da uno storico, ma quella scritta dall'ultimo boia: HENRI SANSON (una dinastia di boia da quattro generazioni) . Ed è una storia - per l'umanità del boia che in essa traspira - che fa molto riflettere.
Di questo singolare libro stampato anche in italiano a inizio secolo (e mai più ristampato) ne abbiamo scovata una copia originale che integralmente abbiamo riportata nel CD-ROM che contiene integralmente anche la grande opera di Thiers, i 44 libri de "La "Rivoluzione Francese", l'opera più completa ed esaustiva sulla rivoluzione - digitalizzata su 4000 files, con 162 ritratti dei protagonisti a pieno schermo, 200 incisioni, 100 illustrazioni - vedi presentazione QUI >

 

Come abbiamo narrato nel precedente capitolo, la caduta dei moderati fu determinata da odio di parte e da un loro oscuro presentimento che l'esistenza della repubblica fosse minacciata dai disordini interni e dalla vittoria degli stranieri. Prepararsi con ogni mezzo per la salvezza e togliere di mezzo quanto si opponeva ad un brutale spiegamento di forze, fu considerato come il primo impegno del momento.
E i vari gruppi avevano lavorato per questo fine comune, il comitato di salute pubblica di Danton, il partito della Montagna con Robespierre e il consiglio della comune guidato dall'Hebert. Ognuno di essi bramava ardentemente l'eredità dei caduti, il potere, il dominio.
Poiché il consiglio della Comune aveva contribuito più degli altri alla vittoria, questo rappresentava un buon successo di fronte alla Convenzione e si pensò di approfittarne.

Già il 2 giugno il consiglio della Comune espresse la richiesta di un esercito rivoluzionario contro il nemico interno, un revisione dei prezzi, un prestito forzato sui ricchi e una concessione di vettovaglie.

Sopravvennero allora degli avvenimenti, che attirarono tutti gli sguardi. Le province non vollero più a lungo consentire al governo dei giacobini, che minacciava ormai tutti i proprietari, la loro vita e i loro beni. Già il 29 maggio si era sollevata Lione, la seconda grande piazza commerciale dello Stato. La guardia nazionale, di sentimenti moderati, assalì irritata il palazzo comunale, uccise 200 patriotti e gettò in carcere i principali agenti giacobini. Casi simili avvennero a Marsiglia e a Bordeaux. Ma anche in molte altre città gli animi erano in fermento, la Normandia prese le armi e l'insurrezione della Vandea pur inizialmente domata col sangue, seguitò ad essere un pericolo minaccioso.

Dalla fine di aprile in Vndea si erano radunati 30.000 uomini, che avevano vinto i repubblicani in una serie di combattimenti e liberato il suolo natale; dopo questi successi si volsero poi verso la Loira, si misero in comunicazione con la Bretagna, con la Normandia e col Maine, per marciare contro l'odiosa Parigi a capo delle forze riunite del nord-ovest.
Occorreva però prima espugnare alle loro spalle il porto di Nantes. Questo fu assediato, attaccato valorosamente e finalmente assaltato a viva forza. Una lotta disperata pendeva indecisa dalle prime ore del mattino fino al pomeriggio. L'assalto non riuscì e i contadini dovettero ritirarsi; il pericolo della repubblica era però passato.

Il moto insurrezionale si ripercosse sulla capitale. Ventisette sezioni mossero un'opposizione appassionata contro l'esercito rivoluzionario, così che i giacobini dovettero rinunciarvi. Il comitato di salute pubblica il 7 giugno ordinò perfino la deposizione di Henriot e lo scioglimento dei comitati rivoluzionari nelle sezioni. Ma a questo punto sorsero selvagge grida di protesta, dinanzi alle quali il comitato cambiò strada e programma. Si giunse finalmente a un accomodamento, espresso il 24 giugno in una costituzione, che fu pubblicata ma non attuata.
L'unione della Montagna e dei dantonisti irritò gli estremisti. Mossero reclami alla Convenzione e al consiglio della Comune e saccheggiarono Parigi per due giorni. I governanti, che non volevano guastarsi troppo con loro, li acquietarono soltanto distribuendo grosse somme di denaro prese dal tesoro dello Stato.

Tuttavia Danton e il comitato di salute pubblica avevano riconosciuto essere impossibile una conciliazione degli estremi in un'opinione media moderata. A dire il vero trovarono avversari non solo nel consiglio della comune, ma anche nei codardi della tempra di Robespierre, che piuttosto allarmati temevano dalle parti estreme vendette e rappresaglie. Anche questi cercarono la loro salvezza nella costituzione del governo dispotico e perciò cominciarono a considerare Danton come un uomo pericoloso. Questo si vide chiaramente l'8 di luglio, quando il comitato di salute pubblica presentò un rapporto sui girondini, che consigliava di metter fuori dalla legge nove di essi, allora fuggiaschi, di imprigionarne cinque altri e di riaccogliere nella convenzione i rimanenti.

L'assemblea respinse la proposta. Danton fu fortemente contestato e fu proposta la trasformazione del comitato. Siccome il 10 luglio scadeva il termine del suo ufficio, si poté rinnovarlo facendo entrare esclusivamente uomini di sentimenti giacobini. Danton non fu rieletto e quindi sedette d'allora in poi soltanto nella Convenzione. Aveva creato il comitato come uno strumento per i suoi fini ed ecco che questo andava in altre mani.

Il secondo o «Gran comitato di salute pubblica» ha tenuto le sue sedute fino al 6 settembre dell'anno seguente, con alcuni cambiamenti di persone ed ha esercitato un potere tirannico illimitato sulla Francia. I suoi membri principali erano Robespierre e i suoi seguaci, il giovane ed entusiasta Saint-Just e Couthon esteriormente così tranquillo, inoltre il dissoluto Collot d'Herboìs, lo scellerato Bìllaud-Varennes e l'onesto e coraggioso Carnot, che sì addossò la direzione delle cose militari.
Il comitato ricevette la sua impronta caratteristica da Robespìerre, che un tempo dominava nel club dei giacobini e godeva dì una notevole autorità nella Convenzione. Imbevuto delle idee del Rousseau, vedeva nell'umanità un corpo ammalato, che poteva esser risanato soltanto con terribili salassi. Con ogni mezzo di governo e con ogni provvedimento legislativo furono represse le insurrezioni, così che ben presto soltanto la Vandea, Lione ed una parte del Mezzogiorno rimasero ancora in armi.

Sì approfittò dì molte circostanze per accrescere l'eccitazione, specialmente della perdita di alcune fortezze di frontiera e della uccisione di Marat, la cui memoria divenne un vero e proprio culto. I generali mal visti furono tolti dì mezzo, aumentati i poteri del tribunale rivoluzionario; si presero misure contro gli stranieri, contro la Vandea e contro la regina, si distrussero le tombe reali a San Dionigi, si confiscarono i beni di tutti coloro che erano stati dichiarati fuori dalla legge, si fecero arresti in massa e si sterminarono i girondisti. Ma in realtà questo partito era già morto.

La Convenzione proscrisse ventuno dei suoi membri e ne citò nove in giudizio, senza veramente eseguire questa deliberazione, non avendo per fare questo alcun motivo giuridico.
La Convenzione e il comitato di salute pubblica dopo avere stabilito la nuova costituzione avrebbero dovuto disciogliersi, ma ambedue rimasero, risoluti a mantenere il loro potere. Danton propose arditamente di dichiarare governo provvisorio il comitato, ma questo fallì per la opposizione degli ebertisti del consiglio della Comune.

Quando il 10 agosto fu celebrata una grande festa popolare per la proclamazione della costituzione, un deputato chiese lo scioglimento della Convenzione. Ne seguì soltanto una tempesta d'indignazione, per cui quest'idea fu rimandata ad epoca lontana. Contro gli ebertisti Danton ottenne l'approvazione di una leva in massa di tutti i giovani atti alle armi da 18 fino a 25 anni, vale a dire un rinforzo di 450.000 uomini per l'esercito.

In quel sollevamento di passioni capitò la notizia che Tolone ribellatasi il 23 agosto si era arresa alla flotta inglese. Anche Marsiglia aveva scacciato i commissari della Convenzione e mandato un esercito contro Parigi. Questo fu respinto dalle truppe di linea, che il 25 agosto occuparono Marsiglia. Come il solito i governanti approfittarono di tali avvenimenti per accrescere le misure violente, anzi i decreti dell'inizio di settembre si possono considerare come quelli che stabiliscono definitivamente il regno del terrore.

Fu imposto un prestito forzato, il prezzo massimo dei cereali fu abbassato ufficialmente e Parigi fu provveduto di vettovaglie a spese della provincia, il tribunale rivoluzionario fu diviso in quattro sezioni per renderlo più produttivo, fu istituito nella capitale un esercito rivoluzionario di 6000 uomini che, essendo formato da gente rissosa, significava metter in mano al consiglio della Comune un'arma sempre pronta a colpire; le assemblee delle sezioni ebbero perfino il diritto d'imprigionare. Dovevano queste radunarsi due volte alla settimana e fruttavano 40 soldi (2 franchi) ai loro componenti, mentre i deputati della convenzione ricevevano ogni giorno 38 franchi.

Dovunque gli ebertisti riuscivano a guadagnar terreno. Presero nelle loro mani la direzione della polizia, tuonarono contro i sollevati e contro i loro avversari politici e fecero approvare una legge contro i sospetti, che fu designata col nome di «mezzana della ghigliottina». Secondo questa legge ognuno poteva esser sospettato ed esaminato da ogni tribunale. Le sezioni tenevano liste proprie di sospettati e questo le rendeva quasi onnipotenti. Il «massimo» fu esteso dai grani ad altre cose; chi nascondeva delle merci si rendeva reo di morte. Cosi il commercio e l'agricoltura erano votati allo sfruttamento da parte dello Stato.

In circostanze simili svanirono gli ultimi residui della potenza di Danton. Quando il 3 ottobre fu presentato improvvisamente alla Convenzione un rapporto contro 129 girondini, egli non osò più opporsi. Così 43 deputati poterono essere rinviati al tribunale rivoluzionario, 45 imprigionati e 21 posti fuori della legge. Di quei 43 se ne avevano però in mano soltanto 21, che tuttavia si aspettavano una condanna.
Per potere resistere agli ebertisti e toglier loro la possibilità di costituire un governo occulto Saint-Just propose che il governo rivoluzionario dovesse restare al timone dello Stato fino alla pace. Allorché questa proposta fu votata, la Convenzione mise da parte anche legalmente la nuova costituzione e delegò al comitato di salute pubblica la direzione degli affari. I due corpi politici si porgevano la mano, il terrore diventava legale.

Ma divampava tuttora la sollevazione nel paese. Si dovette soffocarla definitivamente. Lione fu assediata e bombardata; finalmente ai difensori non rimase altro scampo che aprirsi una via e abbandonare la città ai repubblicani. Collot e Fouché comparvero alla testa di 3000 parigini armati di picche e mitragliarono in massa i prigionieri; in un furioso delirio partigiano più di 1000 operai cominciarono a demolire le case ogni giorno per un valore di 400.000 franchi. Lione doveva essere rasa al suolo.

Venne allora la volta di Tolone, che si sostenne tenacemente, protetta dai cannoni della flotta inglese e spagnola. Ma gli assalitori erano in numero sempre maggiore e si fece sempre più violento l'assedio. Questo ha acquistato un'importanza storica grandissima, perché vi dimostrò per la prima volta il suo talento strategico un giovine ufficiale di artiglieria, che si chiamava Napoleone Bonaparte. Si vuole che abbia proposto un disegno di assedio, per il quale gli sforzi maggiori dovevano essere rivolti non contro la città stessa, ma contro un forte esterno avanzato, che dominava l'entrata del porto. Il forte fu preso: gli Inglesi e gli Spagnoli non potendo più mantenersi nell'interno del porto con una parte dei cittadini doverono abbandonare la città. Così il 19 dicembre questa rimase in balia dei sanguinari commissari della Convenzione. Questi nei primi tre giorni fecero fucilare 800 uomini e più tardi ne fecero perire ancora 1800.

Con un accanimento terribile si combatteva nella Vandea. Vinsero dapprima i sollevati, ma il governo inviò continui rinforzi ai suoi eserciti, e ordinò di devastare e di spopolare le campagne. E questo produsse davvero una guerra di vita o morte. In una serie di combattimenti vinsero i Vandeani, ma poi per le contese dei loro capi si divisero in vari gruppi. Bonchamp, sperimentato condottiero, volle rinnovare l'antico disegno di valicare la Loira e di muovere a ribellione la Normandia e la Bretagna, ma 4000 uomini vi perirono; il resto nell'ottobre assali i repubblicani a Cholet. Per un intero giorno si lottò accanitamente e all'ultimo assalto caddero mortalmente feriti Bonchamp e d'Elbée. Caduti i comandanti, i contadini persero la testa e fuggirono verso la Loira. Quattromila di loro rimasero sul campo.

I repubblicani credettero che la cosa fosse così finita.
Però non si era ancora arrivati a questo punto. Circa 50.000 insorti si radunarono con donne e bambini sulla riva destra della Loira e scelsero per condottiero La Rochejaquelin, un giovane di 21 anni, valoroso e geniale, ma senza esperienza militare e paralizzato da influenze di ogni genere. Il 25 ottobre presso Laval si venne ad una battaglia di diversi giorni, nella quale i repubblicani furono addirittura sconfitti.
Più a mezzogiorno l'abile Charette innalzò di nuovo la sua bandiera, mentre La Rochejaquelin si volgeva contro il porto di mare di Granville, dove aspettava aiuti inglesi. Ma questi non vennero ed egli non aveva cannoni per espugnare quella fortezza.
Volevano allora i capi marciare verso la Normandia, ma i contadini erano attratti verso il loro paese, quindi si diressero su quello. Presso Nantes furono riportate due vittorie e si raggiunse poi Angers. Troppe tardi gli abitatori del Bocage cercarono di assicurare un passaggio della Loira ai loro esausti compatrioti. Scemati fino a 25.000 uomini furono raggiunti da Kleber, da Marceau e da Westermann e battuti il 13 dicembre con grandi perdite. Alla sconfitta seguì una orribile strage, nella quale si vuole che siano periti 5 .000 uomini. I superstiti, che fuggivano verso ponente dovettero pure soccombere dopo un'eroica difesa.

Subito sopraggiunse la vendetta del governo. A Nantes e ad Angers furono istituiti dei tribunali rivoluzionari che infierirono in modo indescrivibile. Al commissario Carrier non bastava che il tribunale eccezionale di Nantes potesse far perire ogni giorno 200 sventurati. Faceva perciò portare i prigionieri su due grosse barche e annegare poi nella Loira. Questo si chiamava il «battesimo rosso». Così egli fece morire crudelmente almeno 5.000 vittime. Né vi é da meravigliarsi che i sopravvissuti preferissero di combattere ancora disperatamente, invece di lasciarsi uccidere senza opporre resistenza. Tuttavia non potevano riuscire nel loro intento.

La guerra della Vandea non ebbe in nessun modo l'effetto, che avrebbe potuto avere. Senza entrare nelle precise ragioni di questo fatto, ci limiteremo ad osservare che gli Inglesi dimostrarono un'intelligenza limitata, non venendo in soccorso ai sollevati con un esercito da sbarco, come fecero più tardi nella penisola iberica.
Diversamente da Tolone avrebbero potuto conquistare Marsiglia, Lione ed altre città e certo la Bretagna e la Normandia. Il movimento da locale e rurale si sarebbe mutato in provinciale ed avrebbe forse deciso il fato del governo del terrore. Gli Inglesi trovarono più comodo falsificare la carta-moneta repubblicana (gli assegnati) e d'introdurla in gran quantità nel commercio francese per sconvolgere il credito del governo nemico.

Mentre nel comitato di salute pubblica i membri competenti nell'arte della guerra cercavano di soffocare l'insurrezione e di respingere i nemici esterni, quelli politici imponevano alla Francia un duro giogo. Dovunque le autorità ordinarie furono sostituite più che era possibile da commissari della Convenzione, i tribunali da comitati rivoluzionari, mentre si disarmavano le guardie nazionali. Col pretesto di provvedere ai bisogni dell'esercito si estorsero centinaia di milioni. Gli eccessi più terribili furono commessi per mezzo delle liste degli emigrati, redatte sotto l'influenza degli impulsi più volgari, e queste liste volevano dire morte e rovina finanziaria. Dagli emigrati si passava ai loro parenti; i cittadini di intere città senza alcun accertamento furono dichiarati tutti emigrati.

Dall'ottobre 1792 fino al proprio scioglimento la Convenzione ha pubblicato non meno di 300 leggi contro gli emigrati. Anche contro preti e chiese si era pieni di un odio furioso. Dinanzi alla camera comparve l'arcivescovo di Parigi, uomo privo di carattere, per abiurare l'antica superstizione. Il consiglio della Comune richiese il Duomo di Notre-Dame per un culto da rendersi alla dea Ragione.

Anche il computo del tempo dall'era cristiana doveva cedere il posto ad un'era repubblicana, in cui l'anno risultava di 12 mesi con nomi tratti dall'agricoltura e dalla vita della natura e che partiva dal 22 settembre 1792, quando la repubblica era stata proclamata. In luogo dell'antico sistema di misure e monete fu adottato un nuovo sistema decimale. Invece di rivolgere la parola con un «signore» si utilizzava «cittadino», e come costume nazionale dei migliori cittadini del tempo fu considerato quello formato da una «bluse», zoccoli e berretto giacobino.

La mannaia, la «sanguinosa ghigliottina», divenne il segno del tempo. Andò crescendo l'attività del tribunale rivoluzionario, dove dominava quale pubblico accusatore l'inesorabile Fouquier Tinville. Il 3 ottobre furono posti insieme in stato d'accusa la regina e i girondini. Quando la sventurata Maria Antonietta, tolta dal carcere della «Conciergerie», comparve dinanzi al tribunale, offrì un'immagine commovente di miseria. Quella, che un tempo si era tanto ammirata, stava là in abiti laceri, con i capelli canuti, ma dritta alteramente e con maestà di regina sosteneva la sua causa dignitosamente e con abilità. Diventò una grande regina quando non era più regina.

L'accusa voleva non solo rovinarla materialmente, ma anche moralmente, rinfacciandole di aver corrotto il proprio figlio di otto anni. Il povero ragazzo le fu strappato dal fianco e consegnato ad un ciabattino, che intenzionalmente lo rovinò a forza di acquavite e di percosse.

Dopo il sommario processo, con la sentenza di codanna a morte, il 16 ottobre, alle ore 12 Maria Antonietta la figlia di Maria Teresa, tra due ali di folla e gli urli della plebaglia - dileggiata lungo tutto il percorso - arriva sopra una sgangherata carretta fin sotto il palco della ghigliottina situata in Place du Carrousel, di fronte alle Tuileries. 
Ha le mani legate e vogliono aiutarla a salire le scale, ma rifiuta con un regale cenno, e da sola sale i gradini con un passo leggero simile a quelli dei balli di Versailles, poi giunta sul palco si volta e guarda immobile e in silenzio e senza nessuna emozione le migliaia di "spettatori", poi si gira e si abbandona serena al carnefice, come dire "ora faccia il suo dovere, io sono pronta".


Come per Luigi XVI, chi si aspettava di vedere questa donna "leggera" che tanti diffamavano come una donna frivola e capricciosa, chi si aspettava di vederla piagnucolante, rimase deluso. La donna con una regale fierezza e con inaspettata freddezza si attenne a tutto il lugubre cerimoniale che precedeva l'esecuzione.
Non sappiamo quanto sia vera questa versione, che narra che l'ultima parola pronunciata da Maria Antonietta, sia stata "pardon", rivolta Sanson, quando nella confusione sul palco e con il boia anche lui imbarazzato gli pestò leggermente un piede.

Quattordici giorni più tardi la seguirono i girondini, che in sostanza avevano meritato il loro destino; e come uno scherno suonava per essi l'accusa di realismo. Tra i ventuno che furono portati alla sbarra del tribunale, erano Brissot Vergniaud e Gensonné. Nella loro difesa dettero nuovamente luminosa prova delle doti del loro ingegno ma anche della debolezza del loro carattere. Il 31 ottobre finirono sul patibolo. Il vero capo del partito, cioè Madama Roland, non era fuggita, ma affrontò tranquillamente il suo destino e morì quasi in letizia; suo marito volle morire di sua mano e si suicidò.

Da allora in poi la ghigliottina lavorò senza posa. Per procedere più rapidamente si giudicavano in modo sommario da 20 a 30 accusati alla volta. Perirono allora il Duca d'Orléans, Filippo Egalité, che si accusava apertamente del male fatto ai parenti, poi il primo presidente dell'assemblea nazionale, il settantenne Bailly, e inoltre Barnave, Duport, Manuel, il generale Houchard, la principessa Elisabetta, sorella di Luigi XVI, ed altri. Con una cupa monotonia la mannaia della ghigliottina li colpiva tutti, vecchi o giovani, colpevoli o innocenti.

Come ci narra il "giornale di Sanson" una volta ghigliottinato il condannato, un'apposita cesta raccoglieva la testa. Quando le esecuzioni erano fatte in serie, la cesta era sempre quella e di teste ne accoglieva più d'una. Con una rapidità alcune volte impressionante. Si arrivò anche a 13 esecuzioni in mezz'ora. Ma la procedura richiedeva questa velocità proprio per evitare al condannato delle sofferenze. Tutto doveva avvenire nell'arco di due minuti. E' questa era l'alta "professionalità" di Henry Sanson.

Questa la procedura che avveniva in parte nel carcere e quando il condannato poi saliva i gradini del patibolo:
* dopo la sentenza, spogliazione della persona, esclusi pantaloni e camicia,
* legatura dei polsi dietro la schiena,
* taglio dei capelli per coloro che li hanno lunghi
* taglio del colletto della camicia
* caricamento sulla carretta e percorso verso il patibolo, in mezzo alla folla
* giunto a destinazione, il condannato viene rapidamente issato sul palco e legato, pancia in giu', sulla slitta,
* il capo viene immobilizzato con un traversino appositamente sagomato e scanalato per raccoglire il collo.
* il boia rilascia la mannaia,
* Il boia, o un suo aiutante, esibisce la testa mozzata al pubblico, reggendola per i capelli.  Nel caso il giustiziato sia calvo, la testa deve essere esibita reggendola a due mani per le orecchie.
* Le teste finiscono dentro una capiente cesta
* I corpi dei condannati finiscono in una carretta ,  che alla fine dello "spettacolo" li porta in cimitero dentro una fossa comune.

La ghigliottina si era iniziata ad usarla al posto degli altri barbari sistemi per provocare ai condannati una morte istantanea ed indolore. Ma di dispute in tal senso ce ne furono molte e piuttosto accanite, e su vari temi, su quello morale ma anche su quello scientifico e filosofico.
Alcuni medici sostenevano che, malgrado la decapitazione, il cervello, abbondantemente irrorato di sangue (in quel'occasione ancor maggiore per l'intensa emozione) continui a vivere e pensare per qualche minuto; alcuni sostenevano per 2-3 minuti, altri fino a 15.
Il problema morale e filosofico che molti si ponevano invece era questo: a che cosa pensa una testa mozzata che "sa di essere già morta?" Quali orrendi pensieri agitano quella mente nei pochi minuti che ancora resta cosciente dopo il rapidissimo taglio? Angoscia, terrore, disperazione, rabbia oppure rassegnazione? Molti si chiedevano se, in quei momenti, sia ancora valido il concetto cartesiano del cogito ergo sum. (penso quindi sono, ma sono senza un corpo).
In effetti alcune teste quando cadevano per alcuni istanti gli occhi seguitavano a roteare intorno e "vedevano" con uno sguardo terrorizzante.
La risposta, almeno su quella fisiologica, venne poi nel 1936, quando il russo Pavlov, riuscì a mozzare la testa di un cane e a trapiantarla efficacemente su un altro cane. Ma sugli esseri umani una operazione simile non è mai stata tentata, quindi nulla sappiamo sul pensiero cosciente. Ma neuroscientificamente, in teoria, la testa mozzata di un soggetto seguita  a vivere e pensare per due-tre minuti.

Torniamo al TERRORE.
Gli ebertisti celebravano delle vere orgie, primo fra tutti lo stesso Hébert, che avrebbe potuto essere nello stesso tempo aiutante del boia ed un elegante cavaliere. Ma il suo dominio e quello dei suoi era miserabile, incapace, pieno di rapacità, di dilapidazioni e di disordine. Anche i proletari di Parigi cominciarono ad adombrarsi, e nessuno aveva più di Robespierre un fiuto eccellente per simili cose. Già da lungo tempo gli spiaceva quella compagnia demoralizzata, poiché egli chiedeva obbedienza e quei suoi emuli nell'ebbrezza del potere si facevano sempre più pericolosi.
Chi poteva garantire che non rovesciassero il comitato di salute pubblica, sostituendolo con la comune? agire d'accordo con loro pareva a lungo andare impossibile.

Come sempre, Robespierre procedette cautamente. Si volse verso i dantonisti, che volevano un governo onnipotente, ma moderato e assennato; non faceva questo, a dire il vero, perché regnasse in seguito la mitezza, ma per giovarsene ai suoi fini. Iniziò astutamente l'attacco con una questione, che doveva renderlo popolare, con la religione. In questo campo gli ebertisti, disconoscendo assurdamente la realtà, avevano introdotto il culto della dea Ragione, che però non trovava alcun consenso nel popolo, specialmente nelle donne.

Robespierre si fece allora interprete di questa opinione. Nel club dei giacobini dichiarò che l'idea di una divinità, che rimunerasse o punisse, era schiettamente democratica, mentre l'ateismo era una religione per degli aristocratici. Danton lo appoggiò. Propose una legge che accordava poteri ulteriori al comitato di salute pubblica, limitando al contrario quelli della comune. Le sezioni, d'allora in poi dovevano trattare non più col consiglio della comune, ma col comitato di salute pubblica. Nel tempo stesso Camillo Desmoulins, del partito di Danton, fondava un giornale «Il vecchio cordigliero», dove flagellava gli ebertisti e i loro maneggi e patrocinava una mitezza maggiore.

Questo giornale parve al popolo calpestato una speranza di salvezza; se ne vendettero 200.000 copie e una deputazione di donne osò comparire dinanzi alla Convenzione per reclamare ad alte grida la liberazione dei loro parenti imprigionati. «Il vecchio cordigliero» chiese un comitato di clemenza. Robespierre cominciò a temere che questo movimento di reazione gli togliesse la mano. Gli si mostrò quindi contrario nel club dei giacobini, sostenuto da Collot. I dantonisti si difesero con ogni loro mezzo ma erano i più deboli. Saint-Just fece approvare la sua proposta che i beni delle persone sospette fossero confiscati a vantaggio dei patrioti poveri, decreto di sentimenti ebertistici, ma che procedendo dalla Convenzione sviava dalla comune i « sans culottes ».

La cosa era troppo forte per il consiglio della comune. Questi tentò una sollevazione violenta, ma fu lasciato in asso dai suoi stessi partigiani di ieri, affamati e privi del necessario. Era giunta l'ora di Robespierre, che poteva rovesciare contemporaneamente ebertisti e dantonisti, per restare il solo dominatore.
Il 17 marzo Hébert fu arrestato insieme a 10 compagni, condotto dinanzi al tribunale rivoluzionario e il 24 marzo decapitato. I loro eccessi sempre crescenti avevano alienato da essi gli animi e la loro amministrazione pur scialacquatrice, non consentiva di chiudere abbastanza la bocca alla insaziabile plebaglia parigina. Ormai toccava a Danton. Nel «Vecchio cordigliero» Desmoulins si era dichiarato contro Robespierre, e Danton con la sua eloquenza irresistibile era ancora l'uomo più popolare, come non era mai stato Robespierre.

Pareva che l'occasione fosse propizia per annientarlo, poiché Danton si era rovinato da sé stesso e negli ultimi tempi pareva che il suo vigore fosse come infranto. Lo aveva colto un cupo senso di disgusto e di noia, era divenuto indifferente alla vita, e la sua forza nervosa era esausta. Vide il pericolo, eppure rimase indeciso. Il 30 marzo Saint-Just presentò contro lui e il suo partito un'accusa, a cui seguì immediatamente il suo arresto. Il 2 aprile comparvero dinanzi al tribunale Danton, Desmoulins e molti altri, che non avevano nulla a che fare con Danton, ma che servivano ad oscurare il procedimento.
Ancora una volta in Danton così minacciato si sollevò tutto l'orgoglio di un gran passato. Quando gli furono rivolte le consuete domande, rispose: «Il mio nome sta nel Pantheon della storia, la mia dimora sarà presto nel nulla».

Per dei giorni interi la voce di Danton risuonò nella sala del tribunale e si udiva perfino in strada. La sua presenza e quella dei suoi amici aveva un tal significato che i giudici ne furono intimiditi e gli applausi pagati delle tribune ammutolirono. Non si osò di leggergli in pubblico la sentenza di morte, che gli fu inviata nella cella del suo carcere. Danton morì come un uomo sazio di godimenti, che non teme la morte. Ai patriotti che urlavano contro di lui, comandò autorevolmente di tacere, e al carnefice, che lo stava legando, profeticamente gli disse: «Basta una sola legatura, conserva l'altra per Robespierre».

La fine di Danton é stata uno degli avvenimenti più importanti della Rivoluzione. Se si fosse accortamente ritirato e avesse lasciato logorarsi e calmarsi il terrore, il potere gli sarebbe certamente toccato di nuovo, come al solo che sapeva governare e che poteva soccorrere lo Stato. E allora la sua indole di dittatore avrebbe impedito il triste periodo del Direttorio e certo anche il sorgere di Bonaparte, e avrebbe quindi dato un'altra direzione al corso degli avvenimenti.

Robespierre era allora signore della Francia. Dominava nella Convenzione e nei suoi comitati, nel club dei giacobini, nel tribunale rivoluzionario e nel consiglio della comune. Sedevano però nel comitato di salute pubblica Billaud, Collot e Barére, il cui contegno pareva dubbio, e nel comitato di sicurezza generale solo due altri erano del suo partito. Se perciò il suo potere era considerevole, non era così lieto ciò che il futuro gli prometteva, poiché egli senza doti di uomo di Stato e senza potenza creatrice era capace di compiere qualcosa distruggendo anziché edificando. E la Francia aveva bisogno di un genio creatore, poiché naturalmente il «terrore» poteva essere soltanto uno stato transitorio ma non la soluzione ai grandi e complessi problemi.
Siccome Robespierre ne era di certo la personificazione del genio creatore, a lui così potente rimaneva soltanto di finire in esso e con esso. La sua codardia e la mancanza in lui di una forte personalità fecero si che non si fece avanti lui in prima persona, ma iniziasse a governare tramite gli uomini della Convenzione o del comitato di salute pubblica.
Con questo si rese dipendente da due corpi diversi e sui quali non si poteva contare. Lui appariva soltanto di rado al club; formava anzi una specie di triplice lega con Saint Just e Couthon. Si sentiva poco sicuro, perché dovunque stavano in agguato la vendetta e l'odio. Isolato, osava appena appena presentarsi sulla porta; e sul suo tavolo di lavoro o sul comodino stavano sempre due pistole cariche.

Per rendersi popolare, foggiò una nuova religione della rivoluzione con la dottrina di un essere supremo, dell'immortalità dell'anima e con lui stesso sommo sacerdote.

L'8 giugno fu inaugurato il nuovo culto con una festa solenne, nella quale quell'uomo potente si rese ridicolo nello splendore della sua nuova dignità. Due giorni più tardi rafforzò la sua arma principale, il tribunale rivoluzionario, in cui il diritto di denunzia e quello di accusa fu ampliato fino al pieno arbitrio sulla vita e sulla morte dei cittadini. Questo decreto rese legale il terrore.
Sempre più spesso si udiva attraverso le vie lo schiamazzo bestiale della sguaiata e rozza plebe al passaggio delle carrette dei condannati a morte, sempre più rapida si faceva l'opera della ghigliottina. In sette settimane caddero 1400 teste.
E tuttavia l'effetto mancava, la vista del sangue divenne un'abitudine, le esecuzioni divennero perfino uno spettacolo; il terrore perdette il suo potere; serenamente e con parole argute sulle labbra i condannati si avviavano a morire. Diceva allora Saint-Just: «Il palato del popolo francese é ottuso come quello di un ubriacone. La morte non fa più spavento. La vita é divenuta un deserto». E quello era difatti un periodo triste e spaventoso.

Ma l'eccesso spinse alla resistenza. Quel che rimaneva degli ebertisti e dei dantonisti si raccolse nel partito della Montagna (montagnards), guidato da Tallien e da Barras e ben presto anche da Sieyés e dallo scaltro Fouché. Inoltre Collot, Billaud e Barére sempre più si allontanavano dal dominatore. E nel comitato di salute pubblica non si diceva ma comunque si sapeva già da lungo tempo che Robespierre prima o poi lo avrebbero sacrificato. Vi era quindi una serie di controcorrenti, che restavano però isolate, perché nessuno si fidava dell'altro.

In queste circostanze era uomo di gran carisma Carnot, che al pari di Collot capiva come l'unica salvezza fosse riposta nel prevenire la strage minacciata, poiché SaintJust già proclamava la necessità di una dittatura.
La maggior parte della Convenzione fluttuava incerta, ma a poco a poco inclinò verso questi potenziali congiurati. Quando il 24 luglio Carnot mandò nelle file dell'esercito attivo la maggior parte dell'artiglieria parigina, avvenne la rottura, perché Robespierre e i suoi amici conclusero giustamente che si voleva disarmarli il più possibile.

Subito intervennero contro il comitato di salute pubblica e il 26 luglio (8 termidoro) misero in campo i provvedimenti opportuni. Robespierre incontrò nella Convenzione un'opposizione violentissima, finché agitandosi fu preso da così tanta collera, che gli impediva perfino di parlare. Una accoglienza peggiore gli riservava il club, dove Collot e Billaud furono coperti d'invettive, e si fece la proposta d'impadronirsi delle Tuileries.
Robespierre la respinse, per quanto probabilmente gli avrebbe procurato la vittoria. Prevedendo il destino che si appressava, da alcuni giorni aveva perduto la consueta sicurezza. Anche nel comitato di salute pubblica le due parti avverse venivano a collisione violenta. In ambedue i campi si lavorava segretamente e con ogni potere.

Il 27 luglio SaintJust salì la tribuna della Convenzione per accusare i nemici di Robespierre. Aveva appena incominciato a parlare, quando si scatenò un terribile tumulto. Venne meno in SaintJust il vigore, e Robespierre tentò inutilmente d'impadronirsi della tribuna. Improvvisamente e fatalmente lui, Couthon e SaintJust furono posti in istato d'accusa e tratti fuori come arrestati.

Eppure la cosa non era stata ancora decisa. Il consiglio della comune chiamò alle armi il popolo; di nuovo suonarono le campane a stormo e si radunarono considerevoli truppe Robespierre fu condotto al palazzo comunale, dove comparvero anche i suoi amici. Tutto dipendeva dal modo di giovarsi delle prossime ore e qui fece difetto in lui l'uomo di azione. Sedette là indeciso, non poté orientarsi in mezzo al procedere tempestoso ed «illegale» (ma questa era ormai la norma) degli avvenimenti e sprecò quel tempo nel discutere sulla sollevazione, che si stava compiendo senza la sua regia.

Frattanto la Convenzione, che si era adunata di nuovo, pose fuori della legge Robespierre con i suoi partigiani e nominò Barras comandante della forza armata. Il comitato di salute pubblica e quello di sicurezza tennero per la Convenzione e si rivolsero alle sezioni. I cittadini migliori obbedirono. Verso la mezzanotte si erano presentati circa 6000 uomini. Questi marciarono verso la piazza di Gréve, la trovarono occupata solo debolmente e penetrarono nel palazzo comunale.


Nessuno osò opporre una seria resistenza. Robespierre giaceva su un giaciglio di fortuna con una mascella fracassata, né si può decidere se egli si sia ferito da sé stesso o se un gendarme abbia fatto fuoco su di lui. Si confermò così ancora una volta l'antica regola di fatto che ogni potere politico vien meno se non può appoggiarsi sopra una forza militare: Robespierre era di indole poliziesca, ma non era un soldato né era un uomo di Stato.

La convenzione aveva vinto. In quel medesimo giorno, il 10 termidoro, colui che era stato il dominatore della Francia, suo fratello, Saint-Just, Couthon, Henriot e vari giacobini, 22 in tutto, furono portati sotto la ghigliottina e decapitati da Henri Sanson, che con "professionalità" tagliò per primo la testa al suo principale "datore di lavoro" Robespierre.
Un "superlavoro"! Nei famosi giorni (28-31 luglio) si racconta che il boia aiutato anche dai suoi figli, in questa occasione, abbiano battuto il record, poco invidiabile, di 12 esecuzioni in 13 minuti. Vero o falso tuttavia sappiamo che in tre giorni finirono sotto la ghigliottina 1306 persone.
A quelli di Robespierre seguirono presto altri 95 dello stesso partito; quelli che sopravvissero fuggirono o lo rinnegarono. La Francia respirò, come se si fosse liberata da un incubo. Il regno del terrore era soffocato nel sangue, che aveva versato a torrenti.

La gioia era indescrivibile; si credeva imminente un roseo avvenire.
Si dimenticava che il colpo di stato non era stato opera dei moderati,
ma opera di vari gruppi terroristici, che volevano eliminare non tanto il terrore, ma solo alcuni suoi rappresentanti, e sostituirsi ad essi.

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