-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

107. LA LITUANIA E LA LETTONIA (RUSSIA NERA)


Il regno lituano alla fine del XIV secolo

Sulla costa orientale del Baltico si addensava una serie di popolazioni di razza finnica e lituana (molto affini agli Slavi). I Finni dell'Estonia, Livonia e Curlandia erano tra le popolazioni più energiche della loro stirpe, quasi che l'aria del mare li avesse temprati; i Letti e Lituani invece erano la vera e propria incarnazione del tipo campagnolo. Tutto faceva credere che questi popoli non sarebbero mai arrivati spontaneamente ad organizzarsi politicamente ed a costituire degli stati, tanta e così completa era la loro disgregazione. Per lo scarso sentimento di solidarietà nazionale, per la mancanza di una autorità superiore coordinatrice, o perchè non capaci di fare i conquistatori non potevano che essere vulnerabili. Vivendo così, non potevano prima o poi che cadere in preda dei vicini.

Essi rimasero pertanto esposti all'invasione straniera, e difatti non appena le navi di Lubecca, appoggiandosi a Gotland e Wisby, giunsero a toccare per scopi commerciali la costa della Livonia, scoprirono questa gente del tutto pacifica, con la loro atavica religione pagana, mandarono avanti i religiosi e cominciò l'opera di conversione, iniziata e proseguita con successo dal monaco Meinardo fin dal 1184, e con questa poté procedere in parallelo la colonizzazione e conquista tedesca del paese.

L'impresa cominciò dalla Livonia ed il suo successo venne assicurato dalla creazione (avvenuta nel 1204) di un apposito ordine monastico-cavalleresco, una "militia Christi" (i cavalieri della Spada) sotto l'alta sovranità del vescovo di Livonia (in seguito arcivescovo di Riga); esso assoggettò le popolazioni locali che ad altro non badavano se non a occuparsi delle loro faccende o al massimo avevano qualche litigio interno, fra i vari gruppi.
Nel 1236 però la massima parte di quest'Ordine cadde sotto la spada dei Lituani, ed allora i suoi residui vennero incorporati all'Ordine Teutonico prussiano (di cui abbiamo già parlato nel capitolo dedicato alla Polonia) il quale, mentre era sovrano in Prussia, si trovò, per rispetto ai suoi organi provinciali di Livonia, soggetto alla sovranità del vescovo di Riga; condizione di cose che provocò in seguito gravi attriti col vescovo e col comune di Riga.

Ad ogni modo la signoria tedesca si estese ora dalla Vistola al golfo d'Estonia, e dopo l'opera dei monaci cavalieri seguì l'opera civilizzatrice dell'Hansa; una industriosa vita cittadina germogliò e fiorì da Riga fino a Dorpat e Reval, mentre cavalieri tedeschi come vassalli dei vescovi e dell'Ordine Teutonico costruirono nelle campagne numerosi e ben muniti castelli.
In un sol punto della linea accennata, cioè tra il Niemen e Libau, il dominio tedesco era limitato ad un'esile striscia di costa; di modo che occorreva procedere alla conquista dell'Hinterland se si voleva ottenere una completa continuità fra il territorio prussiano dell'Ordine Teutonico ed il nuovo territorio conquistato in Livonia, altrimenti era destinata a fallire la trasformazione di questa parte del Baltico in un mare tedesco. Ma la fusione dei due territori venne frustrata dalla tenace resistenza dei Lituani.

I Lituani dimoravano tra il gomito settentrionale del corso del Niemen e la Dvina ed abbracciavano le due tribù dei Zumaiti e dei Samogiti. Il paese da loro occupato era povero e squallido, privo di sali e di metalli, coperto di foreste e di paludi; così tanto misero che dissero che potevano pagare il tributo ai Russi solo in scope di betulla ed in stoppie.
Come la vita, così era semplice e rudimentale la religione dei Lituani; di essa ciò che colpiva maggiormente i vicini era l'adorazione del fuoco, che veniva mantenuto costantemente acceso, e dei serpenti. Il tenace attaccamento alla tradizione e lo spirito conservatore (la stessa lingua lituana é rimasta immobile ad uno stadio prettamente arcaico), la diffidenza, l'ostinatezza, la prudenza unita all'energia nell'agire ed in genere un'indole burbera e tenace, caratterizzavano gli abitanti dell'umida e inospitale Lituania (che significa il «paese
delle piogge»); molto diversa dalla bonomia degli Slavi.
Mentre ai loro più stretti parenti di razza, gli audaci Jatvingi del Bug, ai Prussiani ed ai Letti della Dvina, difettava ogni capacità di organizzazione politica ( e l'abbiamo vista) i germi latenti di potenziali capacità esistevano nei Lituani, e furono i Russi a risvegliarli, a tutto loro danno.

Nei principati russi del medio corso del Niemen, confinanti con la Lituania, nei principati cioè di Polozk, Witebsk e Pinsk, la disgregazione era massima; ciò attirò fuori dalle loro foreste i Lituani, a capo dei quali vediamo che già si trovava un «anziano», indubbiamente una istituzione sorta chissà quando per i bisogni della difesa ed in caso di guerre.
Ben presto le incursioni temporanee si trasformarono in occupazioni permanenti di territorio russo, e dall'inizio del XIV secolo le regioni occidentali russe andarono man mano perdendo tutta la loro indipendenza. Le conquiste dirette ovvero la devoluzione di questo o quel paese a lituani - in seguito a matrimonio con donne russe - aggregarono l'una dopo l'altra quelle regioni alla Lituania propriamente detta e ben presto l'estensione di questi territori russi incorporati superò di gran lunga la esigua base etnografica del dominio lituano.

Nel 1350 erano già divenute lituane la Russia Nera e le regioni di Polozk, Witebsk, Pinsk e Turow; nella seconda metà del XIV secolo la Lituania accampò pretese sulla Volinia (in seguito all'estinzione della dinastia che vi era dominante) in competizione con la Polonia; la questione fu definita mediante una spartizione del paese. Da ultimo si ebbe l'annessione alla Lituania del principato di Kiew e della Podolia. Con tutto ciò la dinastia lituana rimase pagana; pagani furono Gedimin, che per primo pose la sua residenza a Vilna, ed i suoi due figli Olgerd e Kinstut.

Come tutti i pagani, i Lituani erano tollerantissimi, ed a differenza di quanto avveniva nell'Europa cristiana, a Vilna coesistevano pacificamente le une accanto alle altre le chiesette cattoliche dei francescani, le chiese ortodosse russe ed i templi lituani dove si adorava il fuoco. Alcuni membri della famiglia regnante abbracciarono la religione ortodossa russa e la conversione degli altri alla stessa fede era soltanto questione di tempo; la civiltà superiore dell'elemento russo, così abbondante di numero, soffocava completamente l'elemento lituano, il quale parve destinato a russificarsi sotto l'aspetto confessionale, culturale e nazionale.

Il descritto ingrandimento della Lituania era una spina negli occhi per l'Ordine Teutonico; quest'ultimo, dopo la sottomissione della Prussia, progettava naturalmente la sottomissione graduale, prima degli Zumaiti e poi della rimanente Lituania, e già da tempo aveva iniziato le sue spedizioni contro le città lituane di Kowno, Troki e Vilna; spedizioni invernali, perché soltanto il gelo consolidava le paludi e rendeva possibile attraversare i terreni delle pianure e delle foreste.
La pacifica cristianizzazione che si verificò in Lituania sconvolse i suoi piani, perché tolse ogni giustificazione al suo intervento, ed infatti Olgerd chiese che l'Ordine fosse trasferito dalla Prussia ai confini della Russia per combattere contro i Tartari. Olgerd e Kinstut, una coppia ideale di fratelli, si erano diviso il compito. Olgerd, uno dei più prudenti e risoluti condottieri, un uomo di straordinaria energia, di una operosità infaticabile e di una immutabile serietà di carattere, vigilava alle frontiere orientali; Kinstut si assunse l'incarico di difendere le frontiere occidentali contro l'Ordine, il quale nel periodo dal 1345 al 1382 fece novantasei spedizioni contro la Lituania; da parte sua Kinstut, il più cavalleresco avversario, benché pagano, che l'Ordine avesse mai trovato contro di sé, rispose invadendo quarantadue volte la Prussia e la Livonia.

Una vera e propria battaglia campale peraltro non si ebbe più. Tuttavia l'Ordine guadagnava continuamente terreno perché poteva disporre delle inesauribili risorse di uomini che ad esso affluivano dall'Europa. Era infatti divenuto e divenne sempre più di moda in Europa di andare a far la scuola delle armi nelle schiere dell'Ordine. Ancora nel 1410, allorché gli inviati polacchi presso la corte inglese pregarono il re (Enrico IV) di impedire ai suoi sudditi di accorrere sotto le insegne dell'Ordine, il re sorrise, dicendo di non sapere come potesse opporsi, dal momento che egli stesso era un ex allievo dell'Ordine (vi aveva fatto le sue prime armi nel 1391).
E spesso questi pellegrinaggi nella scuola delle armi in Prussia furono veramente splendidi, come ad es. quello fatto (per la terza volta) da Giovanni di Boemia nel 1345, quando vi si recò accompagnato da circa duecento principi e cavalieri.

Ad Olgerd successe il figlio (uno dei molti suoi figli) JAGELLO, il quale aveva ereditato dal padre la serietà del carattere, la semplicità, la superstizione pagana e la russofilia; e altrettanto si trasmise nei riguardi del cugino Witowt, il figlio maggiore di Kinstut, un po' dell'attaccamento che aveva caratterizzato i rapporti tra i genitori. A dire il vero gli inizi del suo governo non furono affatto buoni; egli dovette sostenere lotte col vecchio zio superstite che gli si contrappose come rivale e vi trovò la morte, dovette far fatica per tenere a bada l'Ordine Teutonico ed affrontare i tradimenti dei cugini.
Ma da questo periodo transitorio di complicazioni spiacevoli Jagello uscì trionfante, quale unico principe dei Lituani e dei Russi; ai suoi ordini i fratelli ed i cugini governarono le altre regioni senza altri problemi. A tal punto era la sua serietà che la nobiltà della Piccola Polonia lo invitò a chiedere la mano della propria regina, a condizione che si convertisse alla fede cattolica insieme con i fratelli, con i grandi del suo stato e con i suoi sudditi pagani, e che inoltre ripristinasse il regno di Polonia nei suoi antichi confini ed incorporasse per sempre i suoi possedimenti lituani e russi alla corona polacca.

Il passato stava lì a dimostrare che ciascuno dei due stati non era in grado di sostenere da solo le inevitabili lotte con l'Ordine Teutonico; é quindi più che naturale che abbiano cercato di riunirsi. E i vantaggi di questa unione non tardarono a farsi sentire per la Polonia. Jagello, che aveva col battesimo assunto il nome di Vladislavo, passò con numeroso seguito in Lituania, dove portò a compimento la cristianizzazione di tutto il paese (salvo i Semaiti ostinati nel paganesimo); nel 1387 fu istituito a Vilna il vescovado di Lituania ed i templi pagani vennero eliminati. Il popolo, iniziato dallo stesso re alla nuova fede, si piegò docilmente ad accoglierla. Contemporaneamente i vassalli lituani del re furono parificati alla nobiltà polacca e fruirono come i nobili polacchi di piena indipendenza, sopra tutto quelli che abbracciarono la fede cattolica, ai quali fu consentito - se convertiti - di accedere alle cariche pubbliche e di imparentarsi con la nobiltà polacca.

Ma questa facoltà di escludere dagli uffici pubblici il «bojar» di fede russa non venne esercitata di fatto, ed in seguito fu anche abolita per legge. Frattanto la bella regina Edwige aveva per sempre scacciati dal territorio di Halicz gli Ungheresi insediati ancora al tempo di suo padre e la situazione si delineò straordinariamente favorevole alla colonizzazione polacca e soprattutto diede la possibilità di accontentare l'ingordigia di terre dell'alta nobiltà; principalmente la fertile Podolia, abbandonata dai Tartari, attirò questo movimento immigratorio in misura così numerosa che ben presto vi si formò una numerosa classe di latifondisti polacchi, la quale però non sopportava di vedere il paese nella condizione di una provincia lituana e si agitò, al pari che nella Volinia, per l'incorporazione di questi paesi alla corona polacca.

Re Vladislavo nel 1392, escludendo i propri fratelli incapaci, aveva nominato suo cugino WITOWT (Alessandro, secondo il nome da lui assunto col battesimo) principe di Lituania a vita. Ma Witowt nel 1399 perdette la decisiva battaglia della Worskla contro i Tartari, e ciò rese i Lituani più arrendevoli di fronte alle pretese dei Polacchi; l'idea unionista acquistò maggior forza e ben presto questa unione doveva avere il suo battesimo di sangue.

Finché visse la regina Edvige, una vera santa donna, la pace rimase assicurata. Ma essa morì nel 1399 e le cose precipitarono immediatamente. Tra l'Ordine Teutonico e la corona polacca i dissensi non erano così gravi da non potersi conciliare; perciò l'Ordine cercò di eliminare la Polonia per risolvere con la sola Lituania la questione del paese dei Semaiti tuttora pagani, paese ad esso più volte ceduto, già quasi completamente conquistato e poi riperduto.
Ma Vladislavo fece invece sua la causa di Witowt, e quest'ultimo anzi concepì grandiosi progetti, possibilmente la rivendicazione dell'intera Prussia, il suo «retaggio avito» ; ed anche i Polacchi, irritati per la partigiana sentenza arbitrale resa da Venceslao a loro svantaggio, dichiararono di voler «combattere per la completa distruzione dell'Ordine».

Così, ad onta di tutti i buoni uffici interposti dai due Lussemburgo, di tutte le trattative e i tentati componimenti, si venne alle armi.
Lo scontro trovò i due avversari ben preparati. L'esercito lituano-russo, condotto da Witowt in persona, si congiunse il 30 giugno 1410 sulla Vistola con l'esercito polacco, guidato dal gonfaloniere di Cracovia e dallo stesso re; il 9 luglio le due armate penetrarono in territorio prussiano ed il 15 si venne a battaglia presso Tannenberg e Grunwald.
L'Ordine Teutonico, sul quale bisogna dire non vegliava più lo spirito di Winrich von Kniprode, aveva radunato il più forte esercito che avesse mai messo in campo, mercenari assoldati e contingenti di molti principi, come quelli di Stettino, Oels ed altri. Malgrado la presenza di truppe di fanteria e di arcieri, la battaglia fu di tipo prettamente medioevale, cioè affidata sostanzialmente all'opera della cavalleria pesante.
E da questo lato l'Ordine aveva un vantaggio per la nota irresistibile foga dei suoi cavalieri. Dalla parte avversa vi era bensì una certa superiorità numerica, ma al primo urto della cavalleria prussiana tutta l'ala sinistra dell'esercito alleato, composta di Lituani, Russi e Tartari, rimase travolta, così che solo pochi riuscirono a salvarsi ripiegando sul grosso dell'esercito formato dai contingenti polacchi.

Ma questi ultimi tennero fermo, e quando il gran maestro dell'Ordine per strappare la vittoria conclusiva lanciò alla carica tutte le sue riserve, quando già le sue schiere stavano per impadronirsi dello stendardo reale mettendo in pericolo la stessa persona del re, la fortuna lo abbandonò; egli stesso trovò la morte nella mischia; cadde il maresciallo dell'Ordine, cadde la maggior parte degli ufficiali, ed allora l'esercito prussiano a quel punto si mise in fuga disordinata, decimato durante questa dagli inseguitori, le cui perdite, paragonate a quelle dell'esercito dell'Ordine, furono insignificanti. I vincitori proseguendo si impossessarono del campo prussiano, distrussero la barricata di carri ove erano già preparati i ceppi destinati ai Polacchi e avanzarono senza più ostacoli fino alla Marienburg, non conquistandola ma mettendola in assedio.

Questa battaglia ha distrutto per sempre la potenza dell'Ordine Teutonico, non tanto per le perdite di uomini e di materiale che la Germania, le cui simpatie erano state costantemente dalla parte dell'Ordine, avrebbe potuto agevolmente riparare, ma perché rivelò su quali deboli basi poggiava la dominazione di quest'Ordine in Prussia. Alla sconfitta seguì infatti immediatamente la defezione delle città prussiane e della nobiltà che passarono dalla parte del re vittorioso; Elbing, Thorn, Braunsberg, ecc., fecero addirittura a gara a chi prima rinnegasse l'Ordine e la nobiltà già sul campo di battaglia si era dimostrata di dubbia fede.

E ciò si spiega, perché, nonostante la sua mirabile ed efficiente amministrazione, l'Ordine si era rivelato in Prussia un padrone assai incomodo. Nulla legava questi monaci-guerrieri al paese cui erano stranieri; ai paesani era precluso l'ingresso agli uffici pubblici d'ordine superiore; le città teutoniche sì godevano di una certa autonomia interna, ma erano ben lontane dal possedere una qualsiasi libertà d'azione nei rapporti esterni, libertà di cui invece fruivano le città sorelle anseatiche; anzi con queste l'Ordine ostacolava alle sue città in tutti i modi i potenziali reciproci commerci.

Si aggiunga che il popolo prussiano era venuto sempre più acquistando coscienza di sé ed aveva cominciato a mal tollerare la sovranità dell'Ordine come una invisibile catena al piede. Cioè in Prussia era sorto ora un nuovo popolo; il nome era rimasto il medesimo, ma il suo contenuto si era trasformato; era stato certamente merito dei cavalieri teutonici l'aver creato con la loro energia questo nuovo popolo, ma col tempo gli interessi delle due classi erano divenuti inconciliabili.
L'Ordine poteva continuare a vincere battaglie, a sostenere assedi, a procurarsi con le sue ricchezze arbitrati favorevoli, ad accattivarsi l'opinione pubblica in Germania; ma la sua ragion d'essere era venuta meno, ed il suo rigido attaccamento all'antico, la sua avversione a qualsiasi concessione al popolo ed alle città, lo rese sempre più odioso e fece risaltare sempre più il contrasto con la libertà di cui si godeva in Polonia, verso la quale si volse l'animo delle popolazioni.

Contribuì da ultimo pure il fatto che la situazione economica divenne in Prussia ogni giorno peggiore, a causa delle spese enormi provocate dalle guerre e dalle necessità dei continui armamenti per esser sempre pronti militarmente.

La Marienburg, contro la quale si volse l'esercito vittorioso dopo Tannenberg e Grunwald, avrebbe potuto essere presa metaforicamente, ma mai nella realtà conquistata; l'assedio si protrasse quindi troppo a lungo, e fu anche condotto male, ma del resto questo polacco era ancora un esercito di tipo feudale.
Quindi i risultati finali della campagna non fruttarono gran che ai Polacchi, e, salvo una forte indennità, la pace del 1411 ristabilì press'a poco lo statu quo ante; ma fu una pace malsicura ed il pericolo di nuovi urti rimase sempre imminente, finché alla fine del 1423 l'Ordine rinunziò completamente ai Semaiti e anche alla riunione della Prussia e della Livonia.

Oltre a ciò il ramo livoniense dell'Ordine, che era quasi sempre rimasto abbandonato a sé stesso, divenne più indipendente, di modo che nello interno dell'Ordine si verificò un processo di disgregazione, mentre invece Polacchi e Lituani si unificarono sempre più completamente.
Alla dieta di Horodlo (1412) gli ordinamenti polacchi (voivodati, castellanie), vennero infatti estesi alla Lituania, la nobiltà cattolica lituana fu parificata alla nobiltà polacca di cui acquistò la sconfinata libertà, furono stabilite ed organizzate assemblee e diete di ambedue le nobiltà e si decise inoltre che alla morte dei principi regnanti non si doveva eleggere né in Lituania un principe senza il consenso dei polacchi, né in Polonia un re senza il consenso dei lituani.

Da questo momento comincia l'espansione della cultura, dei costumi e della lingua polacca fuori dei confini del popolo polacco. Re Vladislavo rimase per verità russo fino alla morte, ma la sua corte, la chiesa, la scuola, le città si saturarono di elementi polacchi di cultura superiore. Tale processo di penetrazione si attuò rapidamente ed irresistibilmente, malgrado che nessun provvedimento fosse stato adottato per intensificarlo o affrettarlo: esempio imponente di conquista prettamente pacifica, civile, spontanea, dovuta alla superiorità di cultura di una nazione rispetto ad un'altra; fenomeno di cui la storia non presenta l'uguale e che si effettuò ad onta dei forti antagonismi nazionali e sopra tutto confessionali.
Anzi in materia confessionale tutto ciò fece sorgere la speranza non solo di una possibile pacificazione interna del paese, ma anche del riconoscimento dell'autorità di Roma in Oriente e dell'unificazione delle due chiese tanto agognata dai papi. Witowt fece eleggere dai suoi vescovi ortodossi un metropolita ortodosso residente a Kiew che si prestò ai progetti di unione con Roma. Egli si recò al concilio di Costanza per farvi una dichiarazione di obbedienza, ma il concilio proprio in quel momento si sciolse e non fu più in grado di prendere in esame la grande questione dell'unificazione delle chiese cattoliche polacche e ortodosse Lituane.


Witowt morì senza prole e con lui sparì l'ultimo rappresentante dell'indipendenza lituana. Anche suo cugino, re Vladislavo, malgrado avesse preso parecchie mogli successivamente, non aveva figli maschi; sua figlia Elisabetta era destinata ad andare sposa all'erede del Brandeburgo. A tale scopo Federico I di Hohenzollern aveva mandato questo suo figlio (Federico) a Cracovia, dove era rimasto molti anni acquistandovi molte amicizie e simpatie; ma la morte di Elisabetta mandò tutto a monte. Finalmente il re ebbe dall'ultima sua moglie dei maschi. Ma egli non poté ottenere il riconoscimento del diritto di successione al trono di suo figlio Vladislavo se non a prezzo della concessione di nuovi privilegi alla nobiltà polacca; di modo che l'indebolimento dell'autorità regia fece ben miseri progressi (in pratica governavano soli più i nobili); la nobiltà si garantì contro ogni attentato possibile della corona contro le sue libertà ed i suoi beni ed ottenne che fossero incorporate alla corona polacca non solo la Podolia, ma anche la Lituania dopo la morte del principe che attualmente la governava.

Ciò era in contrasto con le aspirazioni dei lituani; perché in Lituania dopo Witowt era stato eletto dai Lituani contro i patti fatti alla dieta di Horodlo (1412), Switrigail, fratello di Jagello, che era portato e sostenuto dall'elemento russo, ed era stato pure confermato dal poco energico re. L'unione fra i due paesi correva pertanto serio pericolo.

Alla morte di Vladislavo (Jagello) avvenuta nel 1434, il «regno di Cracovia», come lo designarono i suoi avversari durante il XIV secolo, era divenuto una grande potenza europea; già esso tendeva ad estendere la sua sovranità verso mezzogiorno, giacché la Moldavia era divenuta feudo della corona polacca dal 1389, e ben presto si rivelò quanta attrazione esercitava questa Polonia con i suoi Jagelloni e con l'idea che essi impersonavano.
Mentre gli Absburgo non poterono accrescere i propri dominii che mediante matrimoni e patti di successione, e per lo più contro la volontà dei popoli, furono invece gli stessi popoli ad offrire spontaneamente le loro corone ai Jagelloni; così avevano già fatto i Boemi nel 1422 e soltanto gli antagonismi religiosi avevano impedito a Vladislavo e a Witowt di accettare la corona boema.

Durante la minorità del nuovo re, Vladislavo, il mantenimento dell'ordine nelle singole province fu curato da « tutori »; ma l'anima del governo fu il vescovo Olesnicki di Cracovia, l'ultimo rappresentante della gerarchia ortodossa medioevale e della sua influenza predominante nella vita spirituale e politica della nazione polacca. E fu l'influenza di quest'uomo che paralizzò ogni eventualità di fusione dei Polacchi con i loro connazionali, i Boemi, di confessione diversa; egli invece favorì il progetto di unione con l'Ungheria.

Infatti gli Ungheresi, invece di attendere la maggiore età di Ladislao Postumo e di aspettare invano aiuti da parte tedesca, preferirono di fronte al crescente pericolo turco, di offrire la corona al re di Polonia, ed il giovane e cavalleresco re, l'ultimo cavaliere cristiano coronato, la accettò con gioia. Egli sognava di cacciare la mezzaluna dall'Europa; ed in realtà ottenne splendide vittorie, e la pace che lo scoraggiato sultano gli offrì nel 1444 conteneva le condizioni più seducenti, tali quali non furono mai più offerte dai maomettani ad un sovrano cristiano.
Ma egli non volle accettarle, e nella successiva campagna, insufficientemente preparata, l'eroico re cadde ucciso vicino a Varna (1444). Gli Ungheresi presero la fuga, i Polacchi furono sterminati; questa sconfitta suggellò la fine di tutti gli stati cristiani balcanici, rese inevitabile la caduta di Costantinopoli e guarì per sempre la Polonia dalla velleità di entrare in una lega contro i Turchi.

I Polacchi offrirono ora la corona a Casimiro, fratello di re Vladislavo e principe di Lituania, che però indugiò per anni ad accettarla. Questo perché, sebbene Switrigail, il successore di Witowt e il nemico dell'unione lituano-polacca, fosse stato deposto da un partito avversario e, malgrado l'appoggio dell'Ordine Teutonico di Livonia, messo fuori di condizione di nuocere con una grave disfatta inflittagli, gli attriti fra Lituania e Polonia per la questione della Volinia e della Podolia duravano tuttora, e quindi gli conveniva temporeggiare per spingere le cose ed una soluzione.
Questa sua calma ponderata gli doveva fruttare dei successi anche da un'altra parte, come nella definitiva soluzione, a lui dovuta, della questione prussiana.

A questo punto la tensione tra l'Ordine Teutonico e la nobiltà e borghesia prussiane che si erano unite in lega contro l'Ordine, aveva raggiunto il suo stadio critico; intervenne l'imperatore a favore dell'Ordine e punì la lega, ed allora i delegati di questa nel 1454 offrirono la Prussia al re di Polonia, purché garantisse loro la salvaguardia ed il mantenimento dei loro diritti. Casimiro dichiarò immediatamente la guerra all'Ordine, ma questa si trascinò per anni ed anni senza che si arrivasse a delle azioni decisive; alla fine l'Ordine completamente esausto di forze cedette alla Polonia con la pace di Thorn (1466) tutta la «Prussia occidentale» (Pomerellen con Danzica sulla sinistra della Vistola, ed inoltre Thorn, Kulm, Elbing, Marienburg) e ricevette in feudo dalla Polonia il resto del suo territorio («Prussia orientale »).

Nei sei mesi successivi alla sua elezione ogni nuovo gran mastro dell'Ordine doveva prestare al re il giuramento di fedeltà e di omaggio, col che diveniva principe del regno di Polonia ed occupava il primo posto nel consiglio regio (questa clausola mirava a rompere ogni legame tra l'Ordine e l'imperatore tedesco); in seno all'Ordine dovevano essere accolti dei polacchi fino alla concorrenza della metà dei suoi membri (clausole che l'Ordine peraltro osservò poco o nulla).
La Prussia polacca conservò piena autonomia, le sue diete nazionali (con rappresentanti delle città), l'esclusiva spettanza agli indigeni delle sue cariche pubbliche civili ed ecclesiastiche; i suoi abitanti vennero parificati per i diritti e gli obblighi ai Polacchi. Solo dopo questi accordi le città prussiane cominciarono a risalire la china dell'operosità, specialmente Danzica si elevò ad un grado straordinario di benessere e di potenza, perché essa monopolizzò alla lettera tutto il commercio con l'immenso entroterra.

Sull'esempio degli Absburgo (egli stesso aveva in moglie una Absburgo) Casimiro iniziò anche lui una politica dinastica in concorrenza con quella degli Absburgo; ma essa fallì pel fatto che la famiglia degli Jagelloni si estinse con la seconda generazione.

Le cose andarono all'inizio molto lisce in Boemia, dove alla morte di Giorgio (1471) la corona passò al suo primogenito, Vladislavo. Ma in compenso i Jagelloni videro sorgersi contro un pericoloso competitore in MATTIA CORVINO, il quale seppe realizzare in parte le sue pretese sulla Boemia con successo molto migliore che non i Jagelloni, e solo le guerre contro i Turchi gli impedirono di procedere ad ulteriori attacchi.

Alla morte di Mattia scoppiò poi la discordia nello stesso seno della famiglia dei Jagelloni. Contro la volontà di Casimiro, che aveva destinato l'Ungheria al suo secondogenito, l'energico Giovanni Alberto, i magnati ungheresi preferirono eleggere Vladislavo, la cui debolezza era più conveniente alle loro mire di illimitato predominio, e infatti questo Vladislavo in qualche modo seppe tener testa vittoriosamente alle armi del fratello.
Mentre il principato di Lituania ebbe sempre la peggio contro i moscoviti, aumentò invece il prestigio e la potenza della corona polacca. I principati masuri, dopo l'estinzione dei Piasti, si allontanarono uno dopo l'altro, così la corona rimise piede in Sesia mediante acquisti di territori; tanto il nuovo gran mastro dell'Ordine Teutonico, quanto il voivoda della Moldavia furono costretti a riconoscersi suoi vassalli.

È più che naturale, dopo tutto questo, che i papi per i loro progetti di guerre contro i Turchi mettessero gli occhi soprattutto sulla Polonia come la potenza che avrebbe dovuto costituire il fondamento della lega cristiana contro gl'infedeli; ma Casimiro ed il suo popolo avevano perduto ogni voglia di impegnarsi ad essere gli eroi della fede. Alla morte di Casimiro (1492) il regno dei Jagelloni aveva raggiunto la sua massima estensione ed andava dal Baltico al Mar Nero.
Ma la stirpe dei discendenti di Gedimin e di Olgerd era ormai già esaurita; fra i numerosi figli di Casimiro il solo Giovanni Alberto aveva ereditato l'energia dei suoi antenati; ma non ne aveva ereditato la buona fortuna e l'abilità. I Lituani si affrettarono ad eleggere come loro principe un altro figlio di Casimiro, l'incapace Alessandro, mentre i Polacchi elessero Giovanni Alberto.
Il progetto di conquista che Giovanni Alberto volle attuare, col pretesto di una guerra contro i Turchi, cioè la Moldavia per suo fratello Sigismondo, fallì perché non gli arrivarono i promessi contingenti ausiliari di Vladislavo d'Ungheria e di Alessandro di Lituania; la ritirata cui il re fu costretto dal nemico si trasformò nelle foreste della Bucovina in una grave disfatta che rese indipendente i Moldavi.

Mentre architettava nuovi piani il giovane re Giovanni Alberto morì. Questo servì a rendere più stretti i vincoli tra Lituani e Polacchi, perché Alessandro di Lituania fu eletto anche re di Polonia (1501) e tale unione sotto un unico re era destinata a preludere alla definitiva unione politica dei due paesi.

Nel corso del XIV e XV secolo in Polonia anche la costituzione interna subì un processo di evoluzione che si chiuse con la trasformazione di quello che era inizialmente un governo monarchico in un governo della classe aristocratica con il re al vertice; evoluzione che é all'incirca analoga a quella che si effettuò nella vicina Ungheria, salvo che in Polonia il re divenne anche elettivo.
La corona andò per così dire all'incanto, il che fruttò alla nobiltà e al suo stretto alleato i più sconfinati privilegi, finché in ultimo il re divenne soggetto al benestare dei nobili in tutto, anche nel decidere della guerra e della pace.

Questo stato di cose ebbe il suo esponente nella introduzione delle istituzioni parlamentari. In antico non vi erano che dei colloquia, diete regionali, nelle quali il principe discuteva con i suoi funzionari gli affari interni e rendeva giustizia. Queste diete regionali continuarono ad esistere anche quando le varie regioni vennero a trovarsi riunite in una sola monarchia.
È a queste diete particolari che il re doveva rivolgersi specialmente per farsi approvare alcune imposte che erano necessarie e indispensabili per le guerre; il consiglio della corona, composto dei funzionari regi, dei governatori territoriali (voivodi, castellani) e dei vescovi, non potevano infatti più imporre tasse alla nobiltà senza il suo consenso.

Oltre a questa specie di diete particolari ve ne erano anche di carattere più generale; quelle cioè della Grande Polonia, della Piccola Polonia e della «Russia». Tutte queste diete regionali minori e maggiori trattavano fra loro e con il consiglio della corona mediante rappresentanti da ciascuna eletti; col tempo tale sistema rappresentativo finì per dare origine ad un vero e proprio parlamento generale del regno. Esso abbracciò una camera alta, il «senato», che era in sostanza il vecchio consiglio della corona, ed una camera bassa, quella dei rappresentanti delle diete regionali eletti dalle medesime; da questo momento il re rimase per i suoi atti vincolato al consenso del senato e dei rappresentanti delle diete.

A proprio favore la nobiltà ottenne una specie di Habeas-corpus-act, che garantiva anche al nobile che fosse accusato, la libertà personale fino a quando non fosse stato reo confesso davanti ai tribunali; e così pure questa classe riuscì nel proprio interesse a far stabilire che tutte le dignità ecclesiastiche più elevate dovessero essere riservate ai suoi membri, che alla borghesia fosse vietato l'acquisto di terre (i borghesi furono obbligati (!) a vendere le loro proprietà fondiarie), che fosse limitata o completamente abolita la libertà di movimento dei rustici, abolita la facoltà di costoro di citare in giudizio i padroni dinanzi al tribunale, tolta la libertà di cambiare mestiere o darsi ad altra occupazione; mentre vennero lentamente e incessantemente aggravati i loro oneri, tanto in materia di censi quanto in materia di servizi personali, e di lavori agricoli da farsi personalmente sui fondi padronali.

Tutto ciò si spiega, pensando che, dopo l'avvenuta cessazione degli ostacoli che le angherie doganali dell'Ordine Teutonico ponevano al commercio per la via della Vistola, i nobili poterono mandare liberamente e senza oneri di dazi i prodotti delle loro terre fino a Danzica importando in cambio dall'estero ed in franchigia le merci che loro occorrevano; di modo che il valore delle terre aumentò in modo rilevante.
Fino ad ora il tenore di vita della nobiltà era stato molto semplice e il moderato censo che le pagavano i contadini e la coltivazione diretta dei propri beni le avevano procurato appena il puro necessario; adesso invece la tranquillità del periodo di pace inauguratosi, la sicurezza delle vie di comunicazione, la certezza dello smercio dei prodotti a Danzica, allettò la nobiltà a diventare latifondista e a darsi alle imprese agricole, appendendo al chiodo le bellicose armature cavalleresche.

A lungo andare anche le città decaddero. Infatti, nel corso del XV secolo il carattere schiettamente teutonico che un tempo avevano avuto queste città sparì definitivamente; la borghesia tedesca di Cracovia, Posen, ecc., per un processo di trasformazione spontaneo, naturale, e non affrettato con mezzi artificiali, si polonizzò completamente in conseguenza di matrimoni, e ancor di più si polonizzarono quelle generazioni nate sul posto; ma anche per il cessare del movimento d'immigrazione dalla Germania. Soltanto come un anacronismo si conservò negli atti pubblici cittadini e nella predicazione l'uso della lingua tedesca, sempre di più meno compresa dalla nuova popolazione, finché nel XVI secolo venne del tutto abolita.

Ma questo beneficio dal punto di vista nazionale fu controbilanciato da un peggioramento delle condizioni economiche e sociali. Ciò che aveva creato il benessere delle città polacche era stato il commercio di transito; ma, caduta Costantinopoli e le fattorie italiane del Mar Nero nelle mani dei Turchi, questo commercio cessò quasi del tutto. Il commercio con l'Oriente prese ora la via di Danzica, la quale monopolizzò quasi tutto il traffico a spese delle città polacche. In conseguenza di ciò non poterono a meno di decadere a poco a poco anche tutto l'indotto, cioè le corporazioni d'arti e mestieri, e non poté non farsi sempre più dannosamente sentire la libera concorrenza straniera. E mentre tutto questo accadeva nessuna modifica subirono i vecchi ordinamenti pubblici cittadini.

Di conseguenza andò sempre più aumentando la potenza ed il prestigio del clero. L'alleanza di interessi fra l'alto clero e la nobiltà divenne sempre più stretta, dal momento che - finita l'ubriacatura dei facili commerci - la nobiltà trovò nelle maggiori e numerose cariche ecclesiastiche il costante appannaggio per i suoi figli.
La vicinanza della Boemia e l'affinità di stirpe con i Boemi avrebbe potuto favorire un processo di penetrazione dell'ussitismo; ma i vescovi, e prima di tutti Zbigniew Olesnicki, difesero energicamente l'integrità dell'ortodossia.
La Polonia rimase cattolica; ma d'altro canto la curia non poté dichiararsi propriamente edificata col suo contegno, perché non si lasciò coinvolgere contro gli Ussiti e contro i Turchi, mentre invece seppe salvaguardare i propri diritti, come nella questione dell'elezione dei vescovi, nella quale Casimiro la vinse, perché la designazione dei candidati rimase a lui e non passò né alla curia né ai capitoli; il voto dei capitoli restò una semplice formalità.

L'arcidiocesi di Gnesen fu ampliata considerevolmente, sorsero dei vescovadi cattolici nei territori russi, ed un arcivescovado fu messo a Lemberg che ebbe un ordinamento sinodale comune con quello di Gnesen. La diffusione del cattolicesimo in Lituania aumentò poi ancora con l'arcidiocesi di Gnesen dei due vescovadi di Vilna e di Miedeniken. Dopo la pace di Thorn anche il vescovado di Kulm ed il vescovado principesco (per la sua posizione autonoma sotto la sovranità dell'Ordine Teutonico) di Ermland furono staccati da Riga ed aggregati all'arcidiocesi di Gnesen.
Fra i nuovi ordini monastici si segnalò quello dei Bernardini (Osservanti) per il suo zelo nell'opera di conversione nell'Oriente russo. All'autorità, alla potenza ed alla cultura del clero latino, vi era il forte contrasto dell'ignoranza del clero ortodosso greco dal momento in cui la conquista di Casimiro e meglio ancora l'unione con la Lituania aggregarono alla Polonia estesi territori abitati da popolazioni «ortodosse», che si designavano da sole «scismatiche», e come del resto le chiamava anche la curia romana.

Ben presto singoli membri della classe nobile, specialmente i più potenti, cominciarono a defezionare dalla fede ortodossa; i privilegi concessi ai Lituani cattolici, l'esempio della corte, il contrasto tra la cultura latino-polacca e la rozzezza dell'ambiente nazionale agevolarono la trasformazione, la quale alla fine del secolo, per lo meno nei riguardi dell'alta nobiltà, poté dirsi completa; nonostante che nella cancelleria del principato lituano non fosse in uso che la lingua russa, nonostante che nei tribunali non si applicasse che il diritto consuetudinario lituano, la polonizzazione penetrò irresistibilmente per tutti i pori di questo ormai logoro e antiquato organismo russo-lituano, e tale conquista pacifica, schiettamente culturale, assicurò l'incivilimento polacco in quei territori che superavano di gran lunga in estensione la sua base etnografica.

Fu ancora una volta la regina Edvige che con un nuovo sacrificio, quello delle sue gioie, avviò al compimento la ricostituzione dell'università di Cracovia, iniziata da Casimiro il Grande. L'Università cominciò a essere tale e a funzionare bene nel 1400: e non fu più ordinata sul tipo delle facoltà giuridiche italiane, ma sul modello delle università di Praga e di Parigi, con la teologia cioè quale coronamento degli studi, con ecclesiastici come professori (la cui principale ricompensa consisteva per l'appunto in benefici ecclesiastici), con la scolastica come metodo.

Questa Università richiamò ben presto gl'insegnanti polacchi che prima insegnavano a Praga, nonché i docenti boemi, il cui numero aumentò quando l'ussitismo rese odiosa ai cattolici la dimora a Praga ed in Boemia; essa non fu soltanto frequentata da scolari polacchi, ma divenne l'università dell'Ungheria, della Slesia e della Russia che non erano ancora arrivate ad averne una propria.
La fama di questo tempio del sapere attrasse persino degli scolari svedesi, inglesi, svizzeri, bavaresi; é qui che ad es. studiarono Copernico, T. Murner, Aventino e persino il Dr. Faust. Specialmente le scienze matematiche e l'astronomia furono coltivate in questa università con impegno straordinario, meno invece la filosofia e la teologia che non andarono al di sopra della ordinaria routine medioevale.

La letteratura, che fiorì dopo il risorgere della scuola, non creò tuttavia nulla di originale. Il suo contributo più notevole fu ispirato da Zbigniew Olesnicki: la grande opera storica di Giovanni Dlugosch (Longino).
Molto indietro rimase lo sviluppo degli ordinamenti militari e del sistema finanziario del paese. L'esercito infatti continuò ad essere costituito dalla nobiltà e fatta di sola cavalleria. Ma col progredire dell'arte militare l'impiego esclusivo di queste masse di cavalleria indisciplinate divenne sempre più pericoloso e anche poco affidabile, perché, se la guerra andava per le lunghe, senza pensarci tanto sopra abbandonavano il servizio e se ne tornavano a casa.

Il sistema finanziario poi, era addirittura primitivo, le spese gravavano sulle spalle del re, né esisteva ancora distinzione di sorta fra il suo tesoro privato ed il tesoro pubblico. Il re aveva sì a sua disposizione i demani della corona; ma dopo la spensierata munificenza del primo Jagellone si erano fortemente falcidiati, ciò che era rimasto al demanio erano tanti lembi di deserto improduttivi, quelli che lo erano finiti in regalo e in mano ai nobili; altri cespiti di entrata erano costituiti poi da qualche regalia, dai prodotti delle ricche miniere di sale come ad es. quella di Vielicza (vale a dire «Grande salina»), dai dazi, da altre piccole imposte, da quel tanto che la curia non sempre cedeva al re sulle annualità a lui spettante, e finalmente dal censo piuttosto basso pagato dalla nobiltà e dal clero alla corona.
Tutti questi redditi bastavano appena a coprire le spese ordinarie. In caso di guerra quindi si doveva ricorrere a delle "imposte straordinarie", previa l'approvazione però delle diete regionali del regno; e queste le approvavano facilmente senza fare nessun sacrificio, perché tanto i nobili se ne rivalevano subito aumentando i censi sui contadini.

In una determinata proporzione nella imposta straordinaria erano chiamate a contribuire anche le città; che oltre a quelle già esistenti introdussero anche una tassa sulle bevande. Ma quello che faceva maggior difetto era la riscossione dei tributi che ormai da tempi immemorabili producevano lagnanze per la disonestà degli esattori.

Anche gli ordinamenti giuridici non si allontanarono dal tipo medioevale. Ad un ricorso al diritto romano non si pensò mai; il diritto nazionale mantenne il suo dominio nella redazione fatta negli statuti di Casimiro il Grande, cui furono semplicemente aggiunte nuove disposizioni; essi non intesero fare un codice sistematico né di riformare il diritto esistente. I tribunali erano diversi per le varie classi; la nobiltà, il clero, la borghesia avevano ciascuna il proprio foro speciale; i soli contadini vennero sempre più ad essere sottoposti esclusivamente alla giurisdizione patrimoniale del rispettivo padrone.

La procedura di tutti questi tribunali era estremamente lunga e pesante. I borghesi delle città si provvedevano dinanzi ai loro tribunali di scabini che giudicavano secondo il diritto tedesco; i consigli cittadini inoltre si ingerirono nella giurisdizione avocando a sé tutte le questioni d'indole non processuale. Dalle minori città si usò rivolgersi ai collegi di scabini delle città maggiori per averne pareri e sentenze. Ben presto si ebbero collezioni di queste sentenze che acquistarono l'autorità di praeiudicia, ebbero gran voga e furono pure velocemente tradotte in polacco.
Il diritto tedesco vigente in Polonia che si osserva in tali sentenze presenta alcune singolari particolarità e deviazioni. La Prussia conservò il proprio diritto, e così pure la Lituania; anche il diritto della Masovia divergeva sotto vari riguardi dal diritto polacco; invece quest'ultimo fu esteso alle province russe; qui infatti come anche in Masovia, dove la conoscenza del latino era assai meno diffusa che nella Polonia propriamente detta, fu sentita anzitutto la necessità di rendere accessibili le leggi alla generalità mediante traduzioni nella lingua parlata.

Di fronte alla uniformità della vita sociale dell'alto Medio-Evo il XV secolo rappresentò un notevole progresso, per quanto ancora in quest'epoca ad es. il tenore di vita della nobiltà fosse assai modesto, patriarcale; le era ad esempio ignoto l'uso del vino, che imparò soltanto nel XV secolo dai tedeschi. L'abbigliamento era semplice, sebbene già cominciassero a farsi strada, specialmente nelle città, le mode straniere, come si può rilevare dalle splendide miniature del manoscritto del Beheim esistente nella biblioteca di Cracovia. Era in fin dei conti - col tenore di vita in aumento - un giustificato vestire ma i predicatori già caratterizzarono talune sconfitte, come quella di Varna, quali castighi del cielo per questo lusso «pagano». Insomma il "bel vestire" era un artificio di Satana, e non era ben visto da chi aveva - per sua scelta - indossato un saio e dei sandali.

Borghesi e rustici rivalizzavano tuttora con la nobiltà nel tenore di vita; le scuole erano numerosissime, e la conoscenza del latino si diffuse perfino fra gli artigiani. Di influenze orientali, come quelle che poco dopo dovevano tornare a farsi sentire nelle fogge di vestire, nella moda di pettinarsi, nell'armamento, vi è in quest'epoca scarsissima traccia; le tendenze russofile di Vladislavo (che si manifestarono nel suo uso di parlar russo, nella sua predilezione per i bagni alla russa, ecc.) non trovarono imitatori, mentre invece i Polacchi divennero sempre più decisamente i pionieri della cultura occidentale nella sua avanzata verso oriente, e l'aratro polacco progredì sempre più profondamente nella ubertosa steppa podolica.

Il terreno era così completamente preparato per la semina, per l'attuazione da parte di questo popolo di una grande e nuova missione storica.

Siamo dunque arrivati a questo nuovo popolo
che per tutto il basso medioevo non ebbe alcun rapporto col rimanente d'Europa, ma fa parlare molto di sè solo intorno all'anno 1000


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