Ma che modello era?

Sembrerebbe che gli italiani alla Costituente
abbiano preso a modello quella Sovietica per scrivere la Costituzione Italiana.
Ne abbiamo una copia originale, stampata a Mosca,
redatta in italiano, che riproduciamo QUI integralmente
>>>>>

NON DIMENTICHIAMO CHE NELLA COSTITUENTE VI ERANO

IN TOTALE 556 SEGGI

219 ERANO DEL PCI
207 ERANO DELLA DC

E ANCHE AL REFERENDUM

9.104.815 ERANO VOTI DEL PCI
8.080.664 DELLA DC

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alcuni contrari fin dal primo articolo......
( CI FURONO INFATTI NON POCHI CONTRASTI CON I DUE MAGGIORI GRUPPI: DC e PCI
GLI INTERVENTI SONO CHIROGRAFATI QUI ALL'INTERNO )

 

IL PRIMO CONTRASTO.....

LA ITALIANA - ART. 1 - Fondata sui lavoratori Italiani
( il lavoro lo si può esercitare LIBERAMENTE, come contadino, artigiano, imprenditore in tutti i settori)

LA RUSSA - ART. 1 Fondata sul lavoro del popolo russo.
(mentre qui "il lavoro" NON è LIBERO ma era quello organizzato solo dello Stato).

E per "lavoro" in questa russa viene ben specificato all'Art. 6 -
Che ha tutto un altro significato.

Art. 6 . La terra, il sottosuolo, le acque, le foreste, le officine, le fabbriche, le miniere, le cave, i trasporti per ferrovia,
per via d’acqua e per via aerea, le banche, i mezzi di comunicazione, le grandi imprese agricole sono organizzate non dai privati
ma dallo Stato, comprese le imprese comunali e il complesso fondamentale delle abitazioni nelle città e nei centri industriali,
sono proprietà dello Stato
, cioé patrimonio di tutto....IL POPOLO (!!??)
(del "Popolo"',??? no!!! erano guidati da funzionari dello Stato, per lo più "Politici" che avevano dei limiti come dirigenti di una impresa.
Questi non avrebbero mai ricavato dei profitti per poi investirli nell'impresa stessa. (i Cholcoz ne sono un esempio)

 

Ma sembra che oggi vi è chi nega l' influenza della costituzione sovietica del 1947 (redatta l'anno prima della Ns.)
Come un ns. politico che dice “In Italia c’è ancora qualche demente che pensa che la Costituzione sia stata scritta dai comunisti di Stalin”

(probabilmente non gli è mai capitata in mano e poi letto quella sovietica !!! - >>>>>>)

 

Oggi abbiamo da una donna il desiderio di metter fine al nostro Capitalismo.
Vorrebbe (LEI !!!) per salvaguardare il proletariato, modificare la nostra Costituzione
imitando forse quella Russa dell'Art.1 e soprattutto dell'Art. 6 (visto sopra).
Cioè vuole stroncare la libera iniziativa della economia privata di quegli anni d'oro
anni 1961-65 che.... fece il "Miracolo Economico" >>>>>
con la "Legge" del "Libero Commercio" dove ognuno anche senza studi e preparazioni
era libero di aprire una attività commerciale o artigianale; e lo fecero con così tanta
capacità, intraprendenza e creatività, che alcuni fondarono degli imperi imprenditoriali.

Ma per delle "Gelosie" dell'Alta finanza (banche ecc,), quella legge fu poi soppressa nel '71 da quel Capitalismo -non di Stato- ma politico detta "La Razza Padrona". "Nuovi "Padroni" che giunsero (dando "dazioni Ambientali" - lo appureremo a "Tangentopoli- Con un Craxi che si difese: "ma lo fanno tutti") perfino al punto di guidare loro dei Governi, dove poi da qui si facevano le leggi "ad personam", o si facevano annullare sentenze dalla magistratura. Un famoso imprenditore diventato improvvisamente politico (e poi in seguito anche capo di un Governo) dopo che la Finanza gli aveva mandato tre ufficiali per accertamenti su oscuri arricchimenti, lui li fece assumere nella sua azienda e uno fu messo nelle sue liste elettorali e perfino eletto in Parlamento.

Come letto nell'Art. 6 nello Stato Sovietico le proprietà private erano vietate, ogni attività era statale, guidate da tecnocrati che... se anche non avevano capacità imprenditoriali... avevano però in mano i capitali. Ma poi con con la caduta del Comunismo, avendo accumulato miliardi - oculatamente - messi in dollari in conti svizzeri - questi ex tecnocrati delle proprietà di vari beni statali diventarono essi stessi capitalisti e in breve degli "Oligarchi".

 

La nota dolente é: che sia l'una (la Russa) che l'altra (la Italiana) non misero di certo fine all'era dei
tanto bistrattati "Padroni" del "Capitalismo". Che non
diventò più "Statale", ma per lo più solo "Privato".
( ancora più dolente é che diventò privata anche l "Informazione")
Così sappiamo sempre poco, anzi nulla. Devi prima pagare un Abbonamento se vuoi essere "informato".
.

I LAVORI DELLA COSTITUENTE,
I PERSONAGGI
TUTTI I NOMI DEI COSTITUENTI (556)
(L'APPARTENENZA POLITICA)

Il preambolo, lo stemma, la Costituzione finale
I PRINCIPI FONDAMENTALI
IL TESTO > > > > >

 

PREFAZIONE - MEUCCIO RUINI
Cenni biografici
La formazione del pensiero politico
VERSO LA COSTITUENTE
L'assemblea, la Commissione dei 75
le Sottocommissioni
IL COMITATO DI REDAZIONE
Il dibattito dell'Assemblea
Costituente
STRUTTURA DELLA COSTITUZIONE
La rigidità e la forma della Costituzione
Il 1° articolo della Costituzione
DIRITTI E LIBERTA FONDAMENTALI
Libertà di pensiero, di stampa L'Art. 3: Uguaglianza
Art 5: decentramento; Minoranze; Religione; L'Art. 11
LA BANDIERA ITALIANA
L'Art. 31, 34, 35 - Economia
Il sistema dei partiti - I principi del sistema
LE CAMERE
La forma di governo
Il C.N.E.L. - I REFERENDUM
Indipendenza magistratura
La CORTE COSTITUZIONALE
M. Ruini e il c.d. "compromesso storico"
IL DOPO LA COSTITUENTE
La Costituzione applicata ?


CONCLUSIONI - BIBLIOGRAFIA
ELENCO NOMI DEI COSTITUENTI (E APPARTENENZA POLITICA)

.

 

IL TESTO FINALE DELLA COSTITUZIONE
I PRINCIPI FONDAMENTALI

PREFAZIONE

Il pensiero e l'opera di Meuccio Ruini
nei lavori dell'Assemblea Costituente

Riassunto sintetico:
( in fondo la Bibliografia )

Il pensiero, l'opera e la personalità carismatica di Meuccio Ruini emergono con particolare rilievo nel corso dei lavori preparatori della Costituzione, apogeo della sua carriera politica, ma l'attività del Costituente reggiano non si esaurisce in questi: sono numerosissimi gli aspetti politici, giuridici, economici e sociali che meriterebbero un più approfondito studio e gli stessi lavori dell'Assemblea Costituente sono stati qui esaminati solo nei tratti più salienti e, cioè, negli istituti costituzionali che "portano la sua firma" o che costituiscono il frutto della sua opera di mediazione. Per convincersene basti pensare al problema religioso, al C.N.E.L., al referendum abrogativo, alla libertà di stampa e, più in generale, alla struttura stessa della Carta Fondamentale.
Un accenno particolare merita l'art. 11 della Costituzione, nel quale si intravede la concezione di Ruini in merito ai rapporti internazionali che la Repubblica avrebbe dovuto instaurare: è stupefacente (e quasi incredibile) constatare che nel lungimirante pensiero di Ruini, sin dalla fase antecedente all'entrata in vigore della Carta Costituzionale, fossero contenuti i germi dell'Unione Europea e delle modificazioni, politiche, economiche e sociali, che l'unificazione avrebbe comportato.
In altri casi, sembra che Ruini, nei suoi discorsi e nei suoi scritti, affronti i problemi odierni. Colpisce l'attualità di alcuni argomenti e dal perdurante valore dei suggerimenti e dei moniti dati dal Presidente della Commissione: sulla forma di governo, sulla deriva partitocratica (e sulla rilevata inutilità di dar vita ad nuovo "partitino"), sul decentramento e il federalismo, sul significato profondo degli strumenti di democrazia diretta e sul rischio di "inflazionarli", sull'indipendenza della magistratura, ecc.
Anche riguardo alle recenti prospettive di revisione costituzionale Ruini fornisce il suo prezioso consiglio, improntato, come di consueto e come è evidente nelle sue opere, alla moderazione e al "buon senso": la Costituzione Italiana - ammette - non è perfetta ed è segnata dal periodo storico in cui è stata approvata; da ciò discende che la Costituzione non è intangibile ed immodificabile, ma che occorre porvi mano col medesimo studio e con lo spirito che animò i padri fondatori della Repubblica.

Metodologia seguita:
Esame dei testi riguardanti la Costituzione, l'Assemblea Costituente e i lavori preparatori.
Esame dei testi (anche inediti) di Meuccio Ruini e delle sue biografie.
Suddivisione della tesi secondo lo schema: biografia del personaggio; illustrazione, dal punto di vista storico-politico e sotto il profilo giuridico, della fase costituente; individuazione dei principali interventi di Ruini nei lavori preparatori; prospettive di revisione costituzionale.

Principali risultati raggiunti:
Informazione sui lavori dell'Assemblea Costituente e, in particolare, sull'attività di Meuccio Ruini.
Rilevazione degli interventi di Ruini che hanno maggiormente influito sulla redazione della Carta Costituzionale e di quelli che sono più legati al dibattito politico-giuridico attuale.


Prefazione


Meuccio Ruini fu un personaggio poliedrico, di indubbie capacità, che rivestì ruoli fondamentali prima, durante e dopo la nascita della nostra Repubblica.

È stato protagonista dell’Assemblea Costituente e “padre” della Carta Costituzionale: il suo pensiero politico e la sua opera hanno lasciato nell’ordinamento tracce evidenti; i temi da lui studiati e trattati sono ancora oggi di grande attualità.

Proprio per le sue molteplici attività e per il suo lungo impegno è assai arduo riuscire a descrivere compiutamente quanto Meuccio Ruini ha realizzato nella sua vita.

In questa opera, attraverso l’illustrazione di alcuni dei “temi caldi” affrontati nei lavori preparatori della Costituzione, cercherò di dipingere
un affresco del periodo dell’Assemblea Costituente, nel quale si possa conoscere e riconoscere Meuccio Ruini, la sua vita, la sua cultura, il suo pensiero, la sua sensibilità, la sua lungimiranza, il suo valore politico e i segni da lui lasciati nella nostra storia.


Meuccio Ruini: la vita, la formazione, le cariche ricoperte
Studioso e scrittore di diritto, di economia e di storia, Deputato della montagna reggiana, volontario in guerra con medaglia d’argento, promotore del Comitato di Liberazione Nazionale e del corpo dei volontari della libertà, più volte Ministro, Presidente del Comitato di Ministri per la Ricostruzione, del Consiglio di Stato e della Commissione per la Costituzione alla Costituente, rappresentante d’Italia al Consiglio d’Europa, Presidente del Senato della Repubblica Italiana e del C.N.E.L., Senatore a vita.
(Epitaffio sulla tomba di Meuccio Ruini – Cimitero di Canossa)


Cenni biografici

Bartolomeo Ruini (il nome di battesimo fu cambiato in Meuccio, da sempre usato, nel 1946) nacque a Reggio Emilia il 14 dicembre 1877. Dopo aver conseguito la maturità classica presso il Liceo “Ariosto” di Reggio Emilia, si laureò in Giurisprudenza all’Università di Bologna nel 1899 con una tesi di filosofia del diritto sui rapporti tra Stato e società [1] .

Si trasferì a Roma nel 1900 al seguito del “maestro” di studi giuridici Icilio Vanni (preside della Facoltà di Giurisprudenza di Bologna) con l’intenzione di conseguire la docenza universitaria e di dedicarsi quindi all’insegnamento; dovendosi però mantenere negli studi partecipò, nel 1903, ad un concorso per un impiego presso il Ministero dei Lavori Pubblici e si piazzò al primo posto; come funzionario del Ministero si guadagnò la fiducia dei responsabili del dicastero e percorse una rapida carriera, tanto che nel 1912 divenne direttore generale dei servizi speciali per il Mezzogiorno.

Nel 1904 si accese improvvisamente il suo interesse per i problemi della politica e le sue posizioni si radicarono nell’area del radicalismo italiano, cioè su linee di incrocio tra idee liberali e piani di riforma e trasformazione della società legati ad una funzione attiva dello stato; tuttavia, le sue idee innovatrici, viste con ostilità dai vertici di quel partito, furono accolte con favore dall’ala riformista del Partito Socialista (Turati, Bonomi, Bissolati).

Nel 1907 venne eletto consigliere comunale a Roma e consigliere provinciale a Reggio Emilia (risultando, in entrambi i consessi, il più giovane eletto) e cominciò a mostrare una spiccata attitudine agli impegni politici sui problemi concreti, soprattutto nel settore finanziario e dei lavori pubblici; nello stesso anno iniziò la sua collaborazione con la rivista milanese di Filippo Turati, “Critica sociale”, sulla quale pubblicò diversi articoli e saggi.

Nel 1908 venne incaricato dal Ministero di coordinare gli interventi urgenti e i piani di ricostruzione dopo la tragedia del terremoto di Messina; questo suo continuo spostarsi tra Roma e la Sicilia per le provvidenze ai terremotati gli permise di entrare in contatto coi maggiori esponenti del radicalismo meridionale.

Nel 1913 fu eletto Deputato nel collegio di Castelnovo ne’ Monti (RE) per la lista radicale; la sua candidatura, che fu causa di una rottura definitiva coi socialisti (aveva infatti mantenuto posizioni vicine a Bissolati, espulso dal Partito socialista nel 1912 al Congresso di Reggio Emilia), gli venne offerta con insistenza da sindaci e notabili della montagna reggiana [2] .

Entrò a far parte, risultandone il più giovane consigliere, del Consiglio di Stato; dopo aver preso posizione in parlamento come interventista, partecipò come volontario alla prima guerra mondiale “non solo per Trento e Trieste ed i confini nazionali, ma per ragioni di solidarietà democratica [con l’Intesa] e di avvenire sociale” [3] : dapprima come sottotenente del genio, poi come tenente dei bersaglieri, si distinse in modo particolare, tanto da meritare, al termine della guerra, la medaglia d’argento al valor militare ed un discorso di elogio da parte di Nitti alla Camera dei Deputati.

Non solo: il generale Armando Diaz di lui disse: “Questi parlamentari che fan parlare i giornali dicono di fare la guerra e non la fanno. Solo pochi si battono realmente. C’è però un ufficiale che non so se sia folle o se voglia suicidarsi: quando si dà il segno di uscire dalla trincea è sempre il primo: si chiama Meuccio Ruini” [4] .

Nel 1919 venne nuovamente eletto nel collegio di Castelnovo ne’ Monti per la lista radicale ed entrò a far parte del gabinetto Orlando come Sottosegretario all’Industria, Commercio e Lavoro; nel successivo governo Nitti rivestì la carica di Ministro delle Colonie.

Nel 1921 i fascisti emiliani, a causa dei suoi legami politici con Nitti, Giolitti e i giolittiani, si opposero in modo perentorio all’inserimento del suo nome nel “blocco” che si stava formando nella circoscrizione Parma-Modena-Piacenza-Reggio Emilia, impedendogli di ripresentarsi alle elezioni di maggio. Assieme a Giovanni Amendola fondò, nel 1922, il quotidiano politico “Il mondo”, impegnandosi a fondo nel lavoro redazionale e scrivendo editoriali e commenti (per lo più non firmati); nel 1924, proprio con Amendola, fu tra i principali promotori ed esponenti dell’Unione nazionale, un nuovo movimento politico volto a realizzare una decisa opposizione al fascismo, in cui assunse la direzione del settore “problemi economici e finanziari”.

Nel periodo fascista, Ruini trascorse una “vita di esilio in patria” [5] : fu costretto a chiudere “Il mondo”, fu espulso dal Consiglio di Stato e gli furono altresì impediti l’esercizio dell’avvocatura e l’insegnamento. Si ritirò quindi a vita privata valendosi, per il sostentamento, di alcune consulenze (per la vasta esperienza come consigliere di Stato) e di un’esigua pensione; si dedicò ad un’attività su larga scala di studi e ricerche soprattutto sul pensiero politico pre-risorgimentale e risorgimentale: “Nei vent’anni di esilio in Patria sotto il fascismo, quando non potevo fare altro, ho scritto molti libri, troppi libri di storia; ne ho pubblicati alcuni che furono apprezzati all’estero; altri, di più, dormono nell’armadio cimitero dei miei manoscritti” [6] .

Nel 1942, dopo aver conservato rapporti con l’antifascismo romano, fondò, insieme con Ivanoe Bonomi e in assoluta clandestinità, il Partito della Democrazia del Lavoro di cui, l’anno successivo, divenne segretario; dopo il 25 luglio fu tra i maggiori promotori del Comitato delle forze antifasciste trasformatosi, poi, in C.L.N., all’interno del quale rappresentò la Democrazia del Lavoro.

Nel C.L.N. Ruini esercitò un’importante funzione di mediatore e moderatore ed entrò a far parte dei primi governi dopo la caduta del fascismo: non sempre con fortuna fece opera paziente di ricucitura delle smagliature che comparivano di continuo nella coalizione governativa, per effetto del differente modo in cui i partiti moderati e le sinistre intendevano il rinnovamento e la trasformazione democratica della società italiana; nel gennaio del 1945 venne istituito il C.I.R. (Comitato interministeriale della ricostruzione) ed egli fu chiamato a presiederlo; nello stesso anno, dopo diciassette anni di esclusione, accettò la Presidenza del Consiglio di Stato [7] .

Trasformò il Partito della Democrazia del Lavoro in Partito Democratico del Lavoro nelle cui liste fu eletto all’Assemblea Costituente il 2 giugno 1946; il ruolo tenuto da Ruini all’interno del C.L.N. gli permise di essere scelto alla Presidenza della “Commissione dei 75”, incaricata di redigere il testo costituzionale.

Come riconobbe la dottrina successiva [8] , Ruini ebbe “la funzione individuale di maggior rilievo nel processo di formazione della Carta Costituzionale”: come Presidente della “Commissione dei 75” seppe far valere la sua vasta esperienza politica, misurata in circa quarant’anni di attività, e la sua competenza nel campo del diritto e dell’economia, frutto di assidui studi coltivati con passione fin dagli anni dell’università; intervenne nel dibattito costituzionale in una quantità innumerevole di occasioni, sia nel presentare all’Assemblea lo stato di avanzamento dei lavori, sia nel presiedere le diverse commissioni di approfondimento in cui venne suddiviso il gruppo dei 75.

Dopo l’esperienza nell’Assemblea Costituente, il politico reggiano rivestì importanti ruoli istituzionali: nel 1953, dopo le dimissioni di Paratore, in urto con la legge maggioritaria proposta dal governo, fu eletto Presidente del Senato nella speranza di operare una mediazione che mettesse fine allo scontro parlamentare in atto: “Non era una legge truffa, perché il Parlamento non venne nella discussione truffato e perché ogni partito o gruppo di partiti aveva aperta la via a conquistare la maggioranza nella votazione popolare. Si poteva soltanto dubitare che la misura del premio fosse eccessiva; sarebbe stato meglio ridurla; ne parlai con Corbini…” [9] . Prevalse, però, la posizione di rottura: “Pur avendo desiderato ritocchi nella presentazione del disegno di legge, il Presidente non poteva non astenersi e si astenne: vi furono zuffe…” [10] . Ruini riuscì a dirigere con fermezza il dibattito diventando una sorta di punto di riferimento privilegiato delle polemiche dei partiti della sinistra [11] .

Alle successive elezioni politiche rifiutò ogni candidatura, preferendo uscire di nuovo dalle scene e proiettarsi negli studi.

Nel 1957, dopo più di quattro anni di assenza dalle scene politiche e nel decennale della Costituzione, il governo, presieduto da Zoli, realizzò il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro e ne affidò Presidenza proprio a Ruini che in passato, più volte, era intervenuto nel merito con elaborazioni politico-giuridiche importanti; mantenne la Presidenza del C.N.E.L. fino al 1959 quando ritenne di aver assolto al compito di averne avviato l’esperienza secondo precise coordinate [12] .

Il 2 marzo 1963, per decisione del Presidente della Repubblica Segni, venne nominato senatore a vita “per altissimi meriti nel campo scientifico e sociale”.

Oltre all’attività politica, Ruini pubblicò numerose opere (alcuni dei suoi studi furono firmati con la sigla M.R. da S. Polo o con altri pseudonimi come Carlo Meucci o M.R. Buccella, dal cognome della madre) su argomenti storici, giuridici, ecc. [13].

Morì a Roma di broncopolmonite il 6 marzo 1970, all’età di 92 anni: per sua espressa volontà, la salma fu inumata al cimitero di Canossa (Reggio Emilia). [14].

La formazione del pensiero politico

Durante gli anni universitari Ruini lesse con vivo interesse le principali opere di Marx e cominciò a frequentare i socialisti Camillo Prampolini, padre del socialismo reggiano, e Antonio Vergnanini, maggior organizzatore del movimento cooperativo nella provincia di Reggio Emilia. Non prese però mai la tessera del Partito socialista perché, pur convinto della necessità di un nuovo corso economico e sociale, non voleva “chiuder[si] negli schemi rigidi di materialismo e di lotta di classe” [15] . Si iscrisse, invece, alla Massoneria, che gli sembrava tendere a quell’“ordine nuovo” a cui aspirava; ciononostante, conservò sempre una notevole indipendenza di pensiero [16] .

Negli anni intorno al ‘900, nel partito radicale frequentato da Meuccio Ruini si fece strada la tendenza radicosocialista che secondo Massimo Fovel (il quale, proprio insieme a Ruini, ne era il maggiore rappresentante) si proponeva di dare “un indirizzo e un colorito sociale alla democrazia e al radicalismo: e sociale voleva dire in sostanza, ispirata ai concetti stessi di lavoro, cui si ispirava il movimento socialista”.

Secondo Fovel, il proletariato e i ceti medi avevano molti punti di coincidenza e da qui la volontà di creare un blocco politico fra il proletariato e la piccola e media borghesia e quindi dar vita ad un’alleanza tra socialisti e radicali per un partito radicalsocialista che comprendesse anche la borghesia.

Nei mesi che precedettero il congresso radicale del 1904 rispuntarono proposte volte a fare del partito una forza innovatrice e orientata verso una politica di stretta alleanza tra i ceti medi e il proletariato, e non contraria ad una fusione con l’ala riformista del Partito Socialista. Nel corso del suddetto congresso radicale, che segnò la nascita del partito, Meuccio Ruini, allora funzionario del Ministero dei Lavori Pubblici, si fece portavoce di questa tendenza rilevando che il partito dovesse darsi un preciso programma economico-sociale. Ruini avvertiva l’esigenza che il partito radicale adeguasse prontamente il proprio bagaglio ideologico e programmatico ad una realtà economica e sociale in continua evoluzione. Egli, da un lato, combatté l’ingenuo empirismo, i personalismi del partito, cercando di dare un indirizzo politico riformista nel rispetto della tradizione di Bertani e Cavallotti e, dall’altro lato, avversò il paternalismo conservatore e ottuso della maggior parte dei dirigenti radicali restii ad affrontare la questione sociale. Questo conservatorismo dirigenziale non fermò Ruini che, anzi, nella primavera del 1906 fece suo un opuscoletto anonimo intitolato “Per un movimento radicale-socialista” per rilanciare i suoi ideali.

Se la noncuranza fu il tratto dominante e costante dei vertici del partito radicale nei confronti delle idee radicosocialiste, sul piano locale, alla base, invece qualcosa si mosse. Esempio di ciò è l’Unione Radicale sociale sorta a Milano nel 1906. Questa associazione, che propugnò l’istruzione laica obbligatoria, il suffragio universale, la libertà di pensiero, si fece ideatrice di una rivista, “L’Azione Radicale”, di cui però uscirono solo tre numeri. Tra gli uomini più in vista del Partito Radicale colui che mostrò di gradire le idee radicosocialiste fu l’economista e radicale veneto Giulio Alessio [17] . Questi, tra il 1907 e il 1911, fu fautore, insieme a Ruini, di questa coesione tra radicali e socialisti (su tutti Turati, Bissolati e Bonomi), che considerava un fatto naturale.

La meta dei radico-socialisti era, in definitiva, l’instaurazione, attraverso profonde riforme politiche, economiche e sociali, di una “democrazia del lavoro”, cioè di un regime democratico fondato sul lavoro [18] ; a questo scopo Ruini si disse favorevole ad un sistema economico misto, dove l’iniziativa privata e l’autoamministrazione decentrata si incontrassero con l’azione dello Stato. Propugnò inoltre lo sviluppo della cooperazione, giudicata l’unica via, unitamente all’accrescimento della produzione nazionale, atta a conciliare il miglioramento delle condizioni di vita del proletariato con quello delle condizioni economiche generali del Paese.

Secondo il giovane uomo politico reggiano non si poteva però ridurre tutta la vita economica e sociale, come facevano i socialisti, alla lotta di classe fra il capitale ed il lavoro, giacché questa non solo non era la sola, ma neppure “la più perspicua e la più saliente delle numerosissime lotte di interesse che ardono nella vita economica”. [19] A suo avviso, la fondamentale, tra queste contrapposizioni di interesse, era quella tra i produttori e i detentori di beni, da un lato, e i consumatori, dall’altro; e, proprio in forza di questa solidarietà di interessi tra il proletariato e i ceti medi contro le classi abbienti, era possibile ed auspicabile un accordo tra il Partito socialista ed il Partito radicale, diretto a sostituire il capitalismo con “il regime della produzione in vista del bisogno”, vale a dire il cooperativismo o, meglio, la “cooperazione sociale”.

La proposta più importante e, per certi versi, più originale che Ruini avanzò nel primo dopoguerra fu quella riguardante il Consiglio nazionale del lavoro, contenuta in uno studio pubblicato nei primi mesi del 1920, quando era sottosegretario del primo gabinetto Nitti. Già nell’ottobre del 1919, nel corso della campagna elettorale, aveva notato come la costante crescita delle esigenze economiche e sociali a cui doveva provvedere il  governo e il Parlamento imponesse, prima o poi, la trasformazione del Senato in un organo tecnico ed elettivo dotato di poteri deliberanti, ossia in una camera di rappresentanza non dei partiti e degli interessi politici, ma delle classi e degli interessi economici, sociali e professionali. Nell’attesa che le condizioni politiche e sociali del Paese divenissero tali da rendere possibile una riforma di così ampia portata senza mettere in pericolo la stabilità delle istituzioni liberali, suggeriva di cominciare col creare un Consiglio nazionale del lavoro, vale a dire un organo deliberativo in materia di lavoro composto da rappresentanze paritetiche, divise per rami di produzione, dei lavoratori e dei datori di lavoro.

Oltre alla creazione del Consiglio nazionale del lavoro e alla riforma del Senato, Ruini formulò, dal 1908 in avanti, numerose altre proposte (introduzione del contratto di lavoro e del probivirato; partecipazione degli operai alla gestione delle aziende; istituzione di una “scuola del lavoro” a carattere tecnico professionale; codice della cooperazione; impulso all’edilizia popolare e cooperativa; assicurazioni sociali; riconoscimento giuridico delle organizzazioni sindacali; ecc.) che dovevano rappresentare i vari tasselli di una nuova politica del lavoro, tesa a dar corpo a quella “democrazia del lavoro” da lui vagheggiata fin dagli esordi della sua attività politica.

Nonostante la maggioranza dei deputati demosociali considerasse improbabile l’idea di Ruini di formare un grande partito di centro che raccogliesse tutte le forze della democrazia (radicali, sinistra liberale, socialriformisti ed ex combattenti), egli, sin dal 1921, si prodigò per dar vita a ciò che definiva “democrazia senza aggettivi”. Tale partito avrebbe avuto, a suo giudizio, tutte le carte in regola per diventare, in breve volgere di tempo, il referente politico dei ceti medi e, di conseguenza, il partito attorno al quale avrebbe finito col ruotare tutta la vita politica italiana.

Delusa questa sua speranza, si avvicinò sempre di più al liberale Giovanni Amendola, la cui intima aspirazione a veder sorgere una “nuova democrazia”, capace di rinnovare le strutture dello Stato italiano e di venire incontro agli interessi generali della società italiana, trovò subito rispondenza nelle idee espresse da Ruini. [20]

[1] La tesi, dal titolo “La distinzione tra società e Stato e la teoria dello stato di diritto”, venne poi data alla stampa, a Roma, nel 1904.
[2] Le cronache della sua campagna elettorale si trovano accuratamente riportate nei numeri del giornale “Il popolo della montagna”, uscito a Castelnovo ne’ Monti tra l’agosto e il settembre dello stesso anno.
[3] Ruini Meuccio, Ricordi, Milano, 1973, p. 34
[4] Ruini Meuccio, Le confessioni pel domani (da un ultraottuagenario), Ricordi di pensiero e di vita e per la storia di domani, bozza inedita conservata in Archivio Meuccio Ruini (c/o Biblioteca “Panizzi”-Reggio Emilia); riportato anche da “Le domande dei lettori di Candido - Perché non è applicata la Costituzione? – Risponde il senatore Meuccio Ruini”, Candido, anno 1955, in Archivio Meuccio Ruini (c/o Biblioteca “Panizzi”-Reggio Emilia)
[5] Ruini Meuccio, Ricordi, Milano, 1973, p. 223
[6] Ruini Meuccio, Le confessioni pel domani (da un ultraottuagenario), Ricordi di pensiero e di vita e per la storia di domani, bozza inedita conservata in Archivio Meuccio Ruini (c/o Biblioteca “Panizzi”-Reggio Emilia) riguardo alla quale lo stesso Ruini scrive: “Il tema è piuttosto vago; e non sono ben preparato; ma ho scritto di tante e di troppe cose … cerco già da qualche tempo di stendere, non solo questi frammenti di pensiero, ma su tutti i miei ricordi un libro che forse non completerò mai, e non vedrà mai la luce.”
[7] Vi rimarrà fino al 1947.
[8] Cheli Enzo, Il problema storico della Costituente, in “Politica e Diritto” 1973, p. 212
[9] Ruini Meuccio, Le confessioni pel domani (da un ultraottuagenario), Ricordi di pensiero e di vita e per la storia di domani, bozza inedita conservata in Archivio Meuccio Ruini (c/o Biblioteca “Panizzi”-Reggio Emilia)
[10] Ruini Meuccio, Le confessioni pel domani (da un ultraottuagenario), Ricordi di pensiero e di vita e per la storia di domani, bozza inedita conservata in Archivio Meuccio Ruini (c/o Biblioteca “Panizzi”-Reggio Emilia)
[11] La cosiddetta “legge truffa” era già stata approvata, non senza difficoltà, dalla Camera dei Deputati quando i gruppi senatoriali dei partiti di maggioranza offrirono a Ruini la Presidenza dell’Assemblea. Egli, pur dell’avviso che un premio di maggioranza fosse necessario, allo scopo di contrastare gli effetti negativi del pluripartitismo ed assicurare maggiore stabilità e solidità ai governi, riteneva che il premio previsto dal disegno di legge fosse eccessivamente elevato per non ingenerare il sospetto che la Democrazia Cristiana intendesse servirsene per rafforzare il proprio potere ponendo comunisti e socialisti ai margini della vita parlamentare; pensò tuttavia che fosse suo dovere accettare nella speranza di poter far superare i contrasti tra governo e opposizione.
Il risoluto ostruzionismo da parte delle sinistre lo costrinse a far valere la sua autorità come presidente dell’Assemblea permettendo così che il disegno di legge passasse senza emendamenti e scatenando violente proteste da parte delle opposizioni che lo accusarono di aver applicato le regole procedurali in maniera tendenziosa. Ruini si dimostrò, comunque, pienamente cosciente delle conseguenze del suo comportamento tanto che, allontanandosi dall’aula, dopo la votazione finale, esclamò: “Ho salvato il Parlamento ma sono un uomo finito”.
[12] Come Presidente del C.N.E.L. si accorse però che i poteri riconosciuti dalla legge al nuovo organo erano troppo limitati per consentire ad esso di recitare una parte di spicco nella vita economica e sociale italiana.
[13] Numerosi suoi scritti sono conservati nell’Archivio Meuccio Ruini, presso la Biblioteca “Panizzi” di Reggio Emilia.
[14] D’Angelo Lucio, Meuccio Ruini: dal radical-socialismo alla Presidenza del Senato, in Archivio Meuccio Ruini. Inventario, Reggio Emilia, 1993, pp. 9 ss.; Ruini Meuccio, Ricordi, Milano, 1973; Mazzaperlini Mario, Repertorio bio-bibliografico dei reggiani illustri, in Reggio Emilia. Vicende e protagonisti, Bologna, 1970, vol. II, p. 3; Bojardi Franco, Dossetti Giuseppe, Iotti Leonilde, Ruini Meuccio. Interventi alla Costituente: contributi reggiani, Bologna, 1986, pp. 217 ss.; D’Angelo Lucio, Il Parlamento italiano. 1861-1988, Milano, 1989, vol. XIV
[15] Ruini Meuccio, Ricordi, Milano, 1973, p. 9
[16] Nel 1920 venne espulso dalla Massoneria per essere entrato a far parte, nonostante il veto del Grande Oriente d’Italia, del III governo Nitti.
[17] Busato David, Partito Radicale in Italia Da Mario Pannunzio a Marco Pannella 1954 – 1974, Tesi di Laurea in Scienze Politiche, Università degli Studi di Siena, Relatore A. Cardini, AA 1995/1996, pubblicata in http://www.eclettico.org/cr/libri/busato/capitolo1.htm
[18] Numerosi saranno i contributi che Meuccio Ruini porterà in Assemblea Costituente affinché l’art. 1 della Costituzione parli di  “…Repubblica democratica, fondata sul lavoro…” (v. p. 40).
[19] D’Angelo Lucio, Il Parlamento italiano. 1861-1988, Milano, 1989, vol. XIV
[20] D’Angelo Lucio, Il Parlamento italiano. 1861-1988, Milano, 1989, vol. XIV

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