PROUDHON
"LA CAPACITA' POLITICA DELLE CLASSI OPERAIE"
PRIMA EDIZIONE ITALIANA 1920
Questa prima edizione italiana dell'opera di Proudhon, uscì mentre in Italia si viveva il cosiddetto "biennio rosso" (1919-1920 - scioperi, serrate, violenze, ammutinamenti di soldati, incidenti ecc.) che anche se si concluse con qualche successo degli operai, che videro soddisfatta una parte delle loro richieste, segnò però la crisi politica dei Socialisti; con una spaccatura e la formazione della corrente comunista (Livorno - gennaio 1921) , e contemporaneamente in forte contrapposizione dilagò anche la violenza dei Fasci di combattimento che dopo il loro congresso a maggio 1920, misero da parte i contenuti democratici, scomparve il radicalismo, e approvarono i Postulati del nuovo programma mussoliniano fascista, che rimase poi quasi immutato per l'intero "ventennio".
Ricordiamo che Mussolini ex socialista fondando il suo antipartito, oltre a voler tornare alla spiritualità mazziniana chiese pure, la libertà di tornare proprio "all'anelito libertario di Proudhon e alla sua concezione dell'autogestione dei produttori, mirando alla realizzazione dell'inserimento delle masse nello Stato".
(Infatti il successivo ordinamento corporativo fascista ha preso moltissimo dalle idee di Proudhon. Ma anche il corporativismo cattolico che aveva avuto uno dei suoi massimi esponenti in Giuseppe Toniolo (vedi l'intero volume "Trattato di economia sociale") vide una delle più compiute elaborazioni del corporativismo. Subito dopo la guerra grazie all'opera e all'azione di A. Rocco, il corporativismo anche se inizialmente divenne l'asse ideologico dei nazionalisti (poi inglobati nel fascismo) sempre tramite Rocco fu poi accolto dal fascismo, che lo considerò il principio a cui ispirare la nuova organizzazione totalitaria della società. Alla fine degli anni '20, l'ossatura dello Stato Fascista è appunto lo Stato Corporativo, concepito come la realizzazione dell'"unità morale, politica ed economica".
(vedi qui tabella "Le Stato delle Corporazioni Fasciste" )
Poi terminata come sappiamo l' "avventura italiana" fascista, finite le corporazioni, non è che l'"anelito libertario" proudhiano abbia ottenuto nel dopoguerra migliori successi in campo sociale; ed anche nei successivi anni con la conquista del benessere di un largo strato della popolazione; il sociale è diventato per taluni politici un argomento "fastidioso" anche se negli ultimi anni la crisi sta investendo proprio quello strato: il ceto medio (professionisti, artigiani, colletti bianche) sempre più preoccupato delle aumentate spese in servizi, sanità, sicurezza, e vede precario perfino il proprio lavoro o la sua piccola e media azienda. A quanto pare il pensiero di Proudhon sembra stia ritornando attuale, e forse lo sarà ancora di più, quando -nella cosiddetta globalizzazione in atto- poco più di un centinaio di persone, su tutto il pianeta, avrà in mano - fra non molto - tutte le banche, i mezzi di produzione, di comunicazione, di distribuzione e di informazione. In qualche Stato è già in atto questo "golpe", e la caduta delle barriere -prima economiche e a servile rimorchio quelle politiche- ne accelerà il fenomeno a livello planetario, compresi quegli Stati dove ci sono sempre state incompatibilità politiche e di religione (ma gli affari sono affari !)
Non si può negare che il sistema economico vigente è efficiente e inventa costantemente nuove strategie in ordine di diventare più profittevole, ma contemporaneamente il divario tra poveri e ricchi tende ad allargarsi, e -come già accennato- perfino il ceto medio - non più sicuro - inizia ad essere preoccupato e inquieto.
Secondo un rapporto dell'organismo mondiale UNDP (dichiarazione di Mary Robinson, alto commissario dell'Onu per i diritti umani) il 20% dei ricchi del mondo che nel 1960 possedevano il 70% delle ricchezze mondiale sono arrivati ad averne l'83% nell'anno 2000. Al contrario il 20% dei poveri che negli anni sessanta possedevano il 2% delle ricchezze mondiali sono passati all'1,4%. In altre parole la concentrazione della ricchezza può essere espressa dal fatto che esistono 358 ipermiliardari che detengono quasi il 50% della ricchezza mondiale, e sono in continua ascesa come ricchezza e in continua discesa come numero.
I caini moderni si chiamano ora ipermiliardari. Non guadagnano per gioirsi i brevissimi 1000 mesi che hanno avuto in dono, i Caini moderni impiegano il loro denaro e sono solo impegnati a esercitare e a compiere atti miranti alla distruzione dei diritti, delle libertà e delle ricchezze dei propri simili.
Spesso negli effimeri loro "regni", la loro unica delizia è contemplare cinicamente (e sempre con il sorriso sulle labbra) le loro vittime. Sono spesso anonimi, non appaiono mai alla ribalta, si appoggiano per i loro "golpe" finanziari a quelli che noi chiamiamo "manager", "amministratori", "consiglieri", "promoter finanziari", "brochers". Se va tutto bene, questi con una parte del "bottino" godono pure loro i vantaggi; se va male, pagano solo loro, e si giustificano che "erano costretti ad agire in quel modo perverso per non perdere il posto".
Come non ricordare questa profezia di oltre cento anni fa: " Gli altri?.... Sono tutti soltanto degli schiavi i quali per una eterna necessità, non lavorano affatto per sè. Mai vi furono schiavi senza padroni. In un secolo venturo si avrà senz'altro lo sguardo educato a questo spettacolo che oggi appare indiscernibile. Ma ricordate questo enorme sforzo, questo sudore, questa polvere, questo strepito di lavoro della civiltà sono al servizio esclusivamente di coloro che sanno utilizzare tutto ciò senza partecipare al lavoro, appartengono a loro stessi, mentre gli altri devono essere esclusivamente degli accessori adibiti al loro superfluo. Anche i dirigenti, i funzionari, gli impiegati, i commercianti, gli artigiani, gli stessi imprenditori, nelle loro mansioni, lavorano senza saperlo per questi padroni occulti, dunque per la casta contemplativa che forma continuamente i "valori" e il senso della vita degli schiavi verso una totale pianificazione a gestione planetaria".
(Lo scriveva Nietzsche, in Frammenti del periodo della Gaia scienza" Sils Maria, 1881-1882)
Quasi nello stesso periodo di Proudhon anche Leone XIII nella sua poderosa "Rerum novarum" , annunciando i principi per la soluzione delle questioni sociali a fine secolo in fermento, l'ardito Papa scriveva: «La soluzione di un problema così arduo richiede il concorso e l'efficace cooperazione anche di altri». Egli era convinto che i gravi problemi, causati dalla società industriale, potevano essere risolti soltanto mediante la collaborazione (cooperazione) tra tutte le forze. Ma pure lui non fu ascoltato, e Papa Leone constatava con dolore che le ideologie del tempo, specialmente il liberalismo e il marxismo, rifiutavano questa collaborazione.
A ribadire questi concetti nel centenario della "Rerum" anche papa Wojtyla, nella "Centesimu annus" dove ha parlato che esiste ancora una condizione che è ancora quella del «giogo quasi servile».
Oggi ogni deriva è possibile: perfino la giustizia, uno dei concetti tradizionalmente forti su cui sono stati costruiti le costituzioni degli stati più civili, si capovolge diventando una nozione "debole", tanto debole. I doveri sono solo del popolo, i diritti solo degli (eccessivi liberisti sempre più monopolisti) "contemplativi".
-------------------------------------------Qualcosa su Proudhon
Una pagina di DIEGO FUSARO
Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865) elaborò una forma di socialismo antiborghese e anarchico; nato a Besancon, in un primo tempo lavorò in una tipografia, poi, nel 1840, pubblicò la prima memoria sulla proprietà ( Che cos'é la proprietà? ), dedicata all'Accademia di Besancon che la sconfessò, nel 1841 la seconda memoria, dedicata a Blanqui (che sarà esponente politico del movimento socialista nel governo provvisorio del 1848, sostenitore di una poletica in cui il giacobinismo era commisto al marxismo), e nel 1842 la terza, immediatamente sequestrata. Accusato di attentato alla proprietà privata e alla religione e di incitamento all'odio per i governi, fu assolto; nel 1844 a Parigi entrò in contatto con Bakunin e Marx, con il quale però tuttavia ruppe ben presto i rapporti. Nel 1846 pubblicò il Sistema delle contraddizioni economiche o filosofia della miseria , a cui Marx non tardò a rispondere con la Miseria della filosofia. Nel 1848 Proudhon prese parte alla rivoluzione, fu redattore del giornale "Le Représentant du Peuple" e venne eletto nell'Assemblea costituente, ma l'anno successivo, avendo attaccato Luigi Bonaparte (il futuro Napoleone III), fu condannato a tre lunghi anni di prigione. Nel 1851 pubblicò la Filosofia del progresso e, nel 1859, Sulla giustizia considerata nella rivoluzione e nella Chiesa . Anche quest'opera, forse la sua più importante, fu immediatamente sequestrata ed egli fu di nuovo condannato a tre anni di prigione. Per evitarla si rifugiò a Bruxelles e solo nel 1862 tornò in Francia. Tra i suoi ultimi scritti vanno ricordati La guerra e la pace (1861) e Sul principio federativo (1864).
Proudhon é radicalmente contrario al principio economico del "lasciar fare"; contrariamente a quanto pensava Marx, egli ritiene che l'economia non poggi ancora su basi scientifiche, essa piuttosto deve essere diretta dalla volontà umana e subordinata ad obiettivi superiori, in primis alla giustizia . La storia é il dominio della libertà , che ha il proprio fine nella realizzazione della giustizia. Sono però possibili due diversi modi di concepire la giustizia, come risultato di un'imposizione da parte di un'autorità esterna superiore all'individuo o come facoltà dell'individuo stesso di riconoscere le pari dignità di ogni altro individuo. Nel primo caso si pretende di realizzare la giustizia a discapito della libertà individuale, ma Proudhon respinge la legittimità di ogni tipo di autorità superiore all'individuo, e precisamente di quella di Dio in ambito religioso, dello Stato nella sfera politica e della proprietà in quella economica: di qui il suo radicale anarchismo , che significa letterariamente "rifiuto di ogni potere". Lo Stato, in particolare, é considerato un'istituzione assurda o illegale, finalizzata alla scopo, da parte di alcuni, di sfruttare i propri simili tramite la forza, così come la proprietà privata é finalizzata allo sfruttamento del lavoro altrui. Ogni individuo ha invece il diritto di godere della massima libertà, a patto che uguale libertà sia riconosciuta anche a tutti gli altri. Sulla base della libertà e della giustizia, come riconoscimento della pari dignità altrui, é possibile, secondo Proudhon, la libera organizzazione di una società mutualistica , in cui i lavoratori, in quanto produttori, si scambiano i prodotti, in modo da costruire un tutto armonico. Il perno di essa é la famiglia: Proudhon, infatti, considera il matrimonio indissolubile ed é contrario all'emancipazione femminile . In questa nuova forma di società lo Stato e le sue leggi finiscono per scomparire e la loro funzione può essere assolta da contratti liberamente stipulati, volti a risolvere i problemi della convivenza. Sarà così possibile l'instaurazione della giustizia, che é agli antipodi del nazionalismo e della guerra, negazione di ogni rispetto per la dignità umana.
Al pensiero di Proudhon si richiamarono movimenti e pensatori anarchici, come Bakunin e Kropotkin. La critica mossa da Proudhon alla proprietà privata (definita come "un furto" per il fatto di non trarre la propria origine dal lavoro, ma da un'indebita appropriazione) é feroce, come feroce é anche quella mossa alla statalizzazione, considerata come la massima espressione dell'oppressione, incompatibile con la libertà e con la giustizia; ed ecco allora che, come accennato, in antitesi al liberismo (forma di individualismo selvaggio) come al socialismo di stato (forma di oppressione collettiva), Proudhon immaginava una società basata sulla libera cooperazione tra i lavoratori, sia sul piano produttivo sia su quello assistenziale, attraverso associazioni di solidarietà.
Un ringraziamento a Diego Fusaro
Per approfondire Proudhon vedi il suo link (esterno)
"La filosofia e i suoi eroi"
E' l' Anno 1838
Quando un singolare autodidatta piombò a Parigi
Nella frenetica attività di quegli anni, quando il capitalismo industriale stava facendo i suoi primi passi per allargare il suo regno, un attento trentenne francese sceso a Parigi con una sudata borsa di studi, lo esplora, ne fa una sua analisi, ed esplode con un suo saggio: lui é PIERRE JOSEPH PROUDHON (1809-1865). "Utopista" (o realista?) di un socialismo, libertario, pluralistico, federalista e in seguito antimarxista. Un uomo, impropriamente chiamato anarchico.
Esce con "Che cosa è la proprietà? " - Punto centrale del suo lavoro è l'analisi della proprietà che egli considera da un lato come struttura portante del privilegio sociale, dall'altro come cardine della resistenza degli individui e dei gruppi al dominio dello Stato (in questo periodo ancora feudo-monarchico e autoritario)
Nelle sue pagine Proudhon si risponde: " La proprietà é un furto!" ma aggiunge "La proprietà è la libertà!" (questa seconda frase molti poi la ometteranno) Due massime che sintetizzano i due aspetti apparentemente contradditori.La prima frase benchè suggestiva (molto impropriamente usata dopo) non riflette fedelmente il pensiero dell'autore. Proudhon infatti non rifiutava affatto la proprietà in sè. Fu pronunciata da un uomo che non fu per nulla pregiudizievolmente ostile alla proprietà, e che condannò sin dall'inizio il comunismo, portatore di germi liberticidi, in nome di ciò che veniva definito "l'anarchia positiva".
Proudhon distingue infatti l'aspetto originario e ineliminabile della proprietà, ossia il possesso dei mezzi di produzione ( e fa un distinguo preciso) dal sistema in cui la proprietà dei mezzi di produzione si accentra in poche mani, e il lavoro separato dal godimento dei suoi frutti e la proprietà che si trasforma in rendita parassitaria di alcuni soggetti. (Proudhon paragona il profitto, gli interessi e la rendita, ai vecchi diritti feudali- (senza fatica) un vero e proprio furto di parte del prodotto dei sudditi plebei (corvè), che ora si chiamano operai)E' della proprietà intesa nel primo senso (il possesso) che Proudhon sottolinea i vantaggi auspicandone la generalizzazione a tutti i lavoratori. Su questa base, critica (e vede con anni di anticipo il pericolo) alcuni aspetti del nascente comunismo, in particolare la teorizzazione di una società in cui la comunità divenga unica proprietaria dei mezzi di produzione (il collettivismo); egli é convinto, in effetti, che in una tale società l'oppressione delle libertà individuali (!) si accompagnerebbe a tutti i danni arrecati dalla proprietà parassitaria individuale (dalla padella si cadrebbe nella brace!)
Proudhon concepisce invece una società in cui gli attributi dell'autorità centrale vadano restringendosi e in cui si costituiscono pluralità di associazioni, delle corporazioni, ognuna delle quali svolga una funzione autonoma creando legami con altre collettività sociali, anche al di là dei confini nazionali.(Qui concepisce il suo "federalismo" cui dedicherà più tardi un saggio Del Principio Federativo, che pochi conoscono pur parlando oggi di federalismo).E' riferendosi a questo modello di governo, nel quale il massimo di libertà individuale dovrebbe conciliarsi con il massimo di armonia sociale, che Proudhon parla di "anarchia" (ma rivolgendosi però a quei governi assolutisti del suo tempo)Il suo saggio "Che cosa è la proprietà?" é un aspra polemica non solo con i teorici della nuova borghesia nascente (liberismo) ma anche con i principali esponenti del nuovo socialismo (comunismo) che sta sorgendo -anche questo- con i rivoluzionari di questo primo periodo in fase di gestazione.
Infatti, Marx ancora ventunenne, é ancora a scuola a Berlino, è ancora un hegeliano di sinistra. Ma sarà proprio Marx (all'inizio suo grande ammiratore con giudizi altamente positivi) ripetutamente ad attaccarlo quando appena venticinquenne il professore ebreo diventa direttore del giornale radicale Rheinische Zeitung. Una polemica tra i due che continuerà per venticinque anni (all'inizio lo definì il Rousseau-Voltaire di Luigi Bonaparte, poi in Miseria della filosofia Marx attacca Proudhon con intolleranza, cruda violenza e lo definisce un piccolo borghese, quindi non un "comunista". E se lo dice lui!).Ma con gli storici successivi e perfino con gli attuali del nostro tempo, questa polemica sulle due teorie in contrasto (socialismo - comunismo) da un lato, e quella del liberismo dall'altra non ha mai avuto termine. Soprattutto in questi ultimi tempi, con il marxismo andato in crisi, e con un liberismo che ha toccato ormai i vertici di una vera e propria dittatura di pochissimi (che però oggi si mascherano dietro grandi società - dove la globalizzazione è solo bancaria e non più industriale).
Proudhon sembra stia ora ritornando attuale, e forse lo sarà ancora di più quando una decina di persone avrà in mano - fra non molto - tutte le banche, e col denaro i mezzi di produzione, di comunicazione, di distribuzione e di informazione del pianeta.
Altrettanto diventerà attuale il suo federalismo. Infatti, Proudhon se non è stato l'unico sociologo federalista della storia, certamente é stato il suo più grande profeta.
In un modo o nell'altro la storia non ha reso ragione a questo grande pensatore. Forse egli stesso vi ha contribuito. Infatti, descrivendosi socialista e anarchico; si é autoescluso dalla considerazione di gran parte della pubblica opinione e questa può essere una delle ragioni dei pregiudizi che molti si sono fatti di lui. Il significato del primo termine era allora del tutto diverso da quello che noi gli attribuiamo oggi; socialista per Proudhon era lo studioso dell'uomo e dei fenomeni che si verificano nella "società", allo scopo di migliorare le condizioni della vita umana (al pari di Comte, che invece inventa contemporaneamente e usa per la prima volta il termine "sociologia", e quindi crea la figura del sociologo - un termine più moderato) e così anarchico che allora voleva dire il rivoluzionario che vuole una società priva di ogni dominio politico e di ogni autorità (con quest'ultimo lui pensa ai sovrani inetti - e non "a tutti" i sovrani!). Proudhon infatti si riferiva a quella politica e a quella autorità, alla natura oppressiva del vecchio assolutismo e del nuovo capitalismo, con i lavoratori estranei agli obiettivi della borghesia democratica, non escludendo il regime parlamentare e l'estensione del diritto di voto ai lavoratori.
Altrimenti -affermava- si passava da una schiavitù imposta, a una schiavitù legittimata dal riconoscimento popolare. (Anche la Serenissima Venezia era democratica, ma solo all'interno di 900 aristocratici. Anche le elezioni in Italia nel 1861 furono democratiche ma solo riservate a 239.583 "notabili cittadini" che elessero (ovviamente) 85 principi, marchesi, conti e baroni, e nemmeno un rappresentante dei lavoratori, artigiani, piccoli o grandi industriali).
Altrettanto il termine comunismo: che Proudhon usava come comunità, quindi nessuna relazione al significato che gli attribuiamo oggi. Tanto che alla fine il fallimento del comunismo, rende ragione a Proudhon quando espresse il suo inappellabile giudizio proprio sulle dottrine di Marx (giudizio che abbiamo già letto sopra)
Un accenno a quest'uomo - Proudhon - che forse passerà alla storia come uno dei più grandi pensatori del diciannovesimo secolo. Nato a Besancon nel 1809, di umile origine, figlio di un contadino birraio, iniziò gli studi ma presto, nonostante i brillanti risultati, li dovette abbandonare per mancanza di mezzi. Entrò a lavorare in una tipografia. Vi rimase dieci anni, fino al 1838. L'accademia di Besancon si accorse di lui forse con molto ritardo; gli fu infatti concessa a 29 anni una borsa di studio. Proudhom aveva nel frattempo da solo appreso il latino, il greco e l'ebraico; leggendo molto scoprì il "socialismo" di Fourier, maturando presto una visione critica dell'assetto sociale esistente. Con la borsa si trasferisce dunque nel 1838 a Parigi, e qui continuò la propria istruzione. Subito l'anno dopo, nel '39, pubblica un breve saggio: La celebrazione della domenica.
Passano pochi mesi, poi quest'anno dà alle stampe "Che cosa è la proprietà?" sopra accennata. Che non é rimasta come simbolo di quel periodo (molto dialettico) caotico, ma fa ancora molto discutere nell'anno 2000.
Nel 1846 pubblicherà "Contraddizioni economiche" (gli risponderà uno sprezzante Marx con "Filosofia della miseria"). Nel 1851 "L'idea generale della rivoluzione nel sec. XIX". Nel 1858, "La giustizia nella rivoluzione e nella chiesa". Nel 1862, "Del principio federativo". Nel 1865 (uscirà postumo), "Della capacità politica della classe operaia"; opera in cui sviluppa e precisa le sue idee sull'organizzazione economica e politica di una società "anarchica" (attenzione! inteso contro quel regime allora esistente). Ma nonostante l'apparente estremismo di queste idee, il sistema teorico e il programma politico di Proudhon sono tutti permeati dall'aspirazione a conciliare principi antagonistici: socialismo e mercato, capitale e lavoro.
Aspirazioni che sono riconfermate nella successiva opera postuma, "Teoria della proprietà".
Per un ex tipografo, autodidatta di politiche di riforme sociali, il segno lasciato è notevole. La rivisitazione alla luce degli ultimi avvenimenti sociali, politici ed economici è oggi quasi d'obbligo.
Fu accusato di utopia, ma a quanto pare questi temi oggi nel mondo occidentale sono ancora più che mai al centro dell'attenzione. E potrebbero essere fra breve anche inquietanti.
Qui sotto Giulio Pietrangeli nella prefazione dell'opera di Proudhon, poi lasceremo parlare LUI.
( non togliamo nè una parola né una virgola: ma ne facciamo una riproduzione integrale )
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Premessa al libro di Prudhon
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